Il Piave mormorò e nel 1882 tirò dritto al passaggio

Il Piave mormorò e nel 1882 tirò dritto al passaggio

Un terribile settembre quello del 1882, ben rappresentato dal bollettino del ministero dell’agricoltura commercio: « Le piogge copiosissime, torrenziali che si verificarono in questa decade, ma specialmente dall’1 al 19, le quali furono cagione di così tremendi disastri nel Veneto, si devono alla persistenza di due depressioni atmosferiche, le quali persistettero per ben sette giorni l’una di qua e l’altra aldilà delle Alpi, mantenendo i loro centri in continua oscillazione. La depressione aldilà dei monti si mantenne quasi sempre a Nord Nord-Est; la posizione del centro di quella al di qua oscillò tra il Golfo di Genova ed il Veneto. In causa della reciproca posizione di questi due cicloni furono le Alpi del nord e del nord est quelle nelle quali si operò la massima condensazione del vapore acqueo. »

L’ alta Italia ne venne tutta travolta

Dalle pagine di Illustrazione Italiana le tremende cronache di quel settembre che segnarono solo l’inizio di un racconto che continuò anche nel mese successivo: «  Le piogge pressoché incessanti che da 15 giorni cadono sulla zona media del continente europeo, hanno straordinariamente gonfiato i torrenti alpini che precipitano dai gioghi dei nostri monti: essi hanno rovesciato la piena sui laghi e sui fiumi, i quali, comunicandosela via via per tutta la fitta rete idrografica dell’alta Italia, han convertito la Lombardia e più specialmente il Veneto, in un vasto campo di rovine. I giorni 15, 16 e 17 settembre segnano la data del funesto avvenimento. Ci sarebbe impossibile enumerare soltanto le rovine fatte dagli elementi anche perché un cielo implacabilmente rannuvolato continua a versare le acque del nuovo diluvio. […] Spaventevole è il disastro che ha colpito il Veneto, e più propriamente le sue più fiorenti città: Verona, Vicenza, Padova, ecc. L’inondazione di Verona resterà tristemente celebre nella storia contemporanea. L’Adige, turgido ed impetuoso, inondò la città il 15 e il 16, rompendo tutti i quattro ponti che l’accavalcano, rovesciando case, molini, piantagioni ecc.; poi, sotto Verona, ruppe gli argini in quattro punti e per le larghe brecce si rovesciò sulle campagne vicine. Tutti i fiumi e torrenti che dalle Alpi scendono nelle lagune, imitarono l’esempio del loro maggior fratello: il Piave, la Livenza, il Brenta, il Bacchiglione, il Cordevole. l’Astico, il Timonchio, ruppero ponti, squarciarono argini, devastando borgate e campagne; ed anche qui, pur troppo, si hanno a deplorare vittime umane. I ragguagli per ora sono incompleti, e le notizie disastrose si succedono senza posa: e, quello che è peggio, piove, piove dirottamente, facendo prevedere altri e maggiori guai. La grandezza della sciagura sembra scoraggiare qualunque opera di beneficienza. I raccolti del riso, dell’uva, della mellica e delle castagne sono irreparabilmente perduti: migliaia di famiglie son rimaste senza tetto, sprovviste di tutto, senza strumenti da lavoro, senza lagrime per piangere la morte de’ loro cari e la rovina della loro esistenza!»

L’Adige a Verona durante la piena del 1882 (tratta da “Illustrazione Italiana”)
L’indomito Piave s’aprì la via
In una cartina austriaca del 1841 l’ansa del Piave posta tra San Donà e Musile e travolta dalla piena del 1882. Nella cartina Mussetta par quasi arrivare nel centro di San Donà, tanto che il corso principale cittadino sembra segnarne il confine, anche se la toponomastica dice altro.

In quei giorni il livello del Piave toccò picchi sino ad allora mai raggiunti, mettendo in sofferenza tutti gli argini ed esondando in più punti, tanti anche i ponti danneggiati irrimediabilmente, tra cui il Ponte Vecchio di Belluno. In quel 16 settembre tutte le zone del basso corso del Piave pagarono un loro pesante tributo. La furia delle acque provocò molti danni esondando in più punti a Noventa dove il Piave ha un corso tortuoso. Le acque si aprirono un varco negli argini al Montiron, un altro più largo a Sabbionera, giorni dopo una terza breccia s’aprì a La Favorita. Furono 400 le famiglie che videro le proprie case allagate e la necessità di mettersi in salvo. L’impeto del Piave fu tale che nel tratto sandonatese l’ansa tra San Donà e Musile venne spazzata via, il Piave decise di andar dritto lasciando il proprio letto costeggiante l’argine San Marco; le poche case all’interno dell’ansa vennero travolte e a farne le spese fu anche il ponte di legno, all’epoca chiamato “della Pedona”, che dopo secoli aveva unito San Donà a Musile, ed ora irrimediabilmente danneggiato a soli sette anni dall’inaugurazione. Si narra che solo grazie al coraggio dell’impiegato del telegrafo Bressanin si riuscì a mantenere intatta la linea; il coraggioso si issò sulla pericolante struttura del ponte sganciando il prezioso filo del telegrafo prima che quella fondamentale linea di comunicazione s’interrompesse, seguendo il triste destino del ponte, isolando ancor di più l’intera zona.

Danni e allagamenti
Il ponte di legno sul Piave e il molino Finzi (tratta da “Illustrazione Italiana”)

Indicibili furono le sofferenze sopportate dalla popolazione prigioniera delle acque, infinite le esondazioni e le tracimazioni che inondarono le campagne, alto pure il numero degli sfollati messisi in salvo con difficoltà vista la portata degli allagamenti. Potente il grido di aiuto lanciato dal sindaco di San Donà Giorgio Trentin: «Siamo inondati attendiamo subito barche e truppe per salvare e soccorrere gli abitanti sorpresi nella notte e privi di tutto.». La violenza delle acque travolse la chiesa e il cimitero di Musile, posti allora nelle vicinanze del fiume, vennero poi ricostruiti in una zona più sicura. Non meglio andò sulla sponda sandonatese con importanti danni al Molino Finzi con il suo costoso macchinario a vapore e che creò alla popolazione un’immediata emergenza alimentare. Nella vicina Noventa furono ben 1500 i senza tetto obbligati a mettersi in salvo lontano da quel fiume che rappresentava un importante polo economico grazie al porto fluviale.

I difficoltosi soccorsi

I soccorsi furono rallentati dagli allagamenti e dalla rottura di quell’unico ponte che collegava le due sponde. Impreparata si trovò anche la Regia Marina con le sue imbarcazioni che si rilevarono inizialmente inadatte a quel tipo di operazione di soccorso nelle zone alluvionate. La situazione restò grave per giorni a causa della pioggia che non cessava e del livello delle acque che non sembrava deciso a calare, tanto che molte zone rimasero allagate per settimane, talune anche per mesi. Forte la solidarietà delle comunità vicine che inviarono viveri e aiuti alla popolazione in sofferenza.

Un’alluvione generalizzata

Il problema della piena, come detto, nel mandamento sandonatese non interessò solo il Piave, proprio l’ingrossamento generalizzato dei fiumi generò un effetto domino che vide esondare altri importanti corsi d’acqua. Già il giorno 16 settembre assieme al Piave ruppero gli argini sia il Meduna che il Monticano, il 23 settembre ci fu la rotta del Livenza a Torre di Mosto le cui acque si riversarono nelle campagne e si sommarono a quelle del Piave riportando indietro l’orologio della storia a prima delle bonifiche. Ben 37 mila ettari dei 44 mila che costituivano il dipartimento di San Donà vennero allagati. I raccolti ne furono intaccati con una popolazione costretta ad attendere i soccorsi, cercando al contempo di salvare i propri beni e i propri animali. Tutto il territorio ne pagò un prezzo anche per i lunghi mesi a venire, dove il semplice vivere dovette fare i conti con l’allarme sanitario in zone dove ancora la malaria mieteva le sue vittime. Furono anni difficili dove molti scelsero l’opzione di emigrare, tanti seguirono l’illusione del trasferimento oltre oceano in Sud America, come se lì la vita fosse meno dura.

