Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 203-206)
Sempre sul filo del pericolo, nuovi lutti per le comunità di sfollati
Il giovedì 23 novembre fu turbato da un triste episodio. Mentre Mons. Saretta percorreva il breve tratto che divide casa Sant da casa Sgorlon, una granata di grosso calibro, proveniente dalla direzione di Meolo, cadde a pochi metri dal sacerdote e dalle suore che lo accompagnavano, nel cortile di casa Fiorindo. In quel momento una donna si trovava nel cortile : portava l’acqua attinta nel Piave. Una scheggia la colpì, le squarciò il petto e la distese a terra : sopravvisse pochi minuti. ̶ ̶ ̶ Mons. Saretta potè appena impartirle l’assoluzione e amministrarle l’estrema unzione. La sventurata aveva il marito in guerra, e lasciava, abbandonati alle cure dei parenti, undici orfanelli, di cui il maggiore contava appena quindici anni, mentre un prossimo nascituro attendeva di uscire alla luce per … godere la vita. ̶ ̶ ̶ Lo stesso giorno un vecchio, in un’altra casa di Palazzetto, fu colpito da scheggia di granata : raccolto da due soldati austriaci, benedetto da Mons. Saretta, fu sepolto nella campagna prospiciente la sua casa. ̶ ̶ ̶ Quel tiro insolito attorno a casa Fiorindo, e che riuscì fatale ai profughi, fu provocato da un pallone frenato austriaco, che i nostri non cessarono di perseguitare, finchè non fu interamente distrutto.
La mattina del 24 si trasportò al cimitero di Grisolera la salma della povera Fiorindo. La famiglia Fiorindo, pur sotto la minaccia di nuove disgrazie, volle rendere l’ultimo tributo di affetto all’estinta. Le esequie si celebrarono in una cappella della chiesa di Grisolera, rimasta ancora in piedi ; ma bisognò passare su di un cumulo di macerie. Al cimitero di Grisolera si ebbe lo spettacolo delle tombe sconvolte e dei morti disseppelliti dalle granate ; il quadro era reso più tetro ancora dalla vista di otto soldati austriaci morti e abbandonati sopra ai tumuli, stringenti ancora tra le mani il pugnale. Il prigioniero è sempre degno di rispetto ; più ancora merita rispetto l’avversario che sacrificò la sua vita : se l’esercito austriaco, operante in quella zona, mancava ancora di cappellano, è però sempre biasimevole la mancanza di quel senso di umanità che si trova perfino tra le pieghe del cuore più indurito : Mons. Saretta giudicò suo dovere supplire a questo senso di indifferenza e di cinismo e, aiutato dai Fiorindo e dalle suore, diede a quelle salme una provvisoria sepoltura.
Tensione con i soldati in casa Sgorlon
La sera del 24, quattro soldati austriaci penetrarono in casa Sgorlon : fumarono, bevettero e canticchiarono una loro canzone, accompagnando il canto con gesti poco decenti. Consumato quanto trovarono in cucina, tre soldati si portarono a spopolare il pollaio di quel poco che era rimasto dalle requisizioni di quei giorni; e poi se ne andarono ; il quarto invece si fermo in cucina evidentemente con cattive intenzioni. Pregato di andarsene, prepotentemente, villanamente si rifiutò : la pazienza ebbe un limite, e quel disgraziato si vide sul punto di essere aggredito da quelle donne che stavano raccolte in casa Sgorlon. Compresa la sua posizione pericolosa, ridotto in uno stato di assoluta impotenza, perché le donne si erano ormai armate di bastoni e di coltelli, credette opportuno tramutarsi in piffero da montagna, e queto queto si allontanò, lanciando però contro quelle donne delle frasi che anche al più inesperto della lingua tedesca suonarono banali bestemmie e titoli osceni, sputati contro creature onestissime che vollero salvaguardato il loro onore.
Casa Ronchi saccheggiata da borghesi e soldati
La mattina del 25, giorno di domenica, la prima Messa si celebrò in casa Sant; la seconda in casa Sgorlon, dove alcuni uomini di Cava e di Grisolera si accostarono ai sacramenti. Sulla località si erano intanto, quella notte, rifugiate altre famiglie di Passarella che trasportarono con sé due vecchi ammalati, di Cavazuccherina : quei due vecchi furono subito consegnati, per l’assistenza, alle suore ; muniti dei conforti religiosi, abbandonati dalle famiglie che ne avevano curato il trasporto e che proseguirono la via dell’esilio, rimasero in definitiva aggregati alla compagnia del Mons. Saretta.
Nello stesso giorno si amministrò il battesimo in casa Marcon ad una bambina, cui le suore imposero il nome di Maria. ̶ ̶ ̶ In complesso, il 25 e il 26 novembre, in casa Sant e in casa Sgorlon, passarono tranquilli : rattristò unicamente tutti i profughi il saccheggio e le devastazioni compiute in casa Ronchi. Borghesi e soldati trovarono là, per diversi giorni, ogni sorta di derrate e di provviste : il vino allagò l’immensa cantina, dove accorsero, muniti di fiaschi e di botticelli, tutti i Comandi dei dintorni. Lo stesso Mons. Saretta, perché le cose nostre non andassero sciupate, pensò di approfittare di questa abbondanza ; si fornì di un po’ di vino e di alcuni salsicciotti, che furono, pochi giorni appresso, un vero acquisto provvidenziale per la numerosa famiglia.
Dal rifugio di Palazzetto la triste visione dei continui bombardamenti su San Donà
In casa Catelan, il mercoledì 28 novembre, si erano intanto rifugiate le suore Giuseppine, il parroco, e il medico di Grisolera, dott. Bressanin, unico medico rimasto prigioniero in quella zona (1 – Dobbiamo ricordare che il dott. Bressanin si tenne in contatto con il dott. Perin che spesso lo sostituì nella cura degli ammalati) : con quest’ultimo, in modo speciale, la comitiva di S. Donà procurò di non perdere mai contatto, anche in previsione di una fuga che si prospettava non lontana : parroco e medico, anzi, il 29 novembre si fermarono a modesta colazione con quei fuggiaschi di S. Donà e scambiarono con questi il loro programma per l’avvenire. Verso S. Donà, intanto, era sempre diretto il bombardamento, mentre razzi luminosi, durante la notte, spiavano il cielo e proiettavano scie fantastiche su quelle lugubri campagne.
Il giorno 30 la battaglia si accanì sopra S. Donà : aereoplani italiani e nemici volteggiarono, per lunghe ore, nel cielo di Palazzetto con tragiche scaramucce e lunghi inseguimenti. Così nella più angosciosa incertezza, senza una chiara visione di uscita, sempre con lo spettro della morte dinanzi agli occhi, tramontava, in un sanguinoso lembo di fuoco e di sangue, il disgraziato novembre 1917.
L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:
29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre 1917 undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte