Quando l’Italia si ritrovò sotto i bombardamenti

Nel 1940 l’Italia entra in guerra a fianco della Germania, l’esercito italiano verrà impegnato in tanti fronti ma alla fine sarà la popolazione italiana tutta a ritrovarsi al fronte stretta tra eserciti stranieri, italiani contro e distruttivi bombardamenti. Il peggior flagello che l’Italia ricordi e anche San Donà ne pagò un prezzo.

Il Monumento ai Caduti di San Donà di Piave

L’Italia in guerra vi entrò nel 1940 ma già dagli anni Trenta i soldati italiani stavano combattendo in molti fronti, presenti in Libia e in Somalia gli italiani conquistarono l’Etiopia nel 1936 occupando poi l’Albania nel 1939. Conflitti che dal punto di vista economico avevano minato le finanze italiche, tanto più che l’autarchia di regime contrapposta alle sanzioni internazionali non avevano regalato prospettive dorate alla popolazione italiana sempre più alle prese con pesanti ristrettezze. Con il 10 giugno 1940 l’entrata in guerra a fianco della Germania contro Francia ed Inghilterra non fa che acuire i problemi ma al tempo stesso rende esplicito quel prezzo che si dovrà pagare alla guerra. Se da un lato continuano i tanti arruolamenti degli elementi più e meno giovani della popolazione dall’altro già nella notte tra il 10 e l’11 giugno Torino e Genova subirono il primo bombardamento da parte della RAF inglese. Il settore industriale di Liguria, Piemonte e Lombardia divenne un obiettivo delle incursioni aeree notturne inglesi e francesi, ma anche le raffinerie di Porto Marghera subirono il loro primo attacco aereo francese nella notte tra il 13 e il 14 giugno. Francesi che di lì a poco saranno costretti alla resa dall’invasione nazista e contro cui solo poco prima della resa l’esercito italiano aveva iniziato ad avanzare da sud. Se la minaccia francese venne meno grazie al governo collaborazionista di Vichy, i bombardamenti continuarono negli anni a venire da parte di inglesi e alleati: inizialmente ebbero obiettivi economici e bellici, ma che nel proseguo del conflitto mondiale videro sempre più colpita la popolazione civile e lo stesso patrimonio artistico italiano ne pagò un caro prezzo.

In guerra anche contro gli Stati Uniti

Nel dicembre 1941 gli Stati Uniti subirono l’attacco giapponese a Pearl Harbour e la loro neutralità venne meno, subito dopo la Germania e l’Italia dichiararono guerra agli Stati Uniti in nome dell’alleanza instaurata con il Giappone. Se inizialmente le forze dell’Asse trassero beneficio dal tener impegnato il nemico americano da parte dell’alleato giapponese, poi le sorti del conflitto cambiarono quando un anno dopo gli Stati Uniti rinforzarono gli inglesi in Africa dove gli italiani prima e i tedeschi poi avevano attaccato l’Egitto controllato dagli inglesi. Nel mezzo vi era stata la rovinosa invasione della Russia da parte delle truppe dell’Asse, che costò carissimo alla Germania e ai suoi alleati. Tra offensive e controffensive furono soprattutto i due inverni russi a mietere migliaia di morti. Un’Italia in guerra su infiniti fronti ma che già prima del 1939 era conscia della propria impreparazione militare e che suo malgrado ora vedeva le sue truppe impegnate in Etiopia, nel Nord Africa, in Russia, in Grecia, in Jugoslavia.

La guerra alle porte di casa
19 luglio 1943 il bombardamento di Roma, 3mila morti e 11mila feriti

Con la sconfitta in Nord-Africa, per l’Italia le prospettive si fecero rapidamente cupe. Gli angloamericani sbarcarono il 10 luglio 1943 in Sicilia, nel giro di poche settimane arrivarono a controllare l’isola. Un incontro di Mussolini con Hitler nei pressi di Feltre non offrì vie d’uscita all’Italia tanto che in quelle stesse ore un pesante bombardamento aereo alleato colpì per la prima volta Roma. Lo stesso Mussolini venne messo in minoranza il 25 luglio dal Gran Consiglio del Fascismo e successivamente fu dimissionato da Vittorio Emanuele III, imprigionato, e sostituito con Badoglio. Quella via d’uscita la monarchia pensò di trovarla firmando un armistizio con gli alleati, e reso pubblico l’8 settembre, il re e il governo italiano presero la via prima di Pescara e poi di Brindisi. La reazione tedesca fu violenta tanto che liberarono Mussolini il 12 settembre e attuarono quello che avevano sempre fatto in ogni altro paese dell’Asse ribelle: controllo militare tedesco e costituzione di un governo amico, in questo caso la Repubblica di Salò con a capo nuovamente Mussolini. Con l’esercito italiano in rotta e i comandi senza ordini, per i tedeschi fu gioco facile prendere il sopravvento e requisire armamenti e rifornimenti. Tra l’altro il comando tedesco aveva già previsto un passo indietro italiano e si era quindi preparato ridispiegando e rinforzando le truppe nella penisola. Pesanti furono i bombardamenti che colpirono le città meridionali, gli alleati si preparavano a sbarcare in Puglia, in Calabria e in Campania. Con l’operazione “Slapstick” gli alleati sbarcarono a Taranto e l’armistizio fu una chiave per farlo con il minimo danno, nel giro di qualche settimana riuscirono a controllare l’intera Puglia. Dal punto di vista strategico l’occupazione del Salento permise agli alleati di ripristinare le numerose basi aeree italiane, funzionali sia per l’avanzata nel meridione che per colpire il Nord Italia. E proprio dalla Puglia partirono gli aerei della 15° USAAF che colpirono anche le nostre zone.

