Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

RAPPRESENTATIVA REGIONALE: In piedi: dirigente Arnaldo Silvestri, avvocato Davanzo, Cereser, Brollo, Storto, FERRARI, Salvori. Accosciati: Ronchi, Muffato, Bedin, Isoni, Lazzarini, Armellin

Nel mondo dello sport e con esso in quello del calcio vi sono carriere che non si fermano al termine dell’attività agonistica. Chi ha giocato ad ottimi livelli poi trova in quello sport anche uno sviluppo successivo alla propria carriera come allenatore o dirigente, pari se non superiore a quella precedente. E’ per questo che questa nostra storia è lunghissima e inizia in una San Donà da sempre vera fucina di talenti sportivi, qui negli anni Sessanta muoveva i primi passi Enzo Ferrari. Chissà come è vivere con un nome e un cognome che ti lega per sempre ad un mito assoluto dell’automobilismo, di certo quel giovane sandonatese ha cominciato tardi a giocare a calcio. Inizialmente aveva seguito la passione del padre Gino ed inforcata una bici la sua aspirazione massima era divenire un ciclista professionista. Ma di questo lasceremo spazio direttamente alle sue parole grazie ad una intervista che agli inizi degli anni Ottanta concesse a Gianni Mura e che è parte integrante del nostro racconto.

Gli inizi al San Donà
SAN DONA’ 1960-61: In piedi: Salvadoretti, Vizzotto, Cornaviera, Bonazza, FERRARI, Dal Ben Accosciati: Susin, Beffagna, Tommasella. Salvori, Giovanni Perissinotto

Enzo Ferrari (classe 1942, la stessa di Dino Zoff) dopo quell’iniziale esperienza nel ciclismo abbandonata da allievo, entrò a far parte del settore giovanile del San Donà. Era un gran fermento di talenti il sandonatese in quei primi anni Sessanta. Francesco Canella e Bruno Visentin avevano da qualche anno preso la via del Venezia, tra gli oratoriani muoveva i primi passi Gianfranco Bedin, mentre con il San Donà oltre a Ferrari si stavano mettendo in luce anche Elvio Salvori e Angelo Cereser. Tutti giocatori che poi approdarono in serie A divenendo simbolo di questa terra ed esempio per i tanti ragazzi che avevano la capacità di sognare nel loro giocare a pallone. Nel San Donà appena promosso in serie D Ferrari giocò in attacco ed in panchina come allenatore aveva un Giovanni Perissinotto che di gioco d’attacco se ne intendeva avendo giocato in serie A con Roma e Udinese. Il giovane Enzo debuttò il 5 marzo 1961 contro la Pro Gorizia (1-0) allo stadio Zanutto, con la maglia numero 10 giocò nove gare segnando la sua prima e unica rete di quella annata il 16 aprile all’Argentana (4-1). Ferrari rimase in biancoceleste anche nelle successive due stagioni, l’ultima delle quali si concluse con uno sfortunato spareggio (con Faenza, 0-4) che valse la retrocessione poi sanata dal ripescaggio. Complessivamente in biancoceleste ha segnato 6 reti in 49 presenze (compresa quella dello spareggio non sempre calcolata nei totali delle stagioni), non esistendo ancora le sostituzioni per un giovane giocatore era un buon traguardo.

SAN DONA’ 1962-63: In piedi: Dal Ben, Matassa, Muffato, Mariotto, Miglioranza, Hartz. Accosciati: Manzini, Socrate Brollo, Chinellato, Cadamuro, FERRARI
Dalla Serie C alla serie B
Ferrari con la maglia dell’Arezzo

Nell’estate del 1963 passò in serie C al Forlì dove si mise in ottima evidenza arrivando ad un passo dalla promozione in serie B. Trovò poi la sua consacrazione all’Arezzo con cui giocò per tre stagioni da protagonista sfiorando la promozione in serie B la prima stagione, centrandola la seconda e giocando nella serie cadetta nella terza, conclusa con la retrocessione. Ferrari aveva esordito in serie B l’11 settembre 1966 in Genoa-Arezzo (1-0), quasi un destino visto che l’anno dopo venne ceduto proprio al Genoa. Fu una stagione sofferta per i rossoblu quella della serie B 1967-68, nella quale Ferrari segnò ben 13 reti. Al termine di un campionato molto equilibrato, furono cinque le squadre costrette agli spareggi salvezza. Spareggi interminabili dato che furono necessari dopo le iniziali quattro gare altri spareggi per determinare una seconda retrocessa. Il Genoa alla fine si salvò mantenendo la categoria dopo sette gare che videro gli sportivi genovesi assieparsi nelle piazze per ascoltare gli aggiornamenti che arrivavano attraverso la radio, e nelle quali Ferrari mise a segno altre due reti.

GENOA 1967-68: In piedi: Colombo, Rivara, Grosso, Petrini, Drigo. Accosciati: FERRARI, Derlin, Campora, Gallina, Massucco, Locatelli
In serie A a Palermo un gol che ancor tutti ricordano
PALERMO 1969-70: in piedi: Troja, Landri, FERRARI, Ferretti, Giubertoni, Lancini; accosciati: Causio, Pasetti, Bertuolo, Pellizzaro, Alario.
I fotogrammi pubblicati sui giornali del salvataggio di Ginulfi

Nell’estate del 1968 Enzo Ferrari spiccò il volo per la serie A approdando al Palermo. Fu un capitolo importante della sua carriera. Due furono i campionati di serie A disputati, al termine del secondo retrocesse in serie B ma nel quarto in rosanero riconquistò la serie A. Ferrari esordì in serie A il 29 settembre 1969 in Cagliari-Palermo 3-0, in quella annata lo scudetto venne vinto dalla squadra sarda. Nella seconda annata in serie A fu protagonista di un episodio che fece molto scalpore, ovvero una rete segnata allo stadio Olimpico contro la Roma da ben 70 metri. Così la raccontò Ferrari in una intervista alla Gazzetta dello Sport del 2008: « La partita era iniziata male per il Palermo. Bercellino si era stirato dopo cinque minuti e non aveva il coraggio di dirlo a Di Bella (ndr verrà sostituito con Causio). Verso la fine del primo tempo Ferretti, il portiere, mi passa la palla, vedo Troja tutto solo nella metà campo della Roma e lancio per Tano, poi ha fatto tutto il vento, il pallone rimbalza nell’area di porta e supera il portiere Ginulfi ». Dopo la rete di Ferrari ci fu il pareggio di Capello, con la gara che finì in parità. In realtà quella rete di Ferrari fu molto controversa dato che nel cercare di evitare la rete Ginulfi riuscì a smanacciare in corner il pallone, il guardialinee però segnalò il gol e l’arbitro Picasso di Chiavari concesse la rete, tra infinite polemiche durante e dopo la gara sia in televisione alla Domenica Sportiva che sui giornali, nella perfetta tradizione italiana di vivere il calcio. Presente tra gli undici della Roma anche il sandonatese Elvio Salvori. A Palermo Ferrari giocò qualche gara anche nella stagione del ritorno in serie A per poi venir ceduto nel mercato autunnale al Monza. Complessivamente in serie A ha giocato 55 volte segnando 8 reti, cinque complessivamente le stagioni con presenze in rosanero.

SERIE A 1969-70: INTER – PALERMO 2 – 0
Dalla B al Monza al ritorno in Veneto

Il ritorno in serie B al Monza lo porta nuovamente a lottare per la salvezza come a Genova, l’epilogo non sarà però favorevole dato che la differenza reti introdotta per evitare gli spareggi penalizzò il Monza:  appaiato ad altre quattro squadre fu tra le due squadre retrocesse. Ferrari giocò poi in serie C al Livorno, per due annate all’Udinese, quindi nel campionato 1975-76 giocò all’Union CS rimediando una retrocessione in quella che era la prima stagione dopo l’abbandono della presidenza di Teofilo Sanson. Proprio l’imprenditore veronese aveva acquistato l’Udinese e affiancato dal Ds Franco Dal Cin gestiva anche il Conegliano nella cui squadra Ferrari concluse la carriera da giocatore.

Dal Conegliano alla carriera da allenatore
CONEGLIANO 1977-78: in piedi sa sinistra: FERRARI (allenatore-giocatore), Borin, Franzolin, Villanova, Malesani, Lovison, Segat, Fongaro, Busatti, Pradella, Pizzato, Da Re, Pagura, Lisotto, Nori, Soldan (allenatore). Accosciati: Meneghin, Silotto, Marcati, Rigato, Barbui, Strappa, Da Ros, Casagrande, Turchetto, Viola, massaggiatore Nardo. (foto tratta da “100 di calcio a Conegliano” Fontanelli)

Al Conegliano nel campionato di serie D 1977-78 Ferrari assunse il doppio ruolo di allenatore-giocatore affiancando Narciso Soldan. Una stagione che vide il Conegliano ottenere la promozione in serie C2 e che fu per Ferrari anche l’occasione per giocare allo Stadio Zanutto per un’ultima volta da protagonista. In quel 2 aprile 1978 il Conegliano vinse sul campo del San Donà per 3-0 e Enzo Ferrari segnò la prima delle tre reti gialloblu. Nel 1978-79 guidò come allenatore il Conegliano anche in serie C2 con una formazione molto giovane e sono proprio i giovani che caratterizzarono l’inizio carriera del Ferrari allenatore. Molti di questi passarono con lo stesso Ferrari all’Udinese quando assunse il ruolo di allenatore della Primavera bianconera nella stagione 1979-80 arrivando ai vertici della propria categoria.

Il debutto all’Udinese come allenatore di Serie A
UDINESE PRIMAVERA CAMPIONE D’ITALIA 1980-81: In piedi da sinistra: Miano, Cinello, Maritozzi, Macuglia, Cossaro, Borin, Trombetta, Gerolin, Papais, Koetting, Dominissini. (foto tratta da “Almanacco Udinese Calcio” Schiavinello-Fontanelli)

La stagione 1980-81 segnò la svolta nella nuova carriera di Ferrari.  Dopo appena tre giornate venne esonerato l’allenatore Marino Perani con Ferrari che sedette sulla panchina bianconera nella gara del 5 ottobre contro la Fiorentina (0-0). Fu poi Gustavo Giagnoni ad essere designato alla guida della prima squadra. Ferrari tornò ad occuparsi di quella squadra Primavera che di lì a pochi mesi ebbe modo di conquistare lo scudetto di categoria. Ma prima vi fu l’esonero anche di Giagnoni. Con l’Udinese al penultimo posto Ferrari venne richiamato in prima squadra debuttando nuovamente nella gara contro la Pistoiese del 15 febbraio (1-0). L’allenatore sandonatese non lasciò più la panchina della prima squadra riuscendo a portare alla salvezza i bianconeri con un finale da brividi. In quel 24 maggio l’Udinese riuscì a sconfiggere in casa il Napoli per 2-1 grazie ad una rete all’87’ di uno dei suoi “ragazzi” lanciati dalla Primavera in prima squadra, lo jesolano Manuel Gerolin. Quella vittoria permise ai bianconeri di affiancare altre quattro squadre al terzultimo posto, con Pistoiese e Perugia venne retrocesso il Brescia per la peggior differenza reti.

Enzo Ferrari ritrova il suo compagno Franco Causio

Nell’estate Teofilo Sanson cedette l’Udinese a Lamberto Mazza, patron della Zanussi, e questi confermò Ferrari sulla panchina bianconera. L’Udinese venne rinforzata con Muraro dall’Inter, Orlando dal Vasco da Gama, Orazi dal Catanzaro e con Franco Causio, ex compagno di squadra di Ferrari al Palermo, che all’epoca faticava a trovare spazio nella Juventus di Trapattoni. Causio in quel di Udine trovò una seconda giovinezza tanto da riconquistare una convocazione in nazionale che lo porterà sino a quegli epici Mondiali di Spagna che seppur non da protagonista lo videro conquistare il titolo mondiale. Con non poca fatica Enzo Ferrari riuscì a centrare anche in questa stagione la salvezza per la sua Udinese. Si colloca all’inizio dell’annata 1982-83 l’intervista che Gianni Mura fece ad Enzo Ferrari per l’Intrepido, parte integrante di questa nostra storia e che dà i contorni della carriera di allenatore che Ferrari stava iniziando ad intraprendere:

L’allenatore dell’Udinese si chiama come il mago di Maranello

Enzo Ferrari famoso prima di esserlo

di Gianni Mura

Non è uno che dice tante cose, è uno che ha tante cose da dire. Questa era stata la mia prima impressione su Enzo Ferrari, arrivato circa un anno fa alla panchina dell’Udinese. Nome e cognome erano già famosi per via del grande Vecchio di Maranello. Ma il Ferrari del calcio era da scoprire. Sembra uno zingaro, ha fatto lo zingaro da calciatore girando l’Italia per quanto è lunga. Anche adesso, è l’unico allenatore di A che fa il pendolare: 150 km al giorno fra San Donà di Piave dove è nato e abita e Udine. « Vado a nafta costa meno. » precisa. E’ anche l’unico a dipingere, quando può. Qualche suo amico pittore di Udine, come Celiberti e Borta, insiste perché si decida ad allestire una “personale”, ma Ferrari fa il sordo. Ho visto i suoi quadri, non c’è da inginocchiarsi per l’ammirazione ma, per un dilettante, davvero niente male. Gli influssi più evidenti sono di De Pisis, poi Ferrari dichiara i suoi amori: « il Guardì, tutti gli impressionisti classici, Carrà, Sironi, Rossi ». Non li vende, semmai li regala.

ENZO FERRARI (figurina Guerin Sportivo)

Strana casa quella di Ferrari. Regolare nella famiglia, tutta simpatica: la moglie Anna, i figli Marco e Laura (15 e 13 anni); irregolare, sorprendente per la totale assenza di fotografie, maglie, medaglie, targhe, cimeli, nulla sui mobili e sui muri indica che ci abita uno che ha giocato vent’anni al calcio. Come se non esistesse il passato.

« Esiste dentro di me, – dice lui – e non vedevo il bisogno di trasformare un appartamento in un museo.Tra l’altro ho cambiato tante maglie che questo spazio non basterebbe ».

Vediamole in rassegna, queste maglie, insieme agli allenatori che Ferrari ha avuto. Calcaterra, Perissinotto, Ballacci e Tognon (San Donà), Zattoni (Forlì), Mucci e Lerici (Arezzo), Fongaro e Campatelli (Genoa), Di Bella, De Grandi e Pinardi (Palermo), Viviani (Monza), Gb. Fabbri e Zecchini (Livorno), Manente, Galeone, Comuzzi. Rosa (Udinese), Flaborea e Beraldo (Clodiasottomarina), Soldan (Coneglianese). Due di questi tecnici sono tra i “maestri” di Ferrari: Lerici per la tattica, GB Fabbri per le idee sul calcio, tutti avanti tutti indietro, come piace a Ferrari. « Se GB fosse alla Juve vincerebbe lo scudetto 8 anni di fila. Non importa se a Cesena l’hanno silurato, non cambio idea: con lui Boldini era meglio di Cabrini ». Si commuove parlando di paròn Rocco, manca a lui come a tutti quelli che l’hanno conosciuto: « Il paròn è stato tra i primi a capire l’importanza della psicologia. Non si può essere solo tecnici. “Chi no xe omo, resti sul pullman”, diceva ogni domenica Nereo, sdrammatizzando l’ambiente. Ecco noi lottiamo ancora contro la paura. Troppi miei colleghi in settimana preparano le partite in un modo che se li vedono al Pentagono diventano rossi di vergogna. Okay, c’è anche la tattica, ma prima ci sono i ragazzi, i loro problemi aggravati dal fatto che in Italia non li si aiuta a crescere. All’estero, a 20 anni sono già adulti, qui magari giocano in nazionale e sono bambocci, manca solo che ti chiedano il permesso di andare al gabinetto… ».

