Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

RAPPRESENTATIVA REGIONALE: In piedi: dirigente Arnaldo Silvestri, avvocato Davanzo, Cereser, Brollo, Storto, FERRARI, Salvori. Accosciati: Ronchi, Muffato, Bedin, Isoni, Lazzarini, Armellin

Nel mondo dello sport e con esso in quello del calcio vi sono carriere che non si fermano al termine dell’attività agonistica. Chi ha giocato ad ottimi livelli poi trova in quello sport anche uno sviluppo successivo alla propria carriera come allenatore o dirigente, pari se non superiore a quella precedente. E’ per questo che questa nostra storia è lunghissima e inizia in una San Donà da sempre vera fucina di talenti sportivi, qui negli anni Sessanta muoveva i primi passi Enzo Ferrari. Chissà come è vivere con un nome e un cognome che ti lega per sempre ad un mito assoluto dell’automobilismo, di certo quel giovane sandonatese ha cominciato tardi a giocare a calcio. Inizialmente aveva seguito la passione del padre Gino ed inforcata una bici la sua aspirazione massima era divenire un ciclista professionista. Ma di questo lasceremo spazio direttamente alle sue parole grazie ad una intervista che agli inizi degli anni Ottanta concesse a Gianni Mura e che è parte integrante del nostro racconto.

Gli inizi al San Donà
SAN DONA’ 1960-61: In piedi: Salvadoretti, Vizzotto, Cornaviera, Bonazza, FERRARI, Dal Ben Accosciati: Susin, Beffagna, Tommasella. Salvori, Giovanni Perissinotto

Enzo Ferrari (classe 1942, la stessa di Dino Zoff) dopo quell’iniziale esperienza nel ciclismo abbandonata da allievo, entrò a far parte del settore giovanile del San Donà. Era un gran fermento di talenti il sandonatese in quei primi anni Sessanta. Francesco Canella e Bruno Visentin avevano da qualche anno preso la via del Venezia, tra gli oratoriani muoveva i primi passi Gianfranco Bedin, mentre con il San Donà oltre a Ferrari si stavano mettendo in luce anche Elvio Salvori e Angelo Cereser. Tutti giocatori che poi approdarono in serie A divenendo simbolo di questa terra ed esempio per i tanti ragazzi che avevano la capacità di sognare nel loro giocare a pallone. Nel San Donà appena promosso in serie D Ferrari giocò in attacco ed in panchina come allenatore aveva un Giovanni Perissinotto che di gioco d’attacco se ne intendeva avendo giocato in serie A con Roma e Udinese. Il giovane Enzo debuttò il 5 marzo 1961 contro la Pro Gorizia (1-0) allo stadio Zanutto, con la maglia numero 10 giocò nove gare segnando la sua prima e unica rete di quella annata il 16 aprile all’Argentana (4-1). Ferrari rimase in biancoceleste anche nelle successive due stagioni, l’ultima delle quali si concluse con uno sfortunato spareggio (con Faenza, 0-4) che valse la retrocessione poi sanata dal ripescaggio. Complessivamente in biancoceleste ha segnato 6 reti in 49 presenze (compresa quella dello spareggio non sempre calcolata nei totali delle stagioni), non esistendo ancora le sostituzioni per un giovane giocatore era un buon traguardo.

SAN DONA’ 1962-63: In piedi: Dal Ben, Matassa, Muffato, Mariotto, Miglioranza, Hartz. Accosciati: Manzini, Socrate Brollo, Chinellato, Cadamuro, FERRARI
Dalla Serie C alla serie B
Ferrari con la maglia dell’Arezzo

Nell’estate del 1963 passò in serie C al Forlì dove si mise in ottima evidenza arrivando ad un passo dalla promozione in serie B. Trovò poi la sua consacrazione all’Arezzo con cui giocò per tre stagioni da protagonista sfiorando la promozione in serie B la prima stagione, centrandola la seconda e giocando nella serie cadetta nella terza, conclusa con la retrocessione. Ferrari aveva esordito in serie B l’11 settembre 1966 in Genoa-Arezzo (1-0), quasi un destino visto che l’anno dopo venne ceduto proprio al Genoa. Fu una stagione sofferta per i rossoblu quella della serie B 1967-68, nella quale Ferrari segnò ben 13 reti. Al termine di un campionato molto equilibrato, furono cinque le squadre costrette agli spareggi salvezza. Spareggi interminabili dato che furono necessari dopo le iniziali quattro gare altri spareggi per determinare una seconda retrocessa. Il Genoa alla fine si salvò mantenendo la categoria dopo sette gare che videro gli sportivi genovesi assieparsi nelle piazze per ascoltare gli aggiornamenti che arrivavano attraverso la radio, e nelle quali Ferrari mise a segno altre due reti.

GENOA 1967-68: In piedi: Colombo, Rivara, Grosso, Petrini, Drigo. Accosciati: FERRARI, Derlin, Campora, Gallina, Massucco, Locatelli
In serie A a Palermo un gol che ancor tutti ricordano
PALERMO 1969-70: in piedi: Troja, Landri, FERRARI, Ferretti, Giubertoni, Lancini; accosciati: Causio, Pasetti, Bertuolo, Pellizzaro, Alario.
I fotogrammi pubblicati sui giornali del salvataggio di Ginulfi

Nell’estate del 1968 Enzo Ferrari spiccò il volo per la serie A approdando al Palermo. Fu un capitolo importante della sua carriera. Due furono i campionati di serie A disputati, al termine del secondo retrocesse in serie B ma nel quarto in rosanero riconquistò la serie A. Ferrari esordì in serie A il 29 settembre 1969 in Cagliari-Palermo 3-0, in quella annata lo scudetto venne vinto dalla squadra sarda. Nella seconda annata in serie A fu protagonista di un episodio che fece molto scalpore, ovvero una rete segnata allo stadio Olimpico contro la Roma da ben 70 metri. Così la raccontò Ferrari in una intervista alla Gazzetta dello Sport del 2008: « La partita era iniziata male per il Palermo. Bercellino si era stirato dopo cinque minuti e non aveva il coraggio di dirlo a Di Bella (ndr verrà sostituito con Causio). Verso la fine del primo tempo Ferretti, il portiere, mi passa la palla, vedo Troja tutto solo nella metà campo della Roma e lancio per Tano, poi ha fatto tutto il vento, il pallone rimbalza nell’area di porta e supera il portiere Ginulfi ». Dopo la rete di Ferrari ci fu il pareggio di Capello, con la gara che finì in parità. In realtà quella rete di Ferrari fu molto controversa dato che nel cercare di evitare la rete Ginulfi riuscì a smanacciare in corner il pallone, il guardialinee però segnalò il gol e l’arbitro Picasso di Chiavari concesse la rete, tra infinite polemiche durante e dopo la gara sia in televisione alla Domenica Sportiva che sui giornali, nella perfetta tradizione italiana di vivere il calcio. Presente tra gli undici della Roma anche il sandonatese Elvio Salvori. A Palermo Ferrari giocò qualche gara anche nella stagione del ritorno in serie A per poi venir ceduto nel mercato autunnale al Monza. Complessivamente in serie A ha giocato 55 volte segnando 8 reti, cinque complessivamente le stagioni con presenze in rosanero.

SERIE A 1969-70: INTER – PALERMO 2 – 0
Dalla B al Monza al ritorno in Veneto

Il ritorno in serie B al Monza lo porta nuovamente a lottare per la salvezza come a Genova, l’epilogo non sarà però favorevole dato che la differenza reti introdotta per evitare gli spareggi penalizzò il Monza:  appaiato ad altre quattro squadre fu tra le due squadre retrocesse. Ferrari giocò poi in serie C al Livorno, per due annate all’Udinese, quindi nel campionato 1975-76 giocò all’Union CS rimediando una retrocessione in quella che era la prima stagione dopo l’abbandono della presidenza di Teofilo Sanson. Proprio l’imprenditore veronese aveva acquistato l’Udinese e affiancato dal Ds Franco Dal Cin gestiva anche il Conegliano nella cui squadra Ferrari concluse la carriera da giocatore.