Dopo l’armistizio s’intensificano i bombardamenti
7 aprile 1944 bombardamento di Treviso, 1470 morti – “Palazzo dei Trecento”

Se nel settembre 1943 l’Italia cercò una via d’uscita firmando l’armistizio, la massiccia presenza tedesca non rese meno tenace la guerra. Anzi il conflitto divenne più crudo con un ruolo sempre più subalterno dei fascisti della Repubblica di Salò nei confronti dell’esercito germanico divenuto ancor più d’occupazione agli occhi di una popolazione stanca e insofferente. Se da un lato oramai la popolazione italiana a fronte dei tanti bombardamenti aveva per la gran parte abbandonato le città e cercava di tenersi lontano dai possibili obiettivi militari, dall’altro le distruzioni di interi quartieri di una guerra tutt’altro che selettiva fece registrare tante perdite tra la popolazione civile. Uno dei bombardamenti più duri nello scenario veneto fu quello che subì Treviso il 7 aprile 1944 che costò 1470 morti ed una distruzione generalizzata del centro cittadino, ne fece le spese anche il Palazzo dei Trecento, uno dei simboli artistici della città.

La guerra alle porte di casa
Il ponte stradale negli anni trenta

In quei primi mesi del 1944 i bombardamenti di Treviso e quelli continui di Mestre e di Porto Marghera avevano prodotto un alto numero di sfollati che cercarono scampo nelle zone circostanti, non ultima San Donà di Piave che accolse numerose famiglie e riuscì a raccogliere per la diocesi ferita ben cento mila lire di offerte. Ma le stesse autorità di San Donà incominciarono in quella primavera del 1944 ad invitare la popolazione ad abbandonare il centro cittadino e soprattutto a tenersi a distanza da quegli obiettivi militari come potevano essere il ponte stradale e quello ferroviario, sottolineandone le zone e le vie da cui era consigliata l’evacuazione specie di chi non sarebbe stato in grado di farlo celermente in caso di pericolo. Ed in particolare di notte ad osservare gli orari del coprifuoco per non offrire il fianco ai sorvoli dei caccia alleati notturni.

Le prime bombe cadono sul sandonatese

Con il fronte che si avvicinava alla Romagna si intensificarono nell’estate i bombardamenti delle città, particolarmente cruenti quelli intorno a Bologna, ma non di meno le incursioni imperversarono verso i porti di Venezia e Trieste. Inutile dire che la direttrice degli aerei portava al sorvolo continuo dei cieli sandonatesi, una minaccia costante e pur se molte missioni prendevano la direzione della Germania tra gli obiettivi multipli che avevano, anche le nostre zone entrarono spesso nel mirino degli attacchi alleati. I timori dei tanti sandonatesi che scrutavano i cieli solcati dagli aerei alleati presto si materializzarono. Le prime bombe caddero nella zona della Casa Paterna in via Calnova e a Chiesanuova il 18 luglio, mentre particolarmente importanti furono i danni subiti da Musile il 21 luglio con le prime vittime, danni anche dal lato sandonatese subì la strada arginale verso Grisolera.

Le truppe tedesche prendono possesso di San Donà
Il ponte della ferrovia colpito dai bombardamenti alleati

A fine luglio le truppe tedesche rafforzarono la loro presenza a San Donà occupando in modo stringente molte zone della città e requisendo numerose abitazioni, lo stesso Oratorio Don Bosco era pieno di soldati tedeschi con cui i salesiani furono costretti ad una scomoda convivenza. Una presenza tedesca che si manifestava in tutto il sandonatese con continue retate nelle quali i tedeschi si alternavano ai fascisti alla ricerca di partigiani, disertori del regio esercito e sempre più di militari alleati sopravvissuti agli abbattimenti degli aerei che sorvolano i cieli sandonatesi e non. Il 3 agosto di un nuovo pesante bombardamento fu fatto oggetto Musile dove caddero un centinaio di bombe, un’altra ventina caddero su San Donà. L’obiettivo palese erano sempre i ponti sul Piave ma è inevitabile che a farne le spese furono i centri cittadini. Alla fine di agosto a finire sotto le bombe fu il ponte della ferrovia pesantemente danneggiato.