Comitato di Soccorso del Basso Piave

Tra le tante richieste di aiuto, una vide l’unione di tutti i Comuni del comprensorio di San Donà uniti nel “Comitato di soccorso per gli inondati dal Piave” che inviarono una missiva ad ogni Comune del Regno per richiedere un aiuto in questo grave momento di difficoltà, così recitava l’appello:

« Onorevole Municipio, il tremendo disastro dell’inondazione di questo vasto territorio è oramai noto ovunque. Narrare i particolari strazianti per eccitare gli animi alla comprensione sarebbe quanto dubitare della potenza di quel sentimento spontaneo di fraterna solidarietà che fa della grande famiglia italiana una nazione civile rispettata e forte. Il comitato quindi, ricordando con raccapriccio il danno generale di oltre quattro milioni di lire e l’importanza a prestare i più urgenti soccorsi a più di 20 mila contadini vivi del necessario alla vita, e con una certa compiacenza di aver questo Distretto sempre risposto ai gridi di dolore delle popolazioni dei più remoti angoli della penisola colti da gravi jatture, si lusinga di trovare corrispondenza di sentimenti.

Qualunque sia la forma e la misura del sussidio che codesto Municipio e codesta cittadinanza crederanno di largire si avranno la gratitudine imperitura dei poveri disgraziati e dei loro rappresentanti.

San Donà di Piave 25 settembre 1882

Il comitato organizzatore: Trentin cav. Giorgio San Donà di Piave Sindaco di San Donà di Piave, Crico cav. Matteo Sindaco di Noventa di Piave, Vianello Alessandro Sindaco di Grisolera, Vian Lorenzo Sindaco di Torre di Mosto, Loro cav. Paolo Sindaco di Ceggia, D’Este Carlo Sindaco di San Michele del Quarto, Ferraresso Francesco Sindaco di Musile, Meneghini Giuseppe Assossre facente funzioni di Sindaco di Cavazuccherina, Varischio Antonio Sindaco di Fossalta di Piave, Placa Antonio Sindaco di Meolo.

Plateo Segretario.

I fondi per la ricostruzione
Una tombola organizzata a Roma per raccogliere fondi a favore dei danneggiati dall’inondazione del 1882

Imponente fu la raccolta di fondi per aiutare le zone colpite dalla grave calamità naturale. Alla elargizione che subito venne fatta dal Re, si aggiunse quella dello Stato, ed anche le varie amministrazioni comunali non si sottrassero nel dare un loro concreto contributo. Grandi erano i danni che tutta l’Italia settentrionale aveva subito, in Veneto i danni più gravi li aveva causati l’Adige destinatario dei maggiori aiuti, ma furono ben pochi i luoghi vicino a dei corsi d’acqua che non avevano avuto danni nel terribile settembre 1882. Tra le iniziative di raccolta fondi molte erano, come d’uso all’epoca, quelle legate a lotterie o tombole, tanti anni dopo San Donà fu beneficiaria di una iniziativa del genere quando dopo la grande guerra fu necessario ricostruire l’ospedale. Curiosamente i fondi destinati al distretto di San Donà ebbero un eccesso, che venne accantonato per destinarlo alla costruzione dell’ospedale. In questo caso i tempi si allungarono a dismisura e l’importante struttura dovette aspettare il nuovo secolo per trovare concretizzazione.

Ad ottobre, una nuova esondazione

All’alluvione del settembre 1882 ne seguì una ad ottobre che, fortunatamente, pur colpendo con una portata similare un territorio già in ginocchio per gli eventi del mese precedente, ebbe una durata inferiore. Dopo pochi giorni, le acque dell’irascibile fiume iniziarono a calare rientrando nell’alveo, ma furono molti i mesi nei quali le campagne continuarono a rimanere gonfie dell’acqua che le aveva attraversate, in un quasi ritorno alle origini, quando le bonifiche le avevano affrancate dalla realtà paludosa. Le stesse bonifiche che trovarono nuovo impulso anche negli anni a venire rivelandosi preziose nel salvare ancora una volta tutto il territorio.

La lenta ricostruzione
Un articolo della Gazzetta di Venezia dell’aprile 1886 dove si annunciava il completamento del nuovo ponte sul Piave

Furono imponenti le opere di risanamento che subirono i fiumi dopo un tale disastro. Per quanto riguarda il Piave si iniziò una lunga opera generalizzata di innalzamento degli argini quanto mai necessaria per riuscire a fronteggiare delle piene della portata di quella appena sostenuta. Nel sandonatese venne innanzitutto dato il via alla progettazione del nuovo ponte, opera la cui mancanza venne subito rimarcata rendendosi assolutamente necessario un suo veloce ripristino. Il nuovo corso del fiume ne impose una diversa collocazione, ma ovviamente venne subito accantonata la possibilità di rifarlo in legno. Solo sette anni era durato quello travolto dall’alluvione, venne scelta per cui una costruzione in ferro sorretta da piloni in muratura. Prima però venne inaugurato il ponte ferroviario che fu la grande novità di quegli anni, con la ferrovia che collegò prima San Donà e poi Portogruaro con Venezia. Inaugurato nel giugno 1885, il ponte ferroviario superò una prima piena del Piave nell’autunno, così come anche il costruendo ponte stradale resistette e dall’aprile 1886 San Donà e Musile tornarono ad essere collegate dal desiderato ponte.

I nuovi argini alla prova della piena del 1889
Degli sfollati accolti nella chiesa di San Donà (tratta da “Illustrazione Italiana”, 1882)

L’emergenza non terminò con l’innalzamento degli argini, le piene del Piave erano una costante e regolarmente si susseguivano anno dopo anno. Quella del 1889 ebbe una portata pari a quella record del 1882. Gli argini furono messi a dura prova, una prima breccia si aprì in quei nuovi argini innalzati tra il ponte stradale e quello ferroviario, la successiva pressione delle acque sull’argine San Marco fu tale che cedette in due punti, travolgendo sette case e causando ben dieci vittime in una stessa famiglia. Un’enorme massa d’acqua si riversò su Musile, tanto da allagare ben tre quarti del suo territorio, danni ingenti subirono anche Passarella e Chiesanuova. Ancora una volta passarono mesi prima che il territorio potesse liberarsi dalle acque ed iniziare la ricostruzione, con dei fondi per il ripristino e l’aiuto alle popolazioni che tardarono ad arrivare.

Nel 1903 la tragica alluvione ancor si ripete
In una cartolina dell’epoca la rotta all’Intestadura del 1903
Una cartolina commemorativa che ricorda l’intervento della Brigata Lagunari Venezia nelle innondazioni del 1903

A chiudere le grandi alluvioni di quel tempo ci fu quella del 1903. Ancora una volta delle eccezionali precipitazioni gonfiarono i fiumi, come vent’anni prima l’Adige allagò Verona, seppur in misura minore. Peggio ancor una volta quel che il Piave riservò alla popolazione del suo basso corso. Tremò la sponda sandonatese tenendo in apprensione tutti gli abitanti di Mussetta, poi nella notte tra il 30 e il 31 ottobre accadde la rotta: «…il fiume era minaccioso; una rotta degli argini si aspettava, nel posto detto Mussetta, dove vivevasi con ansia; invece, nel sito detto Intestadura la fiducia era unanime. D’un tratto, un rumore sordo avvertì quelli di Mussetta che il Piave aveva rotto lungi da loro: aveva rotto a Intestadura, villaggio di un migliaio di abitanti. Le acque, per uno squarcio largo oltre cento metri, irruppero spaventose, tutto travolgendo nella loro furia livellatrice: capanne, stalle, case, sui tetti delle quali arrivarono a stento a rifugiarsi coloro che non erano giunti a salvarsi sugli argini. Cinquemila persone, nel territorio circostante San Donà di Piave sono state colpite dal disastro; trenta chilometri quadrati di superficie sono stati allagati: e l’irruenza delle acque ha travolto nelle ruine, insieme con molte masserizie di miseri contadini, quattro vittime umane, due fanciulli e due poveri ottantenni. Nell’opera di salvataggio si sono segnalati, come sempre, per zelo, per umanità, i carabinieri e i nostri soldati.».

L’esondazione del 1903 (Archivio municipale di San Donà, tratta da “Il disegno della città tra utopia e realizzazione”)
Il Comizio del 17 gennaio 1904
In una immagine aerea durante la piena del 2018 la vecchia ansa del piave allagata con un piccolo lembo di terra a vista che all’epoca ne rappresentava l’estremità.

Nelle ultime righe del suo libro il Plateo dedicò parole accorate proprio alle alluvioni che lo videro per tanti anni in prima linea come Segretario municipale di San Donà di Piave. « Noi auguriamo che le grandi alluvioni, segnate dalla storia a tinte nere, non si ripetano più. Non possiamo però dimenticare l’altezza delle scaturigini del Piave, la sfrenatezza del suo corso, le angustie del suo alveo, il deviamento dello sbocco dalla laguna al mare e lo sboscamento progressivo dei monti, come tante cause di maggior impeto delle acque in tempo di piena. Dobbiamo poi constatare che queste cause costituiscono una potenza ignota ai tecnici e ai profani sin che dura l’attuale sistema di difesa, affatto insufficiente, prova ne sia che gli uni e gli altri rimasero fin qui ingannati dalle più studiate ipotesi. » Il Plateo ricorda poi un Comizio molto partecipato che si tenne il 17 gennaio 1904 a San Donà di Piave presso il Teatro Sociale, dove un Comitato composto tra gli altri dal Sindaco di San Donà Callegher, dal comm. Sicher e a cui diedero adesione molti sindaci del Basso Piave e del trevigiano, alla presenza di tanti senatori e deputati, rimarcarono molte richieste affinchè il Piave potesse essere messo in sicurezza. Di quell’ultima alluvione fecero anche un resoconto: 300 ettari l’estensione del territorio allagato con 757 famiglie e 5438 persone, le vittime furono 4, le case distrutte 8, le pericolanti sono 36, le danneggiate 120. I danni denunciati da piccoli proprietari, mezzadri, chiusuranti e braccianti, sommano a lire 383.343,25, esclusi quelli incalcolabili dei grandi proprietari.

Le alluvioni del Piave del 1882 nelle illustrazioni delle riviste
La pagina centrale dell'”Illustrazione Italiana” dell’ottobre 1882 con le due immagini dedicate a San Donà

I giornali dell’epoca dedicarono molte illustrazioni agli eventi tragici delle alluvioni che colpirono il Veneto in quella fine-inizio secolo. Disegni e incisioni che raccontavano di episodi realmente accaduti e che davano il senso, il più delle volte tragico, degli avvenimenti. Anche in periodi successivi dove l’immagine fotografica divenne protagonista, questo tipo di rappresentazioni grafiche continuarono a mantenere una loro importanza. Riguardo agli avvenimenti accaduti nelle nostre zone “L’Illustrazione Italiana” dedicò al Veneto una incisione composita nella doppia pagina centrale in uno dei numeri di ottobre. Così la lunga descrizione data dal giornale: « Il grande disegno, che occupa due pagine di questo numero si riferisce a diversi punti del Veneto desolati dalle inondazioni. L’ovale, che ne occupa il centro ed il disegno posto a destra, nella parte inferiore, rappresentano i lavori di palificazione e di arginatura, intrapresi ora, per chiudere la grande rotta di Legnago. Questi lavori sono importanti non solo per ragioni economiche, ma anche per ragioni idrauliche; trattandosi della rotta d’Adige più ampia e più profonda che si abbia avuta finora. Lo scandaglio scese in qualche punto ad una profondità di 37 metri…..Gli altri disegni che girano attorno a buona parte dell’ovale si riferiscono all’inondazione del Piave. Due volte: alla metà di settembre e alla fine d’ottobre, le acque di questo fiume uscirono dal loro letto, rompendo gli argini, facendo rovinare case e ponti, e fugando all’improvviso migliaia di poveretti che confusi, spauriti, cercavano rifugio nei punti più elevati. All’urto della prima piena caddero infranti il gran ponte di San Donà e il prossimo molino a vapore del cav. Finzi, ampio ed elegante opificio che dava lavoro e pane a moltissime povere famiglie. Il ritrattino, che spicca nella parte inferiore del nostro disegno, è del fanciullo Dazzi, quello che presso la rotta dell’Adige a Masi restò più di trenta ore, aggrappato al tronco d’un albero. Il poveretto è orfano; i suoi genitori rimasero vittime di quel fiume, al cui fiotto impetuoso egli poté sfuggire in modo tanto sorprendente. »

Nelle copertine delle riviste le tragedie del 1903
La copertina del “Secolo Illustrato” del novembre 1903

Due incisioni in prima pagina furono invece dedicate alla rotta dell’Intestadura del 1903. “Il Secolo Illustrato” raccontò con un’incisione in prima pagina la tragedia all’Intestadura accompagnandola anche con il triste racconto all’interno: « …il Piave purtroppo volle le sue vittime. La casa di Pietro Pavanetto fu spazzata via. In una stanzetta dormiva una vecchia madre ottantenne assieme a due figliolette che miseramente perirono. Il contadino Luigi Mandruzzato si trovò con una bambina di quattro anni e la madre ottantenne sul tetto di una cascina, ove la piena li raggiunse e la vecchia infelice venne strappata dalle braccia del figlio e miseramente affogò….». Lo stesso fece “La Domenica del Corriere” che raccontò un altro episodio accaduto: «…Mentre carabinieri e cittadini, dentro una grossa barca, sfidavano la furia dell’acqua limacciosa e terribile, raccogliendo uomini e dovve che stavano per annegare, un toro rimasto isolato sopra un lembo dell’argine caduto si lanciò nell’acqua inseguendo minacciosamente la barca stessa. Tra i naufraghi lo spavento fu grande : scampati da un pericolo, un altro li minacciava! Un carabiniere impugnata la daga, tenne a bada l’animale inferocito finchè un provvidenziale filare d’alberi permise alla barca di approdare trattenendo il toro. »

La copertina de “La Domenica del Corriere” del novembre 1903

Per ulteriori approfondimenti: 1. “Il ponte della vittoria diventa storia: 1922-2022 – passi barca, ponti e vie d’acqua a Musile e dintorni” di Lodovico Bincoletto e Loris Smaniotto (Tipolitografia Biennegrafica, Musile di Piave – 2022); 2. “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Mons. Costante Chimenton (Tipografia Editrice Trevigiana, 1928); 3. “La bonifica nel basso piave” di Luigi Fassetta (Tipoffset, Venezia, 1977); 4. “San Donà di Piave” di Dino Cagnazzi, Giorgio Baldo, Tiziano Rizzo (Casa Editrice Legal, Padova, 1979); 5. “C’era una volta Musile” di Lodovico Bincoletto e Loris Smaniotto (Biennegrafica, Musile di Piave, 2007); 6. “Torre di Mosto” di Dino Cagnazzi (Istituto Tipografico Editoriale, Dolo, 1979); 7.”Il disegno della città tra utopia e realizzazione” di Dino Casagrande e Giacomo Carletto (Tipolitografia Colorama, San Donà di Piave, 2002); 8. “Venezie sepolte nella terra del Piave” di Wladimiro Dorigo (Viella, Roma, 1994); 9. “Il territorio di S. Donà nell’agro d’Eraclea” di Teodegisillo Plateo (1907, Ristampa Editrice Trevigiana, 1969); 10. “Fossalta, dal 130 a.c. alla battaglia del Piave” di Alba Bozzo (Officine Grafiche Boschiero, Jesolo, 1983); 11. “Una terra ricca di memorie Noventa di Piave” di Dino Cagnazzi, Gianpietro Nardo, Luigi Bonetto (Istituto tipografico Editoriale, Dolo, 1980); 12. Archivio “Illustrazione Italiana” (consultabile on line)

L’incidente del Simplon Orient-Express a San Donà di Piave

L’incidente del Simplon Orient-Express a San Donà di Piave

Il ponte ferroviario distrutto dagli italiani il 9 novembre 1917

Come racconta il ten. Ing. Leonardo Trevisiol, della 20^ Comp. Minatori, nelle sue memorie: « Campanile di San Donà, demolito il 7 novembre, ore 23, dal cap. Borghi; camino dell’Jutificio e campanile di Noventa, demoliti l’8 novembre, dal ten. Trevisiol; ponte della ferrovia, fatto brillare il 9 novembre, ore 4 antimeridiane, e ponte carrozzabile, lo stesso giorno, ore 11, dal cap. Borghi e ten. Trevisiol della 20^ Comp. Minatori.» La guerra arrivò a San Donà in quel novembre 1917 e le vie di comunicazione per oltre un anno cessarono di collegare il territorio cittadino con l’altra sponda del Piave dove si attestarono le truppe italiane. Fin quando, dopo dodici cruenti mesi, le truppe italiane poterono riconquistare i tanti territori perduti sconfiggendo l’esercito austroungarico.

La lenta ricostruzione iniziò dai ponti
La linee ferroviarie italiane nella prima guerra mondiale

La rinascita di San Donà iniziò con la ricostruzione dei ponti. Quello pedonale inizialmente era costituito da un ponte di barche per poi lasciare il passo ad uno di legno. Quindi molti mesi dopo, il 12 novembre 1922 venne inaugurato il nuovo ponte sul Piave. Diversa la situazione di quello ferroviario la cui urgenza era di gran lunga maggiore per la sua utilità nel trasporto merci. Dal 1885 la ferrovia collegava San Donà a Venezia, cui seguì l’anno dopo il collegamento con Portogruaro. Linea che proseguì sino all’estremo limite del confine italiano dell’epoca rappresentato da San Giorgio di Nogaro per poi congiungersi con la ferrovia austriaca in direzione Trieste. Una linea ferroviaria che divenne interamente italiana dopo il primo conflitto mondiale, da qui l’esigenza di ripristinare sia i binari che i molti ponti per garantite lo spostamento veloce di persone e merci.

Il ponte della ferrovia in costruzione dopo la grande guerra (Immagine tratta da “Il Mondo”, 2 marzo 1919)
Il ponte della ferrovia
Il ponte provvisorio ricostruito nel febbraio 1919

Tante le risorse profuse per il ripristino dei molti ponti ferroviari da ricostruire, con l’impiego di molte maestranze militari e civili e con materiali che arrivarono da tutta Italia. Il ponte sul Piave riuscì a sfruttare in parte la struttura danneggiata e già nei primi mesi del 1919 potè essere utilizzato per il passaggio dei primi treni. In attesa del ponte definitivo quello costruito dal Genio Militare aveva la provvisorietà dell’unico binario che lo attraversava. Se i lavori sulla linea procedettero poi con celerità, il ponte ferroviario definitivo solo nel febbraio 1927 divenne operativo con i suoi doppi binari. Nel mezzo una tragedia le cui dimensioni fortunatamente furono ridotte, ma le conseguenze in quel dicembre 1921 avrebbero potuto essere ben più gravi.

21 dicembre 1921, il grave incidente ferroviario

La ferrovia nei pressi della stazione di San Donà dopo la guerra

L’incidente ferroviario nei pressi del Ponte di San Donà di Piave riempì le pagine dei giornali dell’epoca, ad essere coinvolti furono un direttissimo che da Trieste doveva arrivare a Roma e il Simplon Orient-Express, un treno lusso che aveva affiancato il famoso Orient-Express che da decenni attraversava l’Europa collegando Londra ad Istanbul. Dopo la costruzione del Passo del Sempione il Simplon seguiva un diverso percorso, il treno lusso scendeva verso l’Italia e, dopo le prestigiose fermate di Milano, Venezia e Trieste, riprendeva il percorso tradizionale dell’Orient Express a Belgrado.
Sulla Gazzetta di Venezia apparve un lungo articolo che raccontava con dovizia di particolari le ore successive all’incidente, i primi soccorsi giunti dall’ospedale di San Donà di Piave e la rapida inchiesta per individuare i responsabili. Questo ci dà anche un quadro di quali fossero le procedure non semplici che il singolo binario di attraversamento del ponte comportava, specie in orari serali e con una visibilità non ottimale.

« Il direttissimo 49 Trieste-Roma era arrivato a S. Donà di Piave l’altra sera alle 21.29 e dopo essersi fermato circa un minuto in quella stazione aveva ripreso la sua corsa verso Venezia con una andatura non troppo veloce, circa 40 km all’ora; giunto vicino al Ponte sul Piave, il direttissimo, trovata sgombra la via, si era avviato per l’unico binario che in quel punto si trova, e aveva di poco oltrepassato il ponte e stava per lasciare il binario unico, che dopo il ponte torna a biforcarsi, quando venne investito di traverso dal treno lusso Simplon Orient Express che proveniva da Venezia. L’urto fu violentissimo; tre carrozzoni del treno investito furono sfondati, mentre la macchina e il tender del treno investitore si rovesciavano lungo la scarpata.
Urla di dolore e di spavento seguirono al cozzo tremendo. Tutti i viaggiatori pazzi dal terrore si slanciarono fuori dagli scompartimenti mentre dalle macerie delle tre vetture sventrate si alzavano gemiti e lamenti strazianti. Il nebbione che forse fu la causa dello scontro si era nel quel mentre un po’ diradato e uno squallido raggio di luna venne ad illuminare il terribile spettacolo. I passeggieri rimasti incolumi e riavutosi dalla terribile paura cercarono di portare aiuto ai disgraziati che si trovavano sotto le macerie. In fondo, una guardia regia era incastrata tra il terreno e il tetto di un carrozzone e si lamentava debolmente chiamando aiuto, più in là una signora francese chiamava con voce straziante il figlioletto che non trovava più.
Giungevano intanto i primi soccorsi; alcuni manovali col capo stazione di San Donà, Dall’Acqua Cristoforo, e poco dopo alcuni infermieri dell’ospedale Umberto I con barelle che provvidero al trasporto dei feriti più gravi e alla medicazione dei più leggeri.

La stazione ferroviaria prima della grande guerra

I morti e i feriti
E cominciò la ricerca delle vittime: venne estratto il cadavere di un giovane signore da un cumulo di sedili che lo seppellivano completamente; poco dopo più avanti un colonnello del 48. Fanteria ferito piuttosto gravemente alle gambe, nel vagone letto fu trovata una signora pur essa ferita alle gambe: tutti furono adagiati su delle barelle e condotti allo spedale di S. Donà dove furono ricevuti e curati amorevolmente dal direttore Alessandro Girardi. Per fortuna il numero delle vittime, che data la violenza dell’urto e l’affollamento del direttissimo, lasciava a prevedere fosse molto ingente, non si riduceva che a due morti e ad una quarantina di feriti dei quali 15 soli furono ricoverati allo spedale di San Donà, mentre gli altri appena medicati, sono subito ripartiti.
Intanto la metà del treno 49 proseguiva col resto dei passeggieri per Mestre.
I soccorsi e le autorità
Verso la mezzanotte giungeva sul posto del disastro un treno di soccorso che portava le autorità: il sotto prefetto commendatore Sorge, il questore Tarantola, il Ten. Colonnello dei carabinieri Profili, il maggiore delle guardie regie Fulgenzi, il comm. Campello capo divisione movimento F.S., l’ing. Olper, comm. Sottili capo dei lavori, il comm. Vittori capo trazione, l’ing. De Simiane, e numerose guardie regie che pintonarono il luogo del disastro. Venne scaricato abbondante materiale per lo sgombero della linea.
Subito dopo ne giungeva un altro che portava il cav. Chiancone sostituto procuratore del Re, cav. Lo Mosco della Compartimentale, una quarantina di guardie regie al comando dei tenenti Fondelli e Del Vecchio, il cav. Arrighi ispettore capo sanitario delle F.S., il dr. Groviglio pure delle F.S.; 14 marinai con barelle al comando del maggiore medico Cantamessa, una quindicina di pompieri con l’ing. Gajanni, l’ispettore Fringuelli, ecc. Anche noi siamo sul posto e il disastro ci appare in tutta la sua gravità.
La visione del disastro
I tre vagoni del treno investito sono tutti rovesciati sulle rotaie; il vagone letto ha la parete destra completamente squarciata; è un ammasso di ferro contorto, di cuscini, di materassi, di lenzuola. Valigie sventrate; seguono due carrozzoni del Roma-Trieste con scompartimenti di I e II classe anche questi sventrati e sconquassati: sembra che sia stata tagliata via con un gigantesco coltello una parete, tanto è netto il taglio. Una veilleuse ancora accesa, Dio sa come, fra tanto disordine, spande una debole luce bleu; più in là l’ultimo carrozzone ha ancora le sue lampadine accese.
La scena è fantastica. Torce al vento e falò di legna rischiarano sinistramente la scena; sul cielo nebbioso si disegnano lugubri i contorni fantomatici dei carrozzoni squassati. La locomotiva del treno di lusso è distesa lungo la scarpata con i carrelli in aria, simile ad un enorme pachiderma rovesciato.
Quando giungiamo i feriti ed i due morti sono già trasportati allo spedale e sono già iniziati i lavori di sgombero: vengono installati due potenti riflettori ad acetilene per poter continuare il lavoro per la riattivazione della linea.
L’inchiesta delle Autorità