Da sinistra: FERRARI, Edinho, Causio (foto tratta dall’Intrepido)

Sarà, ma da cosa dipende?  « Dalla paura dell’ambiente, allenatore per primo che li contagia. Più facile che ai ragazzini si insegnino i trucchetti per perdere tempo, i finti infortuni, i palloni buttati in tribuna, che non ha giocare sul serio. Perché il ragionamento dell’allenatore è questo: prima o poi mi cacciano, dunque devo adeguarmi all’avversario. Io non lo accetto. lo rovescio questo ragionamento. Siccome nessun allenatore, che mi risulti, è mai morto di fame, io voglio che gli altri si adeguino alla mia squadra. Tanto, prima o poi mi cacciano, almeno provo a cambiare mentalità in senso positivo. Così non vedrete mai l’Udinese che fa la trincea ai limiti dell’area, semmai molto più avanti. A Torino con la Juventus abbiamo perso 0-1, costruendo sei palle gol. Dico questo: chiaro che preferisco vincere, ma ci sto anche a perdere, a patto che i ragazzi diano tutto. Io non mi scandalizzo se un giocatore prende 100 milioni l’anno, mi arrabbio se non si rende conto di cosa significa, di che doveri comporta. Mio padre m’ha insegnato che lo sport è gioia, ma anche sacrificio, anche responsabilità ».

Enzo Ferrari (foto tratta dall’Intrepido)

Il padre Gino torna spesso nei discorsi di Ferrari. « E’ il primo dei miei tifosi. Da giovane ha fatto corsa campestre, mezzofondo, le cose che costavano meno. Perché in casa lavorava solo lui, operaio in una fabbrica di secchi di juta, e poi per arrotondare faceva il tappezziere, noi eravamo sei fratelli. Io mi sono diplomato perito chimico, perché allora il futuro sembrava a Porto Marghera. Il mio sogno era di diventare ciclista professionista. Ero tesserato all’U.C. Turchetto Basso Piave, la società da cui è uscito Moreno Argentin. Ho vinto qualche corsa da allievo con avversari come il povero Schiavon (che fine, meschina: schiacciato dai trattore!) e Gregori, che adesso è il CT dei dilettanti azzurri. Ero mica male in salita e buono sul passo e in volata. Ho smesso perché la bici era un lusso, i tubolari costavano un occhio, mi sembrava immorale chiedere soldi in casa. Così son passato sui campi di calcio. Questa è zona buona: Bedin, Salvori, Maschietto, Cereser, Carlini, Gardiman… Sono rimasto appassionato di bici e tengo a Hinault. Nel calcio, vorrei essere come lui: attaccare prima di essere attaccato ».

Nel calcio partendo come ala, ha vestito tutte le maglie meno quella del portiere e del libero. Detiene il record del gol segnato da più lontano (col Palermo all’Olimpico da 70 m): « Volevo lanciare Troja, la tramontana ha preso il pallone e l’ha portato dietro Ginulfi ».  Confessa di aver segnato anche da brillo: « Diciamo allegretto, non proprio ubriaco. C’era un’amichevole con l’Inter a Fontanafredda, io non la dovevo giocare e avevo bevuto qualche bicchiere di Picolit, la mia passione. Negli spogliatoi m’han detto di cambiarmi …Corner per noi al primo minuto: vedo che Bordon dormicchia e dalla bandierina gli taglio dentro la palla, gol. Poi ho chiesto la sostituzione… ».

La famiglia Ferrari (immagine tratta dal Guerin Sportivo, giugno 1984)

E’ molto esperto di vini, Ferrari. In un certo periodo ha fatto anche il rappresentante di spumanti e quando giocava a Palermo (e suo compagno di camera era un giovane leccese, un certo Causio) faceva il piazzista di pellicce. « Noi veneti siamo i giapponesi d’Italia » ama ripetere. E’ esperto anche di legnami avendo lavorato in una fabbrica di avvolgibili, insomma è uno con cui si può stare qualche ora senza parlare di calcio. (Credetemi, col mister non succede quasi mai). Ha vissuto il calcio della provincia, mai sugli altari e difende i grandi talenti incompresi:  « Tutti dicono: il grande Cagliari di Riva. Grandissimo Gigi, d’accordo, ma chi faceva tornare i conti era Greatti… E gente come Vendrame, Inferrera, Fava, vogliamo dire che sono stati grandi campioni rovinati da allenatori che al posto del cervello e del cuore avevano un compasso? Il calcio italiano deve riscoprire la fantasia. Non tutti fantasisti, sennò è l’anarchia, ma qualcuno sì. Per questo io sono sempre stato milanista dai tempi di Gre-No-Li fino all’ultimo Rivera.

Si torna sui quadri: « Vorrei aver più tempo per fare ritratti ai vecchi delle mie parti, contadini, carrettieri, stradini, che hanno tutta la vita scritta in faccia, l’amarezza e la dignità del vivere. Ma se avessi più tempo vorrebbe dire che sono a spasso, allora non mi lamento. Ho passato un brutto momento all’inizio, solo un punto in quattro partite. Con una squadra molto rinnovata, qualche incidente di troppo, era inevitabile. Mi ha ha difeso il presidente Mazza, un manager che il calcio italiano farebbe bene a non perdere. “Si valuta alla fine del lavoro, non all’inizio” ha detto lui senza mai entrare nei dettagli tecnici. In effetti l’Udinese è l’unica squadra non sponsorizzata in serie A, perché fa parte della Zanussi. I bilanci a fine campionato. Dunque. Sono fiducioso fin qui abbiamo raccolto tanti elogi e pochi punti, ora è tempo di raccogliere tanti elogi e tanti punti. Con un Causio così non sarà difficile ».

L’Udinese si fa grande

Con l’arrivo di Edinho e Virdis l’Udinese nell’annata 1982-83 migliorò ancor di più la qualità del suo organico e nonostante i tanti pareggi, arrivò sesta a soli due punti dalla qualificazione per la Coppa Uefa. Il vero salto di qualità i bianconeri cercarono di farlo l’anno dopo quando approdò in Friuli Arthur Antunes Coimbra detto Zico e come d’incanto gli abbonamenti toccarono la soglia record delle ventiseimila tessere facendo dell’Udinese un vero fenomeno nazionale. Nonostante le 19 reti di Zico e le 10 di Virdis e un nono posto che sembrava peggiorare il piazzamento della stagione precedente, i bianconeri mancarono ancora di soli tre punti la qualificazione alla coppa Uefa dopo un campionato giocato per la gran parte in posizioni decisamente migliori. La delusione fu forte e non priva di polemiche, al termine della stagione Causio passò all’Inter, Virdis al Milan, mentre Zico rimase, non Enzo Ferrari che dopo 104 panchine in serie A si congedò da Udine. La squadra bianconera nel frattempo si era già accordata con l’allenatore Luis Vinicio.

UDINESE 1983-84: in piedi: Virdis, Pradella, Cattaneo, Brini, FERRARI (allenatore), Borin, Edinho, Miano, Mauro; seduti: Galparoli, Tesser, Marchetti, Pancheri, Causio, Gerolin, Urban, De Agostini, Dominissini, Zico.
L’esperienza all’estero
Enzo Ferrari al Real Saragozza

L’eco delle imprese di Udine e il suo esser stato l’allenatore di Zico, portò Ferrari ad intraprendere una stagione all’estero. Si trasferì al Saragozza nella Liga spagnola. « Volevano un tecnico reputatissimo, hanno contattato Eriksson e Michels e hanno pure contattato Castagner. E’ stato Pardo, l’agente di Surjak… Pardo mi conosceva e chiaramente mi apprezzava…ha fatto il nome mio e subito io e quelli del Saragozza ci siamo piaciuti. Vogliono fare una squadra da Uefa, vogliono un pò risalire la corrente». – così in due interviste al Guerin Sportivo il Ferrari prima e dopo l’esperienza spagnola – « Tecnicamente e anche fisicamente il livello si può definire pari al nostro, anche se ci sono meno fuoriclasse, a causa della crisi. D’altronde è un calcio che si porta dietro problemi organizzativi enormi ». Se l’Italia poteva godersi la vittoria mondiale e i suoi campioni stranieri, la Spagna poteva vantare un Real Madrid che vinse la coppa Uefa alla fine di quella stagione. Nonostante le complicazioni avute al Saragozza Ferrari riuscì a cogliere importanti soddisfazioni in terra iberica. Il Saragozza, privato dei giocatori Valdano e Salva, in campionato non migliorò i piazzamenti precedenti, ma Ferrari riuscì a portare la squadra spagnola alla semifinale di Coppa del Re, riuscendo a sconfiggere in campionato a Madrid sia l’Atletico che il Real. Ferrari fu il primo allenatore italiano a sconfiggere il Real al Santiago Bernabeu, nel 1962 in Coppa Campioni ci era riuscito Carlo Parola con la Juventus ma in realtà in quel caso i bianconeri avevano il ceco Korostelev come direttore tecnico. In quel 15 febbraio 1985 il Saragozza vinse con il Real Madrid in rimonta, nonostante i blanco vantassero campioni del calibro dell’ex Valdano, di Stilike, Camacho, Santillana e di un giovane Butragueno che, come detto, poi trionfarono in Coppa Uefa.

Ferrari e la Spagna

Così commentò la sua esperienza in Spagna Enzo Ferrari l’anno dopo sulle pagine del Guerin Sportivo: « Volli dimostrare, prima di tutto a me stesso, di essere in grado di allenare ad un certo livello. Credo di esserci pienamente riuscito. Volevo cominciare un ciclo, c’erano tutti i presupposti, poi molte cose non sono andate per il verso giusto. Abbiamo perso, per un cavillo federale, il libero della nazionale Salva, che è andato al Barcellona, abbiamo avuto problemi con Surjak, abbiamo perso due presidenti e i nuovi arrivati hanno ridimensionato tutto quanto. Ci siamo ritrovati anche in un momento difficile, a un certo punto del torneo: ebbene, lo abbiamo superato e a gioco lungo, quando finalmente sono riuscito a fare andare le cose come volevo io, ci siamo tolti non poche soddisfazioni ».

Il ritorno in Italia a Trieste
TRIESTINA 1985-86: In piedi: l’allenatore FERRARI, Baici, Braghin, Gandini, Bistazzoni, Attruia, Bagnato, Cerone, l’allenatore Burlando. In mezzo: Zanin, Scaglia, Orlando, Costantini, Cinello, Poletto, Salvadè. Seduti a terra: massaggiatore Evangelisti, Chiarenza, Dal Prà, Strappa, Di Giovanni, De Falco, Romano, massaggiatore Maffi.

Chiusa l’esperienza spagnola per Ferrari si aprì un nuovo importante capitolo a Trieste. Gli alabardati avevano appena perso per poco la promozione in serie A e Ferrari venne chiamato a sostituire Massimo Giacomini. In quella serie B 1985-86 la Triestina rimase a lottare nell’alta classifica sino alla fine quando il campionato venne segnato dall’ennesimo scandalo che procurò punti di penalizzazione importanti. Il Vicenza perse la promozione in serie A e quando sembrava che Empoli e Triestina fossero costrette ad uno spareggio per la promozione in serie A, ecco arrivare una penalizzazione anche per la Triestina. Una sanzione che privò gli alabardati di un possibile spareggio per la serie A e che portò ulteriori quattro punti di penalizzazione anche nella stagione successiva quando nonostante Franco Causio avesse raggiunto Ferrari a Trieste, gli alabardati non andarono oltre una meta classifica. Peggio andò nella terza stagione quando la coda delle inchieste portò ad una nuova penalizzazione per i rosso alabardati di cinque punti, risultata poi fatale alla Triestina che non andò oltre un diciannovesimo posto, con la salvezza a tre punti si concretizzò la retrocessione in serie C1.

Le infinite destinazioni del mestiere di allenatore
Enzo Ferrari (immagine Guerin Sportivo 1986)

Nel 1987 ad Avellino Ferrari subì il primo esonero, una pratica sempre più utilizzata dalle società tanto che lo stesso allenatore sandonatese successivamente subentrò più volte a campionato in corso come anche fu sostituito. L’allenatore esonerato mantiene il contratto in essere con la società ma al tempo stesso non può essere ingaggiato nella stagione in corso da un altra squadra e ai tempi di quell’esonero, come ricordò Ferrari in una intervista alla Gazzetta dello Sport del 2008, non si poteva nemmeno andare ad allenare all’estero. « È l’88-89, vengo esonerato dall’Avellino in C (ero al quarto posto!) e mi chiama il Siviglia. Per un’assurda regola cambiata l’anno dopo anche per la mia battaglia, non posso allenare all’estero perché ho iniziato la stagione in Italia. Al Siviglia arrivò Bilardo e aprì un ciclo ». L’anno dopo allenò per un periodo il Padova in serie B, quindi nel 1989-90 la stagione al Palermo in serie C dove sostituì dopo poche giornate Francesco Liguori riuscendo a riportare i rosanero in serie B grazie ad un ottimo secondo posto, oltre che a disputare la finale di Coppa Italia di serie C con il Monza, poi persa. Iniziò a Palermo anche la stagione successiva in serie B ma venne esonerato dopo poche giornate, gli subentrò Gianni Di Marzio. Vi fu poi il biennio alla Reggina in serie C1 dove nella seconda stagione dopo un ottimo secondo posto la Reggina venne eliminata nel doppio confronto dei play-off dalla Juve Stabia solo ai tempi supplementari.

L’ultima panchina in serie A alla Reggiana
FERRARI all’esordio sulla panchina della Reggiana il 6 novembre 1994, Reggiana-Lazio 0-0)

Nel 1994 Franco Dal Cin chiama Enzo Ferrari alla Reggiana allora in serie A, con il dirigente granata aveva già lavorato al Conegliano e all’Udinese. Subentrato a campionato in corso a Giuseppe Marchioro non riuscì a portare alla salvezza la Reggiana, a situazione oramai compromessa lasciò la panchina a tre gare dalla fine. Ripartì dalla serie C allenando per due stagioni l’Alessandria, per una la Juve Stabia, quindi nella stagione 1998-99 subentrò a Cacciatori sulla panchina dell’Ascoli. Con i bianconeri nella prima annata sfiorò i play-off, mentre nella seconda dopo esser giunto terzo sfidò nella finale l’Ancona che era arrivata seconda. Una gara interminabile che al termine del primo tempo supplementare vide l’Ascoli passare in vantaggio con Edy Baggio, poi la beffa più terribile per la squadra di Ferrari arrivò a due minuti dal centoventesimo minuto con la rete dell’anconetano Ventura a decretare la promozione dell’Ancona. Nella terza stagione ad Ascoli venne sostituito dopo poche giornate da Gianni Simonelli. Ferrari chiuse la carriera di allenatore all’Arezzo, subentrando a campionato in corso ma venendo poi sostituito dopo una quindicina di gare da Mario Colautti, che già in precedenza gli era subentrato ai tempi del Padova.

Fedele ai suoi dettami raccontati nell’intervista a Gianni Mura ha vissuto una carriera da allenatore senza sconti, vivendo pienamente le variabili del calcio sia a livello sportivo che in quello rappresentato dalle più diverse realtà dirigenziali.

prom.: promosso; retr.: retrocesso; p.offp: play-off persi
Enzo Ferrari nelle figurine Panini, nella stagione 1970-71 non era stato incluso nelle 12 figurine dedicate al Palermo

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Quella storica vittoria del San Donà contro il Vicenza

Quella storica vittoria del San Donà contro il Vicenza

Nel febbraio 1940 il San Donà stava disputando per la prima volta nella sua Storia il campionato di Serie C nazionale. Allo Stadio del Littorio era in programma la ventesima giornata, ospite dei biancocelesti l’imbattuta capolista Vicenza. La classifica era guidata dal Vicenza con otto punti di vantaggio sul Mestre, quattordici su Marzotto, Grion, San Donà e Ponziana. Un dominio vicentino in quel campionato, ma nella domenica del 25 febbraio 1940 il San Donà compì l’impresa infliggendo la prima sconfitta in campionato al Vicenza, in quella che sarà anche l’unica occasione in cui i biancorossi giocarono in campionato nello stadio sandonatese. I racconti della gara negli articoli del Gazzettino e della Gazzetta di Venezia.

