In viaggio verso il Lido dei Lombardi passando per San Donà di Piave

Tratto da « Le Vie d’Italia » rivista ufficiale del Touring Club Italiano Anno XXXV, nr. 4 – aprile 1929 pp. 301-309. (Articolo di Ulderico Tegani, fotografie di E. Fiorioli della Lena – Venezia)

In un lungo articolo apparso nel 1929 sulla rivista ufficiale del Touring Club Italiano viene data una bellissima descrizione della San Donà dell’epoca e della realtà turistica del Lido di Jesolo, ancora molto di là da venire. La seconda parte del viaggio che dopo l’attraversamento del fiume Piave porterà il viaggiatore al Lido dei Lombardi, l’articolo in origine non ha titoli intermedi aggiunti per facilitare la lettura.

Il Lido dei Lombardi

Una iniziativa ardita e pittoresca
Il Ponte sul Piave (cartolina del 1932)

[…] Ma San Donà non era il mio punto d’arrivo: era il mio punto di partenza, e lo sarà per tutti quelli che in un futuro non troppo remoto si varranno della ferrovia per recarsi al Lido dei Lombardi. La spiaggia è laggiù, a diciotto chilometri dal paese: diciotto chilometri che sono un nulla per le autocorriere a cui verrà affidato il compito del rapido trasporto, e che però costituiscono anch’essi il felice motivo d’un piccolo viaggio interessante.

Oltre il fiume Piave

Si attraversa il Piave nella gabbia d’un gran ponte metallico che mena alla frazione di Musile, essa pure ricostruita con la sua bella chiesa e lo snello altissimo campanile, e, piegando un poco s’incontra il Sile, deviato sin dal sedicesimo secolo nell’alveo del vecchio Piave e che tortuoso e cilestrino si avvia al mare, solcato da grosse barche, pavesato da triangoli di vele, poichè qui i trasporti si fanno la maggior parte sul cammin dell’acqua, il più economico ed agevole.

Il largo corso del Sile a Capo Sile

Sulla via di Capo Sile merita un’occhiata uno stabilimento aperto da pochi mesi, per la pastorizzazione del latte inviato da un consorzio di produttori. E’ un impianto moderno, abbagliante di candore, che per ora raccoglie giornalmente da quaranta a cinquanta ettolitri di latte, ma è capace di riceverne e lavorarne cento ed è suscettibile di ingrandimenti per una capacità di centocinquanta e duecento ettolitri di prodotto puro e sano: prodotto che giunge direttamente al consumo a San Donà, a Mestre e a Venezia.

Per il capoluogo della provincia è compiuto in due ore da un motoscafo salpante ogni giorno alle 13 sul canale navigabile del Sile che s’apre proprio di fronte allo stabilimento, là dove si staglia pure un altro ramo di canale che congiunge il Sile al Piave, per cui lo stabilimento occupa per davvero quella che si può chiamare una posizione strategica.

L’arrivo a Cavazuccherina
Il nuovo ponte di cemento armato sul Sile, presso le conche idrauliche del canale navigabile per Venezia

Più innanzi Cavazuccherina ci mostra il suo volto rinnovato, intorno alle rovine della romana Jesolo, e di lì in due passi si arriva al mare. Qui v’ha pur qualcosa che reclama una breve sosta e una piccola deviazione: un edificio di maestose proporzioni, benchè per ora non sia se non un terzo di quello che dovrà divenire.

L’Istituto Marino balneo-elioterapico

E’ l’Istituto Marino balneo-elioterapico permanente del Consorzio provinciale antitubercolare di Treviso, incominciato e costruito per una terza parte, senza risparmio di spazio e di mezzi, con una superba grandiosità di linee, con’ardita solidità di mura.

Uno dei tre edifici graziosi che formeranno l’Istituto Marino balneoterapico del consorzio provinciale di Treviso, presso Cavazuccherina

Vasti sono gli ambienti dei refettori e dormitorii, larghi i corridoi, lucente e odorosa la cucina, ma sopra tutto belle e attraenti sono le ampie terrazze spalancate sulla fronte a mare, dove la costiera muore in un lembo di tiepida sabbia. L’istituto ha iniziato la sua benefica attività nella scorsa estate e l’ha proseguita nell’autunno e nell’inverno, agli intenti della cura profilattica, con un centinaio di bimbi e giovinetti lasciati in piena libertà – sotto gli occhi dei medici e delle suore – all’aria e al sole.

