Un terribile settembre quello del 1882, ben rappresentato dal bollettino del ministero dell’agricoltura commercio: « Le piogge copiosissime, torrenziali che si verificarono in questa decade, ma specialmente dall’1 al 19, le quali furono cagione di così tremendi disastri nel Veneto, si devono alla persistenza di due depressioni atmosferiche, le quali persistettero per ben sette giorni l’una di qua e l’altra aldilà delle Alpi, mantenendo i loro centri in continua oscillazione. La depressione aldilà dei monti si mantenne quasi sempre a Nord Nord-Est; la posizione del centro di quella al di qua oscillò tra il Golfo di Genova ed il Veneto. In causa della reciproca posizione di questi due cicloni furono le Alpi del nord e del nord est quelle nelle quali si operò la massima condensazione del vapore acqueo. »
L’ alta Italia ne venne tutta travolta
Dalle pagine di Illustrazione Italiana le tremende cronache di quel settembre che segnarono solo l’inizio di un racconto che continuò anche nel mese successivo: « Le piogge pressoché incessanti che da 15 giorni cadono sulla zona media del continente europeo, hanno straordinariamente gonfiato i torrenti alpini che precipitano dai gioghi dei nostri monti: essi hanno rovesciato la piena sui laghi e sui fiumi, i quali, comunicandosela via via per tutta la fitta rete idrografica dell’alta Italia, han convertito la Lombardia e più specialmente il Veneto, in un vasto campo di rovine. I giorni 15, 16 e 17 settembre segnano la data del funesto avvenimento. Ci sarebbe impossibile enumerare soltanto le rovine fatte dagli elementi anche perché un cielo implacabilmente rannuvolato continua a versare le acque del nuovo diluvio. […] Spaventevole è il disastro che ha colpito il Veneto, e più propriamente le sue più fiorenti città: Verona, Vicenza, Padova, ecc. L’inondazione di Verona resterà tristemente celebre nella storia contemporanea. L’Adige, turgido ed impetuoso, inondò la città il 15 e il 16, rompendo tutti i quattro ponti che l’accavalcano, rovesciando case, molini, piantagioni ecc.; poi, sotto Verona, ruppe gli argini in quattro punti e per le larghe brecce si rovesciò sulle campagne vicine. Tutti i fiumi e torrenti che dalle Alpi scendono nelle lagune, imitarono l’esempio del loro maggior fratello: il Piave, la Livenza, il Brenta, il Bacchiglione, il Cordevole. l’Astico, il Timonchio, ruppero ponti, squarciarono argini, devastando borgate e campagne; ed anche qui, pur troppo, si hanno a deplorare vittime umane. I ragguagli per ora sono incompleti, e le notizie disastrose si succedono senza posa: e, quello che è peggio, piove, piove dirottamente, facendo prevedere altri e maggiori guai. La grandezza della sciagura sembra scoraggiare qualunque opera di beneficienza. I raccolti del riso, dell’uva, della mellica e delle castagne sono irreparabilmente perduti: migliaia di famiglie son rimaste senza tetto, sprovviste di tutto, senza strumenti da lavoro, senza lagrime per piangere la morte de’ loro cari e la rovina della loro esistenza!»
L’indomito Piave s’aprì la via
In quei giorni il livello del Piave toccò picchi sino ad allora mai raggiunti, mettendo in sofferenza tutti gli argini ed esondando in più punti, tanti anche i ponti danneggiati irrimediabilmente, tra cui il Ponte Vecchio di Belluno. In quel 16 settembre tutte le zone del basso corso del Piave pagarono un loro pesante tributo. La furia delle acque provocò molti danni esondando in più punti a Noventa dove il Piave ha un corso tortuoso. Le acque si aprirono un varco negli argini al Montiron, un altro più largo a Sabbionera, giorni dopo una terza breccia s’aprì a La Favorita. Furono 400 le famiglie che videro le proprie case allagate e la necessità di mettersi in salvo. L’impeto del Piave fu tale che nel tratto sandonatese l’ansa tra San Donà e Musile venne spazzata via, il Piave decise di andar dritto lasciando il proprio letto costeggiante l’argine San Marco; le poche case all’interno dell’ansa vennero travolte e a farne le spese fu anche il ponte di legno, all’epoca chiamato “della Pedona”, che dopo secoli aveva unito San Donà a Musile, ed ora irrimediabilmente danneggiato a soli sette anni dall’inaugurazione. Si narra che solo grazie al coraggio dell’impiegato del telegrafo Bressanin si riuscì a mantenere intatta la linea; il coraggioso si issò sulla pericolante struttura del ponte sganciando il prezioso filo del telegrafo prima che quella fondamentale linea di comunicazione s’interrompesse, seguendo il triste destino del ponte, isolando ancor di più l’intera zona.