SAN DONA’: In piedi da sinistra: Prendato, Babetto, Pavan, Franco, Magrini, Bergamini, Zambon, Gavagnin. Accosciati: Silvestri, Guerrino Striuli, Fantin

SAN DONA’ – VICENZA ……… 1 – 0 (0-0)

RETI – secondo tempo: Babetto (SD) 13′

RISULTATI E CLASSIFICA SERIE C GITONE A

SAN DONA’: Striuli; Silvestri, Fantin; Pavan, Zambon, Bergamini; Prendato, Babetto, Franco, Magrini, Gavagnin. All. Gastone Prendato

VICENZA: Comar; Greselin, De Boni; Chiodi, Bedendo, Campana; Suppi, Rossi, Salvadori, Zanollo, Chiesa. All. Eraldo Bedendo

ARBITRO: Ghetti Medardo di Modena

NOTE – Pubblico: 3000 persone – Incasso: 6000 lire.

di Walter Ravazzolo

S. Donà di Piave, 26 febbraio. Il nostro sarà forse un punto di vista discutibile, ma mi sembra che ieri il Vicenza si sia liberato di un grosso peso sullo stomaco. Il mito dell’imbattibilità (nel calcio l’invincibilità è soltanto un mito) era ormai diventato per i biancorossi un pauroso fantasma, una persecuzione ossessionante quasicche Il Vicenza si battesse solo per sfuggire a continui e diabolici trabocchetti seminati dal calendario sulla sua strada.

S’è levato un grosso peso. Oseremo dire che dopo la sconfitta di ieri il Vicenza ci appare sotto un aspetto più reale, un organismo fatto di sangue e di nervi che ha i suoi momenti di debolezza ma anche i suoi scatti e le sue reazioni.

GUERRINO STRIULI protagonista assoluto di quella stagione, l’anno dopo venne ceduto alla Triestina in serie A

Abbiamo visto altra volta il Vicenza sbandarsi e perdersi sotto la decisa offensiva avversaria, disunirsi in meno che non si dica, e faticare per non farsi travolgere. Questa bella squadra di giovani non ha potuto sempre nascondere i suoi punti deboli. Ma poi, sulla spinta improvvisa o fortuita di un’occasione favorevole, tutta la squadra aveva saputo ritrovare se stessa, riorganizzarsi, trasformarsi.

ieri invece non ha trovato la pedana da cui prendere la rincorsa e il campo sandonatese gli è riuscito fatale. A noi è parso tuttavia che l’undici berico sia sceso in campo troppo preoccupato della minaccia imminente, come sotto l’incubo di una congiura tramata un pò da tutte le squadre del girone e della quale il San Donà non era che il mandatario.

In effetti il San Donà aveva invece seriamente da pensare ai casi propri essendogli venuto a mancare all’ultimo momento il bravo Lombardi, considerato qui il deus ex machina dei movimenti solenni. Avvenne così che l’inizio dell’ostilità fu nei due fronti per diverse ragioni circospetto e tremebondo. Il Vicenza riuscì ugualmente ad imporre una chiara superiorità territoriale che obbligò difesa e mediana azzurre ad un lavoro continuo, tempestivo e sbrigativo. Ma della prima linea sandonatese neanche l’ombra. Prendato, soprattutto sul finire del primo tempo, tentò di raccogliere un pò le file del reparto, ma sia che Babetto e Magrini tenessero una posizione prudenzialmente arretrata, sia che Franco non fosse al centro che una crisalide, sia infine che Gavagnin, eternamente bizzoso e insolente, non riuscisse a convincersi che le cose peggiori le combinava proprio lui, Comar rimase del tutto inattivo.

Nell’altra porta l’ottimo Striuli si disimpegno con bravura e fortuna per quanto l’azione dei vicentini, tarpata nelle ali per la disarmante guardia di Pavan e Bergamini a Chiesa e Suppi, si riducesse ad un accademica dimostrazione di non sappiamo quanti schemi d’attacco tutti chiaramente impostati e svolti e tutti pessimamente conclusi. Nel primo tempo vanno sottolineati due interventi in extremis di Striuli su Chiesa (3’) e sul Salvadori (33’).

Al riposo parve ai più che il Vicenza fosse rimasto sino allora alla finestra, tant’è vero che in tribuna i tifosi locali si dimostravano poco o niente tranquilli sull’esito della ripresa.

Invece la ripresa doveva riservare ben diverse emozioni. Gli ospiti partirono di scatto, letteralmente rovesciandosi in area sandonatese. Questo non è lo stile del Vicenza e lo capirono subito coloro che lo conoscono e lo apprezzano. Il Vicenza, che rifugge dalla confusione si gettò a capofitto nella mischia, quasi che la resistenza avversaria lo indispettisse. Nel caravanserraglio in area di rigore molte squadre talora pescano con fortuna; e difatti poco è mancato che anche il Vicenza, improvvisamente trascinato fuori di strada, potesse trovare nel sentiero traverso il suo ferro di cavallo. Fu al 5’: Chiesa, fuggito finalmente a Pavan e spiccando dalla stretta di Bergamini e Silvestri da 3 metri dal portiere sparò a mezz’altezza verso l’angolo destro. In questi frangenti conosci i cronisti dicono: beh vediamo a che minuto dobbiamo segnare questo gol; e manco più guardano come va a finire.

Ma Striuli sfonderò a questa critica svolta la migliore parata che ci sia stato dato di ammirare quest’anno in partite di Divisione Nazionale. Il tiro fu neutralizzato, e il San Donà di lì a poco colse la vittoria. Questi colpi a retrocarica dominano il destino delle partite.

Su una incursione bene impostata da Zambon, Greselin commise un fallo a circa 3 metri dal limite dell’area di rigore (13’). Gavagnin battè la palla che, picchiando sul fianco di un offensore schierato a protezione della rete, pervenne burro e formaggio a Babetto. Due passi, tiro secco e preciso, addio verginità vicentina !

IL SAN DONA’ A FINE GARA: In piedi: Magrini, dirigente X, Babetto, il segretario Fiorentino, Pavan, Alessandro Alfier, Silvestri, Nino Bincoletto, Zambon, Gavagnin, X, Prendato, X. Accosciati: X, Guerrino Striuli, presidente Pietropoli, X, militare Farnia. Distesi a terra: Fantin, Caramel, Franco, Bergamini

Subito il Vicenza non credette all’irrimediabile, ma quando Chiesa (22’) colse lo spigolo interno del montante e il pallone traversò indisturbato, malgrado il mischione, tutta la luce della porta, capi che le cose potevano mettersi veramente te male.

L’undici vincente store è apparso semplicemente superbo nel sestetto difensivo: tanti gladiatori ad oltranza per la vittoria a tutti i costi. La prima linea ha fatto invece molto meno.

Il pubblico, in delirio per l’impresa dei beniamini, è stato il terzo protagonista dell’incontro. Giustamente, quindi, alcuni sostenitori hanno voluto entrare di prepotenza nel gruppo fotografico seguito da fine. Abbiamo visto qualcuno, giunto mentre scattava l’obiettivo, slanciarsi a pezzi nel mezzo, certo per l’orgoglio di dire un giorno: quella volta c’ero anch’io.

Quando si dice le date storiche !

GAZZETTA DI VENEZIA di lunedì 26 febbraio 1940

S.DONA’ DI PIAVE, 26. – Il Vicenza è caduto. Viva il Vicenza. la straordinaria squadra biancorossa ha perduto la sua aureola di imbattibilità sul campo di San Donà, dopo che era riuscita a mantenerla intatta su altri campi non meno difficili. Maggior valore acquista perciò la vittoria dei sandonatesi che possono così vantarsi di essere stati i primi a fermare l’irresistibile marcia dei vicentini. Vittoria meritata senza dubbio quella dei locali, della quale il merito maggiore spetta ai reparti di retroguardia, mediana e difesa, che ieri hanno disputato la loro più bella partita ed hanno saputo imbrigliare e neutralizzare il famoso attacco biancorosso non solo, ma il sestetto sandonatese ha superato in bravura quello vicentino e Striuli ha il merito di aver evitato con la sua prodezza, il pareggio parando un pallone che tutti ormai ritenevano finisse in fondo alla rete. La linea d’attacco invece non è stata all’altezza del compito che ieri le si richiedeva e a nulla valsero gli stimoli del sempre ottimo Prendato per dare mordente e continuità al gioco del quintetto. Più che l’essere il Vicenza incappato in una giornata nera si deve ritenere che la squadra berica abbia giocato con eccessiva preoccupazione di non perdere. Gli ospiti, infatti, apparivano restii a scoprirsi alle spalle e di conseguenza le loro azioni d’attacco non erano validamente sostenute come invece avrebbe necessitato ieri contro la vigilissima guardia sandonatese.

La Rosa del San Donà nella stagione 1939-40 tratta dall’Agendina del calcio Barlassina

Un pubblicone ieri al campo sportivo: 3000 persone e, naturalmente, incasso da primato. Una cornice quindi eccezionale di folla, tra la quale moltissimi erano i vicentini. Il San Donà schiera Franco al centro della prima linea in sostituzione di Lombardi indisposto; il Vicenza sostituisce il terzino squalificato, Foscarini, con De Boni. Il gioco è subito vivace; con la sua migliore abilità di manovra il Vicenza prevale, ma senza rendersi eccessivamente pericoloso per la salda tenuta della mediana e difesa sandonatese a cui però non corrisponde l’azione dell’attacco che, spesso impostata, muore troppo presto, appena si affaccia nell’area degli ospiti. E così nell’alternativa di azioni da un’area all’altra, come si è detto con prevalenza vicentina, trascorre il primo tempo e si giunge al riposo a reti inviolate.

Più decisi appaiono i biancorossi nella ripresa giacche al 5’ Chiesa tira verso la porta un pallone destinato ad insaccarsi, ma Striuli con una parata spettacolosa evita il sicuro punto. Come risposta dello scampato pericolo il San Donà realizza la sua più bella vittoria perché il punto che Babetto segna al 13’ rimane l’unico della giornata: il San Donà ottiene una punizione quasi dal limite dell’area vicentina; tira Gavagnin ed il pallone rimbalza sul « muro » dei giocatori giungendo a Babetto, il quale non esita a metterlo dentro. C’è naturalmente la vivace reazione degli ospiti è dal 22’ Chiesa manda il pallone sullo spigolo del montante. Qualche minuto dopo, forse per cercare di sfondare l’ermetica difesa locale, Salvadori e Suppì si scambiano i posti ma l’esito è ugualmente negativo. Era destino che il Vicenza dovesse perdere la sua imbattibilità a San Donà.

Il campo sportivo di San Donà di Piave in una immagine panoramica del secondo dopoguerra, quando venne intitolato a Verino Zanutto, giocatore del San Donà nella stagione 1939-40.

Per ulteriori approfondimenti: 1. “A.C. San Donà: 90 anni di Calcio Biancoceleste di Giovanni Monforte e Stefano Pasqualato (Geo Edizioni – Empoli, 2012); 2. “Enciclopedia Almanacco Illustrato del calcio italiano 1940” di Leone Boccali (Ed, del “Calcio Illustrato” – Milano, 1939); 3. “Agendina del Calcio – 1939-1940” di Rinaldo Barlassina (Tip. “La Gazzetta dello Sport”, Milano, 1939); 4. Archivio storico “Gazzetta di Venezia”, 26 febbraio 1940

Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino

La copertina del libro “Angelo Cereser, una vita in Trincea”

Negli anni Sessanta a San Donà di Piave e nel suo circondario ci fu un proliferare di giovani promesse che poi videro la loro carriera concretizzarsi nelle maggiori squadre di serie A. Era già accaduto nel decennio precedente, come d’incanto si apre una via e uno alla volta questi giovani giocatori hanno la bravura e spesso la fortuna di approdare in società che poi ne decretano il successo. Uno di questi è stato Angelo Cereser e di lui parla un bel libro di Paolo Ferrero uscito nel 2019 che ha il grande pregio di avere una ricca dotazione fotografica del suo periodo granata. Del Cereser che muove i primi passi nella San Donà a cavallo degli anni Sessanta vi è un capitolo che inseriamo nella sua interezza, ovviamente l’oratorio salesiano di cui si parla non può essere che l’Oratorio Don Bosco cittadino.

Tratto dal libro « Angelo Cereser, una vita in “Trincea” » (di Paolo Ferrero in collaborazione con Toro Club Valcerrina granata “Angelo Cereser”, Bradipo Libri, 2019)

” Ciao San Donà “
Giovanile del San Donà – In piedi:  dirigente Zanutto, Bona, CERESER, Moretto, Gerotto, Paro, Cola, Salvori, avvocato Davanzo
Accosciati: Montagner, Iseppi, Pacifici, Pegorer, Socrate Brollo, Battistella

« La mia non è stata un’infanzia facile. Sono nato a Eraclea, un comune della città metropolitana di Venezia, affacciato sul golfo veneto. Per l’esattezza sono di Cittanova, una piccola frazione del paese. Ho perso il papà quando avevo solo due anni. La mamma, allora, per tirare a campare aveva aperto un negozietto di maglieria a San Donà di Piave e lì eravamo andati ad abitare. Studiavo all’istituto chimico, di pomeriggio ripassavo le lezioni e poi andavo in bicicletta in centro a comperare per la mamma. Ironia della sorte, il mio professore di chimica era Paolo Casarin, il futuro arbitro internazionale, che tante volte ho incontrato sul campo. Di questo, sia io che lui, abbiamo sempre taciuto, per non creare facili illazioni. »  

Terra veneta, terra di uomini tosti, di infaticabili lavoratori, ostinatamente rivolti a combattere contro le zone paludose della laguna. Una vita semplice nel quale il pallone riempie ad Angelo i pochi spazi lasciati per il divertimento. Nel mondo, se non fossero esistiti gli oratori, il calcio avrebbe avuto molti meno campioni. Tra preghiere, messe, canti e feste, il pallone ha sempre trovato lo spazio su quei campetti di periferia straboccanti di entusiasmo e di speranze, stretti tra palazzoni di edilizia popolare, tutti uguali tra di loro. Il ragazzo gioca e sogna e a volte ce la fa. Sarà il più bravo, anche se spesso la bravura non basta; ci vuole disciplina, determinazione, costanza. Angelo ha quattordici anni e gioca come portiere nella squadretta dell’oratorio salesiano di Cittanova. La sua casa è lì a due passi, si salta un muretto ed è fatta. A correre in campo spesso senza scarpette per non consumarle, c’è anche Gianfranco Bedin, futuro mediano dell’Inter del mago Herrera, un anno di età in meno e, come lui, razza Piave doc. Angelo ha il fisico adatto e anche una sana dose di incoscienza per quel ruolo. Il parroco don Giacomo stravede per quel ragazzo, educato, riservato, rispettoso, sempre premuroso con tutti. E poi non manca mai alla santa messa. Capita un giorno che in una uscita a terra molto coraggiosa su un attaccante lanciato a rete riporti un trauma cranico e quattro punti di sutura in fronte. E’ quello il suo “sliding doors” della vita: « In quel momento – racconta Cereser su Alè Toro – il pensiero dominante in me, più del dolore della ferita, era rivolto alla mia mamma, che già altre volte mi aveva bonariamente rimproverato affinchè smettessi di giocare. Non sapendo come giustificarmi pensai di chiedere protezione a don Giacomo, che tra l’altro giocava al pallore ed era un grintoso centravanti e che mi era stato vicino mentre mi medicavano. Con il suo aiuto riuscii a convincere la mamma che era stato un incidente di percorso, ma quando si trattò di decidere se continuare a giocare o smettere, dovetti accettare un compromesso: non avrei più giocato quale portiere, ma in un altro ruolo meno pericoloso; scelsi comunque, per non allontanarmi troppo dalla porta, quello di difensore, terzino e centromediano »

Rappresentativa giovanile – In piedi: dirigente Arnaldo Silvestri, avvocato Davanzo, CERESER, Brollo, Storto, Ferrari, Salvori
Accosciati: Ronchi, Muffato, Bedin, Isoni, Lazzarini, Armellin

E anche in quel ruolo i risultati si vedono subito, tanto da far attirare l’attenzione, dopo un paio di partite ad alto livello, ai dirigenti della gloriosa società veneta del San Donà di Piave. Il passaggio è presto stabilito: per poche migliaia di lire che vanno a finire nelle povere casse dell’oratorio, Angelo va a giocare in biancoceleste. Sono quelli gli anni della rinascita sportiva del calcio sandonatese che veleggia fra alterne fortune tra Promozione e serie D. Si sta costruendo una buona squadra, dando molta importanza al vivaio: Cereser è uno dei tanti giovani sfornati da quella società sotto l’attenta guida di Giovanni “Nani” Perissinotto, bandiera storica, con un passato glorioso di attaccante del secondo dopoguerra nelle fila di Roma e Udinese, dove era stato anche il primo goleador della squadra in serie A. Era una punta velocissima, imprevedibile, molto versatile. Al San Donà, nel doppio ruolo di allenatore e giocatore, Perissinotto vinse per due anni consecutivi il campionato, riuscendo ad approdare il serie D per poi chiudere la carriera a 38 anni. Ma il vero artefice della crescita calcistica di Angelo è Omero Tognon, veneto anche lui, antico centromediano del Milan di Schiaffino che, terminato di giocare, è diventato allenatore del San Donà, E’ una fortuna per un ragazzo di 16 anni avere come maestro un campione che ha giocato nello stesso ruolo con il quale si cimenta; consigli e incoraggiamenti sono profusi in gran quantità, basta solo carpirli e farne buon uso. Nel San Donà, Angelo gioca una dozzina di partite, due nella stagione 1960-61 e dieci nella stagione 1961-62 per l’esattezza. Assieme ad Angelo prendono la via del calcio che conta anche Elvio Salvori, mediano di grande corsa con futuro anche in lui in giallorosso ed Enzo Ferrari, potente ala sinistra che giocherà in molte squadre di serie A prima di intraprendere una brillante carriera di allenatore.

