L’estate non era destinata a lasciare tranquilla la popolazione sandonatese. L’oppressione germanica si faceva sempre più stringente, a cui si contrapponevano sempre più apertamente le formazioni partigiane le cui fila si erano rinfoltite dei tanti militari che tornavano dal fronte e ai quali l’armistizio aveva imposto l’adesione alla Repubblica di Salò o in alternativa la prigionia o la clandestinità. E in tutto questo contesto vi era anche la variante di quanti fedeli prima al fascismo ora lo erano alla Repubblica di Salò con divisioni insite nelle stesse famiglie e nelle tante amicizie cui le notizie che arrivavano degli sviluppi della guerra regalavano speranze e disillusioni di una fine prossima. Mesi nei quali si moltiplicarono anche gli arresti e con essi le esecuzioni e le deportazioni. Tra queste anche quella di Attilio Rizzo, grande collaboratore di Monsignor Saretta, che divenne un importante esponente della Resistenza sandonatese prima di venire arrestato a metà agosto e deportato in Germania, dove morì nel gennaio del 1945. Tra i ricordi tristi ovviamente anche quello legato ai Tredici Martiri, la gran parte originaria del sandonatese e uccisi come rappresaglia ad un attentato avvenuto a Venezia.
Il bombardamento del 23 settembre 1944
A fine agosto i bombardamenti alleati colpirono il ponte della ferrovia, un obiettivo ricorrente nelle incursioni aeree di quelle settimane. Le vie di comunicazione stradali e ferroviarie erano un obiettivo importante alla pari di quelle telefoniche e telegrafiche. Ma bombardamenti ben più duri erano all’orizzonte. Il 23 settembre 1944 in diverse ondate successive gli aerei alleati sganciarono su San Donà circa 200 bombe. Sia il ponte stradale che quello ferroviario vennero colpiti e si registrarono numerose vittime, ben cinque di una sola famiglia poi salite a sei. Del ponte ferroviario venne distrutta la prima campata, mentre di quello stradale ad essere colpita fu l’ultimo tratto verso Musile. Danni riportarono la conduttura elettrica e quella dell’acquedotto e le stesse linee telefoniche vennero danneggiate. Danni importanti anche alle strade arginali, colpite anche Isiata e Mussetta di Sotto. Un giorno triste per i sandonatesi, quello seguente avrebbe dovuto essere come da tradizione dedicato alla Madonna del Colera con le cresime officiate dal Vescovo ma il tutto venne rinviato proprio per il pericolo incombente dei bombardamenti.
I nomi dei caduti del 23 settembre 1944
Sul libro di Morena Biason “Un Soffio di Libertà” vengono riportati i nominativi dei morti di quel cruento bombardamento. In una casa di via Code distrutta dalle bombe morirono cinque componenti della famiglia Ongaretto: il padre Luigi (35 anni), la moglie Vallese Germana (29 anni), la suocera Orlando Caterina (52 anni) e le figlie Giselda e Vittorina (4 anni), quest’ultima morì in ospedale e sempre in ospedale erano stati ricoverati i figli Diego (7 anni) e Angelo (10 anni), come la sorellina anche Angelo morì giorni dopo portando a sei componenti il tributo di sangue della famiglia Ongaretto. Gli altri caduti furono il marinaio Cigar Carlo (25 anni, di stanza alla Caserma San Marco di San Donà), il commerciante Luigi Marigonda (51 anni), il tipografo Davide Armellin (28 anni) e l’operaia dello jutificio Brussolo Orietta (30 anni). Qualche giorno dopo tra i feriti morirà anche Caterina Zanchetta (56 anni), per cui le vittime di quel bombardamento dalle iniziali nove passarono a undici.