Poco lungi, grazioso come una villa, sta l’edificio della Croce Rossa di Treviso che si propone scopi analoghi, e un pò più in là si allineano i modesti baraccamenti, i capannotti, i padiglioni, le casette costituenti l’appendice balneare di Cavazuccherina.

Lo sguardo verso il futuro: Il Lido dei Lombardi
Il Lido dei Lombardi dispone di più di tre chilometri di spiaggia a dolcissimo declivio, di arena finissima, omogenea e pulita.

Un breve tratto di strada ed ecco una spiaggia deserta, sabbiosa e onduleggiata, una landa semiselvaggia, un terreno quasi incolto, sinuoso di dune e di avvallamenti, qua e là punteggiato d’alberi, solcato da canali e da strade tuttora in formazione, irto d’arbusti, sparso d’erbacce, vegliato da qualche cascina, da radi casolari: una plaga solitaria, rustica, silente, che un giorno, fra non molto, risuonerà di giulive voci e s’avvierà di festosa animazione.

Perchè qui scioglierà le sue seducenti lusinghe il Lido dei Lombardi.

Il sogno di Tomaso Nember e Giovanni Gorio

Il desiderio del mare da parte di moltissimi abitanti della plaga, non solo, ma anche delle retrostanti zone alpine della Carnia e del Friuli, l ’affluenza domenicale estiva di folle desiose di tuffarsi nell’onde azzurre, la presenza d’ una bellissima spiaggia, tutto questo incoraggiò due intraprendenti bresciani — il comm. dott. Tomaso Nember e il comm. dott. Giovanni Gorio — a tentar di valorizzare con speciali criteri un’ampia tenuta da essi acquistata, che apparteneva all’Ordine di Malta e di cui godeva l ’usufrutto la veneta casa patrizia dei conti Porcia.

Le vie di comunicazione
Il piano regolatore del Lido dei Lombardi – uno schieramento di capanni sulla spiaggia, quindi quattro allineamenti di ville e villette, cinte da giardini intersecate di viali alberati, e infine la zona degli orti. Verso il centro , il settore dei grandi alberghi e stabilimenti balneari.

La tenuta, ch’era mezza landa e mezza palude, invasa da canne palustri e però dotata d’una terra sabbiosa ben adatta alle colture, ebbe anche una valorizzazione preventiva o per lo meno concomitante da un’opera prontamente eseguita per cura dell’Amministrazione provinciale, ossia da una nuova strada rotabile che, con un tratto di dodici chilometri, congiunge la veneziana Punta Sabbioni alle Conche del Cavallino sul Sile, attraversa poi la tenuta in questione, taglia i campi e si riattacca alla strada provinciale proseguendo verso Portogruaro e Trieste. D ’altro canto è già stabilito un servizio di chiatte per il trasporto di persone e veicoli da Punta Sabbioni a San Nicolò di Lido.

La località, pur essendo servita dalla grande linea ferroviaria internazionale Parigi-Milano – Venezia-Trieste-Costantinopoli mediante la stazione di San Donà che dista, come dicemmo, diciotto chilometri, ed essendo facilmente allacciatele a Venezia per via d’acqua con un servizio di vaporetti naviganti lungo la costa e lungo il canale, tende giustamente a un più spedito accesso automobilistico, e appunto la nuova strada, innestata nelle strade preesistenti, renderà particolarmente agevole l’affluire degli ospiti da ogni parte.

La tenuta è limitata a nord dalla vecchia strada di Cavazuccherina, all’est dal mare e per il resto è cinta e lambita dal Sile, che la costeggia in un largo arco sino al proprio sbocco presso il Faro del Cavallino. La nuova strada rotabile taglia la tenuta in due parti, quasi separando due aziende diverse, due mondi distinti: verso l ’Adriatico, sulla riva marina, la zona balneare; verso terra, la zona agricola.

La zona balneare
Dove ora si trovano soltanto due rustici villini, sorgerà tutta una lunga serie di capanni, di villette, di alberghi per bagnanti

La zona balneare costituirà il vero e proprio Lido dei Lombardi, così battezzato con felice spirito dai coraggiosi iniziatori, e disporrà di tre chilometri d’una spiaggia superba, soffice di finissima sabbia e in sì lene declivio che sino a cento metri ed oltre si può inoltrarsi con l’acqua non più su della cintola, ciò che rappresenta una condizione ideale per la sicurezza dei bagnanti e specialmente dei bambini.