San Donà 1960-61 – In piedi: Salvadoretti, Socrate Brollo, Bonazza, Ferrari, Beffagna, Muffato, Zanutto, – Gianni Brollo, CERESER, Dal Ben, Maschietto. Accosciati: Susin, Tommasella, Guerrato, Trevisan, Salvori, Tonon, Giovanni Perissinotto

Si è agli inizi degli anni Sessanta. L’Italia sta vivendo il boom economico. E’ un bel periodo quello: i Giochi olimpici disputati a Roma hanno fatto vedere al mondo che l’Italia ci sa fare. La gente ha voglia di divertirsi e di trasgredire. Si balla il rock’n’roll, si impazzisce per Elvis Presley e si rimane estasiati di fronte alla bellezza e alla eleganza di Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”. E intanto incomincia la conquista dello spazio: Yuri Gagarin diventa il primo uomo a volare negli spazi siderali portando con successo a termine la sua missione. Il Torino, intanto, è in giro per l’Italia in cerca di talenti. E non solo per l’Italia: da lì a poco sarebbe arrivata dall’Inghilterra la giovane coppia di attaccanti Denis Law e Joe Baker, tanto talentuosi (il primo) e potenti (il secondo) sul campo, quanto incostanti e trasgressivi nella vita. Sotto la Mole sarebbero rimasti solo un anno, per poi ritornare in patria a conquistare allori e gloria, ma in quell’anno, anche se solo a tratti, si vide un gran bel calcio al Comunale. Per ben quattro volte la società granata manda Cesare Nay a visionare il ragazzo. Nay ha giocato per cinque stagioni nel Toro del post Superga come sentromediano terminando poi la carriera sulla sponda opposta della Juve. E’ cresciuto nel vivaio granata e conosce alla perfezione chi sono i giocatori adatti per giocare al Filadelfia. « Mi avevano avvertito – racconta ancora Cereser – che ogni tanto veniva sin da Torino un tecnico per controllarmi, ma io non lo conoscevo. Ricordo una volta, nel bel mezzo di una partita importante, il pallone era nell’area di rigore avversaria; mi giro verso la tribuna e vedo il presidente della società parlottare con un distinto signore. Immagino subito che si tratti di quell’osservatore. Mi viene la tremarella, rimango fermo impalato a guardare i due che continuano a parlare, e non mi accorgo che la mia ala da marcare, ricevuto il pallone, mi sta scartando e se ne va in gol. Fortuna che il portiere ci mette una pezza, altrimenti non mi sarei mai perdonato tanta leggerezza in un momento così delicato ed importante. »

CERESER nella foto di copertina di un Alè Tori del 1973

E’ comunque fatta. Al termine dell’incontro Angelo viene chiamato in direzione dove gli viene presentato il signor Nay (era proprio lui) e comunicato l’avvenuto passaggio in maglia granata. « Ricordo che divenni rosso come un gambero, non sapevo cosa fare, se ringraziare, se sorridere, l’unica cosa che uscì di bocca, e adesso giudico un po’ banale, ma in quel momento non ne trovai altra, fu: viva il Toro! »  Fa tenerezza pensare ad Angelo Cereser di tanti anni fa, ragazzo timido ed impacciato e confrontarlo con l’uomo di adesso sempre sicuro di sé, ironico, mattatore di ogni serata al “suo” Toro club.

« Io sono arrivato qui nel 1962, non avevo ancora 18 anni. Ero figlio unico, senza genitori (la madre era rimasta a San Donà). Per me è stata una storia di vita, non solo di calcio » ci racconta Angelo. « Andavo a fare colazione con il custode alle 9 di mattina, perchè non avevo una famiglia. Noi ragazzi si veniva qua in pullman, in tram, a piedi, si faceva riferimento al Filadelfia e alle persone a esso collegate. Una seconda casa? Per me il Fila è stata la prima casa. » …. così inizia il capitolo successivo quello che vedrà Cereser crescere in tutti i sensi nella Torino granata.

Quei primi anni raccontati dallo stesso CERESER
I primi anni granata di CERESER nelle figurine Panini
I primi anni granata di CERESER nelle figurine non Panini

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A

Gli anni cinquanta furono un periodo particolare per il calcio sandonatese, dai fasti della Serie C ai campionati regionali il passo fu breve e le difficoltà finanziarie immense. Eppure dal vivaio sandonatese uscirono dei giocatori promettentissimi capaci di arrivare sino alla serie A. Uno di questi fu Bruno Visentin. In breve la sua carriera e l’intervista che nel 1974 gli fece il giornalista Gianfranco Bedin per il periodico “Il Piave”.

Gli inizi al San Donà e il trasferimento al Venezia
San Donà 1953-54 Campionato di Promozione
In piedi: massaggiatore Paludetto, Guerrato, VISENTIN, Mion, Calcaterra, Iseppi, Zanon, l’allenatore Depità: Accosciati: Rossetto, Bortoletto, Dolce, Lotto, Zanon

Nella prima annata dopo la Serie C il San Donà si ritrovò a giocare in IV Serie, un campionato interregionale che poco si addiceva alle allora magre finanze sandonatesi, si puntò per cui su una formazione giovane, tra questi anche il diciasettenne Visentin che debuttò in IV serie il 22 marzo 1953 in Legnago-San Donà (2-0). Nei due anni successivi consolidò le sue qualità nella formazione sandonatese militante in Promozione. Grazie ad un accordo con il Venezia in base al quale i migliori giovani sandonatesi approdavano poi alle giovanili neroverdi anche Visentin si trasferì in laguna al termine della stagione 1954-55. Non riùscì a debuttare nella prima squadra del Venezia allora militante in serie C e l’imminenza del militare lo portò presto lontano.

Le prime esperienze in Serie C

Giocò dapprima in IV Serie con i calabresi del Nicastro, quindi al Trapani. Con la squadra siciliana nelle prime due annate giocò poco a causa proprio del servizio militare ma ebbe comunque modo di debuttare in Serie C. Terminato il militare rimase al Trapani un’altra annata. Nel 1960 si trasferì dapprima al Pescara, quindi a novembre passò al Siena.

Con il Bari arriva il debutto in serie A
BARI 1963-1964 (Serie A): In piedi da sinistra: VISENTIN, Magnaghi, Panara, Buccione, Catalano: Accosciati: Ghizzardi, Gianmarinaro, Baccari, Carrano, Galletti, Rossi

Nella stagione 1961-62 il passo decisivo nella sua carriera avvenne con il trasferimento al Bari. Un’ascesa continua che lo vide prima debuttare in serie B, quindi ottenere la promozione nella massima serie nel 1962-63 quando il Bari allenato da Pietro Magni arrivò al secondo posto a pari merito con la Lazio, dietro la sorpresa Messina. Nel 1963-64 Bruno Visentin debuttò in serie A il 25 settembre 1963 in Juventus-Bari (4-0), una stagione travagliata per i baresi che alla fine retrocessero. Visentin disputò 29 gare con 1 rete segnata (in Modena-Bari 1-1) .

Nel Cagliari di Silvestri e Riva il punto più alto della sua carriera
CAGLIARI 1964-1965: In piedi da sinistra: Nenè, Longo, Spinosi, Gallardo, Riva, VISENTIN; Accosciati: Colombo, Tiddia, Cera, Martiradonna, Greatti
La prima di cinque parti del racconto della Storia del Cagliari che arriverà allo scudetto, tra i protagonisti nei primi anni anche Visentin

Nel 1964 passò al Cagliari, squadra allenata da Arturo Silvestri e neopromossa in serie A. Proprio Silvestri lo volle al Cagliari in quella che sarà la prima stagione in serie A nella storia dei rossoblu sardi. Visentin giocò due campionati da titolare con la maglia cagliaritana, poi con Silvestri che passò al Milan e l’arrivo di Scopigno, Visentin giocò decisamente meno. E’ però una squadra sarda in evoluzione e nella quale si stanno gettando le basi per quella che nel 1970 porterà il Cagliari a festeggiare uno storico scudetto, e con molti di quei vincenti protagonisti Visentin ebbe modo di giocare. Nel 1967 terminato il campionato il Cagliari si trasferì negli Stati Uniti per partecipare a quello che sarà il primo campionato statunitense. In via straordinaria vennero ingaggiate intere squadre di ogni parte del mondo che per l’occasione indossarono le maglie di squadre americane, i cagliaritani indossarono quella dei Chicago Mustangs. Anche Visentin fu tra i partecipanti, cagliaritani che arrivarono terzi, con Boninsegna capocannoniere.

L’esperienza al Padova e il ritorno a San Donà

Nel campionato 1967-68 Visentin si avvicinò a casa passando al Padova in serie B. Dopo un buon primo campionato, nella seconda stagione disputò poche gare meditando il ritiro. Pur tuttavia nel 1969 accettò la proposta del presidente Mucelli e divenne un giocatore del San Donà per quella che sarà la sua ultima annata da calciatore. In totale sono state 85 le sue presenze in Serie A (5 reti), 90 in serie B (6 reti), mentre con il San Donà ha giocato 59 gare segnando 15 reti.

La breve esperienza da allenatore

Come allenatore nella stagione 1972-73 ebbe modo di sedere sulla panchina biancoceleste subentrando a campionato in corso a Sergio Manente, esperienza che durò solo poche gare prima che venisse richiamato Manente. In precedenza da allenatore aveva portato al massimo campionato regionale prima la Miranese e poi lo Spinea. Nel 1973-74 divenne l’allenatore dello Jesolo guidando i nerazzurri in ottobre nelle finali del torneo anglo italiano Coppa Ottorino Barassi cui cui lo Jesolo partecipò per aver vinto la Coppa Italia Dilettanti il 1° luglio 1973 , nel novembre comunque si dimise per delle divergenze con la dirigenza.

L’intervista a “Il Piave” del 7 gennaio 1974 (Anno 7 nr. 1)

di Gianfranco Bedin

Bruno Visentin (Bari) e Elvio Salvori (Udinese)

Il nostro album dei ricordi delle vecchie glorie ci porta a conoscere un altro personaggio della nostra ricca storia calcistica: Bruno Visentin. Lo chiamavano « colombo » all’epoca della sua infanzia pedatoria per la piccola statura, ma anche per le sue doti di cursore instancabile a tutto campo. Un Benetti del calcio attuale, per capirci. Da ragazzino, come madre natura vuole, Bruno divenne poi un uomo robusto, da aspirante calciatore divenne uno dei protagonisti delle scene calcistiche nazionali, ma per gli amici è sempre « il colombo ». Visentin è molto legato alla famiglia. Sposato con la simpaticissima e « terribile » signora Franca, i suoi gioielli, come Cornelia, sono i figli Stefano e Deborah. Ma la sua grande passione, la sua seconda passione, la sua seconda famiglia è però sempre il foot-ball. Appese le scarpe al chiodo, si è dedicato al difficile mestiere di allenatore, dedicando il tempo libero alla vita….. agreste. Gioie, dolori e avvenimenti di un calciatore, Bruno Visentin li ricorda nella nosra intervista.

Quale è il ricordo più bello della tua lunga carriera calcistica? Il mio primo anno nel cagliari segnai il goal del 2 a 1 a sfavore del Milan. All’Amsicora, con quella sconfitta all’ultima giornata, il Milan perse lo scudetto che fu vinto dall’Inter.

E il più brutto ricordo? I tre anni che ho trascorso a Trapani. Causa il servizio militare non ho potuto giocare per quasi due campionati. Ho dovuto poi ricominciare tutto da capo e ciò mi è costato notevoli sacrifici. Altra delusione è stata la retrocessione del Bari nel campionato 1963-64 dalla serie A a quella cadetta.

Cosa ti ha dato il calcio nella vita? Tutto. Grosse soddisfazioni morali, mi ha reso indipendente, ma soprattutto mi ha dato la possibilità di girare il mondo. Tranne la Russia e la Cina posso dire di aver visitato quasi tutte le nazioni.

Quali sono stati i giocatori più famosi che hai avuto al tuo fianco? Gigi Riva e Roberto Boninsegna, tra quelli ancora in attività.

Parlami di Gigi Riva. Lo ricordo fortissimo nei suoi primi exploit cagliaritano. Ora rende un quarto delle sue reali possibilità perchè è costretto, a furor di popolo, a giocare al centro per fare i gol. Gli sportivi e la stampa stessa non vogliono altro da lui e questo lo danneggia. Così si spega anche l’esclusione di Boninsegna dalla Nazionale, un giocatore che reputo fortissimo: Riva è grande all’ala, Bonimba è fortissimo al centro dell’attacco.

Quali sono stati i tuoi più grandi maestri? Tommaso Maestrelli,ora allenatore della Lazio, e Arturo Silvestri, allenatore del Geonoa. Sono due tecnici che ottengono gli stessi risultati seppur usando metodi diversi: il primo con la…carota, il secondo usando il…bastone.

La tua carriera di allenatore ci sembra però avara di soddisfazioni. Non è vero perchè con la Miranese ho ottenuto la « promozione » dalla prima categoria alla promozione, con lo Spinea ho ottenuto lo stesso traguardo, dando quattordici punti di distacco alla seconda classificata, e sempre in una sola stagione. Questi risultati li ho ottenuti perchè avevo carta bianca da parte dei dirigenti delle rispettive società. Quando questi presupposti, che reputo essenziali per un allenatore, sono venuti meno, ho rassegnato le dimissioni. L’anno scorso ho collaborato con il San Donà. Quest’anno a Jesolo, pur essendo partito con una squadra in grado di vincere il campionato, mi sono trovato contro, sin dai primi allenamenti, tutti gli sportivi jesolani (ndr: abbiamo assistito anche noi nella coppa Barassi all’incivile e deprecabile linciaggio morale del tecnico) le cui insensate proteste nei miei confronti sono culminate nel duplice confronto internazionale tra lo Jesolo e il Walton.

Quale sarà il tuo futuro di allenatore? Sono deciso a continuare perchè sono innamorato del gioco del calcio, con la speranza di trovare nella mia strada dirigenti competenti che mi lascino lavorare in pace e che giudichino eventualmente il mio operato alla fine della stagione sportiva.

Come trascorri il tempo libero? Ho l’hobby della pesca ma la mia attività è rivolta principalmente ad un piccolo appezzamento di terreno che ho adibito in parte a vigneto ed in parte ad allevamento di conigli. Ho sempre vissuto all’aria aperta giocando al pallone ed ora che ho smesso voglio continuare perchè oltre che salutare è bellissimo. Sono sempre stato innamorato della natura.

BRUNO VISENTIN nelle figurine Panini

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »

«Le interviste ritrovate»: Quando circa quindici anni fa iniziammo a raccogliere il materiale per il libro sul San Donà, le interviste potevano essere una chiave del racconto della storia biancoceleste. Poi assunsero un ruolo minore e divennero parte del racconto dell’annata. Ora alcune di quelle interviste sono tornate alla luce, la quinta….forse quella che più è mancata alla stesura del libro. Inserita quella a Flavio Mucelli, indubbiamente anche questa sarebbe stata meritevole di pubblicazione. Due presidenze che han segnato la Storia.