4 ottobre 1944 nuovamente colpito il ponte della ferrovia
I bombardamenti divennero continui nei giorni successivi e nemmeno la Fiera d’Ottobre trovò spazio nei pensieri dei sandonatesi. Il 4 ottobre un nuovo pesante bombardamento subì il ponte della ferrovia, anche gli argini vennero duramente danneggiati e compromessi i lavori di ripristino iniziati dopo il precedente bombardamento. A finire sotto il fuoco alleato anche un barcone di ghiaia transitante lungo il Piave, miracolosamente furono solo feriti i due componenti l’equipaggio, padre e figlio.
10 ottobre 1944 pioggia di fuoco su San Donà
E’ il 10 ottobre 1944 la data che rimarrà indelebile nei ricordi dei sandonatesi. In quella grigia giornata di ottobre non fu bombardata solo San Donà di Piave ma lo furono anche Porto Marghera e Treviso. Oltre cento bombardieri mossero in direzione del Veneto, molti furono quelli che puntarono verso quella città lungo il Piave i cui ponti erano stati colpiti ripetutamente nelle settimane precedenti di nome San Donà. Sembrava una giornata di ordinario bombardamento invece questa volta non furono i ponti il vero obiettivo della missione. Quei primi bombardieri che si calarono tra le basse nuvole sganciarono le loro bombe sul centro cittadino quasi a marcare l’obiettivo principale. Seguì una lunga scia di fuoco che cinse le vie del centro concentrandosi particolarmente sull’ospedale civile e gli edifici in Viale Margherita. Ancora una volta l’ospedale sandonatese pagò un caro prezzo come già era successo durante la prima guerra mondiale. Da poco non si fregiava più del nome di “Umberto I”, quel legame con i Savoia non era più gradito dalle autorità fasciste dopo l’armistizio firmato da Vittorio Emanuele III e la susseguente fuga oltre le linee alleate. L’ospedale divenne un grande cumulo di macerie, sia l’artistica struttura verso viale Margherita che i padiglioni ad un solo piano posti dietro furono duramente colpiti. Delle 85 persone presenti all’interno dell’ospedale tra pazienti e personale, furono 24 i morti e 45 i feriti.
Alcune testimonianze di quel giorno
Sul libro dedicato al centenario dell’ospedale “L’ospedale civile di San Donà di Piave 1900-2000” vengono riportate due testimonianze di quel giorno. Il segretario-economo Filiputti: « […] appena ho sentito il rumore degli aerei che si avvicinavano ho detto a Bepi Da Villa che andasse ad avvertire suor Carla e poi, appena il pericolo è diventato incombente, ho visto tanta gente che correva verso il campanile e la chiesa, ed alle spalle sentivo già il fruscio delle bombe che arrivavano e colpivano l’Ospedale. Tra le vittime ricordo la figlia di Centioli, che frequentava l’Ospedale come volontaria e tra le suore, suor Ildefonda Lupi e suor Angiolina Giusto. Ricordo che al momento di rifugiarmi nel campanile ho incontrato il dottor Bruno Nardini. Ma alla tragedia si è cercato subito di rispondere con provvedimenti per gli ammalati e i feriti. Particolarmente incisiva è stata l’azione del Comm. Giovanni Ronchi che ha fatto portare quanto possibile, ricordo in particolare anche della paglia, per predisporre dei giacigli nella caserma come primo improvvisato ricovero per i feriti e gli ammalati che non era possibile trasportare, con mezzi militari, agli ospedali di Oderzo o di Motta di Livenza… ». La seconda testimonianza è del prof. Arnaldo Balbi Guarinoni che all’epoca dei bombardamento era uno studente di medicina che lavorava all’Ospedale civile: « San Donà era una zona piuttosto calda ed era da qualche giorno sorvolata di continuo da delle fortezze volanti, quella mattina volavano più basso del solito. Qualche attimo prima delle 11 avevamo intuito il pericolo e con alcuni pazienti ho abbandonato l’ospedale trovando rifugio sotto le mura di cinta. Ho visto le fortezze volanti sopra di me, ho gridato « semo morti ». Poco dopo siamo stati avvolti da palle di fuoco, colpi tremendi, sembrava la fine del mondo. Quando mi sono rialzato, quelli che erano con me non c’erano più, nemmeno il bambino che avevo sotto il braccio e del quale non sapevo nemmeno il nome. L’ospedale era completamente distrutto…. ».