Danni e allagamenti
Indicibili furono le sofferenze sopportate dalla popolazione prigioniera delle acque, infinite le esondazioni e le tracimazioni che inondarono le campagne, alto pure il numero degli sfollati messisi in salvo con difficoltà vista la portata degli allagamenti. Potente il grido di aiuto lanciato dal sindaco di San Donà Giorgio Trentin: «Siamo inondati attendiamo subito barche e truppe per salvare e soccorrere gli abitanti sorpresi nella notte e privi di tutto.». La violenza delle acque travolse la chiesa e il cimitero di Musile, posti allora nelle vicinanze del fiume, vennero poi ricostruiti in una zona più sicura. Non meglio andò sulla sponda sandonatese con importanti danni al Molino Finzi con il suo costoso macchinario a vapore e che creò alla popolazione un’immediata emergenza alimentare. Nella vicina Noventa furono ben 1500 i senza tetto obbligati a mettersi in salvo lontano da quel fiume che rappresentava un importante polo economico grazie al porto fluviale.
I difficoltosi soccorsi
I soccorsi furono rallentati dagli allagamenti e dalla rottura di quell’unico ponte che collegava le due sponde. Impreparata si trovò anche la Regia Marina con le sue imbarcazioni che si rilevarono inizialmente inadatte a quel tipo di operazione di soccorso nelle zone alluvionate. La situazione restò grave per giorni a causa della pioggia che non cessava e del livello delle acque che non sembrava deciso a calare, tanto che molte zone rimasero allagate per settimane, talune anche per mesi. Forte la solidarietà delle comunità vicine che inviarono viveri e aiuti alla popolazione in sofferenza.
Un’alluvione generalizzata
Il problema della piena, come detto, nel mandamento sandonatese non interessò solo il Piave, proprio l’ingrossamento generalizzato dei fiumi generò un effetto domino che vide esondare altri importanti corsi d’acqua. Già il giorno 16 settembre assieme al Piave ruppero gli argini sia il Meduna che il Monticano, il 23 settembre ci fu la rotta del Livenza a Torre di Mosto le cui acque si riversarono nelle campagne e si sommarono a quelle del Piave riportando indietro l’orologio della storia a prima delle bonifiche. Ben 37 mila ettari dei 44 mila che costituivano il dipartimento di San Donà vennero allagati. I raccolti ne furono intaccati con una popolazione costretta ad attendere i soccorsi, cercando al contempo di salvare i propri beni e i propri animali. Tutto il territorio ne pagò un prezzo anche per i lunghi mesi a venire, dove il semplice vivere dovette fare i conti con l’allarme sanitario in zone dove ancora la malaria mieteva le sue vittime. Furono anni difficili dove molti scelsero l’opzione di emigrare, tanti seguirono l’illusione del trasferimento oltre oceano in Sud America, come se lì la vita fosse meno dura.
Comitato di Soccorso del Basso Piave
Tra le tante richieste di aiuto, una vide l’unione di tutti i Comuni del comprensorio di San Donà uniti nel “Comitato di soccorso per gli inondati dal Piave” che inviarono una missiva ad ogni Comune del Regno per richiedere un aiuto in questo grave momento di difficoltà, così recitava l’appello:
« Onorevole Municipio, il tremendo disastro dell’inondazione di questo vasto territorio è oramai noto ovunque. Narrare i particolari strazianti per eccitare gli animi alla comprensione sarebbe quanto dubitare della potenza di quel sentimento spontaneo di fraterna solidarietà che fa della grande famiglia italiana una nazione civile rispettata e forte. Il comitato quindi, ricordando con raccapriccio il danno generale di oltre quattro milioni di lire e l’importanza a prestare i più urgenti soccorsi a più di 20 mila contadini vivi del necessario alla vita, e con una certa compiacenza di aver questo Distretto sempre risposto ai gridi di dolore delle popolazioni dei più remoti angoli della penisola colti da gravi jatture, si lusinga di trovare corrispondenza di sentimenti.
Qualunque sia la forma e la misura del sussidio che codesto Municipio e codesta cittadinanza crederanno di largire si avranno la gratitudine imperitura dei poveri disgraziati e dei loro rappresentanti.
San Donà di Piave 25 settembre 1882
Il comitato organizzatore: Trentin cav. Giorgio San Donà di Piave Sindaco di San Donà di Piave, Crico cav. Matteo Sindaco di Noventa di Piave, Vianello Alessandro Sindaco di Grisolera, Vian Lorenzo Sindaco di Torre di Mosto, Loro cav. Paolo Sindaco di Ceggia, D’Este Carlo Sindaco di San Michele del Quarto, Ferraresso Francesco Sindaco di Musile, Meneghini Giuseppe Assossre facente funzioni di Sindaco di Cavazuccherina, Varischio Antonio Sindaco di Fossalta di Piave, Placa Antonio Sindaco di Meolo.
Plateo Segretario.
I fondi per la ricostruzione
Imponente fu la raccolta di fondi per aiutare le zone colpite dalla grave calamità naturale. Alla elargizione che subito venne fatta dal Re, si aggiunse quella dello Stato, ed anche le varie amministrazioni comunali non si sottrassero nel dare un loro concreto contributo. Grandi erano i danni che tutta l’Italia settentrionale aveva subito, in Veneto i danni più gravi li aveva causati l’Adige destinatario dei maggiori aiuti, ma furono ben pochi i luoghi vicino a dei corsi d’acqua che non avevano avuto danni nel terribile settembre 1882. Tra le iniziative di raccolta fondi molte erano, come d’uso all’epoca, quelle legate a lotterie o tombole, tanti anni dopo San Donà fu beneficiaria di una iniziativa del genere quando dopo la grande guerra fu necessario ricostruire l’ospedale. Curiosamente i fondi destinati al distretto di San Donà ebbero un eccesso, che venne accantonato per destinarlo alla costruzione dell’ospedale. In questo caso i tempi si allungarono a dismisura e l’importante struttura dovette aspettare il nuovo secolo per trovare concretizzazione.
Ad ottobre, una nuova esondazione
All’alluvione del settembre 1882 ne seguì una ad ottobre che, fortunatamente, pur colpendo con una portata similare un territorio già in ginocchio per gli eventi del mese precedente, ebbe una durata inferiore. Dopo pochi giorni, le acque dell’irascibile fiume iniziarono a calare rientrando nell’alveo, ma furono molti i mesi nei quali le campagne continuarono a rimanere gonfie dell’acqua che le aveva attraversate, in un quasi ritorno alle origini, quando le bonifiche le avevano affrancate dalla realtà paludosa. Le stesse bonifiche che trovarono nuovo impulso anche negli anni a venire rivelandosi preziose nel salvare ancora una volta tutto il territorio.
La lenta ricostruzione
Furono imponenti le opere di risanamento che subirono i fiumi dopo un tale disastro. Per quanto riguarda il Piave si iniziò una lunga opera generalizzata di innalzamento degli argini quanto mai necessaria per riuscire a fronteggiare delle piene della portata di quella appena sostenuta. Nel sandonatese venne innanzitutto dato il via alla progettazione del nuovo ponte, opera la cui mancanza venne subito rimarcata rendendosi assolutamente necessario un suo veloce ripristino. Il nuovo corso del fiume ne impose una diversa collocazione, ma ovviamente venne subito accantonata la possibilità di rifarlo in legno. Solo sette anni era durato quello travolto dall’alluvione, venne scelta per cui una costruzione in ferro sorretta da piloni in muratura. Prima però venne inaugurato il ponte ferroviario che fu la grande novità di quegli anni, con la ferrovia che collegò prima San Donà e poi Portogruaro con Venezia. Inaugurato nel giugno 1885, il ponte ferroviario superò una prima piena del Piave nell’autunno, così come anche il costruendo ponte stradale resistette e dall’aprile 1886 San Donà e Musile tornarono ad essere collegate dal desiderato ponte.
I nuovi argini alla prova della piena del 1889
L’emergenza non terminò con l’innalzamento degli argini, le piene del Piave erano una costante e regolarmente si susseguivano anno dopo anno. Quella del 1889 ebbe una portata pari a quella record del 1882. Gli argini furono messi a dura prova, una prima breccia si aprì in quei nuovi argini innalzati tra il ponte stradale e quello ferroviario, la successiva pressione delle acque sull’argine San Marco fu tale che cedette in due punti, travolgendo sette case e causando ben dieci vittime in una stessa famiglia. Un’enorme massa d’acqua si riversò su Musile, tanto da allagare ben tre quarti del suo territorio, danni ingenti subirono anche Passarella e Chiesanuova. Ancora una volta passarono mesi prima che il territorio potesse liberarsi dalle acque ed iniziare la ricostruzione, con dei fondi per il ripristino e l’aiuto alle popolazioni che tardarono ad arrivare.
Nel 1903 la tragica alluvione ancor si ripete
A chiudere le grandi alluvioni di quel tempo ci fu quella del 1903. Ancora una volta delle eccezionali precipitazioni gonfiarono i fiumi, come vent’anni prima l’Adige allagò Verona, seppur in misura minore. Peggio ancor una volta quel che il Piave riservò alla popolazione del suo basso corso. Tremò la sponda sandonatese tenendo in apprensione tutti gli abitanti di Mussetta, poi nella notte tra il 30 e il 31 ottobre accadde la rotta: «…il fiume era minaccioso; una rotta degli argini si aspettava, nel posto detto Mussetta, dove vivevasi con ansia; invece, nel sito detto Intestadura la fiducia era unanime. D’un tratto, un rumore sordo avvertì quelli di Mussetta che il Piave aveva rotto lungi da loro: aveva rotto a Intestadura, villaggio di un migliaio di abitanti. Le acque, per uno squarcio largo oltre cento metri, irruppero spaventose, tutto travolgendo nella loro furia livellatrice: capanne, stalle, case, sui tetti delle quali arrivarono a stento a rifugiarsi coloro che non erano giunti a salvarsi sugli argini. Cinquemila persone, nel territorio circostante San Donà di Piave sono state colpite dal disastro; trenta chilometri quadrati di superficie sono stati allagati: e l’irruenza delle acque ha travolto nelle ruine, insieme con molte masserizie di miseri contadini, quattro vittime umane, due fanciulli e due poveri ottantenni. Nell’opera di salvataggio si sono segnalati, come sempre, per zelo, per umanità, i carabinieri e i nostri soldati.».
Il Comizio del 17 gennaio 1904
Nelle ultime righe del suo libro il Plateo dedicò parole accorate proprio alle alluvioni che lo videro per tanti anni in prima linea come Segretario municipale di San Donà di Piave. « Noi auguriamo che le grandi alluvioni, segnate dalla storia a tinte nere, non si ripetano più. Non possiamo però dimenticare l’altezza delle scaturigini del Piave, la sfrenatezza del suo corso, le angustie del suo alveo, il deviamento dello sbocco dalla laguna al mare e lo sboscamento progressivo dei monti, come tante cause di maggior impeto delle acque in tempo di piena. Dobbiamo poi constatare che queste cause costituiscono una potenza ignota ai tecnici e ai profani sin che dura l’attuale sistema di difesa, affatto insufficiente, prova ne sia che gli uni e gli altri rimasero fin qui ingannati dalle più studiate ipotesi. » Il Plateo ricorda poi un Comizio molto partecipato che si tenne il 17 gennaio 1904 a San Donà di Piave presso il Teatro Sociale, dove un Comitato composto tra gli altri dal Sindaco di San Donà Callegher, dal comm. Sicher e a cui diedero adesione molti sindaci del Basso Piave e del trevigiano, alla presenza di tanti senatori e deputati, rimarcarono molte richieste affinchè il Piave potesse essere messo in sicurezza. Di quell’ultima alluvione fecero anche un resoconto: 300 ettari l’estensione del territorio allagato con 757 famiglie e 5438 persone, le vittime furono 4, le case distrutte 8, le pericolanti sono 36, le danneggiate 120. I danni denunciati da piccoli proprietari, mezzadri, chiusuranti e braccianti, sommano a lire 383.343,25, esclusi quelli incalcolabili dei grandi proprietari.