Orfeo Granzotto

di Giovanni Monforte

Da Belligrandi a Ezio Glerean, da Mayer a Meacci e Bazzani. Nomi che hanno segnato l’epoca recente del Sandonà calcio, regalando alla piazza sandonatese la gioia di approdare anche tra i professionisti. Se c’è un filo conduttore che lega quel periodo, che ha caratterizzato gli anni Novanta della storia del Sandonà, questo è sicuramente la figura di Orfeo Granzotto, divenuto presidente poco più che trentenne, nella stagione 1988-89.

Dal Noventa al San Donà
Orfeo Granzotto alla premiazione del « Torneo giovanile Città del San Donà » del 1989

All’epoca lei era il presidente del Noventa, cosa la spinse a interessarsi del San Donà? « San Donà è la mia città. Per questo sentivo l’esigenza di contribuire alla causa biancoceleste. Così lasciai Noventa nelle buone mani di quattro imprenditori edili del paese. E ho cominciato a intavolare una trattativa con gli Agnoletto. All’inizio il progetto non era forse particolarmente ambizioso, ma la volontà di impegnarsi sulla piazza non mancava. A San Donà ho trovato una buona accoglienza, con me dal Noventa arrivò anche Memi Casarotto. E fu lui a presentarmi Giorgio Belligrandi che continuo a reputare un artista del calcio. Della rosa degli Agnoletto erano rimasti solamente 4 o 5 giocatori. Su quelle macerie cominciammo a costruire il nostro San Donà. Abbiamo inserito tanti ragazzi del settore giovanile, prendendo contatti con varie società, compreso il Milan. Quell’anno chiudemmo il campionato al nono posto: un buon risultato come prima stagione, anche perché la pianificazione del campionato era iniziata tardi, per i tempi tecnici legati alla cessione della proprietà ».

Gli inizi biancocelesti
Il Sandonà 1988-89: In piedi da sinistra: Cecconi Roberto, Ballarin Walter, Pizzolon Carlo, Castellan Mirko, Barbieri Roberto, Cappelletto Stefano, Biasinutto Luigi, Rizzetto Alberto, Basso Pierluigi. Accosciati: dirigente Marchesin Angelo, Carlo Maurizio, De Nobili Marco, allenatore Belligrandi Giorgio, dirigente Marian L., Santin Oreste, Musso Denis, Vio Maurizio.

E da lì ebbe inizio l’era Granzotto, che sarebbe durata quasi quindici anni. « In realtà ho fatto il presidente per 4 anni, benché poi la società di fatto abbia sempre continuato a dirigerla anche in seguito. Ma negli anni hanno ricoperto il ruolo di presidente, oltre il sottoscritto, mio fratello Alfio per parecchie stagioni. E poi Armando Cancian, Nico Finotti nell’annata in cui arrivò Salvori e poi l’ultimo anno Piergiuseppe Simonetto. Tenuto conto che l’onere economico era sempre per lo più sulle mie spalle. Direi che sono stati anni speciali, di grossa fatica (soprattutto economica), ma anche in cui mi sono divertito davvero tanto. Finchè non è arrivata la svolta con l’ingaggio di quei giocatori che ci hanno permesso di allestire una grande squadra ».

La svolta con Salvori e Glerean
Il San Donà 1993-94: In piedi: Cecconi, Garau, Priviero, Meacci, Giacometti, Zanon, Gotti, Rossi. In mezzo: Giacomin, Rizzetto, prep. Atletico Regigolo, all. 2^ Seno, allenatore Glerean, all portieri Lacara, massaggiatore Gerotto, Cappelletto. Seduti: Buscato, Dal Compare, Seno, Giacomini, Bonafin, Roma

Prima con Elvio Salvori, che portò in riva al Piave Meacci. Quindi con Glerean… « Fino a quel momento avevamo allestito sempre delle squadre con l’inserimento di diversi giovani sandonatesi, facendo debuttare i vari Faoro e Bisiol. Con Salvori nacque la prima formazione di peso. Poi l’anno successivo, dopo un campionato che non rispecchiò a fondo le nostre aspettative, chiamammo Glerean. Era la stagione 93/94. Fu Casarotto a contattarlo: erano amici, perché Glerean aveva giocato anni prima nello Jesolo. Inserimmo un solo giocatore, Giacometti, un ragazzo friulano che giocava con il 10 sulle spalle. Abbiamo vinto subito l’Interregionale passando in serie C2. Quel primo anno tra i professionisti, il secondo di Glerean, fu la più bella stagione in assoluto. Glerean era un allenatore molto bravo, soprattutto un grande lavoratore. Aveva le sue idee in testa, necessitava di giocatori eclettici, che sapessero faticare. Chi giocava sulle fasce faceva in continuazione su e giù per il campo. Potevi vincere o perdere, ma con lui sapevi che alla domenica ti saresti divertito. Glerean ha portato a San Donà il calcio vero. Lavorava 12 ore al giorno, oltre alla prima squadra seguiva tutto il settore giovanile. A differenza di tanti allenatori che arrivano in campo mezzora prima dell’allenamento, lui si dedicava al calcio interamente ».

La chiave Meacci
Adriano Meacci

Con un bomber come Adriano Meacci poi…. « Di Meacci ricordo che all’inizio non riusciva a segnare. Quando a Natale tornò a Grosseto per le vacanze, ci mancava poco che gli dicessi di rimanere a casa, perché fino a quel momento aveva fatto solo un gol. Poi, invece, si sbloccò e segnò una quindicina di reti. E la stagione seguente fece moltissimi gol grazie alla sua valorizzazione negli schemi di Glerean, vincendo due classifiche dei cannonieri prima nel Nazionale Dilettanti e poi in Serie C2 ».

Come è stato il salto dai dilettanti ai professionisti? « Pensavo un po’ più difficile. Eravamo preoccupati di non avere una squadra attrezzata per poter affrontare un campionato, che sulla carta tutti indicavano proibitivo. Invece la rosa era già altamente competitiva, peraltro sul piano organizzativo con Glerean eravamo già dei professionisti in Interregionale, con tanto di allenamenti al pomeriggio. E, infatti, anche in serie C2 abbiamo dominato la stagione dalla prima alla penultima giornata, anche se con qualche sconfitta ».

Montevarchi, quella ferita insanabile
Sandonà 1994-95: In piedi: Cecconi, Zanon, Meacci, Striuli, Gotti, Garau, Cinetto, Bisioli. In mezzo: il massaggiatore Gerotto, Dal Compare, Cappelletto, il prep.atl. Redigolo, l’allenatore Seno, l’allenatore Glerean, all. portieri Lacara, Giacomin, Rizzetto, il massaggiatore Cescon. Seduti: Caverzan, Polesel, Soncin, Giacomini, Cardini, Tessariol, De Franceschi

Fino all’ormai “fatidica” partita di Montevarchi…. « Con Montevarchi di fatto ho smesso di far calcio, questa è la verità. Per me quella sconfitta è stata una debacle, mi è svanita la poesia e la voglia di fare pallone. Quando ti trovi a 6 minuti dalla fine vincere 2-1 una gara, che ti consentirebbe di essere matematicamente promosso in serie C1 e poi perdi 2-4, il contraccolpo è notevole. Anche perché poi abbiamo perso i play-off e ci siamo ritrovati l’anno successivo ancora in serie C2. Da quella sconfitta non sono più riuscito a reggere il calcio sul piano emotivo. Non a caso la stagione successiva andai pochissime volte a guardare la partita allo stadio, delegando quasi tutto, in quello che fu anche l’ultimo anno di Glerean in biancoceleste. Col senno di poi mi sono convinto che se avessimo vinto quella partita di Montevarchi, il Sandonà nell’arco di due o tre anni avrebbe potuto tranquillamente giocare in serie B. C’erano tutti i presupposti perché, con un paio di inserimenti mirati, potessimo andare a vincere anche la serie C1. Lo ha dimostrato Glerean che, portandosi dietro quattro nostri giocatori, è andato a Cittadella a conquistare la serie B. Quella sconfitta a Montevarchi è l’unico rimpianto che mi porto dietro della mia esperienza nel mondo del calcio ».

Una lenta uscita del Granzotto presidente
Il San Donà e la Coppa vinta per il successo nel Campionato Dilettanti 1993-94, l’unico Trofeo che Orfeo Granzotto ha tenuto per sè come ricordo della lunga presidenza

Dopo la batosta di Montevarchi come ripartiste? « L’anno successivo rimase Glerean. Rinunciammo però a diversi giocatori forti, ridimensionando un po’ le spese. Polesel in estate rinunciò al trasferimento in serie A al Cagliari per poi passare a novembre in serie B al Venezia. La stagione seguente, dopo la partenza di Glerean decidemmo di operare tanti cambiamenti. In panchina venne promosso dalla Beretti Mauro Tossani, mentre tanti giocatori importanti lasciarono i biancocelesti come Caverzan e Mayer alla Ternana, Soncin e Ramon al Treviso, tra gli arrivi quello di un giovane dalle ottime prospettive come Fabio Bazzani, poi confermate negli anni successivi nelle categorie maggiori. Nella stagione 1997-98 la rivoluzione fu più decisa con l’arrivo di Mauro Gibellini come direttore sportivo, ci furono Simonetto e Marin interessati a subentrare inizialmente nella metà delle quote poi nella loro totalità. Era finito un ciclo che aveva visto il Sandonà approdare in serie C2 e se ne apriva un altro, che a sorpresa l’anno seguente vide i biancocelesti essere promossi in serie C1 ».

Il ritorno negli anni Duemila

Poi tornò ad avere un ruolo di primo piano alcuni anni dopo quando, in seguito alla vendita del titolo al Lido di Jesolo, si trattò di salvare il calcio sandonatese dal rischio di scomparire…. « Allora ci chiamarono in Comune il sindaco Magnolato e l’assessore allo sport Mucelli. Ci trovammo io, Graziano Masiero, Moretto e i fratelli Trevisiol della Lafert. Abbiamo deciso di costituire una società, investendo ciascuno una quota. Con questi soldi abbiamo ricostruito una squadra e abbiamo vinto subito il campionato di Promozione. Personalmente, ciò che mi interessava era di rimettere a posto il Sandonà. Il mio impegno è stato triennale ». Granzotto rimase in società ancora qualche stagione come presidente onorario, mentre la società era oramai pienamente gestita da Graziano Masiero.

Il calcio attività imperfetta

Dopo tutti questi anni nel mondo del calcio, si sentirebbe di dare un consiglio a un giovane presidente come si costruisce una squadra vincente?  « Personalmente non ho mai costruito una squadra – conclude Granzotto. – L’importante è avere a fianco delle persone competenti e capaci, che ti aiutino. Soprattutto un direttore sportivo e un allenatore bravo, che ti possa suggerire i giocatori da prendere. Ma la verità è che nel calcio non c’è una regola scritta. Puoi costruire sulla carta la squadra più forte al mondo, ma poi vai in campo e non vinci. Magari perché trovi uno o due giocatori che ti rovinano l’ambiente nello spogliatoio o il dirigente che semina zizzania tra l’allentore e la società. Viceversa puoi allestire una squadra infarcita di giovani e conquistare subito la promozione. La verità è che nel calcio nascono delle combinazioni, difficili da spiegare, che poi ti fanno vincere ». E di questo il Sandonà ne è stato il fedele testimone ed esempio.

Il ritrovo del San Donà 1994-95 avvenuto una decina di anni dopo durante la stesura del libro. Nella foto manca l’allenatore Ezio Glerean poi presente alla successiva cena presso Villa Fiorita a Monastier. In alto il presidente Orfeo Granzotto.

« Le interviste ritrovate » : 1. Antonio Cornaviera; 2. Silvano Tommasella; 3. Giovanni Perissinotto; 4. Antonio Guerrato; 5. Orfeo Granzotto.

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione

«Le interviste ritrovate»: Quando circa quindici anni fa iniziammo a raccogliere il materiale per il libro sul San Donà, le interviste potevano essere una chiave del racconto della storia biancoceleste. Poi assunsero un ruolo minore e divennero parte del racconto dell’annata. Ora alcune di quelle interviste sono tornate alla luce, la quarta….

LA PIAVE (CIRCOLO PIAVE) – Anni Cinquanta
In piedi da sinistra: Alfier, Tonon A., Gionso D., (don Moretti), Trevisiol I., Garavello S., Cadamuro, (Tardivo); Accosciati: GUERRATO ANTONIO, Bortoletto, Pavan G., Marcuzzo, Bonadio G., Trevisiol B

di Giovanni Monforte

Chi ha qualche capello bianco in testa di certo non avrà dimenticato le sue magistrali punizioni. Lui è Antonio Guerrato, classe 1932, un’ ex ala destra dotato di un eccezionale fiuto nel concretizzare le palle inattive. « Un pò come tutti ho iniziato a giocare all’Oratorio Don Bosco – racconta Antonio Guerrato -. Andavamo lì già alle sette del mattino e, dopo aver finito di studiare, giocavamo sotto il portico tre contro tre con una piccola pallina da tennis. Da lì vennero fuori i migliori palleggiatori del sandonatese, perchè, con quella piccola palla, dovevamo fare un passaggio a due metri di distanza o segnare in una porta di un metro dopo aver fatto quattro o cinque sponde. Così quando ti trovavi in campo, con un pallone vero, facevi quello che volevi. Erano i primi anni cinquanta. Giocavamo all’Oratorio tutta la settimana, poi la domenica scendevo in campo con La Piave nei tornei dell’Oratorio. Partecipando a una di queste competizioni, vinsi il titolo di capocannoniere. In quell’occasione mi notò il presidente del San Stino. E così ho fatto il mio esordio in prima squadra ».

L’inizio carriera a San Stino, poi San Donà, Pordenone e Chieti
Guerrato con la maglia del San Stino

In quegli anni la compagine sanstinese militava in Promozione. « A San Stino – prosegue Guerrato – ho trascorso un anno, laureandomi anche lì capocannoniere. Il mio record fu sette gol in una sola partita contro il Motta di Livenza. L’anno successivo fui richiesto dal San Donà, che militava sempre in promozione ». L’acquisto di Guerrato comportò per la squadra biancoceleste uno sforzo economico allora non indifferente: 500 mila lire, più la cessione di due giocatori. In Riva al Piave, però, l’attaccante rimase solo una stagione. Poi la conquista dell’ennesimo titolo di capocanoniere gli valse un ingaggio in serie C (ndr IV Serie), al Pordenone. Era la metà degli anni Cinquanta. « Dopo Pordenone andai a Chieti, sempre in serie C. Con me portai un portiere, Diego Dolce, e un mediano, Bruno Bonadio. In Abruzzo ho trascorso un paio di stagioni, ma purtroppo sono rimasto vittima di un grave infortunio, rompendomi tibia e perone. Un incidente che mi costò un anno di stop ».

San Donà 1953-54 – In piedi: massaggiatore Paludetto, GUERRATO, Visentin, Mion, Calcaterra, Iseppi, Zanon, l’allenatore Depità
Accosciati: Rossetto, Bortoletto, Dolce, Lotto, Zanon
Il ritorno al San Donà e la conquista della serie D
San Donà 1958-59 – In piedi: Guerra, Salvadoretti, Zago, Giovanni Perissinotto, Miotto, Paludo, Cornaviera, Mingardi, Roberto Brollo, GUERRATO, Beffagna, Maschietto.
Accosciati: Gianni Brollo, Bortolin, Giancarlo Brollo, Guerrato, Mestre, Tommasella, Vizzotto

Fu così che Antonio Guerrato decise di tornare a San Donà. Ebbe inizio il suo periodo d’oro con la casacca biancoceleste. Era la stagione 1958-59. Il San Donà militava nei Dilettanti regionali: vinse il proprio girone, ma poi non ebbe fortuna negli spareggi promozione. Andò meglio l’anno successivo con il passaggio in serie D. Guerrato rimase al San Donà per altre due stagioni, fino al campionato 1961-62. Quindi il passaggo per un anno a Ceggia e, successivamente, il ritorno all’Oratorio Don Bosco. « Da lì ho mosso i primi passi e lì ho voluto chiudere la mia carriera, facendo nello stesso tempo il giocatore e l’allenatore – ricorda Guerrato -. Vincemmo il campionato di Terza Categoria, era l’annata 1966-67 ».