Ovunque macerie fumanti a invadere le strade
In viale Margherita oltre all’ospedale furono colpite anche le carceri e il panificio Fasan. Danni anche al Palazzo Comunale, alla Centrale dei telefoni di Stato, alla scuola elementare del centro. In via Ancillotto venne distrutto anche il teatro Verdi, con la vicina tipografia SPES, il panificio Trivellini. Ingenti danni subì anche il Piccolo Rifugio. Come racconta Savio Teker nel suo libro (1), Lucia Schiavinato alle prime avvisaglie aveva fatto uscire quanti più ospiti fosse possibile mettendoli al riparo di un vicino fossato. Le bombe colpirono l’edificio, quando fu tornata la calma immaginando quel che avrebbe trovato all’interno cercò di correre verso il vicino ospedale per chiamare un medico, ma fece solo pochi passi l’ospedale non esisteva più. Al Piccolo Rifugio saranno sei le vittime. Molti saranno comunque i medici che miracolosamente si salvarono dalla distruzione dell’ospedale e che subito si prodigarono nel soccorrere i feriti. A decine furono i feriti curati sul posto, tanti quelli trasportati con mezzi di fortuna verso altri ospedali. Ovunque un panorama di case danneggiate e di sopravvissuti alla strenua ricerca dei propri cari e delle loro povere cose da salvare tra le macerie. Per molti anche quel poco era ben poca cosa perchè il tutto era racchiuso in baracche che niente potevano opporre all’impeto delle esplosioni di un bombardamento. Una settantina furono le case distrutte, altrettante quelle danneggiate. Ai tanti sfollati delle settimane precedenti che avevano lasciato San Donà si aggiunsero ora i tanti che la loro casa l’avevano perduta, o che abbandonata momentaneamente la ritrovarono distrutta. Un’emergenza che San Donà visse per molti anni a venire di un dopoguerra non troppo lontano, ma che per chi stava vivendo quelle tragedie era ancora solo una speranza.
Articolo del Gazzettino del 12 ottobre 1944
Nel libro di Morena Biason “Un soffio di Libertà” vengono riportati ampi stralci dell’articolo del Gazzettino del 12 ottobre scritti dall’inviato Alfonso Comaschi:
Chi entra in Paese dalla strada di Venezia intuisce la gravità della tragedia a destra e a sinistra dell’arteria principale infatti i maggiori edifici appaiono irrimediabilmente distrutti. Un cratere immenso sbarra la via nel fondo di essa : una sedia in frantumi e una bottiglia intera. Poco più avanti le macerie della Pretura e dell’edificio delle Assicurazioni «La Cattolica», che le sorgeva di fronte, si sono quasi riunite attraverso la via. Anche l’albergo del «Leon Bianco» mostra tra le imposte sconnesse e tra le larghe fenditure dei muri le rovine dell’interno.
Via Giannino Ancillotto presenta un aspetto se è possibile ancora più desolato sulla destra il grandioso edificio del teatro Verdi e altri minori immobili sono completamente rasi al suolo fra le innumerevoli voragini aperte da altre bombe che sono cadute nelle vicinanze: anche Piazza Margherita così aggraziata nella sua cintura di verde, denuncia subito le sue ferite di guerra e più avanti tutta Via Dante è un solo ammasso di macerie.
Così pure il Piccolo Rifugio appare irrimediabilmente colpito. Era quest’ultimo un ricoveri di vecchi […] E’ il primo dei luoghi più colpiti, ed è quello che ha subito i danni minori; pure tra le sue macerie rinserra ancora delle vittime. Infatti all’angolo di Viale Margherita la Casa di Ricovero, che fu dedicata ai Caduti della guerra scorsa, pur mantenendo un aspetto non molto dissimile dall’ordinario nelle sue linee esterne, sembra stranamente vuotata dall’interno e rivela gli irreparabili guasti dell’edificio la cui rovina suona doppiamente sacrilegio e per lo scopo cui esso era destinato, in quanto raccoglieva quasi un centinaio di vecchi e per l’affronto fatto alla memoria dei Caduti in onore dei quali era stato innalzato.
Di fronte un gruppo di case è irreparabilmente danneggiato e, accanto un’abitazione civile è stata quasi fatta scomparire dalla violenza dell’esplosione. In questa zona è caduto il maggior numero di bombe in quanto costituisce evidentemente il nucleo dell’obbiettivo. Sembrerebbe impossibile perché proprio qui sorgeva l’Ospedale Civile, ma il centinaio di bombe che vi sono state sganciate non lascia dubbi in proposito.
Gli aerei nemici erano apparsi sul cielo di San Donà verso le 11; erano chiaramente distinguibili dato che a causa del soffitto di nubi molto basso, volavano a quota inferiore alla solita, poco più di un migliaio di metri; anzi, prima che il grosso, a varie ondate si avvicendasse con larghi e lenti giri sull’obbiettivo, un primo gruppo di aerei, da minor altezza sganciava le prime bombe, verosimilmente per circoscrivere il bersaglio. E il bersaglio non poteva essere che l’Ospedale civile malgrado fosse chiaramente distinguibile come tale anche per la pianta a corpo centrale e dai padiglioni, caratteristica di tali tipi di moderni edifici, oltre che per il fatto di essere in maniera inequivocabile contrassegnato dagli emblemi della Croce Rossa.
L’ospedale era un edificio a tre piani e di vari padiglioni; bisogna dire era, perché oggi non si può assolutamente dare neppure il nome di edificio a questo misero ammasso di mattoni e di solette di cemento, di tralicci e di architravi che ingombravano il terreno una volta coperto dalla raccolta ombra dei pini marittimi, ruderi sparsi a ricolmare le voragini delle esplosioni.
Dei tre piani della costruzione centrale sono rimaste in piedi tre colonne; della Cappella un muro che minaccia di crollare, alla base di questo si intravvede, sotto il velo di polvere, presso un angelo decapitato d’alabastro la tovaglia dell’altare. Passando di qua, qualche secondo dopo la rovina, col cuore stretto, nel tentativo di portare aiuto a chi aiuto potesse ancora ricevere, il primario prof. Binotto, ancora stordito dallo scroscio della rovina, si sentiva chiamare per nome; era Don Carlo il Cappellano che era rimasto seppellito, vivo fortunatamente, sotto le macerie della Chiesetta dedicata a Sant’Antonio.
Il primario del resto, come tutti gli altri medici possono veramente dirsi salvi per miracolo, in quanto tutti, si trovavano sul posto, che naturalmente non abbandonarono durante l’incursione. Anche il Commissario Prefettizio Ronchi che pure si trovava in sede e vi rimase durante la distruzione, si prodigò per i primi soccorsi. Purtroppo due suore hanno trovato la morte accanto ai loro malati; una gravemente ferita; un’altra, che è stata dissepolta dopo cinque ore, versa pure in gravissime condizioni. Anche un’assistente sanitaria è morta al suo posto; era la figlia del dott. Veronese, l’odontoiatra della cittadina.
