«Cent’anni di carità», il nuovo libro su San Donà

Ieri, sabato 13 marzo 2021, è stato presentato un nuovo libro sulla storia di San Donà di Piave: « Cent’anni di carità – Casa Saretta e le Suore di Maria Bambina a San Donà di Piave » a cura di Marco Franzoi. Un altro capitolo della lunga storia sandonatese, un’altra prospettiva di quel periodo storico che vide San Donà crescere ad inizio novecento per poi subire il disastro della prima guerra mondiale ed il suo successivo ridisegno. Una parte importante di quella rinascita vide come protagonista assoluto monsignor Saretta ma ebbe nelle Suore di Maria Bambina delle preziose collaboratrici, sia prima che durante e soprattutto dopo la Grande Guerra. Cento anni fa sorgeva l’Orfanotrofio a San Donà di Piave, in questo libro viene raccontata la sua lunga storia e l’opera delle suore di Maria Bambina al servizio di San Donà. Un servizio svolto non solo all’interno dell’Orfanotrofio ma anche presso l’Istituto San Luigi, l’Ospedale civile, la Casa di riposo ed in altre infinite attività lungo questi cento anni.

Il libro è disponibile presso Casa Saretta, via Pralungo 12, 30027 San Donà di Piave (Ve). LINK

Il 14 aprile 1975 su “Il Piave” è stata pubblicata un’intervista a Suor Aurelia Giacobetti e Suor Aurelia Baldasso firmata da Gianfranco Bedin. Le due religiose sono state parte della storia dell’Orfanotrofio di San Donà di Piave sin dai primi anni. Di seguito pubblichiamo la lunga intervista integrale.

Due Suore raccontano

di Gianfranco Bedin

Monsignor Costante Chimenton nel suo volume « Storia di San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella » (1928) scrisse: « L’educazione della gioventù fu sempre riconosciuta il problema più delicato e più impellente per la vita di un popolo; il problema più assillante anche per la vita moderna, religiosa e civile. Delicato ed impellente perché nulla v’ha di più sacro dell’ingenuità dell’infanzia; assillante, perché dall’educazione dei primi anni dipende la vita intera dell’uomo.
A San Donà di Piave si affrontò questo problema; lo si affrontò sotto tutti gli aspetti: le opere già compiute e le opere in corso costituiscono un’assicurazione che nulla si trascurò per salvare la gioventù da quelle rovine, morali e fisiche, che manifestano le loro funeste conseguenze nei delinquenti della pubblica strada o nei sacrificati alla morte stessa primavera della vita ».


Una di queste prime opere fu l’Orfanotrofio, la cui costruzione, seppur con scopi diversi (asilo nido), iniziò nel 1914 per opera di Monsignor Giovanni Battista Bettanin.
I lavori, causa la prima guerra mondiale, furono interrotti: gli uomini furono chiamati alle armi e non si parlò più del costruendo asilo.
Nel 1919, su iniziativa di Monsignor Luigi Saretta, prevalse l’idea di riprendere la costruzione dell’edificio per ospitare i bambini rimasti orfani. Fra innumerevoli problemi e sacrifici, i lavori vennero ultimati nel 1921.
L’Orfanotrofio rappresenta quindi per San Donà una ricca pagina della sua storia, seppur triste per le vicissitudini patite dal primo al secondo conflitto mondiale.
Fra i testimoni di queste vicende sono ancor oggi la sorella Aurelia Giacchetti, nata nel 1901 a Valle di Cadore, e la sorella Aurelia Baldasso, nata nel 1899 a Sant’Andrea (Treviso), due suore che ancora operano nel locale Orfanotrofio e che nonostante il peso degli anni e le sofferenze patite ci ricordano nell’intervista che pubblichiamo quei tristi anni di vita dell’Opera e della nostra città.
Suor Aurelia Giachetti è giunta nella nostra città nel lontano 1923, suor Aurelia Baldasso pochi anni dopo, nel 1928.

Suor Aurelia Giacchetti e Suor Aurelia Baldasso

¤ Suor Aurelia Giachetti, lei è venuta a San Donà nel lontano 1923; cosa ricorda in articolare di quell’anno? « Quell’anno eravamo andate a Biadene nella villa del comm. Gaviolo, che era presidente dell’Opera. Il presidente aveva invitato tutti gli orfani e anche le ragazze che erano nell’asilo alle scuole di lavoro. Ci ha fatto trascorrere una giornata bellissima: aveva preparato il pranzo nel suo stupendo boschetto. Abbiamo trascorso la giornata in tutta serenità e prima di partire abbiamo fatto una fotografia ricordo. »
¤ Quanti orfani c’erano allora? « Venti interni e altrettanti esterni ».
¤ Si trattava di poveri? « No, erano tutti orfani di guerra: bambini e bambine ».
¤ Come era San Donà in quegli anni? « La città era tutta distrutta. Mi ricordo che, venendo dalla stazione ferroviaria, gli alberi erano ridotti a tronchi o abbattuti; c’era una grande demolizione. Il “Borsa” era l’unico albergo del centro del paese ancora abbastanza funzionante ».
¤ La situazione di San Donà com’era? E la gente? « Erano tutti malandati, c’erano le baracche. Il campo sportivo era tutto coperto di baracche. Quando andavamo là ricordo che c’erano tanti bambini: bisognava vedere in che condizione erano! Dove ora c’è la casa del Mutilato, allora c’era il macello attorniato da un fosso. I rifiuti del macello venivano scaricati proprio in quel fosso: può immaginare che puzza c’era nella zona, i ragazzi volevano sempre evitarla per andare in paese ».
¤ Lei, suor Aurelia Baldasso, è venuta a San Donà nel 1928; cosa era cambiato dal quadro fattoci da suor Giachetti? « Non ho trovato niente di cambiato: c’era poca gente, tante baracche, tanta miseria e poi tutti erano pieni di malaria. Ogni sabato venivano qua a prendersi il pane e una tazza di latte o altri generi alimentari, raccolti dall’Opera San Vincenzo. C’era tanta e tanta miseria. Nel 1929 la situazione si era aggravata, soprattutto d’estate, per la grande siccità. La gente correva a prendere l’acqua del Piave che però era salata; l’aspetto era desolante, tutte le piante seccavano, i campi non producevano niente, i pozzi si asciugavano ad uno ad uno…, erano anni che pativamo anche la sete ».
¤ Quante suore eravate in quel tempo? « Eravamo in nove, mentre i bambini erano centoventi. Poi sono venuti i Salesiani, in attesa che costruissero la loro sede, per cui ci siamo divisi i maschi (a loro) e le femmine (a noi).
¤ Si ricorda qualche fatto particolare accaduto ad un bambino o ad una bambina? « La morte della “Ginetta” causata da una peritonite. L’avevamo portata all’Ospedale, ma non c’era più nulla da fare. Ricordo poi un altro fatto dovuto ad una peritonite che aveva colpito un altro nostro ragazzo. All’Ospedale la nostra superiore disse al professor Girardi: “Professore me lo salvi”. Lui rispose: “Senta Superiora, in chi ha fiducia?” “Prima nel signore – disse lei – e poi anche nel professor Girardi”. Ricordo poi che nei primi anni i bambini erano stati quasi tutti colpiti dalla “tigna”: erano tutti senza capelli. Che pena, poveretti! »
¤ I bambini a quanti anni lasciano l’Orfanotrofio? « I maschi dopo la quinta elementare, le bambine dopo la terza media. Poi hanno la possibilità di tornare in famiglia, altrimenti vengono ospitati a Venezia dove frequentano le scuole medie superiori ».
¤ Quando diventano adulti, vengono mai a trovarvi? « Si, vengono spesso con tanta nostalgia e riconoscenza. Tanti si sono fatti anche un’ottima posizione nella società ».
¤ Come vi sembra si sia trasformata la vostra città dalla vostra venuta? « Quando eravamo venute, San Donà era praticamente distrutta: ora è risorta. Ci pare di essere in un altro mondo. C’è stato uno sviluppo straordinario da allora. Ricordo che gli amministratori del Comune erano molto scoraggianti: è stato monsignor Saretta a dare loro il coraggio necessario. C’è poi un particolare. Il Duomo era stato distrutto dai bombardamenti della prima guerra mondiale: nessuno andava più a Messa. Ma nel 1923, durante la settimana Santa, monsignor Saretta raccolse tutti i fedeli e tenne la S. Messa tra le rovine del Duomo alla quale intervennero moltissime persone ».
¤ Avete avuto momenti difficili nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale? « Si, abbiamo sofferto molto, anche per la pesante situazione economica: non avevamo i soldi per fare le compere. Avevamo allora centoventi bambini da sfamare ».
¤ Come avete risolto il problema? « Con molta fatica, soffrendo. I bambini andavano a scuola ma non si poteva dare loro la merenda perché altrimenti ci mancavano i viveri per il pranzo: si soddisfaceva in qualche modo la fame dando loro una patata bollita. Con le patate e la farina facevamo anche la polenta, Possiamo comunque affermare che i ragazzi, nonostante la situazione, non hanno mai patito la fame: magari polenta e formaggio, ma hanno sempre mangiato ».
¤ Come riscaldavate le camere dei bambini? « Si prendevano delle braci che mettevamo in uno scaldarello. Questo veniva “passato” su e giù sulle lenzuola, quel poco per togliere “il crudo”. Ad ogni bambino si dava poi una bottiglia di ferro contenente dell’acqua calda ».
¤ Che differenza avete notato tra i bambini d’allora e quelli di quest’era? « Un’enorme differenza. Allora nelle famiglie, causa la guerra e le sue conseguenze, soffrivano parecchio e si adattavano, per forza di cosem alla situazione. Erano “tremendi” una volta, ma, poveretti, non avevano colpe. Ora, invece, pretendono di più e ci sono in tutte le famiglie le possibilità economiche per accontentarli ».
¤ In quei difficili momenti, la cittadinanza sandonatese vi ha aiutato? « Poco. Non avendo quasi nulla per loro, non potevano logicamente aiutarci ».
¤ Andavate anche a questua? « Si, per sfamarci andavamo per i campi a raccogliere le spighe rimaste dopo la mietitura del frumento: un anno ne abbiamo raccolte, assieme ai bambini, circa dieci quintali. Nella seconda guerra mondiale, dopo la distruzione dell’Ospedale Civile Umberto I°, ci siamo trasferiti per sette mesi a Campodipietra, nel locale asilo. Là c’era anche un comando tedesco. I bambini andavano a chiedere ai soldati del pane o altro e loro li accontentavano sempre. Davano loro anche il dolce. Ricordo che ai bambini piaceva moltissimo andare a legna dai contadini che gli offrivano sempre del pane, salame e del vino ».
¤ Come siete stati trattati dai tedeschi durante la loro occupazione? « Ci hanno sempre rispettato. Qui davanti all’Orfanotrofio, nella villa Velluti, c’erano un comando di S.S.: quanta paura! Ci hanno comunque sempre rispettato, anzi ogni settimana ci mandavano dodici chili di carne per i nostri bambini. Erano momenti veramente brutti, per non parlare poi del bombardamento dell’Ospedale Umberto I°. Là c’era un comando tedesco. Quando hanno saputo che gli italiani volevano bombardare l’Ospedale sono scappati, lasciando là gli ammalati: che disastro, che macello! Anche noi siamo accorse per prime a prestare i necessari aiuti. Momenti di terrore li abbiamo passati invece con gli indiani che ci hanno devastato la cucina e tutti i locali ».
¤ Molti anni sono ormai passati; ora come vi trovate? « Ora siamo veramente in un altro mondo! ».
Così suor Aurelia Giachetti e Suor Aurelia Baldasso ci hanno raccontato, in questa semplice e forse disordinata intervista, le tristi vicissitudini del loro passato trascorso all’Orfanotrofio, un passatche molti sandonatesi ricordano e che i giovani devono sapere.
« Ora siamo in un altro mondo », così ci hanno detto. E’ una dichiarazione che deve far meditare, cos’ come da meditare sono le parole scritte da Monsignor Chimenton in apertura del nostro servizio. Erano i problemi di allora, sono i problemi dei nostri giorni.