Dolce e pur vivificante, la brezza spira nell’aperta riviera e fa limpido l’immenso specchio marino, punteggiato dalle vele dei pescatori di Chioggia e di Burano, essendo la plaga assai prodiga d’ottimo pesce che fa capo all’importante mercato di Caorle. Un punto caratteristico dello scenario è il Faro del Cavallino, che spicca a sud con la sua bianca torre; ma ancor più pittoresca è la stupenda cornice alpestre, che s’inarca alle spalle con le cime candide di neve, risaltanti contro l’azzurro del cielo. È questo il tocco magistrale del radioso quadro, composto e donato dalla natura.

Le nuove costruzioni

L ’opera dell’uomo, secondo il progetto dell’ingegnere Giuseppe Alberti, comprenderà uno schieramento di capannotti sul sabbioso tappeto, limitato da un parapetto, dietro il quale, su un piano lievemente inclinato per consentire a tutti la vista del mare, si stenderanno allineamenti di ville e di villette cinte da giardini, intersecate da viali alberati, servite di fogne e d’acqua, di luce e di posta, di telegrafo e di telefono, allietate di campi sportivi, fornite direttamente di verdure e frutta, latte, uova, salumi, pollami, dall’attigua azienda agraria. Ma vi saranno anche ville col rustico e con un pezzo di terra intorno — un ettaro, un ettaro e mezzo — per chi ami possedere il proprio orto e prolungar la stagione balneare con un placido soggiorno autunnale profittando altresì della copiosissima cacciagione.

Le villette sul mare sorte al Lido dei Lombardi in una cartolina degli anni cinquanta

Verso la zona mediana della fronte a mare verranno costruiti alcuni alberghi, decorosi ma non di lusso, per essere accessibili alle medie borse e mantenere a questo Lido senza sfarzi un carattere simpaticamente familiare. Quella zona mediana comunicherà per due strade trasversali con la grande rotabile longitudinale e avrà quindi facilità d ’accesso per veicoli d’ogni sorta e specialmente per le automobili, alle quali naturalmente si provvederanno le opportune rimesse.

La tenuta di Cà Porcia

A tergo della zona balneare, e cioè dell’effettivo Lido dei Lombardi, s ’allarga la vecchia tenuta di Cà Porcìa, già in parte bonificata e abitata da una piccola popolazione rurale, perchè Tomaso Nember, l ’audace ed esperto bonificatore, vi portò seco alcune famiglie di contadini bresciani e oggi Cà Porcìa conta all’incirea trecento persone; distribuite in varie fattorie moderne, con cinquecento capi di bestiame.

Tenuta di Cà Porcia – Cascina Brescia

Per la bonifica si sono scavati, a cura dei Consorzi, alcuni canali, come il Canal Pazienti e il Canale Vigna Vecchia, i quali raccolgono dalle terre — che sono più basse del mare e del Sile — le acque piovane e le acque di filtrazione e le convogliano in un altro canale che le avvia ad un bacino di raccolta, donde passano alla Centrale Idrovora del Secondo Bacino di Cavazuccherina, che le assorbe, le solleva con le sue pompe (della portata di 1440 litri al minuto) per travasarle in un bacino di scarico che le versa nel vicino Sile.

Poderosa, nella sua semplicità meccanica, è questa Centrale che occupa un robusto edificio, e le sta d’accanto la Casa del Custode, sempre vigilante perchè nei periodi piovosi l ’acqua cresce minacciosamente nei canali e bisogna pomparla giorno e notte e scaricarla senza indugio ; se no la zona sarebbe tutta allagata, come lo fu, qui e altrove, ad opera militare durante la guerra, per renderla inospitale al nemico.

Tenuta di Cà Porcia – Cascina di Offanengo

Allora, sulla strada che cinge la tenuta costeggiando il Sile, là dove oggi transitano lente e pacifiche le mandre, era un concitato trottare soldatesco che andava a rafforzare la delicata difesa al Cavallino. Non esistevano ponti sul fiumicello, e, ad evitare i soverchi traghetti, se ne improvvisò uno di legno che soltanto sul finire del decorso novembre venne sostituito da un solido e definitivo ponte di cemento, poco lungi dalle conche e dalle porte idrauliche che dall’opposta sponda immettono nel canale navigabile per Venezia; e se si pensa che appena una dozzina di chilometri separa questo ganglio nervoso dalla Regina dell’Adriatico, si comprende come per il tracollo di Caporetto essa sia stata minacciata da vicino e quanto ardua ed eroica sia stata la difesa nell’anno fatidico e tremendo.