Dal Conegliano alla carriera da allenatore
CONEGLIANO 1977-78: in piedi sa sinistra: FERRARI (allenatore-giocatore), Borin, Franzolin, Villanova, Malesani, Lovison, Segat, Fongaro, Busatti, Pradella, Pizzato, Da Re, Pagura, Lisotto, Nori, Soldan (allenatore). Accosciati: Meneghin, Silotto, Marcati, Rigato, Barbui, Strappa, Da Ros, Casagrande, Turchetto, Viola, massaggiatore Nardo. (foto tratta da “100 di calcio a Conegliano” Fontanelli)

Al Conegliano nel campionato di serie D 1977-78 Ferrari assunse il doppio ruolo di allenatore-giocatore affiancando Narciso Soldan. Una stagione che vide il Conegliano ottenere la promozione in serie C2 e che fu per Ferrari anche l’occasione per giocare allo Stadio Zanutto per un’ultima volta da protagonista. In quel 2 aprile 1978 il Conegliano vinse sul campo del San Donà per 3-0 e Enzo Ferrari segnò la prima delle tre reti gialloblu. Nel 1978-79 guidò come allenatore il Conegliano anche in serie C2 con una formazione molto giovane e sono proprio i giovani che caratterizzarono l’inizio carriera del Ferrari allenatore. Molti di questi passarono con lo stesso Ferrari all’Udinese quando assunse il ruolo di allenatore della Primavera bianconera nella stagione 1979-80 arrivando ai vertici della propria categoria.

Il debutto all’Udinese come allenatore di Serie A
UDINESE PRIMAVERA CAMPIONE D’ITALIA 1980-81: In piedi da sinistra: Miano, Cinello, Maritozzi, Macuglia, Cossaro, Borin, Trombetta, Gerolin, Papais, Koetting, Dominissini. (foto tratta da “Almanacco Udinese Calcio” Schiavinello-Fontanelli)

La stagione 1980-81 segnò la svolta nella nuova carriera di Ferrari.  Dopo appena tre giornate venne esonerato l’allenatore Marino Perani con Ferrari che sedette sulla panchina bianconera nella gara del 5 ottobre contro la Fiorentina (0-0). Fu poi Gustavo Giagnoni ad essere designato alla guida della prima squadra. Ferrari tornò ad occuparsi di quella squadra Primavera che di lì a pochi mesi ebbe modo di conquistare lo scudetto di categoria. Ma prima vi fu l’esonero anche di Giagnoni. Con l’Udinese al penultimo posto Ferrari venne richiamato in prima squadra debuttando nuovamente nella gara contro la Pistoiese del 15 febbraio (1-0). L’allenatore sandonatese non lasciò più la panchina della prima squadra riuscendo a portare alla salvezza i bianconeri con un finale da brividi. In quel 24 maggio l’Udinese riuscì a sconfiggere in casa il Napoli per 2-1 grazie ad una rete all’87’ di uno dei suoi “ragazzi” lanciati dalla Primavera in prima squadra, lo jesolano Manuel Gerolin. Quella vittoria permise ai bianconeri di affiancare altre quattro squadre al terzultimo posto, con Pistoiese e Perugia venne retrocesso il Brescia per la peggior differenza reti.

Enzo Ferrari ritrova il suo compagno Franco Causio

Nell’estate Teofilo Sanson cedette l’Udinese a Lamberto Mazza, patron della Zanussi, e questi confermò Ferrari sulla panchina bianconera. L’Udinese venne rinforzata con Muraro dall’Inter, Orlando dal Vasco da Gama, Orazi dal Catanzaro e con Franco Causio, ex compagno di squadra di Ferrari al Palermo, che all’epoca faticava a trovare spazio nella Juventus di Trapattoni. Causio in quel di Udine trovò una seconda giovinezza tanto da riconquistare una convocazione in nazionale che lo porterà sino a quegli epici Mondiali di Spagna che seppur non da protagonista lo videro conquistare il titolo mondiale. Con non poca fatica Enzo Ferrari riuscì a centrare anche in questa stagione la salvezza per la sua Udinese. Si colloca all’inizio dell’annata 1982-83 l’intervista che Gianni Mura fece ad Enzo Ferrari per l’Intrepido, parte integrante di questa nostra storia e che dà i contorni della carriera di allenatore che Ferrari stava iniziando ad intraprendere:

L’allenatore dell’Udinese si chiama come il mago di Maranello

Enzo Ferrari famoso prima di esserlo

di Gianni Mura

Non è uno che dice tante cose, è uno che ha tante cose da dire. Questa era stata la mia prima impressione su Enzo Ferrari, arrivato circa un anno fa alla panchina dell’Udinese. Nome e cognome erano già famosi per via del grande Vecchio di Maranello. Ma il Ferrari del calcio era da scoprire. Sembra uno zingaro, ha fatto lo zingaro da calciatore girando l’Italia per quanto è lunga. Anche adesso, è l’unico allenatore di A che fa il pendolare: 150 km al giorno fra San Donà di Piave dove è nato e abita e Udine. « Vado a nafta costa meno. » precisa. E’ anche l’unico a dipingere, quando può. Qualche suo amico pittore di Udine, come Celiberti e Borta, insiste perché si decida ad allestire una “personale”, ma Ferrari fa il sordo. Ho visto i suoi quadri, non c’è da inginocchiarsi per l’ammirazione ma, per un dilettante, davvero niente male. Gli influssi più evidenti sono di De Pisis, poi Ferrari dichiara i suoi amori: « il Guardì, tutti gli impressionisti classici, Carrà, Sironi, Rossi ». Non li vende, semmai li regala.

ENZO FERRARI (figurina Guerin Sportivo)

Strana casa quella di Ferrari. Regolare nella famiglia, tutta simpatica: la moglie Anna, i figli Marco e Laura (15 e 13 anni); irregolare, sorprendente per la totale assenza di fotografie, maglie, medaglie, targhe, cimeli, nulla sui mobili e sui muri indica che ci abita uno che ha giocato vent’anni al calcio. Come se non esistesse il passato.

« Esiste dentro di me, – dice lui – e non vedevo il bisogno di trasformare un appartamento in un museo.Tra l’altro ho cambiato tante maglie che questo spazio non basterebbe ».

Vediamole in rassegna, queste maglie, insieme agli allenatori che Ferrari ha avuto. Calcaterra, Perissinotto, Ballacci e Tognon (San Donà), Zattoni (Forlì), Mucci e Lerici (Arezzo), Fongaro e Campatelli (Genoa), Di Bella, De Grandi e Pinardi (Palermo), Viviani (Monza), Gb. Fabbri e Zecchini (Livorno), Manente, Galeone, Comuzzi. Rosa (Udinese), Flaborea e Beraldo (Clodiasottomarina), Soldan (Coneglianese). Due di questi tecnici sono tra i “maestri” di Ferrari: Lerici per la tattica, GB Fabbri per le idee sul calcio, tutti avanti tutti indietro, come piace a Ferrari. « Se GB fosse alla Juve vincerebbe lo scudetto 8 anni di fila. Non importa se a Cesena l’hanno silurato, non cambio idea: con lui Boldini era meglio di Cabrini ». Si commuove parlando di paròn Rocco, manca a lui come a tutti quelli che l’hanno conosciuto: « Il paròn è stato tra i primi a capire l’importanza della psicologia. Non si può essere solo tecnici. “Chi no xe omo, resti sul pullman”, diceva ogni domenica Nereo, sdrammatizzando l’ambiente. Ecco noi lottiamo ancora contro la paura. Troppi miei colleghi in settimana preparano le partite in un modo che se li vedono al Pentagono diventano rossi di vergogna. Okay, c’è anche la tattica, ma prima ci sono i ragazzi, i loro problemi aggravati dal fatto che in Italia non li si aiuta a crescere. All’estero, a 20 anni sono già adulti, qui magari giocano in nazionale e sono bambocci, manca solo che ti chiedano il permesso di andare al gabinetto… ».