La stazione ferroviaria di San Donà nel 1921

Ci rechiamo alla stazione di San Donà dove troviamo già il cav. Chiancone coadiuvato dal cav. Lo Mosco che ha già iniziato l’interrogatorio dei testimoni. Possiamo parlare coll’ing. Giovanni Breda, consigliere delle F.S. il quale era uno dei viaggiatori del treno investito e ci dà molto cortesemente delle spiegazioni tecniche sul sistema di segnalazione all’imbocco del ponte.
Subito dopo la stazione di San Donà egli ci spiega, ad un centinaio di metri dal ponte, il doppio binario si riunisce dovendo passare per esso e torna poi a biforcarsi ad un altro centinaio di metri più in là. A sorveglianza di questo importante scambio c’è la cabina A che è in comunicazione colla stazione di San Donà, e che ha l’ufficio di far funzionare i segnali di arresto per i treni provenienti da Venezia, qualora la via sia ingombra da un treno proveniente da San Donà. Il sistema di segnalazione è costituito da un segnale di avviso a luce gialla distante un 500 metri dallo scambio e da un segnale di prima categoria a luce rossa posto vicino lo scambio. Inoltre, in tempo di nebbia, come ieri sera, lungo la linea vengono posti tre petardi che hanno l’ufficio di avvisare il capotreno qualora questo per la nebbia non scorgesse il fanale giallo indicante che la via è impedita. Ora con ciò, conclude il nostro interlocutore, non possiamo ammettere che una causa del disastro: la nebbia che ha impedito al capotreno del S.O.E. di scorgere il segnale di avviso e udire a tempo lo scoppio dei petardi, per cui si è trovato sotto il fanale rosso improvvisamente e quando ormai era troppo tardi per frenare il treno.
Le impressioni di un viaggiatore

Il Simplon Orient-Express nei pressi del Passo del Sempione in una immagine degli inizi del ‘900

Preghiamo ancora, incoraggiati dalla sua gentilezza, l’ing. Breda di riferirci la sua impressione al momento del disastro ed egli di buon grado ci dice: “Mi trovavo nel treno 49 che era partito da San Donà di Piave alle 21.30 diretto a Venezia, e avevamo appena oltrepassato il ponte sul Piave verso Fossalta, quando improvvisamente avvertii prima un urto lieve seguito subito da uno fortissimo che rovesciò la vettura nella quale mi trovavo; un signore che era in mia compagnia fu sbalzato di colpo fuori dallo sportello che si era sfasciato e pure una signora che si trovava anch’essa nel mio scompartimento avrebbe seguita la stessa sorte se non fossi riuscito a tempo ad afferrarla. Riavutomi subito dal colpo uscii dal treno e constatai che la vettura che si trovava davanti alla mia era anch’essa rovesciata su di un fianco e che anche la vettura letto si era inclinata e aveva una parete completamente asportata, mentre la locomotiva del treno investitore che poi capii essere il S.O. giaceva rovesciata col tender lungo la scarpata. Le altre vetture invece del mio treno si erano staccate senza riportarne danni. Allora feci immediatamente ricerca del macchinista e del fuochista del treno lusso senza poterli trovare, poiché essi s’erano allontanati tosto portandosi alla stazione di San Donà. Invece il capo treno del S.O. continua l’ing. Breda, mi ha detto che il segnale di avviso era chiuso e che aveva inteso pure i tre petardi di segnale.
Dopo una mezz’ora, spesa per soccorrere i feriti, mi recai alla cabina A che dista una quarantina di metri dal bivio e constatai che le leve per il segnale di protezione o di avviso erano disposte per l’arresto del treno S.O. e che lo scambio per il direttissimo 49 era invece aperto, quindi a piedi raggiunsi la stazione.
Ringraziammo l’ing. Breda per la sua cortesia e grazie a quella del cav. Chianconi possiamo legger le dichiarazioni che hanno fatto il cantoniere della cabina A, il macchinista del treno S.O., del capotreno pure del S.O. e infine del frenatore di coda.

Le dichiarazioni del personale
Il cantoniere della cabina A certo Frasson Gaetano dichiara che comandato dal dirigente della stazione di San Donà di aprire la via al treno 49 eseguì la manovra e che non potè scorgere, data la nebbia fitta, l’avanzarsi del lusso che entrò nel binario a semaforo chiuso andando ad investire il 49. Egli aggiunge inoltre che dato il rumore che faceva il 49 passando sul ponte, non gli fu possibile udire lo sparo dei petardi.
Il capotreno del lusso certo Veronese Equiziano dice che mentre egli era intento a riportare in 2. copia l’unico collo ch’egli avesse in consegna nel bagagliaio udì lo scoppio dei tre petardi: egli corse subito a guardare e stante la nebbia e il fumo che la macchina faceva non gli riuscì di scorgere il segnale di avviso e che invece poco dopo scorse il segnale rosso a via impedita. Egli diede subito mano al freno Westinghouse, ma troppo tardi poiché subito dopo egli ricevette un colpo sì violento da farlo cadere a terra mezzo intontito.
Il macchinista Morini fa anche lui una dichiarazione consimile a quella del Veronese, disse che anch’egli non riuscì a frenare in tempo.
Analoga dichiarazione ha fatto il frenatore di coda certo Pin Vittorio. Il Veronese, il Morini e il Pin subito dopo il disastro sono corsi in stazione dove hanno fatto le loro dichiarazioni e poi si sono allontanati e non hanno più fatto ritorno.
Le responsabilità
Non sappiamo ancora quali siano state le conclusioni dell’inchiesta aperta dal cav. Chiancone, ma dalle deposizioni dei testimoni e del cantoniere Frasson, risulta ben chiaro che la colpa del disastro deve attribuirsi al personale del treno lusso che non doveva essere troppo attento alle segnalazioni, che appunto perché rese meno visibili dalla nebbia, dovevano con maggior cautela esser avvistate. In ogni modo se il capotreno Veronese potè scorgere il segnale rosso, quando ormai non c’era più tempo, o perché non poteva scorgere anche il segnale di preavviso giallo? E perché il capotreno e il macchinista non appena percepirono il primo petardo non chiusero immediatamente i freni? Noi non vogliamo con questo accusare il personale del treno lusso di incuria, ma d’altra parte siamo convinti che, sia il capotreno, sia il macchinista, sia il frenatore avessero posta più attenzione il disastro che è costato la vita a due persone di sarebbe potuto evitare.
I lavori di sgombero