Guardano Sergio Avon, imparai a battere le punizioni
Sergio Avon, ispiratore di Antonio Guerrato nel San Donà 1946-47 – In piedi: Primo Perissinotto, Scalamera, De Pazzi, Trame, SERGIO AVON , Buoso, Giordano Striuli
Accosciati: Bincoletto, Ferriguti, Giovanni Perissinotto

Tante squadre, dunque nel palmares di Antonio Guerrato. Ma un’unico comun denominatore: la miriade di gol su palle inattive. « Ero uno specialista dei calci di punizione e dei gol realizzati direttamente da calcio d’angolo. Su dieci punizioni che battevo, ne insaccavo almeno quattro, se non talvolta sei: dalla distanza o con l’effetto. Era come se avessi un particolare dono di natura per questo tipo di gesto atletico. Ma non sarei mai stato capace di certe esecuzioni magistrali se non avessi avuto, da piccolo, un maestro come Sergio Avon, una grande ala sinistra. Passavo delle ore a guardarlo giocare e poi, da solo, provavo a ripetere quelle punizioni. E così ho imparato a batterle: calciavo sempre con l’interno del piede, mentre nei corner provavo a sfruttare anche il vento, imprimendo alla palla quel tipo di effetto che le permetteva di finire sul secondo palo ». Un altro piatto forte di Guerrato era il tiro a foglia morta. « O alla Mortensen come lo chiamavano allora – continua Guerrato. Quando ti arrivava la palla, dovevi sempre provare a darle l’effetto sull’esterno, così da andare a cercare il secondo palo Quanti gol ho segnato? Un conto esatto non lo ho mai fatto, sono stati troppi. In una singola stagione, credo di aver toccato il massimo a San Stino, segnandone 37 o forse 38. E non battevo neppure i calci di rigore ». Cifre oggi impensabili da raggiungere per un bomber. « Un perchè di questa tendenza non saprei azzardarlo. Probabilmente all’epoca avevamo un modo diverso di giocare. Forse gli attaccanti erano un pò più abili, mentre i difensori più deboli: c’era solo il terzino e non, ad esempio, il libero ».

Quel vecchio calcio di una volta

Più dei gol o dei risultati maturati sul campo, però, di quegli anni da calciatore Antonio Guerrato ricorda soprattutto lo spirito di fratellanza che regnava nello spogliatoio. « Tra noi c’era una sincera amicizia – conclude Guerrato -. Non come accade nel calcio moderno, dove spesso i calciatori si apostrofano in cagnesco. Certo, anche allora capitava che volasse qualche parolaccia o perfino una scazzottatura. Ma tutto si esauriva lì. Ci allenavamo il martedì, di sera, dopo aver lavorato per otto ore. Non c’era l’acqua calda e l’illuminazione era data da una piccola lampadina». E come a conferma delle sue parole negli anni quella amicizia costruita sul campo si consolidò nella vita e non passava giorno che non si incrociasse Antonio Guerrato detto “Mignoi” con i suoi fraterni amici di campo Giovanni Perissinotto detto “Nanni” e Antonio Cornaviera detto “Bomba”. Difatti l’intervista di Guerrato si aggiunge alle altre due già pubblicate ma che sono il frutto di una lunga chiaccherata collettiva in cui i tre si sono passati allegramente la palla dei ricordi, rendendo importanti queste loro testimonianze a distanza di parecchi anni e soprattutto in memoria di chi non c’è più.

Don Bosco 1964-65 – In piedi da sinistra: Zuccon, Antonio “Bomba” Cornaviera, ANTONIO “MIGNOI” GUERRATO, Silvio Iseppi, Mino Filiputti, Giorgio Marin, Giancarlo Brollo, Odo Paludetto. Accosciati: Giuseppe Girardi, Roberto Brollo, Ignazio Zanardo, Antonio Battello, Giovanni Bigaran, X

« Le interviste ritrovate » : 1. Antonio Cornaviera; 2. Silvano Tommasella; 3. Giovanni Perissinotto; 4. Antonio Guerrato; 5. Orfeo Granzotto.

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

« Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale

«Le interviste ritrovate»: Quando circa quindici anni fa iniziammo a raccogliere il materiale per il libro sul San Donà, le interviste potevano essere una chiave del racconto della storia biancoceleste. Poi assunsero un ruolo minore e divennero parte del racconto dell’annata. Ora alcune di quelle interviste sono tornate alla luce, la terza….

San Donà 1946-47 – Giordano Striuli, Primo Perissinotto, Ferriguti, Tonon, Buoso, Avon, Scalamera, Angelico. Accosciati: Bincoletto, Ferriguti, GIOVANNI PERISSINOTTO, De Pazzi

di Giovanni Monforte

Attaccante versatile, capace di spaziare sia a destra che a sinistra, Giovanni “Nanni” Perissinotto è ricordato dagli amici come « un fulmine a ciel sereno », perché dotato di gran velocità. Una carriera sfavillante la sua, culminata con gli anni d’oro in cui i suoi gol incantavano il pubblico del “Flaminio” di Roma. E pensare che i primi calci li diede più che altro per gioco. « Con l’inizio della seconda guerra mondiale, nel 1943, tutti i campionati furono sospesi – ricorda Nanni Perissinotto -. Giocavamo delle amichevoli al Don Bosco o nei Comuni della zona. Ricordo che una volta andammo a fare una partita a Portogruaro. Avevamo creato una squadra di amici, con noi c’era tra gli altri anche Guerrino Striuli. Partimmo alcuni con la motoretta, altri con il camion. E giocammo questa amichevole. A metà partita, però, arrivarono i caccia inglesi a bombardare e dovemmo correre ai ripari nei rifugi. La sera siamo rientrati a casa tardi: per strada trovai la guardia fascista e, siccome era in vigore il coprifuoco, fui arrestato. Fortunatamente mio padre li conosceva e mi tirò fuori da quella brutta situazione ».

Gli inizi nel dopoguerra
San Donà 1946-47: da sinistra, Primo Perissinotto, GIOVANNI PERISSINOTTO e Lorenzo Trame

Venne infine il tempo della Liberazione e, dopo la fine del conflitto, Perissinotto allora ventenne potè dare sfogo al suo amore per il pallone. E la prima maglia che indossò fu proprio quella del San Donà. « Le prime partite le giocammo senza dirigenti. Lo stadio era stato utilizzato dai tedeschi durante i combattimenti ed era molto malconcio. Mi ricordo che andammo a rubare la rete per ricostruire la recinzione. Allestimmo una squadra, i campionati dovevano ancora riprendere e così disputavamo qualche partita amichevole a Ceggia o a Jesolo. Nel frattempo, si andò formando la dirigenza e ci ritrovammo tutti coinvolti in questa nuova, entusiasmante avventura. Il primo presidente fu Odone Farina. Ante guerra il San Donà militava in serie C e da lì ripartimmo. Abbiamo disputato la C per tre stagioni. Poi il quarto anno venne varata una riforma dei campionati: le prime classificate rimanevano in C, le altre finivano in Promozione”. Sorte che toccò anche al San Donà. « In quegli anni – prosegue Perissinotto – potevamo definirci una squadra semiprofessionista: giocavamo discretamente e riuscivamo a piazzarci bene in classifica. A parte tre o quattro giocatori, tutti eravamo originari di San Donà, mentre ad allenarci c’era un friulano, Miconi. Era la più bella squadra che si potesse fare, tutti amici. All’epoca lavoravo nel settore del trasporto dei cavalli: li facevo correre e per allenarmi li inseguivo ».

Nel 1948 il passaggio al Mestre, poi il grande salto all’Udinese
Mestrina 1948-49 – In piedi da sinistra: In piedi da sinistra: il dirigente Viareggio, Borsetto, Darin, Di Franco, Niero, Schiavon, Lombardi; Accosciati: il massaggiatore Mion, Tommasi, Perissinotto, Caon, Marastoni, Dalle Vacche.

Chiusa la prima esperienza in riva al Piave, Perissinotto spiccò il volo verso le serie maggiori. Ma Nanni si permise di dire no all’Inter. « Con Bruno Marusso e Guido Meo, sono andato a fare un provino all’Inter. Però la Mestrina era disposta a prelevare anche mio fratello, Primo. Preferivo rimanere in sua compagnia e per questo scegliemmo entrambi di accasarci alla Mestrina. Fu anche una questione di soldi, perché alla Mestrina ci offrivano 800 mila lire di ingaggio, più 35 mila lire a testa al mese. Mentre l’Inter ci avrebbe dato meno, perché era disposta a prelevare solo me. Dopo Mestre, a mio fratello offrirono un ingaggio nel sud Italia, ma lui, che aveva vissuto anche la brutta esperienza della prigionia durante la guerra, non se la sentì ». Per Nanni, invece, un anno alla Mestrina, poi il trasferimento all’Udinese, che allora militava in serie B. « Alla Mestrina c’era il celebre trio Darin, Perissinotto, Dalle Vacche. Arrivammo secondi in serie C, proprio dietro l’Udinese, che conquistò la promozione in serie B. E, in estate, tutti e tre fummo acquistati dai friulani. Vincemmo subito il campionato e andammo in serie A ». Quella stagione il trio si sciolse. « Dalle Vacche si ruppe una gamba e da allora giocò solo con la squadra del suo paese. Darin, invece, si trasferì nel sud Italia. Quanto a me, rimasi anche la stagione successiva, nella massima serie. Era l’Udinese di Zorzi e Vicic. Quando incontrammo la Roma, segnai due gol e la mandai in serie B ».

UDINESE 1950-51: In piedi da sinistra: Zorzi, Forlani, Rinaldi, Feruglio, Martinis, Darin, Vicich, Soerensen, Paulinich, Toppan, Bergamasco. Accosciati: Dalle Vacche, Angelini, Perissinotto, Snidero, Roffi, Farina, Brandolin.
Perissinotto viene ceduto alla Roma
La prima presenza in assoluto di Perissinotto con la maglia della Roma, il 26 agosto 1951 nell’amichevole della Roma giocata ad Ancona. Vinsero i giallorossi 3-1, la terza rete fu segnata da Perissinotto.

Ironia della sorte l’estate seguente Perissinotto passò proprio in giallorosso. « In quei giorni mi trovavo a Chianciano. Mi telefonarono i dirigenti dell’Udinese, per informarmi che mi avevano ceduto alla Roma e che dovevo presentarmi nella capitale per firmare il contratto. Il tutto senza che prima fossi stato interpellato. Allora andai a Roma e mi trovai, io ragazzo di provincia, in una sala con seduti attorno a un tavolo tutti i big della società. Mi informarono che avevano trovato l’accordo con l’Udinese e mi chiesero cosa volessi come onorario. Tutto tremante, azzardai: « Facciamo un contratto che preveda 5 milioni per il primo anno. Poi il secondo, se mi vorrete confermare, mi accontenterei di 4 milioni. Altrimenti, tante grazie lo stesso ». Rimasero tutti in silenzio, ma poi dissero di si. Mi è sempre rimasta la convinzione che, se avessi chiesto di più, avrebbero accettato comunque. A Roma ho disputato tre stagioni. Vincemmo subito il campionato di serie B e poi ho giocato altre due annate in serie A. Con noi c’era anche il fratello di quel Nordhal, che fu una bandiera del Milan. Per due stagioni abbiamo giocato al Flaminio, poi anche all’Olimpico, che all’epoca non era stato ancora inaugurato ». La cerimonia ufficiale si tenne nel maggio del ’53, con una partita contro la grande Ungheria. « Delle volte – continua Perissinotto – abbiamo fatto anche 80 mila spettatori. Di quegli anni, mi è rimasta impressa nella mente una partita contro la Juventus, che in quella stagione rischiò di andare in serie B. Vincemmo 3-0, ma avremmo potuto fare anche dieci gol. Solo che, sarà stata la foga o la voglia di segnare a tutti i costi, alla fine sbagliai diverse occasioni da rete, pur segnando due gol. E così il giorno dopo alcuni giornali scrissero che “Solo la bontà di Perissinotto ha salvato la Juventus” e altri ancora che “Soltanto Perissinotto poteva sbagliare otto gol” ».

Il ritorno a Udine, il secondo posto e l’infortunio
Perissinotto in una figurina del periodo in bianconero


Chiusa la parentesi della Capitale, Perissinotto fece ritorno a Udine. Era la stagione 1954-55 e i friulani, fra cui militavano Bettini e Selmoosson, giunsero secondi dietro i rossoneri di Schiaffino e Liedholm. « Ma ci mandarono in serie B a tavolino, per un sospetto di corruzione » ricorda il bomber sandonatese. Perissinotto trascorse altre due stagioni in Friuli, per poi far ritorno al suo primo amore, il San Donà, nel 1957. Nell’ultima stagione friulana però praticamente non giocò. « Giocando da professionista mi ero infortunato ad un ginocchio. Fui operato due volte e avevo maturato la decisione di non giocare più ».

Nanni torna grande a San Donà

San Donà 1958-59 – In piedi: Perissinotto, Cornaviera, Zago, Miotto, Salvadoretti, massaggiatore Paludetto, Mingardi
Accosciati: Bonora, Maschietto, Paludo, G. Brollo, Beffagna

« Tornato a vivere a San Donà, però, i dirigenti biancocelesti mi hanno pregato di venire a dare una mano alla società, anche senza giocare. Fu così che alla fine disputai altri sei campionati, senza mai accusare un problema fisico. Eravamo tutti dilettanti, facevamo due allenamenti a settimana, ma erano molto duri. La squadra era solida, affiatata, fatta di giocatori di esperienza, tanto che abbiamo vinto due campionati di seguito: nel 1958-59 e nel 1959-60, arrivando in serie D ».
Al San Donà Perissinotto ricoprì per alcuni anni anche la duplice veste di allenatore e giocatore. Infine, la sua lunga carriera si chiuse, tranne una breve parentesi nel 1963: « Perdemmo lo spareggio contro il Faenza e retrocedemmo, ma poi la squadra venne ripescata – conclude Perissinotto. Pensare che nel girone di andata eravamo in testa alla classifica. Ma poi ci condizionarono alcuni arbitraggi discutibili e una serie di infortuni. Quindi ho fatto un altro paio di mesi nel 1965 come allenatore. Ma ormai ero stanco del calcio e così ho iniziato a fare il camionista al fianco dei miei fratelli ». Di Perissinotto ricordano che fosse un allenatore rigoroso, amante soprattutto della puntualità. Una volta si permise di lasciare a casa perfino il suo compare: « Se lo avessi perdonato, gli altri avrebbero fatto quello che volevano », scherza adesso lui.

Quel sogno Nazionale

Di tanti anni di calcio a Perissinotto resta solo un rammarico: il fatto di non essere riuscito a vestire mai la maglia della Nazionale, benché fosse anche stato convocato per un paio di raduni. « Fui convocato una volta a Bologna, insieme a Darin. Era più o meno il 1950, perché ero ancora a Udine. Purtroppo però fui bloccato da un’infortunio. Prima ancora ero stato chiamato per una partita negli Stati Uniti che avrebbe dovuto ricordare la tragedia dei giocatori del grande Torino, morti a Superga. Ma quella volta fui bloccato da un attacco di appendicite ».

« Le interviste ritrovate » : 1. Antonio Cornaviera; 2. Silvano Tommasella; 3. Giovanni Perissinotto; 4. Antonio Guerrato; 5. Orfeo Granzotto.

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste

«Le interviste ritrovate»: Quando circa quindici anni fa iniziammo a raccogliere il materiale per il libro sul San Donà, le interviste potevano essere una chiave del racconto della storia biancoceleste. Poi assunsero un ruolo minore e divennero parte del racconto dell’annata. Ora alcune di quelle interviste sono tornate alla luce, la seconda….