Da sinistra: FERRARI, Edinho, Causio (foto tratta dall’Intrepido)

Sarà, ma da cosa dipende?  « Dalla paura dell’ambiente, allenatore per primo che li contagia. Più facile che ai ragazzini si insegnino i trucchetti per perdere tempo, i finti infortuni, i palloni buttati in tribuna, che non ha giocare sul serio. Perché il ragionamento dell’allenatore è questo: prima o poi mi cacciano, dunque devo adeguarmi all’avversario. Io non lo accetto. lo rovescio questo ragionamento. Siccome nessun allenatore, che mi risulti, è mai morto di fame, io voglio che gli altri si adeguino alla mia squadra. Tanto, prima o poi mi cacciano, almeno provo a cambiare mentalità in senso positivo. Così non vedrete mai l’Udinese che fa la trincea ai limiti dell’area, semmai molto più avanti. A Torino con la Juventus abbiamo perso 0-1, costruendo sei palle gol. Dico questo: chiaro che preferisco vincere, ma ci sto anche a perdere, a patto che i ragazzi diano tutto. Io non mi scandalizzo se un giocatore prende 100 milioni l’anno, mi arrabbio se non si rende conto di cosa significa, di che doveri comporta. Mio padre m’ha insegnato che lo sport è gioia, ma anche sacrificio, anche responsabilità ».

Enzo Ferrari (foto tratta dall’Intrepido)

Il padre Gino torna spesso nei discorsi di Ferrari. « E’ il primo dei miei tifosi. Da giovane ha fatto corsa campestre, mezzofondo, le cose che costavano meno. Perché in casa lavorava solo lui, operaio in una fabbrica di secchi di juta, e poi per arrotondare faceva il tappezziere, noi eravamo sei fratelli. Io mi sono diplomato perito chimico, perché allora il futuro sembrava a Porto Marghera. Il mio sogno era di diventare ciclista professionista. Ero tesserato all’U.C. Turchetto Basso Piave, la società da cui è uscito Moreno Argentin. Ho vinto qualche corsa da allievo con avversari come il povero Schiavon (che fine, meschina: schiacciato dai trattore!) e Gregori, che adesso è il CT dei dilettanti azzurri. Ero mica male in salita e buono sul passo e in volata. Ho smesso perché la bici era un lusso, i tubolari costavano un occhio, mi sembrava immorale chiedere soldi in casa. Così son passato sui campi di calcio. Questa è zona buona: Bedin, Salvori, Maschietto, Cereser, Carlini, Gardiman… Sono rimasto appassionato di bici e tengo a Hinault. Nel calcio, vorrei essere come lui: attaccare prima di essere attaccato ».

Nel calcio partendo come ala, ha vestito tutte le maglie meno quella del portiere e del libero. Detiene il record del gol segnato da più lontano (col Palermo all’Olimpico da 70 m): « Volevo lanciare Troja, la tramontana ha preso il pallone e l’ha portato dietro Ginulfi ».  Confessa di aver segnato anche da brillo: « Diciamo allegretto, non proprio ubriaco. C’era un’amichevole con l’Inter a Fontanafredda, io non la dovevo giocare e avevo bevuto qualche bicchiere di Picolit, la mia passione. Negli spogliatoi m’han detto di cambiarmi …Corner per noi al primo minuto: vedo che Bordon dormicchia e dalla bandierina gli taglio dentro la palla, gol. Poi ho chiesto la sostituzione… ».

La famiglia Ferrari (immagine tratta dal Guerin Sportivo, giugno 1984)

E’ molto esperto di vini, Ferrari. In un certo periodo ha fatto anche il rappresentante di spumanti e quando giocava a Palermo (e suo compagno di camera era un giovane leccese, un certo Causio) faceva il piazzista di pellicce. « Noi veneti siamo i giapponesi d’Italia » ama ripetere. E’ esperto anche di legnami avendo lavorato in una fabbrica di avvolgibili, insomma è uno con cui si può stare qualche ora senza parlare di calcio. (Credetemi, col mister non succede quasi mai). Ha vissuto il calcio della provincia, mai sugli altari e difende i grandi talenti incompresi:  « Tutti dicono: il grande Cagliari di Riva. Grandissimo Gigi, d’accordo, ma chi faceva tornare i conti era Greatti… E gente come Vendrame, Inferrera, Fava, vogliamo dire che sono stati grandi campioni rovinati da allenatori che al posto del cervello e del cuore avevano un compasso? Il calcio italiano deve riscoprire la fantasia. Non tutti fantasisti, sennò è l’anarchia, ma qualcuno sì. Per questo io sono sempre stato milanista dai tempi di Gre-No-Li fino all’ultimo Rivera.

Si torna sui quadri: « Vorrei aver più tempo per fare ritratti ai vecchi delle mie parti, contadini, carrettieri, stradini, che hanno tutta la vita scritta in faccia, l’amarezza e la dignità del vivere. Ma se avessi più tempo vorrebbe dire che sono a spasso, allora non mi lamento. Ho passato un brutto momento all’inizio, solo un punto in quattro partite. Con una squadra molto rinnovata, qualche incidente di troppo, era inevitabile. Mi ha ha difeso il presidente Mazza, un manager che il calcio italiano farebbe bene a non perdere. “Si valuta alla fine del lavoro, non all’inizio” ha detto lui senza mai entrare nei dettagli tecnici. In effetti l’Udinese è l’unica squadra non sponsorizzata in serie A, perché fa parte della Zanussi. I bilanci a fine campionato. Dunque. Sono fiducioso fin qui abbiamo raccolto tanti elogi e pochi punti, ora è tempo di raccogliere tanti elogi e tanti punti. Con un Causio così non sarà difficile ».

L’Udinese si fa grande

Con l’arrivo di Edinho e Virdis l’Udinese nell’annata 1982-83 migliorò ancor di più la qualità del suo organico e nonostante i tanti pareggi, arrivò sesta a soli due punti dalla qualificazione per la Coppa Uefa. Il vero salto di qualità i bianconeri cercarono di farlo l’anno dopo quando approdò in Friuli Arthur Antunes Coimbra detto Zico e come d’incanto gli abbonamenti toccarono la soglia record delle ventiseimila tessere facendo dell’Udinese un vero fenomeno nazionale. Nonostante le 19 reti di Zico e le 10 di Virdis e un nono posto che sembrava peggiorare il piazzamento della stagione precedente, i bianconeri mancarono ancora di soli tre punti la qualificazione alla coppa Uefa dopo un campionato giocato per la gran parte in posizioni decisamente migliori. La delusione fu forte e non priva di polemiche, al termine della stagione Causio passò all’Inter, Virdis al Milan, mentre Zico rimase, non Enzo Ferrari che dopo 104 panchine in serie A si congedò da Udine. La squadra bianconera nel frattempo si era già accordata con l’allenatore Luis Vinicio.

UDINESE 1983-84: in piedi: Virdis, Pradella, Cattaneo, Brini, FERRARI (allenatore), Borin, Edinho, Miano, Mauro; seduti: Galparoli, Tesser, Marchetti, Pancheri, Causio, Gerolin, Urban, De Agostini, Dominissini, Zico.
L’esperienza all’estero
Enzo Ferrari al Real Saragozza

L’eco delle imprese di Udine e il suo esser stato l’allenatore di Zico, portò Ferrari ad intraprendere una stagione all’estero. Si trasferì al Saragozza nella Liga spagnola. « Volevano un tecnico reputatissimo, hanno contattato Eriksson e Michels e hanno pure contattato Castagner. E’ stato Pardo, l’agente di Surjak… Pardo mi conosceva e chiaramente mi apprezzava…ha fatto il nome mio e subito io e quelli del Saragozza ci siamo piaciuti. Vogliono fare una squadra da Uefa, vogliono un pò risalire la corrente». – così in due interviste al Guerin Sportivo il Ferrari prima e dopo l’esperienza spagnola – « Tecnicamente e anche fisicamente il livello si può definire pari al nostro, anche se ci sono meno fuoriclasse, a causa della crisi. D’altronde è un calcio che si porta dietro problemi organizzativi enormi ». Se l’Italia poteva godersi la vittoria mondiale e i suoi campioni stranieri, la Spagna poteva vantare un Real Madrid che vinse la coppa Uefa alla fine di quella stagione. Nonostante le complicazioni avute al Saragozza Ferrari riuscì a cogliere importanti soddisfazioni in terra iberica. Il Saragozza, privato dei giocatori Valdano e Salva, in campionato non migliorò i piazzamenti precedenti, ma Ferrari riuscì a portare la squadra spagnola alla semifinale di Coppa del Re, riuscendo a sconfiggere in campionato a Madrid sia l’Atletico che il Real. Ferrari fu il primo allenatore italiano a sconfiggere il Real al Santiago Bernabeu, nel 1962 in Coppa Campioni ci era riuscito Carlo Parola con la Juventus ma in realtà in quel caso i bianconeri avevano il ceco Korostelev come direttore tecnico. In quel 15 febbraio 1985 il Saragozza vinse con il Real Madrid in rimonta, nonostante i blanco vantassero campioni del calibro dell’ex Valdano, di Stilike, Camacho, Santillana e di un giovane Butragueno che, come detto, poi trionfarono in Coppa Uefa.