Quella sirena divenuta incubo
Le sirene antiaeree ancora esistenti sui tetti di Roma

Numerosi erano gli allarmi aerei che risuonavano ogni giorno a San Donà e la tarda mattinata era l’orario solito in cui tutti erano costretti a cercare di sfuggire alle possibili esplosioni, chi in rifugi predisposti chi in ripari di fortuna. Decisamente più scomodi quando a risuonare erano le sirene di notte con uno stato di apprensione perenne della popolazione che aveva deciso di rimanere in città. Come racconta Savio Teker nel suo libro (2.): « I segnali d’allarmi erano tre: Limitato pericolo (tre segnali da 10 secondi con intervalli di 10 secondi); Pericolo (dieci segnali di 3 secondi con intervalli di 3); Cessato allarme (un segnale di 60 secondi) ». Gli inviti all’evacuazione della città verso le zone di campagna divennero sempre più assillanti e numerose erano oramai le famiglie che ingrossarono le fila degli sfollati.

Il campanile come rifugio notturno
Immagine aerea del centro di San Donà di Piave del 1930

Tra i simboli di quel periodo fatto di continue minacce aeree diurne e notturne a sorpresa vi è stato il Campanile. Ne dà conto Savio Teker inserendo nel suo libro (2.) un racconto pubblicato su un foglietto parrocchiale e scritto dallo stesso Monsignor Saretta a Liberazione di San Donà avvenuta: « Ci sono dei cittadini che hanno proprio chiesto ospitalità al campanile per fare i loro sonni tranquilli, e su per le scale, in tutti i piani del grattacielo, fino alla cella campanaria, ogni notte si dispone con mezzi di fortuna una folla silenziosa e trepidante per sottrarsi ai colpi micidiali di “Pippo” tenebroso. Tutto lo spazio disponibile è utilizzato. Non cadrebbe per terra un grano di miglio. Vi sono i “sediari” pigiati l’uno vicino all’altro, diritti, avvolti nelle ampie coperte per ripararsi dal freddo che entra col vento dalle finestre senza vetrate. Stanno immobili, rigidi, per tutta la notte, come pietrificati. Più disgraziati sono quelli che devono accomodarsi in qualche modo su per la scala. Ciascuno ha il suo gradino, e guai a chi osasse toccarla! Il diritto del primo occupante è riconosciuto in pieno. Qualche fortunato, di proporzioni più abbondanti, si è assicurato l’uso anche di due o tre gradini. E se durante la notte si potesse far luce su quella folla di accoccolati, sarebbe uno spettacolo strano, macabro, pietoso quello che si presenterebbe al nostro sguardo. Poi ci sono i privilegiati, che hanno imbastito un letto di fortuna, con reti metalliche, con materassi. Devono però essere puntuali, all’ora fissata, perché non v’è spazio fra letto e letto e chi arriva in ritardo deve passare sopra i malcapitati, che già riposano sotto le coperte, con pericolo di sentirsi mettere il piede,,,,in fallo. Non mancano le sentinelle, s’intende, senz’armi: sono i ricoverati sporadici, che nel momento del pericolo cercano rifugio in campanile e vi si introducono a furia di spintoni, e vi restano per ore e ore, nelle posizioni più incomode, ma sempre in piedi, a disagio, in attesa di…. Riveder le stelle. Piccole fiammelle a olio, accese davanti al Crocefisso, illuminano la strana catacomba (in senso verticale), quel tanto che è indispensabile per evitare pericoli e disordini, e rendono il soggiorno anche più tetro e misterioso. Così per settimane, per mesi, per tutte le notti, da quando gli aerei notturni vanno spargendo il terrore e la morte ».

(1 – Prima parte); (2 – Seconda parte « Morte e distruzione nel tragico autunno 1944 »); (3 – Terza parte « Quel ricordo che ti riporta all’ottobre 1944 »)

Per approfondimenti: 1. « Lucia Schiavinato » di Domenico Savio Teker (De Bastiani Editore, 1988); 2. « Storia Cristiana di un Popolo: San Donà di Piave » di Domenico Savio Teker (De Bastiani Editore, 1994); 3. « San Donà di Piave » di Dino Cagnazzi (Amministrazione Comunale di S. Donà di Piave, 1995); 4. « L’Ospedale civile di San Donà di Piave 1900-2000 » di Autori Vari (Tipolitografia Adriatica, 2000); 5. « Un soffio di libertà » di Morena Biason (Nuova Dimensione, 2007); 6. « Monumento ai caduti in guerra 1915-18 » di Roberto Gattiboni (Passart Editore, 2018); 7. « Attività amministrativa – Primo mandato elettorale – Vita Sociale del Comune di San Donà di Piave » di Luisa Florian e Maria Trivellato (Digipress Book, 2019); 8. « Cent’anni di carità – Casa Saretta e le Suore di Maria Bambina a San Donà di Piave » a cura di Marco Franzoi (Digipress Book, 2021); 9. « L’Italia bombardata: Storia della guerra di distruzione 1940-1945 » di Marco Gioannini e Giulio Massobrio (Mondadori, 2021)