Sulle rive del Sile

In questo tratto, e via via risalendo al nord, le rive del Sile son tutte guarnite di folte canne palustri, dietro le cui siepi emergono con bizzarro effetto vele ocracee di barche. Scivolano, sull’acque calme e cilestrine, grossi bragozzi, corpulenti barconi colmi di sabbia sino a rasentare col bordo il filo del fiume. Ne portano sin mille e millecinquecento quintali ciascuno, sì che un barcone da solo fa il lavoro d’un treno merci, compiendo lunghi viaggi pazienti su e giù per fiumi e canali per prendere e portare il carico da un capo all’altro di estesissime plaghe.

Scivolano sulle acque lente e chiare del Sile grossi bragozzi, corpulenti barconi, scene amabili di una fresca poesia…

E passano rimorchiatori che si tiran dietro cinque o sei barconi, convogli mastodontici che ingombrano il fiume con le loro moli prolisse; passano, snelli ed eretti come cigni, i bianchi vaporetti postali che vanno e vengono dalla città dogale, messaggeri dell’antico amore; passan vele maestose, passano navigli solenni e passan barche e barchette a remi, guidate dalle donne, le robuste operose donne di questi paesi.

Son le scene amabili di una fresca poesia, e questo bel fiume che trascorre il vasto delta quasi lambendo le liquide valli preludianti la laguna, questo Sile sereno e vispo che corre per tanti rami verso la grande foce, è un soavissimo poeta.

Tomaso Nember

Tomaso Nember, figlio della Leonessa, alto adusto bonario, ma con i segni d’una imperiosa volontà incisi nel viso macro, nei fermi occhi, nel passo sicuro, è anche lui un poeta, innamorato della natura, dei campi, del mare, della vita all’aperto, delle forti opere che si costruiscono lottando con gli elementi, conquistando e trasformando la terra, traendo quasi dal nulla le eterne energie ch’essa nasconde, portandole alla luce con perseverante fatica, lo sguardo fisso alla mèta che non può fallire.

È lui che si è addossato la dura bisogna della bonifica e che si è messo con ponderato animo a diriger l ’impresa, facendo la spola tra Brescia e Cavazuccherina e acconciandosi di buona voglia a frequenti e prolungati soggiorni sul lido ancor inospitale nella sua grezza solitudine. Cominciò nel 1925 abitando con i suoi fidi luogotenenti un’osteriucola alle Conche del Cavallino, donde traghettava il Sile quattro volte al dì avendo costruito apposta un pontile per la sua barchetta.

Egli si preoccupò anzitutto della terra e, tracciato il piano dell’impresa, si buttò al lavoro spianando dune, prosciugando, dissodando le zolle umide e raccogliendone presto i primi prodotti in magnifiche verdure, in uve eccellenti per il Rabboso del Piave, buon vino frizzante e schietto, e in copiosa ed ottima frutta a cominciare dalle mele «reinette», specialmente appetite da volonterosi incettatori che si valgono d’autocarri per girar più rapidi alla raccolta e portar la messe a San Donà per spedirla a Monaco.

Nel ’26 si trasferì in un baracchino sul mare, alla punta Nord del futuro Lido, ove certe notti di furiosa bora s’aspettava da un momento all’altro d’esser spazzato via tra le ondate con la baracca e tutto. Ma è uomo, il Nember, che ama le rudi emozioni e i forti contrasti. E nel ’27 andò finalmente ad insediarsi nella nuova sede direttiva dell’azienda, in piena tenuta di Cà Porcia, in una casa appositamente costruita nelle vicinanze d’un incrocio stradale. Una parte dell’edificio serve per abitazione dei dirigenti, l ’altra per gli uffici, e accanto stanno l’officina meccanica per le macchine agricole e una fattoria con l ’autorimessa.

Una veduta aerea degli anni cinquanta, con l’ampia campagna alle spalle della zona balneare

Altre fattorie son disseminate sul vasto territorio e ognuna possiede un silos per conservarvi ed essiccarvi l ’erba, che poi è meglio gradita dal bestiame. E dal bestiame, tra l ’altro, si ricava il latte che vien mandato ogni giorno a quel tal stabilimento di Capo Sile ch’è pure una creazione indovinata dell’azienda di Cà Porcìa ed è quindi sotto la diretta giurisdizione dell’infaticabile Nember.