Immagine pubblicitaria del Simplon Orient-Express

I lavori di sgombero della linea sono già stati iniziati sin dalle 2 di ieri notte sotto la direzione del comm. Campello e dell’ing. Veslarini.
Diamo i nomi dei due morti e dei quindici feriti ricoverati all’ospedale Umberto I di San Donà:
I morti
Dott. Dorini Giuseppe di Pasquale di Pasquale, d’anni 36, ex questore di Fiume.
Dott. Scarlini Spiro fu Carlo, d’anni 50, da Panerai (Firenze), ispettore capo reparto ferrovie. La morte deve esser stata istantanea per il colpo violentissimo.
I feriti
I feriti, feriti quasi tutti alle gambe e alle braccia, sono tutti fuori di pericolo:
Fissarella Ginevra fu Marcantonio, da Roma.
Barone Niccolò Serena di Lapigio, da Roma.
Dott. Mayer Aldo, figlio del sen. Mayer, e redattore del “Piccolo” di Trieste. Dalle pagine de Il Piccolo si legge che con la moglie e la figlia di stava recando a Roma. Erano tutti nel wagon lit colpito dal treno lusso. Al momento del terribile urto il Mayer perse conoscenza. Quando rinvenne vide attorno al suo letto ospedaliero la moglie e la figlia, le quali avevano dovuto indossare gli abiti offerti dalla pietà delle suore del pio luogo perché al momento dello scontro erano coricate e le loro vesti, nel tumulto, si erano smarrite. Egli ha diverse abrasioni al volto e il braccio fratturato, anche una delle tibie è gravemente offesa.
Cotromano Giuseppe di Felice, da Bologna.
Bertini Luigi, da Roma, consigliere di emigrazione.
Mencucci Giovanni di Francesco, da Porto Salve (Calabria), tenente dei carabinieri in servizio a Fiume, sulle pagine del Piccolo era tra i feriti più gravi.
Mencucci Sante di Francesco, da Porto Salve (Calabria).
De Zito Alfonso di Pasquale, primo capitano della R. Marina, di Salerno
Focacci Ruggero di Pietro, da Santofiore (Grosseto).
Lenise Geriola, da Algeri, anche nel suo caso si legge dalle pagine del Piccolo che si trattava di uno dei feriti più gravi a causa di una grave commozione celebrale.
Maillar Luigi, da Algeri.
Testolina Gennaro, guardia regia, da Trieste.
Cecchin Mario, macchinista Deposito di Fiume, da Firenze.
Mariottini Ottavio, agente agrario del conte Revedin, Gorgo al Monticano (Oderzo).
Cav. Elia Luigi, colonello comandante del 48. Fanteria di stanza ad Abbazia, anche lui tra i feriti più gravi.
Sono stati ricoverati poi all’Ospedale di Mestre due feriti fortunatamente leggeri.
Lucio Mariucci, commerciante di Trieste per contusione al piede, d’anni 29.
Agnoluzzo Raffaello, istriano, d’anni 30, ferito leggermente alla testa. L’Agnoluzzo è uscito dall’Ospedale nella giornata di ieri.
Sono stati ricevuti poi al nostro Ospitale Civile certo Abbolito Luigi applicato alle ferrovie di Triste.
Pamol Antonio d’anni 16 da Pisino, domestico
Scazzafava Glesia, maritata De Carolis, di Reni, d’anni 25.
Ciampi Adele, d’anni 35, nata a Milano proveniente da Trieste.
Tutti e quattro sono feriti alla testa e alle gambe, e se la caveranno in circa una ventina di giorni.
L’arresto del macchinista del treno investitore
L’inchiesta ordinata dal sostituto procuratore del Re cav. Chiancone ed eseguita dal giudice istruttore Cattaneo è finita nella mattinata di ieri. Dalle varie deposizioni dei testimoni è apparsa chiaramente la responsabilità del macchinista del treno di lusso Morini Carlo, che, per ordine del Commissario Compartimentale venne tratto in arresto nelle prime ore pomeridiane di ieri.
Nella giornata seguente il ripristino della linea e la morte di un terzo passeggero
Per tutta la giornata di ieri sono continuati i lavori di sgombero della linea: si è potuto fare un raccordo e fu possibile far inoltrare i treni per questa linea provvisoria. Il colonello Elia del 48 Fanteria che era tra i feriti più gravi è morto in seguito a commozione celebrale sopraggiuntagli in causa al terribile colpo ricevuto alla testa.
La Gazzetta di Venezia si mantenne sul vago sulle reali cause della morte del colonnello Luigi Elia del 48° Fanteria di stanza ad Abbazia, più cruda la spiegazione che apparve sulle pagine del Popolo d’Italia: “Egli sopportò stoicamente prima l’amputazione di un arto superiore poi di un arto inferiore, ma dopo due operazioni cessò di vivere.”.

Il nuovo ponte ferroviario venne inaugurato nel 1927

Il tragico incidente della settimana precedente il Natale del 1921 accelerò l’iter per il raddoppio del binario di attraversamento del ponte ferroviario di San Donà di Piave. Le periodiche piene del Piave che avevano accompagnato anche la costruzione del ponte provvisorio, non mancarono nel rallentare i lavori, ma alla fine nel febbraio 1927 il ponte ferroviario definitivo poté finalmente essere inaugurato. Quello stesso ponte divenne poi suo malgrado protagonista anche nel secondo conflitto mondiale quando fu colpito durante i bombardamenti alleati del 1944.

Per ulteriori approfondimenti: 1. “Il ponte della vittoria diventa storia: 1922-2022 – passi barca, ponti e vie d’acqua a Musile e dintorni (di Lodovico Bincoletto e Loris Smaniotto – Tipolitografia Biennegrafica – Musile di Piave – 2022); 2. “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Mons. Costante Chimenton, Tipografia Editrice Trevigiana, 1928); 3. Archivio storico “Gazzetta di Venezia”, venerdì 23 dicembre 1921; 4. Archivio storico “Il Piccolo” di Trieste, venerdì 23 dicembre 1921; 5. « Quando l’Italia si ritrovò sotto i bombardamenti », il periodo dei bombardamenti aerei alleati trattati nel Blog in tre post successivi.

Il nuovo ponte sul fiume Piave, in quel 12 novembre di cento anni fa

Il nuovo ponte sul fiume Piave, in quel 12 novembre di cento anni fa

Il 12 novembre 1922 venne inaugurato il nuovo ponte sul fiume Piave tra San Donà e Musile. Un evento di grande rilevanza e nel dettaglio raccontato dalle pagine de “La Gazzetta di Venezia” di martedì 14 novembre 1922. Lo stesso è stato riportato per intero anche dal libro di Lodovico Bincoletto e Loris Smaniotto « Il ponte della vittoria diventa storia 1922-2022 » edito in occasione del centenario dall’inaugurazione e parte di una minuziosa ricerca storica dei collegamenti fluviali in questo tratto del fiume nel corso dei secoli.

Il nuovo ponte di S. Donà di Piave

San Donà di Piave s’è svegliata domenica mattina per tempo, per fare una grande toilette di festa. Non sono frequenti le feste in questa ricca e vigorosa città di agricoltori gagliardi. Non son frequenti le feste, quantunque, da quattro anni in qua, questo cospicuo centro di bonifiche e di lavoro sia la meta venerata non di poetici pellegrinaggi commemorativi, ma di convegni e adunate fecondi, per l’economia nazionale di ricostruttori, di agricoltori, di bonificatori.

Ma era pur necessario che un giorno fosse conclamata e celebrata con particolare solennità la gloria di questa piccola città distrutta completamente dalla guerra, avvilita dall’invasione, e risorta più grande, più bella, più nobile che mai, per la silenziosa e tenace operosità dei suoi cittadini più atti all’azione che alle chiacchere, più alla ricostruzione effettiva sollecita e miracolosa della loro città che allo studio dei sistemi, per arrivarvi…

Il Vecchio ponte in una immagine dei primi del Novecento

Nella città imbandierata in ogni casa e ad ogni finestra, arrivano per prime le squadre nazionaliste e fasciste parte col primo treno del mattino, parte con un convoglio di automobili. Le squadre, nelle loro caratteristiche divise nere ed azzurre, che occupano gran parte, insieme ai loro numerosissimi gagliardetti. E poi arrivano i soldati, i fanti grigio-verdi del 71° fanteria, una compagnia, al comando del capitano Corner, con la musica del reggimento. Vi sono poi alcuni plotoni di guardie regie, e i carabinieri, magnifici come sempre, nell’imponenza della loro uniforme 1830.

Ma San Donà che ha visto sfilare nelle sue strade tutti i più autorevoli rappresentanti della metropoli lagunare, deve aver compreso che alla cerimonia di inaugurazione del nuovo ponte, cui essi venivano a presenziare, Venezia tutta aveva voluto dare un significato specialissimo: la riconoscenza della antica Dominante che a San Donà e sul suo fiume era stata salvata dall’onta di una terza invasione straniera, l’omaggio alla città operosa e fedele che, con il sacrificio rovinoso, di tutta sé stessa, aveva preservata l’antica madre dalla rovina e forse dalla distruzione.

L’arrivo del Duca d’Aosta
Il ponte distrutto durante la guerra

Il Duca d’Aosta, ricevuto dal presidente del Consiglio provinciale comm. Picchini, dal presidente della Deputazione comm. Saccardo, da S.E. il sottosegretario ai Lavri pubblici on. Sardi, e da S.E. il generale Sani comandante il corpo d’armata di Bologna, che rappresentava anche il Ministero della Guerra, era giunto a Mestre verso le 8, ed aveva poi subito in automobile proseguito per San Donà. Quando vi giunse, al saluto della popolazione si aggiunse quello delle squadre fasciste.

Il Principe di recò subito al Teatro Moderno, dove gli venne offerto un vermouth d’onore, S.A.R. si compiacque di tener quivi circolo. Gli furono presentate successivamente tutte le autorità sandonatesi con a capo il sindaco cav. Guarinoni, e quelle veneziane. Poi sfilata dei gloriosi mutilati dei combattenti della grande guerra, dei gregari della III Armata, dei devorati al valore. Per tutti il Principe ha una parola di lode, di compiacimento, di simpatia.

La cerimonia inaugurale

Poco prima delle 10, annunciato dalle agili note della fanfara reale e dai tre attenti di rigore, il Principe della Terza Armata esce dal Teatro Moderno.

Il console della Legione di San Marco, avv. Iginio Magrini, presenta al Duca le squadre fasciste. Ed esse sfilano in perfetto ordine, mentre la musica del 71° fanteria suona l’Inno del Piave.

Il palco delle autorità (da “San Donà di Piave” di C. Polita, 2016)

Nel silenzio profondo della folla, che si accalca numerosissima e reverente, sotto il sole chiaro e freddo, le note nostalgiche risuonano altissime, con effetto indimenticabile e di commozione.

Le squadre nazionaliste e fasciste, ad un comando, si mettono in marcia. Esse, sventolando al vento i loro gagliardetti neri, azzurri e tricolori, formano la testa del corteo, che si avvia al Ponte nuovo. Poi, a piedi attorniato e seguito dalle autorità e dagli ufficiali della sua Casa, preceduto da un drappello di RR. Carabinieri, di Regie guardie e di valletti della Provincia di Venezia in tenuta di gala, si avvia il Duca d’Aosta. Sul suo passaggio crepitano gli applausi della popolazione, mentre dalle finestre mani gentili gettano fiori sul passi del Duce invitto della III Armata.

Sulla riva del Piave l’imponente architettura ferrea del nuovo ponte appare inghirlandata di lauri, di ori e di nastri dai colori nazionali e della Provincia di Venezia. L’accesso al ponte è chiuso dal simbolico nastro tricolore.

Alla destra del ponte è eretta un’ampia ed elegante tribuna. L’Eminentissimo Pietro La Fontaine, Cardinale Patriarca di Venezia, vi attende il Duca. Fra il Principe del sangue e il Principe della Chiesa l’incontro è cordialissimo. Il Duca rimane in piedi nel mezzo della tribuna, mentre intorno gli si affollato le autorità. Davanti alla tribuna sono schierati i fanti del 71°, i fascisti ed i nazionalisti coi loro gagliardetti.

La benedizione
La copertina della Domenica del Corriere dedicata alla cerimonia di inaugurazione del Ponte (26 novembre 1922)

Il Cardinale Patriarca tra il religioso silenzio dell’imponente adunata incomincia a parlare. Dice che al pensiero di dover benedire il ponte rinnovellato si riaccese in lui in memoria del celebre sogno di Mardocheo il quale in un giorno di pericolo per la sua nazione vide torbido e minaccioso il cielo, e intese scuotersi la terra, mentre due dragoni venivano a combattimento. Allora varie altre nazioni congiuravano alla rovina di una nazione innocua, tanto che per quella nazione sorse un giorno di tribolazione e di pericolo e di timore, ma levando questa nazione le grida al Signore fu esaudita e un picciol fonte crebbe in forma regale e un picciol lume addivenne sole e l’umile nazione insidiata fu esaltata e i forti che volevano sterminarla furono umiliati.

Il Patriarca continua dicendo che quando l’Austria mosse guerra alla Serbia il cielo d’Europa fu turbato e la terra fu veramente scossa non sapendo dove di sarebbe andati a parare. Nei due dragoni vede la Germania e la Francia che vengono a combattimento e sente le voci delle due parti che ciascuna vuol trarre a sé le due parti che ciascuna vuol trarre a sé l’Italia minacciandole chissà quale triste condizione, qualora rifiutandosi all’una o all’altra parte, questa riuscisse vincitrice.

Gli uomini che governavano allora giudicarono che l’Italia entrasse in guerra, come è noto. Allora varie nazioni si strinsero insieme dicendo di voler infliggere grave sconfitta a questa Italia e venne inopinatamente il momento di quella dolorosa sciagura a cagione della quale l’antico ponte sul Piave fu fatto saltare.

Il cardinale La Fontaine durante il suo lungo discorso in una immagine apparsa sulla copertina de “L’illustrazione Italiana” (19 novembre 1922)

L’oratore soggiunge che quello fu veramente giorno di tribolazione, di affanno e di pericolo. Che da tutte le parti si levarono le grida al Signore e che a Venezia autorità e popolo davanti alla Nicopeia in San Marco chiedevano coraggio e salvezza. Le preci furono esaudite e il piccolo Piave addivenne fiume regale che gareggiò col Po, dove tanti volevano la linea di difesa non per la massa delle acque, ma per l’opportunità che dette al coraggio dei soldati della difesa.

E un piccolo lume, cioè il nucleo dei torti che ripresero ardire, crebbe in grande mole, quando aggiungendosi ad esso innumerevoli valorosi, sotto la guida del Sovrano, del generale in capo e degli altri Duci, si oppose al nemico con tale resistenza che culminò nel fatto di Vittorio Veneto: e gli umili furono esaltati e quelli che si reputavano potenti furono debellati. Il ponte rinnovellato che oggi s’inaugura colla benedizione di Dio, dice quanto sia grande questa esaltazione.

Qui il Patriarca si volge a S.A. il Duca d’Aosta, dicendo:

« Permettete Altezza, che io qui pubblicamente vi esprima la mia ammirazione e la mia gratitudine perché voi, l’intelletto d’amore più che comandante foste padre dei vostri soldati; con l’affetto per voi, sapeste avvivare l’amor della patria e il coraggio per cui i soldati vi seguivano lieti al cimento, come ad opera meritoria. Vi ringrazio non in nome dell’Italia, chè qui io non rappresento l’Italia, ma in nome del martoriato Veneto nostro del quale fui costituito primo pastore. Che Dio vi rimeriti e benedica, come benedica i cari che lasciarono la vita su queste sponde per la salvezza e la grandezza della patria ».

Il felice e commosso accento dell’Eminente Pastore è salutato da una calorosa irrefrenabile acclamazione. Il Patriarca indossa quindi i sacri paramenti e, con mitria e pastorale, si avvia a compiere il rito della benedizione del ponte, assistito dal Vescovo della Diocesi mons. Longhin, di Treviso. Mentre il rito si compie, un coro di fanciulli canta soavemente la Canzone del Piave.

I discorsi
Il Duca d’Aosta Emanuele Filiberto, con dietro il cardinale La Fontaine, sulla destra la signora Corinna Ancillotto (da “San Donà di Piave” di C. Polita, 2016)

Il comm.Saccardo presidente della Deputazione provinciale, dà inizio alla serie dei discordi. Dopo aver reso omaggio alla Maestà del Re, presente in ispirito, e qui fulgidamente rappresentato dalla Altezza Reale del Duca d’Aosta, e aver ricordato che fu la concordia dei cuori che, sulle sponde di questo sacro fume eresse un muro infrangibile di petti umani, l’oratore scioglie un inno al valore dei nostri eroi, che resistettero sul Piave.

Del nuovo ponte il comm. Saccardo fa quindi una breve storia: ricorda i nomi dell’on. Giovanni Chiggiato, che l’iniziò, del Gr. Uff. Carlo Allegri che lo proseguì, dell’’ing. Ippolito Radaelli che tracciò il programma e ne diresse l’esecuzione, coadiuvato dall’ing. Rossi, dal segretario generale cav. uff. Settimio Magrini e dal rag. Giorgiutti che espletarono le pratiche amministrative, l’ing. Raimondo Ravà, che vi concorse colla sua duplice qualità di presidente del Magistrato alle Acque e di presidente della Commissione per le riparazioni dei danni di guerra ecc.