Ferrari e la Spagna

Così commentò la sua esperienza in Spagna Enzo Ferrari l’anno dopo sulle pagine del Guerin Sportivo: « Volli dimostrare, prima di tutto a me stesso, di essere in grado di allenare ad un certo livello. Credo di esserci pienamente riuscito. Volevo cominciare un ciclo, c’erano tutti i presupposti, poi molte cose non sono andate per il verso giusto. Abbiamo perso, per un cavillo federale, il libero della nazionale Salva, che è andato al Barcellona, abbiamo avuto problemi con Surjak, abbiamo perso due presidenti e i nuovi arrivati hanno ridimensionato tutto quanto. Ci siamo ritrovati anche in un momento difficile, a un certo punto del torneo: ebbene, lo abbiamo superato e a gioco lungo, quando finalmente sono riuscito a fare andare le cose come volevo io, ci siamo tolti non poche soddisfazioni ».

Il ritorno in Italia a Trieste
TRIESTINA 1985-86: In piedi: l’allenatore FERRARI, Baici, Braghin, Gandini, Bistazzoni, Attruia, Bagnato, Cerone, l’allenatore Burlando. In mezzo: Zanin, Scaglia, Orlando, Costantini, Cinello, Poletto, Salvadè. Seduti a terra: massaggiatore Evangelisti, Chiarenza, Dal Prà, Strappa, Di Giovanni, De Falco, Romano, massaggiatore Maffi.

Chiusa l’esperienza spagnola per Ferrari si aprì un nuovo importante capitolo a Trieste. Gli alabardati avevano appena perso per poco la promozione in serie A e Ferrari venne chiamato a sostituire Massimo Giacomini. In quella serie B 1985-86 la Triestina rimase a lottare nell’alta classifica sino alla fine quando il campionato venne segnato dall’ennesimo scandalo che procurò punti di penalizzazione importanti. Il Vicenza perse la promozione in serie A e quando sembrava che Empoli e Triestina fossero costrette ad uno spareggio per la promozione in serie A, ecco arrivare una penalizzazione anche per la Triestina. Una sanzione che privò gli alabardati di un possibile spareggio per la serie A e che portò ulteriori quattro punti di penalizzazione anche nella stagione successiva quando nonostante Franco Causio avesse raggiunto Ferrari a Trieste, gli alabardati non andarono oltre una meta classifica. Peggio andò nella terza stagione quando la coda delle inchieste portò ad una nuova penalizzazione per i rosso alabardati di cinque punti, risultata poi fatale alla Triestina che non andò oltre un diciannovesimo posto, con la salvezza a tre punti si concretizzò la retrocessione in serie C1.

Le infinite destinazioni del mestiere di allenatore
Enzo Ferrari (immagine Guerin Sportivo 1986)

Nel 1987 ad Avellino Ferrari subì il primo esonero, una pratica sempre più utilizzata dalle società tanto che lo stesso allenatore sandonatese successivamente subentrò più volte a campionato in corso come anche fu sostituito. L’allenatore esonerato mantiene il contratto in essere con la società ma al tempo stesso non può essere ingaggiato nella stagione in corso da un altra squadra e ai tempi di quell’esonero, come ricordò Ferrari in una intervista alla Gazzetta dello Sport del 2008, non si poteva nemmeno andare ad allenare all’estero. « È l’88-89, vengo esonerato dall’Avellino in C (ero al quarto posto!) e mi chiama il Siviglia. Per un’assurda regola cambiata l’anno dopo anche per la mia battaglia, non posso allenare all’estero perché ho iniziato la stagione in Italia. Al Siviglia arrivò Bilardo e aprì un ciclo ». L’anno dopo allenò per un periodo il Padova in serie B, quindi nel 1989-90 la stagione al Palermo in serie C dove sostituì dopo poche giornate Francesco Liguori riuscendo a riportare i rosanero in serie B grazie ad un ottimo secondo posto, oltre che a disputare la finale di Coppa Italia di serie C con il Monza, poi persa. Iniziò a Palermo anche la stagione successiva in serie B ma venne esonerato dopo poche giornate, gli subentrò Gianni Di Marzio. Vi fu poi il biennio alla Reggina in serie C1 dove nella seconda stagione dopo un ottimo secondo posto la Reggina venne eliminata nel doppio confronto dei play-off dalla Juve Stabia solo ai tempi supplementari.

L’ultima panchina in serie A alla Reggiana
FERRARI all’esordio sulla panchina della Reggiana il 6 novembre 1994, Reggiana-Lazio 0-0)

Nel 1994 Franco Dal Cin chiama Enzo Ferrari alla Reggiana allora in serie A, con il dirigente granata aveva già lavorato al Conegliano e all’Udinese. Subentrato a campionato in corso a Giuseppe Marchioro non riuscì a portare alla salvezza la Reggiana, a situazione oramai compromessa lasciò la panchina a tre gare dalla fine. Ripartì dalla serie C allenando per due stagioni l’Alessandria, per una la Juve Stabia, quindi nella stagione 1998-99 subentrò a Cacciatori sulla panchina dell’Ascoli. Con i bianconeri nella prima annata sfiorò i play-off, mentre nella seconda dopo esser giunto terzo sfidò nella finale l’Ancona che era arrivata seconda. Una gara interminabile che al termine del primo tempo supplementare vide l’Ascoli passare in vantaggio con Edy Baggio, poi la beffa più terribile per la squadra di Ferrari arrivò a due minuti dal centoventesimo minuto con la rete dell’anconetano Ventura a decretare la promozione dell’Ancona. Nella terza stagione ad Ascoli venne sostituito dopo poche giornate da Gianni Simonelli. Ferrari chiuse la carriera di allenatore all’Arezzo, subentrando a campionato in corso ma venendo poi sostituito dopo una quindicina di gare da Mario Colautti, che già in precedenza gli era subentrato ai tempi del Padova.

Fedele ai suoi dettami raccontati nell’intervista a Gianni Mura ha vissuto una carriera da allenatore senza sconti, vivendo pienamente le variabili del calcio sia a livello sportivo che in quello rappresentato dalle più diverse realtà dirigenziali.

prom.: promosso; retr.: retrocesso; p.offp: play-off persi
Enzo Ferrari nelle figurine Panini, nella stagione 1970-71 non era stato incluso nelle 12 figurine dedicate al Palermo

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino

La copertina del libro “Angelo Cereser, una vita in Trincea”

Negli anni Sessanta a San Donà di Piave e nel suo circondario ci fu un proliferare di giovani promesse che poi videro la loro carriera concretizzarsi nelle maggiori squadre di serie A. Era già accaduto nel decennio precedente, come d’incanto si apre una via e uno alla volta questi giovani giocatori hanno la bravura e spesso la fortuna di approdare in società che poi ne decretano il successo. Uno di questi è stato Angelo Cereser e di lui parla un bel libro di Paolo Ferrero uscito nel 2019 che ha il grande pregio di avere una ricca dotazione fotografica del suo periodo granata. Del Cereser che muove i primi passi nella San Donà a cavallo degli anni Sessanta vi è un capitolo che inseriamo nella sua interezza, ovviamente l’oratorio salesiano di cui si parla non può essere che l’Oratorio Don Bosco cittadino.