E’ forse impossibile descrivere lo stato dei padiglioni; quello più intatto – ma si può dire così di questa vasta sala dal soffitto completamente sforacchiato? – è il reparto maschile di chirurgia ed è forse più squallido di quello che non siano le sale totalmente rase al suolo. I letti hanno ancora le lenzuola tese, i comodini sono in parte arrovesciati dalla violenza dello spostamento d’aria e hanno sparso le poche suppellettili dei ricoverati; la fotografia di un bambino o un libro, l’immagine di un Santo o «parole incrociate» lasciate interrotte. Sopra un letto c’è ancora un cartoccio d’uva, su tutto pesa, come un incubo, il velo di polvere sollevato dallo scoppio, che traveste di una nevicata macabra i poveri oggetti che popolano le corsie degli ospedali. Più avanti nella sala operatoria, la lampada «sineumbra», miracolosamente intatta, oscilla, appesa ai fili della sospensione; sotto, nella devastazione, la stanza rivela l’aspetto tipico di un’operazione appena terminata. Il paziente, appena finito di operare, strappato si può dire alla morte dalla mano fraterna del chirurgo, è stato travolto e ucciso dal crollo della sala, dove era stato riportato. Ma le perdite più gravi si sono avite nel padiglione ostetrico. Tutte le puerpere vi hanno trovato un’orribile morte; meno una: questa però ha avuto lo strazio di vedersi orbata della creatura appena nata.
Fuori del recinto dell’ospedale, poco più avanti, fuori del viale Margherita, gli abitanti del popolare quartiere dei «Sabbioni» cercano fra le rovine delle loro modeste casette le poche suppellettili che si son salvate o la reliquia di qualche oggetto caro. Sono dei lavoratori che, per la maggior parte avevano costruito la casa con i loro risparmi; qualcuno materialmente con le sue mani; una vecchia rialza dalle rovine in cui sta frugando il volto sbigottito dall’orrore e dall’amarezza e chiede meccanicamente: «Perché?»; e il silenzio della città deserta sembra riempirsi di questa vana interrogazione senza risposta.
I morti del bombardamento del 10 ottobre 1944
Sul libro di Morena Biason “Un Soffio di Libertà” vengono riportati i nominativi dei 45 caduti del tragico bombardamento del 10 ottobre 1944: i fratelli Gonellotto Angelino (23 anni) e Silvio (18), braccianti, sulla pubblica via; Ianna Sofia (40 anni), casalinga, sulla pubblica via; Boccato Angelo (60 anni), fruttivendolo, abitazione; i soldati Crespi Francesco (20 anni) e Nardo Luigi (28 anni) pubblica via; il soldato Raccanelli Isidoro (37 anni), abitazione; Turchetto Pasquale (18 anni), bracciante, abitazione; il possidente Bortolotto Giuseppe (68 anni) e la moglie Bertoncello Elena (65 anni), abitazione; Cecchetto Regina (78 anni), casalinga, abitazione; Centioli Teresa (19 anni), casalinga, abitazione; Stefani Teresa Jolanda (28 anni), casalinga, abitazione; Vallese Irma (39 anni), casalinga, abitazione; Biancotto Antonio (50 anni), manovale, ospedale; Fantin Antonio (63 anni) bracciante, ospedale; Segato Venanzio (15 anni), mezzadro, ospedale; Penso Paolo (55 anni), impiegato, ospedale e la moglie Vescovo Clorinda (52 anni), casalinga pubblica via; Bizzaro Anna (48 anni), casalinga, ospedale; Perissinotto Angela (35 anni), casalinga, ospedale; Tonon Maria (40 anni), casalinga, ospedale; Bottan Anna (59 anni), lavandaia presso ospedale, ospedale; Veronese Lucia (16 anni), studentessa, ospedale; Contarin Veronica (40 anni), infermiera, ospedale; Rovere Rina (25 anni), infermiera, ospedale; Luppi Giuseppina “suor Ildefonsa” (40 anni), suora, ospedale; Giusto Maria ” suor Angiolina” (33 anni), suora, ospedale; Badanai Santa (41 anni), casalinga, ospedale; Bonora Iolanda (30 anni), casalinga e il figlio Fusaro Dante (15 giorni), ospedale; Bortoluzzi Luigia (40 anni), casalinga, ospedale; Cappelletto Gina (19 anni), casalinga, ospedale; Gaiotto Maria (67 anni), casalinga, ospedale; Bobbo Maria (25 anni), casalina, e la figlia Merani Rita (3 giorni), ospedale; Ongaro Giuseppe (35 anni), bracciante, ospedale; Tolon Giuseppe (12 anni), ospedale; Cupresi Casimira (6 giorni), ospedale; Sari Jolanda (25 anni), ospedale, di lei furono trovati solo dei resti umani che solo in secondo tempo si pensa possano essere associati al suo nome; Bellese Maria (3 anni), Piccolo Rifugio; Orlando Maria (81 anni), invalida, Piccolo Rifugio; Fingolo Maria (77 anni), invalida, Piccolo Rifugio; Trevisiol Giovanna (8 anni), Piccolo Rifugio; Maschietto Antonio (76 anni), invalido, Piccolo Rifugio.