E l’oratore così conclude:

« Sia nell’invocazione dei nostri morti l’auspicio di ogni nostra impresa. E su questo ponte che nuovamente cavalca le acque del fiume sacro, ponte benedetto in nome di Dio, dalla mano veneranda del Cardinale Patriarca di Venezia, non un semplice corteo di autorità ufficiali, non soltanto un’onda di popolo entusiasta, ma qualche cosa di ben più alto s’avanzi. Voi Donna Corinna Ancilotto, madre di una medaglia d’oro, esempio di fulgente eroismo, vogliate voi infrangere sulle spalle del ponte la tradizionale bottiglia, augurio festoso di lunga resistenza.

E Voi, Altezza Reale, rappresentante del Re e mirabile soldato d’Italia, Voi, generale della III Armata che fra l’immensa gratitudine delle anime nostre, avete voluto accogliere il nostro invito e partecipare a questa festa, di cui siete il genio tutelare, degnatevi gradire la mia preghiera e incedere primo sulla nuova via così intimamente legata al culto delle memorie patrie. Sentiranno i nostri cuori che nella Vostra persona, è veramente l’Italia che passa! ».

L’oratore è vivamente applaudito.

Prende poi la parola il sindaco di San Donà cav. Guarinoni, che pronuncia un breve, commosso ed efficacissimo discorso. S.E. l’on. Sardi, poi, con voce squillante porta il saluto del nuovo governo di Vittorio Veneto, che intende valorizzare veramente la vittoria strappata al nemico sulle rive di questo fiume sacro al quale, come a tutte le terre venete, guarda l’Italia tutta con sentimento di viva riconoscenza e di profondo affetto. Da ultimo parla brevemente il sindaco di Cavazuccherina.

Il battesimo
Le autorità attraversano il ponte durante la cerimonia di inaugurazione (da “San Donà di Piave” di C. Polita, 2016)

I discorsi sono finiti. Il Duca s’avvia alla testata del ponte, dove, sopra un tavolo, è spiegata la pergamena che costituisce l’atto di nascita del ponte. L’atto è così concepito:

« Da Sua Altezza Reale il Principe Emanuele di Savoia Duca d’Aosta, in rappresentanza di S.M. il Re d’Italia, viene oggi 12 novembre 1922 inaugurato il nuovo ponte sul Piave tra Musile e San Donà, benedetto da S.E. il Patriarca di Venezia Cardinale Pietro La Fontaine, costruito in sostituzione di quello distrutto per fatto bellico il 10 novembre 1917.

« Nel fervore delle opere che tendono al risollevamento delle terre, teatro della grande guerra redentrice, concordemente, tenacemente nel peripiglio e nella gloria cooperanti con fede entusiastica alla riaffermazione dei sacri diritti nazionali ed alla reintegrazione dei confini naturali nostri nell’ora in cui mirabili energie con slancio mirabile preparano prosperosi giorni alla patria, le autorità civili, militari, ecclesiastiche convengono tutte alla cerimonia inaugurale dell’opera che si dedica all’Augusto Principe Emanuele Filiberto e che sorge ora più grande a testimoniare l’operosità e la tenacia di propositi del popolo italiano, un quinquennio appena dopo la sua demolizione ».

Il Duca, il Patriarca e le altre autorità appongono la loro firma. Quindi il Segretario generale della Provincia avv. Settimio Magrini offre S.A.R. una copia, riccamente rilegata, di un opuscolo compilato dallo stesso Magrini, nel quale è narrata diffusamente la storia del Ponte di San Donà e illustrato con belle fotografie. Il Principe gradisce molto il dono, e mostra di ricordare perfettamente le circostanze della demolizione del ponte e della sua provvisoria ricostruzione, dopo la vittoria, da parte dei pontieri della III Armata.

Intanto la signora Corinna Ancillotto, madre dell’eroico aviatore medaglia d’oro s’appresta a battezzare il ponte con la rituale bottiglia di sciampagna. La bottiglia, legata ad un nastro azzurro e oro, i colori della Provincia di Venezia, si rompe felicemente sopra uno dei grandi pilastri di ferro. Allora, mentre la musica intona la Marcia Reale e le truppe presentano le armi, il Duca scioglie il nastro tricolore che gli sbarra l’accesso del ponte, e passa per primo. La bella cerimonia è compiuta. Il Duca arriva all’altra sponda, salutanto da entusiastica evviva, e dagli alalà dei fascisti che si schierano sulla passarella laterale del ponte.

Il banchetto

Il Duca, in automobile si reca quindi all’Orfanotrofio, dove verrà più tardi servito il banchetto offerto dalla Provincia. Intanto il generale Sani, nella Piazza del Municipio, passa in rivista i fascisti e i nazionalisti che gli vengono presentati dall’avv. Iginio Magrini.

La pergamena che ricorda la visita del Duca d’Aosta Emanuele Filiberto di Savoia all’Orfanotrofio in occasione dell’inaugurazione del Ponte (da “Cent’anni di carità di M. Franzoi, 2021)

Il Duca d’Aosta, dopo aver visitato minutamente l’Orfanotrofio ed essersi molto interessato alla bella e benefica istituzione, scese nel salone, dove le mense erano imbandite alle 12.45. Il Principe, che portava tutte le decorazioni, sedette al centro della tavola d’onore, tra la signora Imma d’Adamo, consorte del Prefetto di Venezia, a destra, e la signora Corinna Ancillotto, a sinistra. Sedevano poi ancora alla tavola d’onore; alla destra del Principe il comm. Saccardo, il generale Sani, il comm. Picchini, il senatore Diena e il Sindaco di Venezia prof. Giordano; alla sinistra il sottosegretario di Stato on. Sardi, il Prefetto d’Adamo, il cav. di Gr. Cr. Raimondo Ravà, presidente del Magistrato delle Acque, l’ammiraglio Mortola, il comm. Mandruzzato che rappresentava il Primo presidente della Corte d’Appello, l’on. Chiggiato, il comm. Plinio Donatelli vice presidente del Consiglio provinciale. V’erano poi, alle varie tavole, tutte le altre autorità, notabilità e rappresentanze.

Alle ore 2 la colazione ebbe termine, e il Duca, che aveva voluto che gli fossero presentate le due graziose figliuole del Segretario generale della Provincia, lasciò la sala, salutato da un caldo applauso. Egli si recò subito a visitare il magnifico ospitale civile di San Donà, risorto per la tenacia del comm. Trentin. Fu ricevuto dallo stesso comm. Trentin che gli fu da guida nella visita minuziosa che egli fece al bellissimo stabilimento, che mostrò di apprezzare altamente. La popolazione, saputo che il Principe si trovava all’ospedale, gli improvvisò una calda manifestazione.

Il Principe volle quindi recarsi a Zenson, a visitare quel cimitero e quella terra sulla quale rifulse – nella famosa ansa – il valore della III Armata.

Ripartì alle ore 16 con la ferrovia, diretto a Torino, fatto segno ad una entusiastica dimostrazione da parte di tutto popolo di San Donà, che si accalcava presso il vagone-salone per salutare ancora una volta il Principe della III Armata. Il generale Sani e il sottosegretario on. Sardi sono partiti a loro volta, con lo stesso treno, diretti a Venezia.

Per ulteriori approfondimenti: 1. “Il ponte della vittoria diventa storia: 1922-2022 – passi barca, ponti e vie d’acqua a Musile e dintorni (di Lodovico Bincoletto e Loris Smaniotto – Tipolitografia Biennegrafica – Musile di Piave – 2022); 2. “San Donà di Piave – Piccola guida di una città senza storia?” di Chiara Polita – Digipress, San Donà di Piave, 2016); 3. “Cent’anni di carità – Casa Saretta e le Suore di Maria Bambina a San Donà di Piave” (Digipress, San Donà di Piave, 2021); 4. “S. Donà di PIave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Mons. Costante Chimenton, Tipografia Editrice Trevigiana, 1928); 5. Archivio storico “Gazzetta di Venezia”, 14 novembre 1922