Tratto dal libro « Angelo Cereser, una vita in “Trincea” » (di Paolo Ferrero in collaborazione con Toro Club Valcerrina granata “Angelo Cereser”, Bradipo Libri, 2019)

” Ciao San Donà “
Giovanile del San Donà – In piedi:  dirigente Zanutto, Bona, CERESER, Moretto, Gerotto, Paro, Cola, Salvori, avvocato Davanzo
Accosciati: Montagner, Iseppi, Pacifici, Pegorer, Socrate Brollo, Battistella

« La mia non è stata un’infanzia facile. Sono nato a Eraclea, un comune della città metropolitana di Venezia, affacciato sul golfo veneto. Per l’esattezza sono di Cittanova, una piccola frazione del paese. Ho perso il papà quando avevo solo due anni. La mamma, allora, per tirare a campare aveva aperto un negozietto di maglieria a San Donà di Piave e lì eravamo andati ad abitare. Studiavo all’istituto chimico, di pomeriggio ripassavo le lezioni e poi andavo in bicicletta in centro a comperare per la mamma. Ironia della sorte, il mio professore di chimica era Paolo Casarin, il futuro arbitro internazionale, che tante volte ho incontrato sul campo. Di questo, sia io che lui, abbiamo sempre taciuto, per non creare facili illazioni. »  

Terra veneta, terra di uomini tosti, di infaticabili lavoratori, ostinatamente rivolti a combattere contro le zone paludose della laguna. Una vita semplice nel quale il pallone riempie ad Angelo i pochi spazi lasciati per il divertimento. Nel mondo, se non fossero esistiti gli oratori, il calcio avrebbe avuto molti meno campioni. Tra preghiere, messe, canti e feste, il pallone ha sempre trovato lo spazio su quei campetti di periferia straboccanti di entusiasmo e di speranze, stretti tra palazzoni di edilizia popolare, tutti uguali tra di loro. Il ragazzo gioca e sogna e a volte ce la fa. Sarà il più bravo, anche se spesso la bravura non basta; ci vuole disciplina, determinazione, costanza. Angelo ha quattordici anni e gioca come portiere nella squadretta dell’oratorio salesiano di Cittanova. La sua casa è lì a due passi, si salta un muretto ed è fatta. A correre in campo spesso senza scarpette per non consumarle, c’è anche Gianfranco Bedin, futuro mediano dell’Inter del mago Herrera, un anno di età in meno e, come lui, razza Piave doc. Angelo ha il fisico adatto e anche una sana dose di incoscienza per quel ruolo. Il parroco don Giacomo stravede per quel ragazzo, educato, riservato, rispettoso, sempre premuroso con tutti. E poi non manca mai alla santa messa. Capita un giorno che in una uscita a terra molto coraggiosa su un attaccante lanciato a rete riporti un trauma cranico e quattro punti di sutura in fronte. E’ quello il suo “sliding doors” della vita: « In quel momento – racconta Cereser su Alè Toro – il pensiero dominante in me, più del dolore della ferita, era rivolto alla mia mamma, che già altre volte mi aveva bonariamente rimproverato affinchè smettessi di giocare. Non sapendo come giustificarmi pensai di chiedere protezione a don Giacomo, che tra l’altro giocava al pallore ed era un grintoso centravanti e che mi era stato vicino mentre mi medicavano. Con il suo aiuto riuscii a convincere la mamma che era stato un incidente di percorso, ma quando si trattò di decidere se continuare a giocare o smettere, dovetti accettare un compromesso: non avrei più giocato quale portiere, ma in un altro ruolo meno pericoloso; scelsi comunque, per non allontanarmi troppo dalla porta, quello di difensore, terzino e centromediano »

Rappresentativa giovanile – In piedi: dirigente Arnaldo Silvestri, avvocato Davanzo, CERESER, Brollo, Storto, Ferrari, Salvori
Accosciati: Ronchi, Muffato, Bedin, Isoni, Lazzarini, Armellin

E anche in quel ruolo i risultati si vedono subito, tanto da far attirare l’attenzione, dopo un paio di partite ad alto livello, ai dirigenti della gloriosa società veneta del San Donà di Piave. Il passaggio è presto stabilito: per poche migliaia di lire che vanno a finire nelle povere casse dell’oratorio, Angelo va a giocare in biancoceleste. Sono quelli gli anni della rinascita sportiva del calcio sandonatese che veleggia fra alterne fortune tra Promozione e serie D. Si sta costruendo una buona squadra, dando molta importanza al vivaio: Cereser è uno dei tanti giovani sfornati da quella società sotto l’attenta guida di Giovanni “Nani” Perissinotto, bandiera storica, con un passato glorioso di attaccante del secondo dopoguerra nelle fila di Roma e Udinese, dove era stato anche il primo goleador della squadra in serie A. Era una punta velocissima, imprevedibile, molto versatile. Al San Donà, nel doppio ruolo di allenatore e giocatore, Perissinotto vinse per due anni consecutivi il campionato, riuscendo ad approdare il serie D per poi chiudere la carriera a 38 anni. Ma il vero artefice della crescita calcistica di Angelo è Omero Tognon, veneto anche lui, antico centromediano del Milan di Schiaffino che, terminato di giocare, è diventato allenatore del San Donà, E’ una fortuna per un ragazzo di 16 anni avere come maestro un campione che ha giocato nello stesso ruolo con il quale si cimenta; consigli e incoraggiamenti sono profusi in gran quantità, basta solo carpirli e farne buon uso. Nel San Donà, Angelo gioca una dozzina di partite, due nella stagione 1960-61 e dieci nella stagione 1961-62 per l’esattezza. Assieme ad Angelo prendono la via del calcio che conta anche Elvio Salvori, mediano di grande corsa con futuro anche in lui in giallorosso ed Enzo Ferrari, potente ala sinistra che giocherà in molte squadre di serie A prima di intraprendere una brillante carriera di allenatore.

San Donà 1960-61 – In piedi: Salvadoretti, Socrate Brollo, Bonazza, Ferrari, Beffagna, Muffato, Zanutto, – Gianni Brollo, CERESER, Dal Ben, Maschietto. Accosciati: Susin, Tommasella, Guerrato, Trevisan, Salvori, Tonon, Giovanni Perissinotto

Si è agli inizi degli anni Sessanta. L’Italia sta vivendo il boom economico. E’ un bel periodo quello: i Giochi olimpici disputati a Roma hanno fatto vedere al mondo che l’Italia ci sa fare. La gente ha voglia di divertirsi e di trasgredire. Si balla il rock’n’roll, si impazzisce per Elvis Presley e si rimane estasiati di fronte alla bellezza e alla eleganza di Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”. E intanto incomincia la conquista dello spazio: Yuri Gagarin diventa il primo uomo a volare negli spazi siderali portando con successo a termine la sua missione. Il Torino, intanto, è in giro per l’Italia in cerca di talenti. E non solo per l’Italia: da lì a poco sarebbe arrivata dall’Inghilterra la giovane coppia di attaccanti Denis Law e Joe Baker, tanto talentuosi (il primo) e potenti (il secondo) sul campo, quanto incostanti e trasgressivi nella vita. Sotto la Mole sarebbero rimasti solo un anno, per poi ritornare in patria a conquistare allori e gloria, ma in quell’anno, anche se solo a tratti, si vide un gran bel calcio al Comunale. Per ben quattro volte la società granata manda Cesare Nay a visionare il ragazzo. Nay ha giocato per cinque stagioni nel Toro del post Superga come sentromediano terminando poi la carriera sulla sponda opposta della Juve. E’ cresciuto nel vivaio granata e conosce alla perfezione chi sono i giocatori adatti per giocare al Filadelfia. « Mi avevano avvertito – racconta ancora Cereser – che ogni tanto veniva sin da Torino un tecnico per controllarmi, ma io non lo conoscevo. Ricordo una volta, nel bel mezzo di una partita importante, il pallone era nell’area di rigore avversaria; mi giro verso la tribuna e vedo il presidente della società parlottare con un distinto signore. Immagino subito che si tratti di quell’osservatore. Mi viene la tremarella, rimango fermo impalato a guardare i due che continuano a parlare, e non mi accorgo che la mia ala da marcare, ricevuto il pallone, mi sta scartando e se ne va in gol. Fortuna che il portiere ci mette una pezza, altrimenti non mi sarei mai perdonato tanta leggerezza in un momento così delicato ed importante. »