Il peggior bombardamento, non l’ultimo
La distruzione dell’ospedale diffuse ancor più terrore nella popolazione civile e molti scelsero di abbandonare il centro cittadino, tanto più che quello non fu l’ultimo bombardamento. Molti altri ne seguirono seppur non con quelle stesse tragiche conseguenze. Tra tutti si ricorda quello del 22 novembre che distrusse ancor di più il ponte della ferrovia. Ricorda Savio Taker nel suo libro (2) il numero delle famiglie sfollate e i paesi dei dintorni nei quali erano state accolte. Con scrupolo all’epoca Monsignor Saretta tenne aggiornato questo elenco con tanto di pubblicazione nel foglietto parrocchiale e a turno si recava nei vari paesi a visitare le famiglie sfollate, l’arciprete non aveva dimenticato della perigliosa profuganza a cui lui e tanti sandonatesi erano stati costretti durante la prima guerra mondiale. Tanti mesi mancavano prima di arrivare alla fine della guerra e le tragedie non erano ancora terminate. L’emergenza principale dopo quel tragico bombardamento fu sostituire l’ospedale che da allora venne trasferito provvisoriamente presso Villa Ancillotto. Solo nel dopoguerra venne iniziata la costruzione del nuovo Ospedale Civile dove ancor oggi si trova, nemmeno quella fu impresa facile e ci vollero parecchi anni prima di vederlo inaugurato nel 1953, ma questa è un’altra storia.
(1 – Prima parte « Quando l’Italia si ritrovò sotto i bombardamenti »); (2 – Seconda parte); (3 – Terza parte « Quel ricordo che ti riporta all’ottobre 1944 »)
Per approfondimenti: 1. « Lucia Schiavinato » di Domenico Savio Teker (De Bastiani Editore, 1988); 2. « Storia Cristiana di un Popolo: San Donà di Piave » di Domenico Savio Teker (De Bastiani Editore, 1994); 3. « San Donà di Piave » di Dino Cagnazzi (Amministrazione Comunale di S. Donà di Piave, 1995); 4. « L’Ospedale civile di San Donà di Piave 1900-2000 » di Autori Vari (Tipolitografia Adriatica, 2000); 5. « Un soffio di libertà » di Morena Biason (Nuova Dimensione, 2007); 6. « Monumento ai caduti in guerra 1915-18 » di Roberto Gattiboni (Passart Editore, 2018); 7. « Attività amministrativa – Primo mandato elettorale – Vita Sociale del Comune di San Donà di Piave » di Luisa Florian e Maria Trivellato (Digipress Book, 2019); 8. « Cent’anni di carità – Casa Saretta e le Suore di Maria Bambina a San Donà di Piave » a cura di Marco Franzoi (Digipress Book, 2021); 9. « L’Italia bombardata: Storia della guerra di distruzione 1940-1945 » di Marco Gioannini e Giulio Massobrio (Mondadori, 2021)