Documenti:

In un post di novembre la Relazione Morale e Finanziaria dell’Orfanotrofio di San Donà di Piave del 1920, con il link per scaricarne la versione in pdf.

Plateo, alle origini della Storia

La copertina dell’edizione del 1969

Nel 1907 venne pubblicato il libro “Il territorio di S. Donà nell’agro d’Eraclea” di Teodegisillo Plateo. Oltre un secolo fa la passione e la ricerca dell’allora segretario comunale di San Donà di Piave aveva prodotto un libro che nei decenni a venire verrà poi utilizzato a piene mani da quanti s’inoltrarono nella storia di queste zone, non ultimo Mons. Costante Chimenton per il suo “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e Passarella” del 1928. Una storia segnata spesso da un grande protagonista quale il fiume Piave, o come in Veneto si era soliti utilizzarla in forma femminile, la Piave. Una matrigna tante volte irosa con le sue inondazioni e suoi cambi di corso che i veneziani cercarono di domare per salvare la laguna e che per secoli vedrà tutto il tratto compreso tra il Piave e il Tagliamento prigioniero tra terra e mare di una terra di mezzo paludosa, oggetto per secoli di lunghe bonifiche. Una lotta per la sopravvivenza accanto al fiume che nell’arco della sua storia ha visto sorgere come sparire tanti centri urbani e tra i cui abitanti ci furono anche coloro che trasferendosi nelle isole della laguna contribuirono alla nascita di Venezia.