CERESER nella foto di copertina di un Alè Tori del 1973

E’ comunque fatta. Al termine dell’incontro Angelo viene chiamato in direzione dove gli viene presentato il signor Nay (era proprio lui) e comunicato l’avvenuto passaggio in maglia granata. « Ricordo che divenni rosso come un gambero, non sapevo cosa fare, se ringraziare, se sorridere, l’unica cosa che uscì di bocca, e adesso giudico un po’ banale, ma in quel momento non ne trovai altra, fu: viva il Toro! »  Fa tenerezza pensare ad Angelo Cereser di tanti anni fa, ragazzo timido ed impacciato e confrontarlo con l’uomo di adesso sempre sicuro di sé, ironico, mattatore di ogni serata al “suo” Toro club.

« Io sono arrivato qui nel 1962, non avevo ancora 18 anni. Ero figlio unico, senza genitori (la madre era rimasta a San Donà). Per me è stata una storia di vita, non solo di calcio » ci racconta Angelo. « Andavo a fare colazione con il custode alle 9 di mattina, perchè non avevo una famiglia. Noi ragazzi si veniva qua in pullman, in tram, a piedi, si faceva riferimento al Filadelfia e alle persone a esso collegate. Una seconda casa? Per me il Fila è stata la prima casa. » …. così inizia il capitolo successivo quello che vedrà Cereser crescere in tutti i sensi nella Torino granata.

Quei primi anni raccontati dallo stesso CERESER
I primi anni granata di CERESER nelle figurine Panini
I primi anni granata di CERESER nelle figurine non Panini

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A

Gli anni cinquanta furono un periodo particolare per il calcio sandonatese, dai fasti della Serie C ai campionati regionali il passo fu breve e le difficoltà finanziarie immense. Eppure dal vivaio sandonatese uscirono dei giocatori promettentissimi capaci di arrivare sino alla serie A. Uno di questi fu Bruno Visentin. In breve la sua carriera e l’intervista che nel 1974 gli fece il giornalista Gianfranco Bedin per il periodico “Il Piave”.

Gli inizi al San Donà e il trasferimento al Venezia
San Donà 1953-54 Campionato di Promozione
In piedi: massaggiatore Paludetto, Guerrato, VISENTIN, Mion, Calcaterra, Iseppi, Zanon, l’allenatore Depità: Accosciati: Rossetto, Bortoletto, Dolce, Lotto, Zanon

Nella prima annata dopo la Serie C il San Donà si ritrovò a giocare in IV Serie, un campionato interregionale che poco si addiceva alle allora magre finanze sandonatesi, si puntò per cui su una formazione giovane, tra questi anche il diciasettenne Visentin che debuttò in IV serie il 22 marzo 1953 in Legnago-San Donà (2-0). Nei due anni successivi consolidò le sue qualità nella formazione sandonatese militante in Promozione. Grazie ad un accordo con il Venezia in base al quale i migliori giovani sandonatesi approdavano poi alle giovanili neroverdi anche Visentin si trasferì in laguna al termine della stagione 1954-55. Non riùscì a debuttare nella prima squadra del Venezia allora militante in serie C e l’imminenza del militare lo portò presto lontano.

Le prime esperienze in Serie C

Giocò dapprima in IV Serie con i calabresi del Nicastro, quindi al Trapani. Con la squadra siciliana nelle prime due annate giocò poco a causa proprio del servizio militare ma ebbe comunque modo di debuttare in Serie C. Terminato il militare rimase al Trapani un’altra annata. Nel 1960 si trasferì dapprima al Pescara, quindi a novembre passò al Siena.

Con il Bari arriva il debutto in serie A
BARI 1963-1964 (Serie A): In piedi da sinistra: VISENTIN, Magnaghi, Panara, Buccione, Catalano: Accosciati: Ghizzardi, Gianmarinaro, Baccari, Carrano, Galletti, Rossi

Nella stagione 1961-62 il passo decisivo nella sua carriera avvenne con il trasferimento al Bari. Un’ascesa continua che lo vide prima debuttare in serie B, quindi ottenere la promozione nella massima serie nel 1962-63 quando il Bari allenato da Pietro Magni arrivò al secondo posto a pari merito con la Lazio, dietro la sorpresa Messina. Nel 1963-64 Bruno Visentin debuttò in serie A il 25 settembre 1963 in Juventus-Bari (4-0), una stagione travagliata per i baresi che alla fine retrocessero. Visentin disputò 29 gare con 1 rete segnata (in Modena-Bari 1-1) .

Nel Cagliari di Silvestri e Riva il punto più alto della sua carriera
CAGLIARI 1964-1965: In piedi da sinistra: Nenè, Longo, Spinosi, Gallardo, Riva, VISENTIN; Accosciati: Colombo, Tiddia, Cera, Martiradonna, Greatti
La prima di cinque parti del racconto della Storia del Cagliari che arriverà allo scudetto, tra i protagonisti nei primi anni anche Visentin

Nel 1964 passò al Cagliari, squadra allenata da Arturo Silvestri e neopromossa in serie A. Proprio Silvestri lo volle al Cagliari in quella che sarà la prima stagione in serie A nella storia dei rossoblu sardi. Visentin giocò due campionati da titolare con la maglia cagliaritana, poi con Silvestri che passò al Milan e l’arrivo di Scopigno, Visentin giocò decisamente meno. E’ però una squadra sarda in evoluzione e nella quale si stanno gettando le basi per quella che nel 1970 porterà il Cagliari a festeggiare uno storico scudetto, e con molti di quei vincenti protagonisti Visentin ebbe modo di giocare. Nel 1967 terminato il campionato il Cagliari si trasferì negli Stati Uniti per partecipare a quello che sarà il primo campionato statunitense. In via straordinaria vennero ingaggiate intere squadre di ogni parte del mondo che per l’occasione indossarono le maglie di squadre americane, i cagliaritani indossarono quella dei Chicago Mustangs. Anche Visentin fu tra i partecipanti, cagliaritani che arrivarono terzi, con Boninsegna capocannoniere.

L’esperienza al Padova e il ritorno a San Donà

Nel campionato 1967-68 Visentin si avvicinò a casa passando al Padova in serie B. Dopo un buon primo campionato, nella seconda stagione disputò poche gare meditando il ritiro. Pur tuttavia nel 1969 accettò la proposta del presidente Mucelli e divenne un giocatore del San Donà per quella che sarà la sua ultima annata da calciatore. In totale sono state 85 le sue presenze in Serie A (5 reti), 90 in serie B (6 reti), mentre con il San Donà ha giocato 59 gare segnando 15 reti.

La breve esperienza da allenatore

Come allenatore nella stagione 1972-73 ebbe modo di sedere sulla panchina biancoceleste subentrando a campionato in corso a Sergio Manente, esperienza che durò solo poche gare prima che venisse richiamato Manente. In precedenza da allenatore aveva portato al massimo campionato regionale prima la Miranese e poi lo Spinea. Nel 1973-74 divenne l’allenatore dello Jesolo guidando i nerazzurri in ottobre nelle finali del torneo anglo italiano Coppa Ottorino Barassi cui cui lo Jesolo partecipò per aver vinto la Coppa Italia Dilettanti il 1° luglio 1973 , nel novembre comunque si dimise per delle divergenze con la dirigenza.