San Donà 1958-59 – In piedi da sinistra: dirigente Pavan, presidente Teso, dirigente Barbini, segretario Trame, massaggiatore Paludetto, giornalista Serafini, Mingardi, Roberto Brollo.
Seduti in mezzo: Zago, Giovanni Perissinotto, Giancarlo Brollo, Paludo, Cornaviera.
Accosciati e seduti prima fila: Miotto, Guerra, Bortolin, Gianni Brollo, Valerio Guerrato, Salvadoretti, Arturo Mestre, TOMMASELLA, Vizzotto, Antonio Guerrato, Beffagna, Maschietto.
I bambini Trame e Vello.

di Giovanni Monforte

Di lui dicono sia stato ” il miglior terzino sinistro che abbia vestito la casacca biancoceleste “. Un giocatore che per intelligenza e capacità di diventare punto di riferimento per i compagni, si può dire abbia anticipato di vent’anni l’essenza stessa del ruolo del terzino. Stiamo parlando di Silvano Tommasella, classe 1939. Nel San Donà ha giocato dieci anni, dalla stagione 1957-58 alla stagione 1967-68. Periodo intervallato solo da un paio di annate disputate in prestito al Vipiteno, dove svolgeva il servizio militare. Tommasella fu uno dei protagonisti di quel ruggente San Donà che, nella prima metà degli anni Sessanta, fu in grado di competere, nonostante i mezzi limitati, ad alti livelli con le squadre semiprofessionistiche di quarta serie. Merito di un giusto mix di veterani e di giovani, cementificati dalla forza del gruppo. « Eravamo amici dentro e fuori dal campo – ricorda Tommasella – Personalmente ho giocato sempre da terzino, al massimo ho disputato qualche partita come libero. La mia caratteristica principale, che tutti mi riconoscevano, era l’anticipo dell’avversario, soprattutto con il colpo di testa. Era la mia specialità. Ricordo quella volta che andammo a giocare a Pesaro. Di fronte avevo un’ala sinistra di stazza imponente. – L’allenatore mi disse “Guarda chi devi marcare…” – E io gli risposi che, più grandi erano, e meglio era ».

Il giovane Tommasella e il pallone
Giovanile San Donà – In piedi da sinistra: Mazzon, Stefenel, Battistella, Miotto, Franzo, Panizzo, Battello. Accosciati: Tonon, Fornasier, Giancarlo Brollo, Tommasella, Gianni Brollo, Marin.

Quella per il pallone è una passione che Silvano Tommasella ha nutrito fin da piccolo. La sua storia calcistica comincia tra i 12 e i 13 anni d’età, all’oratorio Don Bosco, un pò come tutti allora. L’approdo al San Donà porta invece la firma dell’avvocato Mario Davanzo e del futuro arbitro di serie A, Mario Moretto, che allora era un ragazzetto proprio come Tommasella. « Moretto aveva sentito che stavo per trasferirmi al Ceggia e mi disse. “Stai tranquillo, parlo io con l’avvocato Davanzo e gli dico che sei bravo”. Restare a San Donà sarebbe stato sicuramente più comodo, perchè all’epoca già lavoravo come calzolaio. L’avvocato cercava sempre dei giovani e mi chiese di andare a giocare con loro – ricorda Tommasella – Ma io ero ancora un ragazzino e gli dissi di voler aspettare ancora qualche anno. E, infatti, a 15 anni ho iniziato a giocare con le giovanili del San Donà. A quel tempo non avevamo un allenatore, faceva tutto l’avvocato Davanzo; sceglieva chi giocava, organizzava le trasferte, …. ».

Il debutto con il San Donà
San Donà 1960-61 – In piedi da sinistra: Salvadoretti, Vizzotto, Cornafiera, Bonazza, Ferrari, Dal Ben. Accosciati: Susin, Beffagna, TOMMASELLA, Salvori, Perissinotto.

L’esordio in prima squadra avvenne nella stagione 1957-58. Una manciata di presenze, quattro ed una in Coppa Veneto in un San Stino-San Donà del 5 giugno 1958, gara che finì 2-0 per il San Stino. La prima stagione da titolare fu però quella 1959-60, con allenatore Giovanni Perissinotto. Quanto ai gol, Tommasella ne ha segnato uno solo., in quarta serie, l’11 dicembre 1966, in mezzo alla neve. Grazie a quella rete arrivata al 70′, il San Donà pareggiò 2-2. « Giocavamo a Bolzano. Ero arrabbiato perchè stavamo perdendo. Mi trovavo al limite del centrocampo. Il portiere Sartin era fuori dei pali e feci partire una conclusione che andò in rete. Il giorno dopo sul giornale lo definirono un tiro di rara potenza. Quando si giocò la partita di ritorno, il portiere del Bolzano mi disse: “Guarda di non fare un altro tiro così…” ».

L’ammirazione per l’allenatore Tognon

Degli anni al San Donà c’è un allenatore che è rimasto più degli altri nel cuore di Tommasella. « Di sicuro il più importante per me è stato Omero Tognon. Era un uomo di grande intelligenza e molto bravo nel suo lavoro di tecnico. Quando venni chiamato a fare il militare, nel 1962, andai in prestito dal San Donà al Vipiteno. Ricordo che a Natale mi scrisse, dicendomi che mi augurava che potessi tornare presto a casa, perchè aveva voglia di fare una bella chiaccherata insieme. Quando sono effettivamente tornato a casa, mi disse. “Avrò sempre una grossa stima di voi, onesti giocatori.” E’ una frase che mi è sempre rimasta impressa nella mente. Tognon ci dava sempre del lei. “Tommasella mi giochi un pò più avanti, un pò più indietro…..”. Era da ammirare, persone così corrette non si possono dimenticare ». Da Omero Tognon, oltre trecento le sue partite al Milan, che in carriera non fu mai nè espulso nè ammonito, Tommasella ha imparato la correttezza in campo. « Dal punto di vista disciplinare mi è sempre stata riconosciuta una grande correttezza nei confronti degli arbitri e degli avversari », conferma il diretto interessato.

L’episodio che ne condizionò la carriera
San Donà 1966-67 – In piedi da sinistra: Modolo, Buran, Trevisan, Cibin, Bottosso. Accosciati: TOMMASELLA, Masiero, Bona, Finotti, Busato, Petranzan.

Per questo non potè accettare quell’ingiusta squalifica che gli venne inflitta per un episodio di cui non era stato protagonista. « Era la stagione 1962-63 e un incontro disputato a Vipiteno, contro il Termeno, si concluse con il pestaggio dell’arbitro, per un gol sospetto realizzato con la mano. Dopo il gol, i giocatori del Vipiteno si sono schierati attorno all’arbitro per protestare. Lui decise di sospendere la partita e allora diversi giocatori iniziarono a colpirlo con schiaffi e calci. Tutti i giocatori del Vipiteno, eccetto due, furono squalificati per tre anni. Anche io, pur non avendo partecipato all’episodio, fui squalificato, nonostante le varie testimonianze a mio favore. Non ero mai stato squalificato, ci tenevo tanto alla correttezza e mi spiaceva finire in un fattaccio di cui non ero stato protagonista ». Il primo aiuto Tommasella lo chiese all’allora segretario del San Donà, Lorenzo Trame. « Non finirò mai di ringraziarlo pubblicamente. Una degna persona che ha fatto di tutto per cercare di farmi rigiocare. Siamo andati insieme a Firenze, nella sede della Federazione della serie D ». Di Trame Tommasella ricorda un altro episodio: « Quando sono partito per il militare avevo un contratto di 20 mila lire con il San Donà. E ogni mese Trame me le inviava, pur non giocando ». Tornando alla squalifica, pochi mesi dopo il fallaccio venne a Fossà per alcune cresime l’allora vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, che di lì a poco sarebbe diventato Patriarca di Venezia e quindi Papa nel 1978 con il nome di Giovanni Paolo I. « Fu in occasione di quella visita – prosegue Tommasella – che colsi l’opportunità di farmi togliere la squalifica. Mi presentai al Vescovo, gli spiegai come erano andate realmente le cose e gli chiesi di voler gentilmente intercedere in mio favore. Albino Luciani confermò che ne avrebbe discusso con l’Arcivescovo di Trento in occasione di un successivo incontro. Dopo solo 15 giorni da quel successivo incontro ricevetti la sospirata lettera della Federazione nella quale si riportava che – “nel dubbio ella non abbia partecipato al fatto, viene stracciata la squalifica”. – E quindi si riaprì per me la possibilità di giocare nuovamente in una squadra di calcio ». Se Tommasella tornò protagonista del San Donà degli anni Sessanta, fu un pò merito anche del futuro Papa.

Silvano Tommasella tra Elvio Salvori, Betty Vignotto e Silvano Balliana, suo allenatore al San Donà e poi anche al Don Bosco
Dopo il San Donà finì dove cominciò, sul campo del Don Bosco

Silvano Tommasella disputò l’ultimo campionato di serie D con il San Donà nel 1967-68, poi giocò lungamente con il Don Bosco dove terminò la carriera alla metà degli anni Settanta. In maglia biancoceleste può vantare 184 presenze (i dati della stagione di esordio non sono completi) nei due periodi in cui ha giocato inframezzati dall’esperienza di Vipiteno con annesso periodo di squalifica. Una sola rete segnata, come raccontato nell’intervista.

Don Bosco 1975-76 – In piedi da sinistra: P. Nonnato, Gionso, Fornasier, Pilla, Barbini, Veronese, Granzotto, l’allenatore Balliana. Accosciati: Soldera, Tonon, G. Marcati, Anzanello, TOMMASELLA.

« Le interviste ritrovate » : 1. Antonio Cornaviera; 2. Silvano Tommasella; 3. Giovanni Perissinotto; 4. Antonio Guerrato; 5. Orfeo Granzotto.

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

« Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà

«Le interviste ritrovate»: Quando circa quindici anni fa iniziammo a raccogliere il materiale per il libro sul San Donà, le interviste potevano essere una chiave del racconto della storia biancoceleste. Poi assunsero un ruolo minore e divennero parte del racconto dell’annata. Ora alcune di quelle interviste sono tornate alla luce.

Formazione riserve: piedi: avv, Davanzo, Fanzago, Cadamuro, Nespolo, Guiotto, W. Tosetto, B. Visentin
Seconda fila: Cornaviera, Faccini 1, Carlini, Bonadio, Trentin, Bortoletto
Accosciati: Faccini 2°, Vazzoler, Cibin, Dalla Villa, Dolce

di Giovanni Monforte

Quindici anni. Tanti ne ha trascorsi Antonio “Bomba” Cornaviera, classe 1932, con la maglia del Sandonà. Un’amore per i colori biancocelesti che a fine carriera gli è valso la medaglia d’oro al merito. L’avventura di Cornaviera ha inizio nel 1948. « Allora, grazie al lavoro dell’avvocato Davanzo, fu allestita per la prima volta la selezione Ragazzi under 18 – ricorda Cornaviera – Al San Donà poi sono rimasto fino al 1963, quando ho smesso di giocare. Nel conto inserisco anche l’anno in cui ho fatto il militare, perchè prima di partire per la naia sono riuscito a disputare due partite ». Con i ricordi Cornaviera torna a quegli esordi nelle giovanili. « Avevamo vinto il titolo battendo la squadra di Oderzo, ma poi un sacerdote del collegio Brandolini si prese la briga di andare a controllare all’anagrafe del Comune di San Donà l’età di tutti i nostri giocatori. E fummo estromessi dopo la finale regionale, perchè uno dei miei compagni aveva già compiuto da tre mesi i 19 anni. Di quella squadra, poi, moltissimi raggiunsero la serie A: c’erano Carlini da Ceggia e Ivan Firotto, che giocarono al Genoa e poi il mediano Tosetto, sempre da Ceggia ». Neppure a Toni Cornaviera erano mancate le occasioni per spiccare il volo nel calcio che conta. « Sono stato contattato due volte – ricorda “Bomba” – Mi aveva cercato il Catanzaro, ma ero figlio unico e i miei genitori venivano prima del calcio. Avevo il compito morale di stare con loro. E poi ho sempre lavorato, fin dall’età di 16 anni. Così ho rifiutato i due trasferimenti. Ma ho avuto l’onore prima di giocare insieme e poi di allenare, anche in quarta serie, ben 14 atleti che in seguito hanno raggiunto la serie A ».

Un San Donà che profumava di serie A
San Donà 1958-59 – In piedi: Perissinotto, Cornaviera, Zago, Miotto, Salvadoretti, massaggiatore Paludetto, Mingardi
Accosciati: Bonora, Maschietto, Paludo, G. Brollo, Beffagna

Allora Cornaviera militava anche nella selezione delle “riserve”, che affiancava la prima squadra, disputando un proprio campionato parallelo. « Negli anni successivi – ricorda – giocai alcune partite in quarta serie, quando retrocedemmo dalla serie C a inizio anni cinquanta. Poi, con il periodo della naia, fui costretto a perdere tre quarti del campionato ». Di quegli anni, Cornaviera serba alcuni aneddoti particolari. « Il martedì sera ci trovavamo al campo sportivo per allenarci. L’acqua che usciva dai rubinetti era fredda e per rischiarare l’ambiente collocavamo quattro lampadine negli angoli delle mura esterne ». Un altro episodio curioso riguarda Francesco Canella. « Era il 1956, l’anno del suo 17esimo compleanno, che cadeva di giovedì. La domenica successiva andammo a giocare a Venezia (contro l’Excelsior). Io ero capitano, mentre in panchina sedeva Depità. Mentre stavamo uscendo dal cancello degli spogliatoi, diedi la fascia a Canella. Il mister mi apostrofò e io gli dissi che era il momento giusto per dare strada ai ragazzi. E il campo mi diede ragione: quell’anno Canella fece un grande campionato e la stagione dopo fu ingaggiato dal Venezia ». Ma sono tanti gli amici che Cornaviera trovò in quegli anni. « Mi vengono in mente per esempio Enzo Ferrari, Cereser o Salvori. Quest’ultimo poi per me era come un fratello più giovane. Una volta, invece, da ragazzo, salvai Firotto, rimediando per altro anche due schiaffi da mia madre. Ivan era tre anni più giovane di me, c’eravamo conosciuti alle medie. Un giorno, davanti all’idrovora del Canale Silos, lui, che non sapeva nuotare, cadde in acqua. Io ero andato lì a pescare e, quando mi accorsi che era in difficoltà, cercai di salvarlo: mi gettai in acqua e, siccome ero di costituzione robusta, non faticai a tirarlo su. Ma lui, nel tentativo di aggrapparsi, mi graffiò. Così, quando arrivai a casa, mia madre pensò che avessi fatto a botte e mi schiaffeggiò. Poi, però, mi domandò scusa ».

Un centromediano dalle molte virtù
San Donà 1960-61 – In piedi: Salvadoretti, Vizzotto, Cornaviera, Bonazza, Ferrari, Dal Ben Accosciati: Susin, Beffagna, Tommasella. Salvori, Giovanni Perissinotto

Passato alla storia soprattutto come centromediano, in realtà Toni Cornaviera ha spaziato un pò in tutti i reparti. « Il mio ruolo? Ne avevo undici. Ho ricoperto praticamente tutte le funzioni, compresa quella di portiere. Anzi, tra i pali ci sono stato due volte. All’epoca non esistevano i cambi. Quando qualcuno si faceva male, dunque, era necessario che un compagno già in campo ne andasse a ricoprire il ruolo. E due volte capitò che a infortunarsi fossero i portieri e toccò al sottoscritto fare da jolly ». Tra le caratteristiche di Cornaviera c’era l’abilità al salto. « Avevo uno scatto da terra piuttosto potente – ricorda il “Bomba” – Due volte mi ruppi perfino la testa, cozzando contro la parte bassa della traversa. Da attaccante, in una gara contro il Fossalta, feci fare quattro gol a Canella. Feci segnare anche Bruno Visentin, per lui poi si spalancarono le porte della serie A. Quanto a me, invece, di reti ne feci una sola, a Mestre, in un torneo ragazzi. Ho avuto la soddisfazione di giocare con atleti più bravi di me, ma che mi hanno sempre rispettato per la mia anzianità. E tuttora mi vogliono bene ».

Le origini di un soprannome
San Donà 1961-62 – dirigente Vignotto, Dal Ben, Beffagna, Guarinoni, Mariotto, Dei Rossi, Parisatti, allenatore Striuli
Miglioranza, Cornaviera, Susin, Tommasella, De Nobili

In conclusione, Toni Cornaviera svela anche il segreto di quel soprannome, “Bomba”, che lo ha accompagnato per tutta la vita. « Da ragazzino abitavo in via Ereditari e lì c’erano diversi bambini che giocavano a calcio per strada, tra i sassi – conclude Cornaviera. – Una domenica pomeriggio stavo facendo il portiere, non mi sono accorto che in quel momento stava sopraggiungendo una bicicletta. Allora come palla usavamo un sacchetto di cemento vuoto: un attaccante tirò e io mi tuffai per prendere la palla, andando a sbattere proprio contro la bicicletta. Fu un brutto impatto, tanto che ancora ne serbo una cicatrice. Il ciclista mi accompagnò subito a casa e, rivolto a mia madre disse: “Mi è arrivato addosso come una bomba”. Da qui nacque quel soprannome, che negli anni è diventato praticamente un nome. Tanto che finchè giocai al San Donà nessuno conosceva il cognome Cornaviera. Perchè diventasse famoso fu necessario che mia figlia Cristina andasse a fare ginnastica a livello internazionale ».