Sempre in moto, egli imprime un vigoroso impulso alle opere molteplici e assicura lo sviluppo dell’impresa, a cui ora tutti credono e pronosticano un lieto esito, taluno argomentando che si trattava di cosa facile e dunque di scarso merito. Però nessuno prima osò mai affrontarla, e difatti a veder com’era, a mirar la landa deserta e selvatica, c’era da mettersi le mani nei capelli e occorreva proprio un uomo pratico e risoluto come questo volonteroso bresciano, per osar d’assumersi un travaglio sì duro.

Oggi c ’è ancor molto da fare, è vero, ma l’orizzonte appare chiaro. Ci son dune: si spianeranno. La terra si muove con facilità, i canali sono aperti, il suolo si asciuga e si assesta. Le canne tentano ancora di spuntare: saranno debellate, mentre già s ’allineano filari di piante e si stagliano i grandi rettangoli dei campi arati.

E già si fanno innanzi ingegneri, capitalisti, costruttori, per concorrere all’opera, per assumer lotti di terreno, per fabbricar ville, e la fiducia nel successo si diffonde.

Il Lido dei Lombardi dovrebb’essere una realtà quest’anno, la prossima estate. Si conta di aver pronti per allora una prima fila di capanni e un centinaio di villette. Tanto per cominciare. E il seguito verrà.

Un vecchio biglietto della fine anni cinquanta-inizio sessanta della tratta urbana di Jesolo: Villaggio Marzotto – Lido dei Lombardi

La prima parte dell’articolo riguardante San Donà di Piave

In viaggio verso il Lido dei Lombardi passando per San Donà di Piave

Tratto da « Le Vie d’Italia » rivista ufficiale del Touring Club Italiano Anno XXXV, nr. 4 – aprile 1929 pp. 301-309. (Articolo di Ulderico Tegani, fotografie di E. Fiorioli della Lena – Venezia)

In un lungo articolo apparso nel 1929 sulla rivista ufficiale del Touring Club Italiano viene data una bellissima descrizione della San Donà dell’epoca e della realtà turistica del litorale di Cavazuccherina, che attraverso il sogno del Lido dei Lombardi diverrà l’odierna Lido di Jesolo. Dividiamo l’articolo in due parti, riservando la prima a San Donà di Piave così da poter accompagnare con immagini d’epoca anche la parte dedicata alla nostra cittadina.

Il Lido dei Lombardi

Una iniziativa ardita e pittoresca

Scendendo dal treno alla stazione di San Donà di Piave, mi risuonava nello spirito un canto di trincea che poche sere innanzi avevo ascoltato dalle voci dei fanti reduci di guerra.

Siam partiti in ventisette. Solo cinque son tornati qua.

E gli altri ventidue son tutti morti a San Donà!

Il Duomo di San Donà di Piave il 10 settembre 1918, ancora sotto l’occupazione austro-ungarica

Canto tragico che, nella sua semplicità disadorna e rude, rievocava l’epopea. La rotta di Caporetto, l’arresto al Piave, la strenua difesa del sacro fiume, tinto di vermiglio dal purissimo sangue degli eroi, l’ecatombe e la rovina, la vittoriosa riscossa. Una visione di morte, un panorama di distruzione. Tumulto di macerie in una solitudine di terrore. Dal Grappa a Capo Sile un orizzonte d’Apocalisse, e nell’ampio raggio San Donà travolta e fulminata, agonizzante nella polvere. Un volo di memorie nello spazio di dieci anni, di undici, che lo colma d’un tratto e lo fa sembrare un giorno. Storia di ieri, riassunta e riassurta nell’onda di una canzone, nell’eco di una rapsodia.

Storia di ieri, o non piuttosto di cent’anni indietro? Tutto m’appariva si fresco e sereno, nella mite giornata dell’incipiente inverno, con quel prodigio d’azzurro, con quel tripudio di sole! Chiara, tranquilla si stendeva d’intorno la campagna nel suo dilatato respiro, ancora soffusa di verde, tutta piena di segrete promesse. Qui la stazione riedificata, lì il vialone riassestato, laggiù il campanile ricostruito, alto emergente di fra gli alberi, dritto in piedi col piglio risoluto del padron di casa e insieme con la grazia del buon ospite che invita.