L’intervista a “Il Piave” del 7 gennaio 1974 (Anno 7 nr. 1)

di Gianfranco Bedin

Bruno Visentin (Bari) e Elvio Salvori (Udinese)

Il nostro album dei ricordi delle vecchie glorie ci porta a conoscere un altro personaggio della nostra ricca storia calcistica: Bruno Visentin. Lo chiamavano « colombo » all’epoca della sua infanzia pedatoria per la piccola statura, ma anche per le sue doti di cursore instancabile a tutto campo. Un Benetti del calcio attuale, per capirci. Da ragazzino, come madre natura vuole, Bruno divenne poi un uomo robusto, da aspirante calciatore divenne uno dei protagonisti delle scene calcistiche nazionali, ma per gli amici è sempre « il colombo ». Visentin è molto legato alla famiglia. Sposato con la simpaticissima e « terribile » signora Franca, i suoi gioielli, come Cornelia, sono i figli Stefano e Deborah. Ma la sua grande passione, la sua seconda passione, la sua seconda famiglia è però sempre il foot-ball. Appese le scarpe al chiodo, si è dedicato al difficile mestiere di allenatore, dedicando il tempo libero alla vita….. agreste. Gioie, dolori e avvenimenti di un calciatore, Bruno Visentin li ricorda nella nosra intervista.

Quale è il ricordo più bello della tua lunga carriera calcistica? Il mio primo anno nel cagliari segnai il goal del 2 a 1 a sfavore del Milan. All’Amsicora, con quella sconfitta all’ultima giornata, il Milan perse lo scudetto che fu vinto dall’Inter.

E il più brutto ricordo? I tre anni che ho trascorso a Trapani. Causa il servizio militare non ho potuto giocare per quasi due campionati. Ho dovuto poi ricominciare tutto da capo e ciò mi è costato notevoli sacrifici. Altra delusione è stata la retrocessione del Bari nel campionato 1963-64 dalla serie A a quella cadetta.

Cosa ti ha dato il calcio nella vita? Tutto. Grosse soddisfazioni morali, mi ha reso indipendente, ma soprattutto mi ha dato la possibilità di girare il mondo. Tranne la Russia e la Cina posso dire di aver visitato quasi tutte le nazioni.

Quali sono stati i giocatori più famosi che hai avuto al tuo fianco? Gigi Riva e Roberto Boninsegna, tra quelli ancora in attività.

Parlami di Gigi Riva. Lo ricordo fortissimo nei suoi primi exploit cagliaritano. Ora rende un quarto delle sue reali possibilità perchè è costretto, a furor di popolo, a giocare al centro per fare i gol. Gli sportivi e la stampa stessa non vogliono altro da lui e questo lo danneggia. Così si spega anche l’esclusione di Boninsegna dalla Nazionale, un giocatore che reputo fortissimo: Riva è grande all’ala, Bonimba è fortissimo al centro dell’attacco.

Quali sono stati i tuoi più grandi maestri? Tommaso Maestrelli,ora allenatore della Lazio, e Arturo Silvestri, allenatore del Geonoa. Sono due tecnici che ottengono gli stessi risultati seppur usando metodi diversi: il primo con la…carota, il secondo usando il…bastone.

La tua carriera di allenatore ci sembra però avara di soddisfazioni. Non è vero perchè con la Miranese ho ottenuto la « promozione » dalla prima categoria alla promozione, con lo Spinea ho ottenuto lo stesso traguardo, dando quattordici punti di distacco alla seconda classificata, e sempre in una sola stagione. Questi risultati li ho ottenuti perchè avevo carta bianca da parte dei dirigenti delle rispettive società. Quando questi presupposti, che reputo essenziali per un allenatore, sono venuti meno, ho rassegnato le dimissioni. L’anno scorso ho collaborato con il San Donà. Quest’anno a Jesolo, pur essendo partito con una squadra in grado di vincere il campionato, mi sono trovato contro, sin dai primi allenamenti, tutti gli sportivi jesolani (ndr: abbiamo assistito anche noi nella coppa Barassi all’incivile e deprecabile linciaggio morale del tecnico) le cui insensate proteste nei miei confronti sono culminate nel duplice confronto internazionale tra lo Jesolo e il Walton.

Quale sarà il tuo futuro di allenatore? Sono deciso a continuare perchè sono innamorato del gioco del calcio, con la speranza di trovare nella mia strada dirigenti competenti che mi lascino lavorare in pace e che giudichino eventualmente il mio operato alla fine della stagione sportiva.

Come trascorri il tempo libero? Ho l’hobby della pesca ma la mia attività è rivolta principalmente ad un piccolo appezzamento di terreno che ho adibito in parte a vigneto ed in parte ad allevamento di conigli. Ho sempre vissuto all’aria aperta giocando al pallone ed ora che ho smesso voglio continuare perchè oltre che salutare è bellissimo. Sono sempre stato innamorato della natura.

BRUNO VISENTIN nelle figurine Panini

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Dall’oratorio al tetto del mondo

AMBROSIANA: In piedi: Tonon, Lucchetta, Giovannini, Cuzzolin Giancarlo, Bianchini, Modolo Dino, dirigente Rizzo, dirigente Lucon
Accosciati: Canella, Cuzzolin Giuseppe, Maschietto Adriano, Cibin, Granzotto, Rossi

Nella San Donà del secondo dopoguerra pochi erano i divertimenti e men che meno i pochi soldi che circolavano erano indirizzati ad essi. L’unico vero divertimento era il rincorrere un pallone sul campo dell’oratorio sognando di diventare un campione. Non vi erano possibilità per ammirare i propri idoli se non sfogliando dei giornali o ascoltando la radio armandosi di grande fantasia, e ben più tardi sui rari programmi sportivi della televisione dell’epoca guardata in qualche locale pubblico.

AUDAX: In piedi: Boeretto Nico, Zia Giuseppe, Battistella Bruno, Canella Francesco, Tonon Renzo, Camillo Antonio, dirigente Lucon Gino
Accosciati: Girardi Giuseppe, Maschietto Lorenzo, Maschietto Adriano, Guerrato Valerio, Mestre Gabriele, Canzian Francesco

L’oratorio dunque era quel luogo dove si giocavano infinite partite e dove si organizzavano tanti tornei di cui ancor oggi ci rimane traccia nelle tante foto in bianco e nero, dove erano ritratti ragazzi ma anche adulti che nei tanti anni indossarono le maglie di quelle squadre oratoriali. Proprio scorrendo quelle foto si possono riconoscere tanti volti noti che poi fecero carriera nel mondo del calcio, non solo nella squadra cittadina ma addirittura ebbero la fortuna e la bravura di arrivare lì dove quella loro fantasia di bambino aveva sognato, la serie A.

Francesco Canella, gli inizi sandonatesi

Tra quei volti in molte foto si riconosce un giovane Francesco Canella. Classe 1939 iniziò la sua carriera con il San Donà debuttando giovanissimo in maglia biancoceleste appena sedicenne il primo maggio 1955 in casa del Coin Mirano segnando la rete della vittoria. Era un periodo difficile per il calcio sandonatese che dopo il fasti della serie C era ritornato a militare in Promozione. Solo grazie ad un accordo con il Venezia si riuscì a far fronte ai debiti. Tre anni durante i quali i migliori giovani del Venezia venivano a fare esperienza al San Donà e i migliori elementi del San Donà passavano poi in nero verde. Canella giocò anche nel 1955-56 in biancoceleste per poi passare al Venezia.

Dall’esordio in serie B al Venezia a quello in serie A con l’Udinese

Venezia 1957-58: In piedi, da sinistra: Carlo Alberto Quario, Franco Rampazzo, Sergio Mion, Luigi Milan, Luigi Bertossi, Gianni Molinari, Dino Fragni.
Accosciati, da sinistra: Franco Frasi, Battista Tressoldi, Daniele Danieli, Bruno Cicogna, Francesco Canella.

Inizialmente aggregato alle giovanili del Venezia, rapidamente si mise in luce tanto da debuttare in quello stesso anno in serie B. In tre annate con il Venezia giocò 67 partite segnando 17 reti. Nell’estate del 1959 venne ceduto all’Udinese, squadra di serie A, con cui debuttò il 25 settembre 1959 in Udinese-Fiorentina 0-2. Era una squadra bianconera in perenne lotta per la salvezza nella massima serie, alla terza e ultima annata in maglia bianconera di Canella arrivò la retrocessione in serie B.