« Le interviste ritrovate » : 1. Antonio Cornaviera; 2. Silvano Tommasella; 3. Giovanni Perissinotto; 4. Antonio Guerrato; 5. Orfeo Granzotto.

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Cartoline che raccontano: il campo del San Donà

Una cartolina di San Donà del 1927 o precedente, le case del Foro Boario, il vecchio Cimitero, la Caserma “Tito Acerbo” o “San Marco”, mentre al posto dell’Oratorio Don Bosco prima venne costruito un campo di calcio

Quante storie possono esser nascoste in una sola cartolina. La data dell’immagine può esser imprecisa ma i soggetti che lì son ritratti ne danno un contorno. Se la prima pietra dell’Oratorio è stata posata il 15 maggio 1927, pur nell’imprecisione del tratto dell’immagine tutto si può dire tranne che in quel terreno oltre al cimitero ci sia un cantiere. Le cronache ci dicono che prima che fosse posata la prima pietra quel terreno fu concesso al San Donà Foot-Ball Club e adattato a campo di calcio, per cui quell’immagine è ancor precedente al 22 dicembre 1925 quando venne inaugurato il campo di calcio. In quegli anni venti andava ad iniziare la storia quasi centenaria del calcio sandonatese.

L’inizio della Storia
Villa Amelia, nei pressi della quale si ritrovavano i primi calciatori sandonatesi

La nostra storia non può che cominciare prendendo in prestito le parole scritte da Gianni Colosetti nel suo libro sullo sport sandonatese che poi faranno da base anche a quello successivo scritto da Monforte e Pasqualato sulla storia del’A.C. San Donà.
« A San Donà la scintilla della palla rotonda è stata attivata da un giovane impresario sandonatese, operante nel campo dei pozzi artesiani, Leonida Fava, che nel corso dei suoi viaggi di lavoro, ebbe modo di assistere a degli incontri dell’Ambrosiana Inter di Milano appassionandosi a questo nuovo sport.
Avendone la possibilità, acquistò un pallone coinvolgendo in questa sua passione gli amici Antonio e Giuseppe Battistella, Federico ed Eugenio Alfier, Giovanni Nespolo, con i quali cominciò a ritrovarsi la domenica mattina nei pressi della stazione ferroviaria in un prato dietro Villa Amelia detto “Il Campo del Mago”. Il rudimentale campo da gioco era situato in via Garibaldi: grossi sassi materializzavano inizialmente le porte, sostituiti successivamente da pali di salice terminanti a forchetta sui quali veniva posta la traversa. Una parte importante in quella fase è stata svolta dal tecnico delle ferrovie, addetto al ripristino della linea San Donà-Ceggia, ancora gravemente danneggiata dagli eventi bellici, il triestino Szabados. Il tecnico, avvicinatosi al gruppo iniziò ad insegnare loro i primi rudimenti e le regole fondamentali del calcio, in particolare come trattare la palla “all’ungherese”, tiro effettuato cioè con l’esterno del piede, in modo da dare al pallone un effetto rotatorio rientrante.
Quei ritrovi domenicali, però, non durarono a lungo. Privati del loro terreno di gioco, destinato momentaneamente dai proprietari ad altri usi, quei pionieri cessarono l’attività ma proseguirono a cercare proseliti in attesa di reperire qualche altro terreno dove sfogare la loro nuova passione ».

Un vero campo dove giocare

Continua Colosetti nel suo libro: « Furono proprio due di questi nuovi proseliti, Bruno e Gino Rossi, che contribuirono a risolvere, dopo qualche tempo, il gravoso problema del terreno di gioco. I due fratelli, infatti, convinsero il padre Enrico a cedere in affitto un campo dislocato dietro la caserma “Tito Acerbo”, terreno che fu, dagli stessi, ben spianato e dotato di pali per le porte ». Un campo di calcio vicino alla Caserma “Tito Acerbo”, che forse ancora non aveva tale denominazione, la zona è la stessa della cartolina ma il campo non sembra essero quello che si intravede nell’immagine. Viene detto dietro la Caserma mentre quella che si vede nell’immagine della cartolina è la facciata della stessa prospiciente la strada detta “Del Casermone”. Vien però citato il nome di Enrico Rossi che ritroveremo poi, evidentemente tutta quella zona era stata di sua proprietà, sia davanti che dietro la caserma.

La nascita dell’Ardita
L’ « Ardita » la prima squadra che si formo nei primi anni

Ben presto quel gruppo di giocatori formarono una squadra vera. « La ripresa dell’attività portò nuovi adepti, alcuni dei quali avevano già dimestichezza con il pallone avendolo praticato nelle scuole veneziane o trevigiane da essi frequentate. Dopo qualche tempo al gruppo si unì Tullio Roma, che essendosi diplomato capitano di lungo corso, aveva giocato, oltre che nell’istituto scolastico, anche nella giovanile del Venezia con un altro sandonatese Giovanni (Nino) Gallerani, studente presso l’Istituto Commerciale Sanudo. Così, vuoi per la sua esperienza che per il grado derivategli dal suo titolo di studio, quando, costituita la squadra, si trattò di designare il capitano, la scelta non potè che essere rivolta sul suo nome.
Raggiunto il numero sufficiente fu costituita una squadra alla quale fu dato il nome di “Ardita” che con tassazioni personali e questue fra amici si diede una divisa, maglia bianco nera a scacchi e pantaloncini bianchi. Hanno fatto parte dell’Ardita: Alessandro Janna (presidente), Ruggero Galassini (allenatore). Giocatori: Eugenio, Nene e Federico Alfier, Antonio e Giuseppe Battistella, fratelli Bincoletto, Gino Bonetto, Libero Dus, Emilio Caramel, Cesarin, Giuseppe Da Villa, Sante Calcide, Amos e Ruggero Galassini, Girolamo Gallerani, Vito Girardi, Bernardo Guerrato, Loro da Ceggia, Bruno Marusso, Giuseppe Nespolo, Giovanni e Giuseppe Picchetti, Tullio Roma, Bruno e Gino Rossi, Salvador, Antonio Velludo, Alessandro Zuccon e Luigi Zorzi.

Dietro quella Caserma il campo di calcio diviene importante

« Le esibizioni dei calciatori erano motivo di curiosità da parte di molti che, dopo aver assistito a qualche allenamento non mancavano di appassionarsi e ingrandire il numero dei calciatori. La cosa non sfuggì ad Alessandro Janna, presidente dell’Unione Sportiva Piave, che prese subito a cuore le necessità di quei pionieri, non disdegnando di far fronte alle loro esigenze.
Il campo di calcio fu recintato con delle tavole provenienti dall’Azienda Agricola Janna, dotato di una baracca di legno nelle vicinanze della quale una fontanella d’acqua serviva ai giocatori per lavarsi e tentare di ripulirsi, a turno, dal copioso fango che nelle giornate piovose rendeva quel terreno più simile ad una stazione di cure termali che ad un campo di calcio. Il campo aveva anche nel signor Callegher il suo custode. »

Celeste Bastianetto presidente del San Donà
Il presidente Celeste Bastianetto con il San Donà F.C. nel 1926

Il campo dietro la caserma venne dunque recintato, nel mentre entra in scena la figura di Celeste Bastianetto. Era “un ragazzo del ‘99” reduce da quella prima guerra mondiale nella quale era stato insignito di una medaglia di bronzo al valor militare. Laureatosi in legge, divenne avvocato venendo poi nominato presidente dell’Azione Cattolica sandonatese. Impegnato nell’associazionismo cattolico al fianco di monsignor Saretta, fondò anche un’associazione ginnico sportiva che per la sua attività condivideva gli spazi del campo di calcio. Racconta Colosetti: « L’attività era svolta anche nel campo di calcio dell’Ardita e fu proprio grazie a queste comuni frequentazioni che Celestino Bastianetto pensò di unire queste giovani realtà sportive. Dopo una serie di contatti con Alessandro Janna, il “manager” dei calciatori, domenica 14 dicembre 1924, terminate le funzioni pomeridiane, nei locali della canonica si tenne una riunione nel corso della quale furono gettate le basi per la creazione di una Polisportiva alla cui presidenza fu nominato Celestino Bastianetto, che aveva una componente calcistica nel San Donà Football Club e una ginnica sportiva, nelle sopracitate associazioni parrocchiali. »

Monsignor Saretta acquista il terreno per il futuro Oratorio

Dopo aver avuto in desiderio di far arrivare a San Donà di Piave per tanti anni i Salesiani, monsignor Saretta decise di acquistare il terreno vicino al vecchio Cimitero. Ne da conto Wally Perissinotto nel suo libro: « Oggetto della transazione era l’area edificabile di 12.667 mq posta in località Loghetto, subito dopo il vecchio cimitero comunale, sulla strada di via Calnova (l’odierna via XIII Martiri).
Il confine orientale frantumava l’originaria proprietà proseguendo in modo irregolare lungo un breve tratto dell’attuale via Eraclea, detta strada “del Casermone” per la presenza della imponente Caserma “Tito Acerbo”. A sud e a ovest il terreno andava a morire nell’acqua di scolo della fossa Molina e in quello delimitante la proprietà Bortolotto. Sul fondo, parte seminativo e parte prativo, c’erano i resti di una casa colonica danneggiata dalla guerra già abitata dal sig. Enrico Rossi e Callegher ». Ecco ritornar i nomi di Enrico Rossi e Callegher, il primo diede in affitto il terreno dietro la Caserma per il primo campo di calcio, mentre il secondo ne era il custode.

Il terreno acquistato nel 1925 da Monsignor Saretta tra il vecchio cimitero e la Caserma che divenne provvisoriamente campo di calcio, in seguito nel 1927 furono acquistati altri due lotti di terreno vicino a quello acquistato per primo e venne costruito l’Oratorio Don Bosco
Prima dell’Oratorio un nuovo campo di calcio

In attesa che maturino i tempi per la costruzione dell’Oratorio, Monsignor Saretta decise di destinare quel terreno inizialmente a un campo di calcio. Scrive ancora Wally Perissinotto nel suo libro: « E’ interessante osservare comunque come in questo secondo atto compaia la specifica destinazione d’uso della proprietà immobiliare: “ricreatorio e campo sportivo, nonché scuola professionale”, annotazione che ci svela i progetti dell’arciprete a medio e lungo termine. Una fattura conservata in archivio parrocchiale della ditta “Barbato costruzioni edili” ci fornisce ulteriori indicazioni: già a dicembre sul fondo ripulito e adeguatamente sistemato veniva costruito uno spogliatoio per consentire l’attività ginnico-sportiva dei giovani sandonatesi.
Sappiamo che la gestione del campo venne affidata alla società sportiva “San Donà Foot-ball Club” le cui finalità avevano senz’altro incontrato l’approvazione del parroco. Infatti lo statuto pubblicato il 15 agosto 1926 recita fedelmente: “Accanto allo sport (la società sportiva) curerà l’educazione dell’animo dei giovani. All’art. 12. E’ dovere di ogni socio giocatore di astenersi completamente dalla bestemmia e dal turpiloquio. E all’art. 24. Il campo sportivo sarà chiuso a chiunque non appartenga alla società, ma in ore da convenirsi potrà essere aperto alle due Società dei ginnasti della Guido Negri e degli Esploratori cattolici… ».

L’inaugurazione del nuovo campo di calcio

Racconta Gianni Colosetti dell’inaugurazione del nuovo campo: « I lavori di livellamento e di costruzione dello spogliatoio furono eseguiti dall’impresa Dante Barbato che provvide anche alla recinzione del medesimo recuperando lo steccato del vecchio campo. L’impianto fu inaugurato, domenica 22 dicembre 1925, alla presenza del Podestà Giuseppe De Faveri, del dottor Stocchino, segretario del Fascio, di autorità civili e militari e con la partecipazione della banda comunale.
Nel susseguirsi dei rari discorsi commemorativi, ci fu un piccolo incidente “diplomatico”, l’avvocato Bastianetto, i cui rapporti con il segretario del Fascio non erano di certo idilliaci, non acconsentì che il dottor Stocchino, intervenisse adducendo a motivazione il ritardo accumulato dai vari discorsi precedenti. Dopo la benedizione data da don Casonato, in assenza del Parroco impegnato a Montebelluna e il taglio del rituale nastro fatto dalla madrina, la Signora Pasin vedova Guarinoni, si disputò l’incontro tra l’undici sandonatese e il Portogruaro.
Fu quella, in pratica la prima esibizione ufficiale del San Donà Football-Club capitanato da Tullio Roma che si era presentato in campo, come tutti i componenti della squadra, vestendo la maglia bianconera dell’Ardita seguito da un accompagnatore che portava delle maglie azzurre.
Prima di iniziare l’incontro, Tullio indossò la nuova divisa dicendo: “Copriamo la vecchia gloriosa bianconera con la nuova maglia azzurra”, quindi consegnò ad ognuno dei componenti la squadra la nuova casacca. L’incontro terminò con il punteggio di 2-0 a favore del Portogruaro che era una delle formazioni emergenti di quel periodo ».

Una delle prime formazioni del San Donà, la maglia “sembra” azzurra e l’edificio alle spalle li colloca proprio nel nuovo campo di via Calnova tra dicembre 1925 e l’aprile 1927
Quella vecchia foto del San Donà Foot-ball Club d’azzurro vestito
Il manifesto di una delle ultime gare giocate dal San Donà F.C. su quel campo sportivo (stampato da Tipografia SPES – via Giannno Ancillotto)

Sul libro di Wally Perissinotto è presente una foto che viene indicata come una delle prime del calcio sandonatese. Ebbene grazie alla cartolina ora abbiamo pure una più giusta collocazione temporale di quei giocatori. Alle spalle degli stessi vi è un casolare le cui fattezze le rincontriamo in quello presente nella cartolina nelle vicinanze di via Calnova. La maglia scura indica che potrebbe essere quella descritta da Gianni Colosetti nel suo racconto, magari non legata all’inaugurazione del dicembre 1925 ma sicuramente una delle gare successive. Il campo fu utilizzato non solo dal San Donà ma anche dai ginnasti facenti parte della Polisportiva, che nel frattempo nel novembre 1926 vide le dimissioni di Celeste Bastianetto dalla presidenza perchè inviso all’autorità fascista dell’epoca che di lì a poco sciolse anche le componenti cattoliche della Polisportiva. Alessandro Janna divenne il presidente del San Donà Foot-ball Club affiancato da Girolamo Janna e Fausto Picchetti, mentre la società dovette entrar a far parte dell’Opera Nazionale Dopolavoro. Il San Donà F.C. ebbe in gestione quel campo sino alla primavera del 1927, quando Monsignor Saretta si vide costretto a dare lo sfratto ai calciatori in quanto aveva ottenuto quanto sperato, l’arrivo dei salesiani a San Donà. Poche settimane dopo ci fu la posa della prima pietra dell’Oratorio Don Bosco, ma questa è un’altra storia. Quanto al San Donà Foot-ball Club, presto divenne Società Sportiva Fascista e di lì a due anni venne inaugurato il nuovo campo sportivo del Littorio, l’attuale Stadio “Verino Zanutto”, ma anche questa è un altra storia.

Lo statuto del San Donà Foot-ball Club, 15 agosto 1926

Per approfondimenti sul campo di calcio di via Calnova: (1) « Monsignor Saretta, “Pastore” di San Donà di Piave » a cura del Gruppo “El Solzariol” (2004); (2)« Ancora un giro in giostra » di Wally Perissinotto (2006); (3) « Storia dello sport sandonatese » di Gianni Colosetti (2007); (4) « A.C. San Donà – 90 anni di Calcio Biancoceleste » di Giovanni Monforte e Stefano Pasqualato (2012)