Le alluvioni del Piave del 1882 nelle illustrazioni delle riviste
I giornali dell’epoca dedicarono molte illustrazioni agli eventi tragici delle alluvioni che colpirono il Veneto in quella fine-inizio secolo. Disegni e incisioni che raccontavano di episodi realmente accaduti e che davano il senso, il più delle volte tragico, degli avvenimenti. Anche in periodi successivi dove l’immagine fotografica divenne protagonista, questo tipo di rappresentazioni grafiche continuarono a mantenere una loro importanza. Riguardo agli avvenimenti accaduti nelle nostre zone “L’Illustrazione Italiana” dedicò al Veneto una incisione composita nella doppia pagina centrale in uno dei numeri di ottobre. Così la lunga descrizione data dal giornale: « Il grande disegno, che occupa due pagine di questo numero si riferisce a diversi punti del Veneto desolati dalle inondazioni. L’ovale, che ne occupa il centro ed il disegno posto a destra, nella parte inferiore, rappresentano i lavori di palificazione e di arginatura, intrapresi ora, per chiudere la grande rotta di Legnago. Questi lavori sono importanti non solo per ragioni economiche, ma anche per ragioni idrauliche; trattandosi della rotta d’Adige più ampia e più profonda che si abbia avuta finora. Lo scandaglio scese in qualche punto ad una profondità di 37 metri…..Gli altri disegni che girano attorno a buona parte dell’ovale si riferiscono all’inondazione del Piave. Due volte: alla metà di settembre e alla fine d’ottobre, le acque di questo fiume uscirono dal loro letto, rompendo gli argini, facendo rovinare case e ponti, e fugando all’improvviso migliaia di poveretti che confusi, spauriti, cercavano rifugio nei punti più elevati. All’urto della prima piena caddero infranti il gran ponte di San Donà e il prossimo molino a vapore del cav. Finzi, ampio ed elegante opificio che dava lavoro e pane a moltissime povere famiglie. Il ritrattino, che spicca nella parte inferiore del nostro disegno, è del fanciullo Dazzi, quello che presso la rotta dell’Adige a Masi restò più di trenta ore, aggrappato al tronco d’un albero. Il poveretto è orfano; i suoi genitori rimasero vittime di quel fiume, al cui fiotto impetuoso egli poté sfuggire in modo tanto sorprendente. »
Nelle copertine delle riviste le tragedie del 1903
Due incisioni in prima pagina furono invece dedicate alla rotta dell’Intestadura del 1903. “Il Secolo Illustrato” raccontò con un’incisione in prima pagina la tragedia all’Intestadura accompagnandola anche con il triste racconto all’interno: « …il Piave purtroppo volle le sue vittime. La casa di Pietro Pavanetto fu spazzata via. In una stanzetta dormiva una vecchia madre ottantenne assieme a due figliolette che miseramente perirono. Il contadino Luigi Mandruzzato si trovò con una bambina di quattro anni e la madre ottantenne sul tetto di una cascina, ove la piena li raggiunse e la vecchia infelice venne strappata dalle braccia del figlio e miseramente affogò….». Lo stesso fece “La Domenica del Corriere” che raccontò un altro episodio accaduto: «…Mentre carabinieri e cittadini, dentro una grossa barca, sfidavano la furia dell’acqua limacciosa e terribile, raccogliendo uomini e dovve che stavano per annegare, un toro rimasto isolato sopra un lembo dell’argine caduto si lanciò nell’acqua inseguendo minacciosamente la barca stessa. Tra i naufraghi lo spavento fu grande : scampati da un pericolo, un altro li minacciava! Un carabiniere impugnata la daga, tenne a bada l’animale inferocito finchè un provvidenziale filare d’alberi permise alla barca di approdare trattenendo il toro. »
Per ulteriori approfondimenti: 1. “Il ponte della vittoria diventa storia: 1922-2022 – passi barca, ponti e vie d’acqua a Musile e dintorni” di Lodovico Bincoletto e Loris Smaniotto (Tipolitografia Biennegrafica, Musile di Piave – 2022); 2. “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Mons. Costante Chimenton (Tipografia Editrice Trevigiana, 1928); 3. “La bonifica nel basso piave” di Luigi Fassetta (Tipoffset, Venezia, 1977); 4. “San Donà di Piave” di Dino Cagnazzi, Giorgio Baldo, Tiziano Rizzo (Casa Editrice Legal, Padova, 1979); 5. “C’era una volta Musile” di Lodovico Bincoletto e Loris Smaniotto (Biennegrafica, Musile di Piave, 2007); 6. “Torre di Mosto” di Dino Cagnazzi (Istituto Tipografico Editoriale, Dolo, 1979); 7.”Il disegno della città tra utopia e realizzazione” di Dino Casagrande e Giacomo Carletto (Tipolitografia Colorama, San Donà di Piave, 2002); 8. “Venezie sepolte nella terra del Piave” di Wladimiro Dorigo (Viella, Roma, 1994); 9. “Il territorio di S. Donà nell’agro d’Eraclea” di Teodegisillo Plateo (1907, Ristampa Editrice Trevigiana, 1969); 10. “Fossalta, dal 130 a.c. alla battaglia del Piave” di Alba Bozzo (Officine Grafiche Boschiero, Jesolo, 1983); 11. “Una terra ricca di memorie Noventa di Piave” di Dino Cagnazzi, Gianpietro Nardo, Luigi Bonetto (Istituto tipografico Editoriale, Dolo, 1980); 12. Archivio “Illustrazione Italiana” (consultabile on line)