Francesco Canella in amichevole con l’Udinese allo stadio Verino Zanutto

Un biennio in serie A alla Fiorentina

Dopo 66 presenze e 17 reti con l’Udinese, Canella rimase nella massima serie trasferendosi alla Fiorentina. Nelle due annate in viola disputò 40 gare segnando 6 reti, raggiungendo così le cento presenze complessive in serie A. Nella seconda stagione a Firenze come già accaduto a Udine ebbe come compagno di squadra un altro sandonatese che poi si farà strada in serie A, Elvio Salvori.

Dal Messina alla grande Inter

Nell’estate 1964 viene ceduto al Messina, squadra di serie A, con cui non debuttò mai quindi nel mercato autunnale passò niente meno che all’Inter. La squadra nerazzurra l’anno prima aveva perso lo scudetto nello spareggio con il Bologna, ma era riuscita a vincere la Coppa dei Campioni e nel settembre 1964 anche la Coppa Intercontinentale. Canella arrivava in una squadra ben collaudata e nella quale stava facendo i primi passi un altro sandonatese che segnerà la storia di questo club, Gianfranco Bedin. Nemmeno il tempo di riporre le valigie che subito arrivò il debutto in una delle gare più importanti della stagione come il derby con il Milan. L’allenatore Helenio Herrera alle prese con le assenze dei titolari Corso e Milani gettò nella mischia Francesco Canella, gli esiti di quella gara non furono favorevoli con i rossoneri vincenti per 3-0.

Poco spazio nella grande Inter

In un calcio che ancora non conosceva le sostituzioni trovare spazio divenne complicato tanto più in un’Inter ai vertici italiani ed europei che vide a fine stagione la squadra di Moratti vincere lo scudetto e conquistare nuovamente la Coppa dei Campioni. In quel campionato Canella venne schierato solo in altre due occasioni, nelle gare vincenti con Lazio e Sampdoria. La stagione successiva si aprì con l’Inter che si confermò sul tetto del mondo vincendo nuovamente la Coppa Intercontinentale nel settembre 1965. In quel settembre Canella disputò la sua quarta gara con l’Inter quando i nerazzurri di ritorno dalla vincente trasferta sudamericana si trovarono a disputare più gare nell’arco di pochi giorni. L’esperienza nerazzurra si concluse nel mercato d’ottobre quando venne ceduto in serie B al Genoa, per lui in nerazzurro solo quattro presenze in campionato, ma un palmares dove può annoverare uno scudetto, una coppa dei campioni e una coppa intercontinentale.

L’Inter vincitrice di Coppa Campioni e Coppa Intercontinentale 1964-65

L’ultima stagione in serie A

Non terminò qui l’esperienza in serie A di Francesco Canella, che dopo il campionato al Genoa passò al neopromosso Lecco. In quella stagione 1966-67 con i biancocelesti giocò 21 gare che porta il suo computo finale nella massima serie a 129 presenze e 23 reti.

Dopo la serie A, il ritorno in Veneto nelle serie minori

Nel 1967 Canella si riavvicinò a casa giocando in serie C prima alla Mestrina e poi al Marzotto Valdagno. Scese quindi in Serie D al Belluno con cui sfiorò la vittoria del campionato nel 1969-70, centrandola poi l’anno seguente. Con i gialloblu disputerà altri due campionati di serie C.

Belluno 1970-71

Il ritorno al San Donà

All’età di trentaquattro anni decise di tornare al San Donà nel doppio ruolo di allenatore-giocatore. In quella stagione le ambizioni biancocelesti di una pronta risalita in serie D non furono ripagate. Ci volle un altro anno al San Donà per vincere il campionato di Promozione, ma questa è già un’altra storia visto che a partire dal 1974-75 Canella abbracciò definitivamente la carriera di allenatore. Come giocatore può vantare in serie A 129 presenze e 23 reti, in serie B 84 presenze e 20 reti, in serie C 113 presenze e 6 reti, in serie D 62 presenze e 22 reti, infine quelle con il San Donà 38 presenze e 6 reti.

L’ultima stagione da giocatore di Francesco Canella, San Donà 1973-74
In piedi: Zadel, Marchesin, Schiavo, Tomba, Zanin
Accosciati: Brescaccin, Moro, Canella, Gino Zamuner, Gagliazzo, Scattolin

Dopo il campo, la panchina

Dopo le stagioni 1973-75 in Promozione, Francesco Canella allenò in serie D il San Donà per altre due stagioni inframezzate da un’annata al Montebelluna. Quindi nel 1978-79 divenne dirigente del San Donà pur sostituendo brevemente l’allenatore Franzon per tre gare. Dal 1979-80 la sua carriera è proseguita lungamente al Portogruaro sia come allenatore che come dirigente, con il solo intermezzo al Belluno nell’1981-82, e poi alla Sanvitese.

La Carriera:

Le figurine Panini

Numerosi i campionati di serie A di Francesco Canella, ma solo quattro figurine Panini. I trasferimenti a novembre non lo hanno favorito nelle raccolte Panini come nemmeno nelle altre di quell’epoca. Curiosamente esistono anche delle figurine di Canella al Messina, pur non avendo avuto presenze nella squadra siciliana.

Una figurina d’epoca di Canella all’Inter e un paio di quelle al Messina, l’altra dell’Inter è un’edizione recente.

Altre figurine di Francesco Canella: con Venezia e Udinese; con la Fiorentina.

Wikipedia: Francesco Canella

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Figurine, ricordi da incollare

La strana magia della figurina è uno dei misteri senza tempo che hanno accompagnato il calcio per decenni. Nell’era dei computer ha forse perso molto della sua presa tanto che saranno più i papà dei figli oggigiorno a fare la raccolta Panini che puntualmente arriva con l’iniziare dei primi freddi. Un tempo fuori dai cancelli delle scuole ti regalavano l’album e poi bustina dopo bustina cercavi di completarlo. Quasi un rito l’apertura della bustina per cercare quelle che non possedevi, e immancabilmente in tasca aumentava il mazzetto di figurine doppie per far scambio con i tuoi coetanei.

Figurine Panini e non solo

Un mondo infinito quello delle figurine che va ben aldilà dell’onnipresente figurina Panini. Erano tante le raccolte precedenti l’uscita di quelle della casa editrice modenese avvenuta sessant’anni fa. Molte di queste erano legate a delle campagne promozionali di ditte commerciali dei più svariati generi merceologici, per lo più affini all’industria dolciaria.

Figurine V.A.V. (Venturini Antonio Verona)

Tra le ditte che affiancarono ai loro prodotti anche le figurine ci fu la ditta veronese Prodotti Dolciari V.A.V. (Venturini Antonio Verona) che poi si specializzò nel secondo dopo guerra nella produzione di figurine legate al calcio, al ciclismo e del mondo dello spettacolo. Sono stati dunque molti anche quei calciatori che nella loro carriera prima o dopo la gloria legata al mondo della figurina hanno avuto modo di divenire parte della storia del calcio San Donà.

Biancocelesti sul palcoscenico della serie A

Una raccolta speciale V.A.V. è per cui quella dell’annata 1954-55 quando in serie A contemporaneamente militarono Arturo Silvestri (Milan), Giovanni Perissinotto (Udinese), Sergio Mion (Venezia), Rino Carlini e Ivan Firotto (Genoa). Tutti calciatori che militarono con il Sandonà in serie C negli anni quaranta-cinquanta e che poi assaporarono la gloria della serie A. Ovviamente il più importante è stato Arturo Silvestri che con la maglia del Milan riuscì a vincere due scudetti (tra cui quello del 1954-55), una coppa Latina e nella veste di allenatore una Coppa Italia negli anni sessanta. Silvestri in quei primi anni cinquanta riuscì anche a debuttare in Nazionale collezionando tre presenze in maglia azzurra.