La lapide presente presso il cimitero di San Donà di Piave

La prima edizione del libro è del 1907, ma tanto fu l’interesse che fu nuovamente stampato nel 1936. Negli anni sessanta lo stesso Comune di San Donà di Piave, allora guidato dal Sindaco Dott. Franco Pilla, ne ha pubblicato due edizioni successive nel 1963 e nel 1969. Oggi è possibile trovare anche una edizione on line scaricabile in pdf di “Il territorio di S. Donà nell’agro d’Eraclea” ma indubbiamente lo sfogliare l’edizione cartacea, fosse anche solo delle ultime edizioni, ha tutto un altro fascino.

Il Nobile Cavaliere Teodegisillo Plateo è ricordato in una lapide nel cimitero di San Donà di Piave lungo il muro destro proseguendo dall’entrata principale, nella zona dove vi sono anche molte lapidi recuperate nel vecchio cimitero dopo le distruzioni della prima guerra mondiale. Era nato il 13 dicembre 1839, morì il 16 novembre 1909 quasi settantenne. Una presenza costante nella San Donà di Piave dell’epoca quando in qualità di segretario comunale dal 1879 ebbe modo di redigere tanti atti comunali, non ultimo quello di nascita di Giovanni Guido Agostino Ancillotto, detto Giannino, eroe nazionale durante la prima guerra mondiale e a cui è dedicato il monumento in Piazza Indipendenza.

Parte dell’atto di nascita del 18 novembre 1896 di Giannino Ancillotto redatto dal segretario comunale Teodegisillo Plateo
La prefazione di Teodegisillo Plateo (1907)

Alla rappresentanza comunale di San Donà di Piave in segno di gratitudine – l’autore offre questo tenue lavoro – ispirato dal vivo affetto che lo lega al paese.

Nella parte orientale del territorio di S. Donà di Piave e in quella occidentale del limitrofo territorio di Grisolera in antico esisteva l’isola Melidissa, trasformata in penisola verso la metà del secolo VI dell’era volgare e più tardi in città marittima col nome di Eraclea.
Distrutta Eraclea al principio del secolo IX e riedificata in parte quando era ridotta a luogo di terraferma, prese il nome di Cittanova.
Nel territorio eracleese esistè pure una borgata importante col nome di Fines, situata dove oggi si trova S. Donà.
Molti scrittori hanno accennato a queste città e borgate distrutte nel cantare le glorie della Venezia adulta e per vantar le bellezze artistiche della fata delle lagune, ma ben pochi si sono occupati diffusamente della Venezia fanciulla che fu prima a scorgere negli spazi infiniti del mare il suo grande avvenire.
Io ho raccolte e coordinate varie notizie da fonti diverse, sparse quà e là, ho tenuto conto delle poche vestigia di edifizi, di strade romane e di alcuni frammenti di statue, di qualche colonna spezzata, di iscrizioni sepolcrali, indecifrate, di altre iscrizioni lapidee, delle ossa umane e di alcune monete dissepolte, per rendere il modesto lavoro meno incompleto.
Lo studio abbraccia 18 secoli e mira principalmente a ricordare che la terra in cui viviamo fu abitata da un popolo industre, nato alla vita libera, degno di grandi destini, che questo popolo conobbe la potenza del lavoro e del traffico prima degli anglo-sassoni; che Eraclea raccolse gli avanzi gloriosi della civiltà greca e latina, e che ai figli d’Eraclea e loro discendenti spetta il vanto d’aver innalzata la repubblica marittima agli splendori di Sparta e di Roma.
Mira poi a ricordare Melidissa, Cittanova, Fines, nonché la fondazione, le vicende e i progressi di San Donà coi pochi particolari consentiti dalla brevità del lavoro.
E’ uno studio d’occasione (¹) ispirato dall’affetto che mi lega a S. Donà e dal desiderio che possa invogliar altri, di me certo più competenti, a far qualche cosa di meglio.
S. Donà. Settembre 1907
TEODEGISILLO PLATEO
(¹) Per il XXV anniversario della fondazione della Società Operaia di Mutuo Soccorso “G. Garibaldi”

La prefazione dello storico Adriano Augusto Michieli nell’edizione del 1936

Ventinove anni fa, per cura del Sig. Teodegisillo Plateo, Tenente Colonello degli Alpini della Riserva, Segretario del Comune di San Donà di Piave, usciva in Oderzo, pei tipi della Ditta Bianchi, questo libro di storia, oggi da tempo del tutto esaurito, che ora qui si ristampa per pio, generoso desiderio della Vedova che intende in tal modo onorare e ricordare il suo caro trapassato e di recare insieme un nuovo contributo di bene a quella benefica istituzione di assistenza e previdenza sociale, a cui, fin dalla edizione delle sue pagine, l’Autore intese giovare.
La nuova edizione del libro, che ripete in tutto la prima, si raccomanda poi al lettore, non solo per queste due nobili e generose ragioni, ma per quella del suo contenuto storico, che non cessa, pur nelle nuove vicende presenti dell’Italia nostra, di avere un suo particolare, spiccato interesse.
La storia è fonte perenne di luce e richiamare ogni tanto chi vive alle sue vicende passate non è mai vana fatica, perchè dal passato escono insieme il presente e l’avvenire e sì l’uno che l’altro possono trarre sempre da esso – quando si sappia saggiamente interpretarlo – insegnamenti e consigli non disprezzabili.
Le vicende che il rimpianto Plateo rievocò nelle sue diligenti pagine, sono vicende remote e lontane, ma sono vicende delle nostre care terre venete riconsacrate anche di recente dal sangue dei nostri valorosi soldati che, immolandosi tra i canneti e la fanghiglia dell’antico agro o nelle belle campagne bonificate, rifatte palude con la rottura delle idrovore, salvarono nel 1917-18 Venezia e l’onore dell’Italia.
Egli espone di fatto nel suo libro la storia del territorio di San Donà dai tempi più antichi al 1900, basandosi su quanto le storie e i documenti allora più autorevoli narravano in proposito, ma non si limita – onor suo – a riassumere quanto avevano detto in proposito, i più noti storici della regione, ma si vale pel suo racconto di molte fonti nuove, pazientemente rintracciate negli Archivi, nei Musei, nelle Raccolte Private e – ciò che più contava – dato il tema – sul terreno. Questo, perché, come dimostrano i più recenti studiosi di storia lagunare e per primo il rimpianto Giuseppe Pavanello, anche i documenti più autorevoli poco dicono se non sono controllati sul posto con pazienti sopralluoghi che possono chiarire le antiche variazioni topografiche e i più vetusti rimasugli di argini, di strade e di abitati finora messi in luce o per fortuite circostanze o con appositi scavi.
Le pagine del Plateo, nonostante ch’egli non fosse uno specialista di studi storici, ma soltanto una persona colta e curiosa del passato del suo paese, conservano, quindi, anche con le loro lacune, molti pregi e fra essi soprattutto quello dell’entusiasmo col quale furono scritte e messe insieme.
Sulle prische terre venete di cui parla questo libro uscirono dopo il 1907, con apparati ben più larghi di erudizione e di documenti, gli studi del Lazzarini, del Pavanello, di Roberto Cessi, del Kretschmayr ecc. ; sullo stesso San Donà furono pubblicati dopo la guerra non poche memorie e studi assai interessanti, tra cui l’ampia, nota opera di Mons. Costante Chimenton, ma il libro del Plateo ha il merito di avere popolarizzato in forma facile ed onesta quanto egli aveva raccolto ai suoi tempi sulle vicende del territorio di San Donà dagli studiosi più autorevoli e dalle sue accurate, pazienti, amorevolissime «passeggiate» nell’agro.
Agro ispiratore di storia, in cui i fiumi sapientemente arginati e i canali d’irrigazione e di bonifica aperti nel verde d’una feconda campagna parlano a chi sa interrogarli del mare vicino e delle prime opere degli euganei e dei romani, dei veneti della Serenissima e di quelli più recenti e presenti dell’Italia nostra, inesauribile creatrice di solchi e di focolari.
E’ da Eraclea che partì alla conquista dell’estuario la consociatio lagunaris ed è da San Donà, sorta non per caso nel suo territorio, che si iniziò la redenzione delle paludi circostanti con le «cave» antiche e novissime di questa nostra Patria benedetta, che si rinnova sempre e va sempre più avanti, creando e ricreando in forme nuove ciò che le detta la sua anima romana, qui, sul nostro suolo e in tutte le terre, anche più lontane, ove i suoi figli sudano e combattono.
21 aprile 1936
ADRIANO AUGUSTO MICHIELI