Via Vittorio Emanuele (cartolina degli anni trenta)

Poi, ecco d’infilata il vecchio borgo e la sua strada maggiore. Ma che dico vecchio! Qui tutto brilla nuovo fiammante ch’è una gioia vederlo. Il borgo della vetusta pieve è oggi una cittadina giovanilmente balda, risorta dalla catastrofe di cui ogni traccia è scomparsa; rinata, rifatta è già cresciuta più bella di prima, con una cera gioviale che inspira d’un subito letizia e simpatia, con un sentor di gagliardo vigore che si effonde per le larghe strade ariose e luminose, con un aspetto moderno che sa di salute e di forza, con una fioritura di case dalle linee e dai colori più diversi, in scapigliata varietà, con uno schieramento di bei negozi e di grossi empori, pingui d’ogni ben di Dio, che il lunedì, meglio degli altri giorni, s’affollano di gente d’ogni parte del contado che affluisce al mercato e riempie la strada principale di carrette e carrettelle, di uomini con le spose, di famiglie con la prole, di voci, di strepiti, di allegro e pittoresco brusio.

Il Duomo visto da via Giannino Ancillotto (cartolina degli anni trenta)

Qui c’è la chiesa arcipretale che sfoggia un colonnato classico sulla facciata prospiciente una piazza, aperta al posto d’un gruppo di vecchie case; e di fianco le si aderge isolato il poderoso campanile, con la sua canna quadrangolare rivestita di mattoni e un angelo alato sulla cuspide; un campanile che, come tanti altri della terra veneta, arieggia quello di San Marco e ricorda l’antica signoria della Serenissima.

Anche la piazza Indipendenza, poco innanzi, mostra il suo volto rinnovato e pur richiama Venezia col basamento riserbato al pennone tradizionale, mentre la fresca linfa della vita trascorrente trova il suo eloquente simbolo nel getto d’acqua che sgorga salendo dal profondo suolo. Un giro di portici si snoda da un lato, a piè di un’allineamento di edifici, e giova alla miglior prospettiva dello sfondo, là dove si para con armonico decoro il palazzo del Municipio, anch’esso risorto dalle sue ceneri, anch’esso nobilitato e rischiarato, com’era in origine, dal suo portico.

Il Municipio e il Palazzo dei Consorzi Riuniti (cartolina degli anni trenta)

Sull’altro lato un palazzo nuovo è venuto a segnare, al luogo d’un vecchio giardino, il perimetro della piazza: un palazzo grandioso e severo, che accoglie i Consorzi Riuniti di San Donà, quei benemeriti Consorzi Idraulici ai quali si deve la bonifica pressochè compiuta di quattrocento chilometri quadrati del circostante territorio, in cui si distribuisce una rete di 330 chilometri di canali, di 137 chilometri di strade particolari, di circa trecento tra ponti, sostegni, chiaviche e conche di navigazione, d’ottantun pozzi trivellati e di ventisette stabilimenti idrovori con trentun pompe centrifughe e ventotto motori.

Son cifre che parlano da sè, che rivelano meglio d’un lungo discorso la tenace energia di questo popolo che ha saputo redimersi in ogni senso, sottraendo le zolle alle paludi e guadagnando all’agricoltura cinquantamila ettari di terreno, così che là ove stagnavano le morte acque o imputridivano le basse lande neglette, spaziano oggi i campi fecondi. Tale l’opera intrapresa dagli avi e proseguita con salda lena dai nipoti: opera che in sè racchiude tante possibilità d’ulteriori sviluppi e lascia presagire per San Donà il più florido avvenire.

Il Palazzo della Banca Mutua Popolare (cartolina degli anni trenta)

San Donà avrebbe anche potuto essere la degna meta d’un viaggio, e dolce senza dubbio sarebbe stato l’indugiar per le sue strade, alla ricerca dei molteplici segni di rinascita, alla ricognizione dei tanti progetti di prossimi e futuri arricchimenti nell’edilizia cittadina. Qui c’è con la sua nuova sede elegante la Banca Popolare, là c’è l’Ospedale; qui sorgerà la Casa del Littorio, là troverà posto la Casa di Ricovero, la cui facciata monumentale si fregerà delle lapidi consacranti i nomi dei quattrocentoventi Caduti.

La Rivista del Touring Club “Le vie d’Italia” aprile 1929 (Anno XXXV nr. 4)

La seconda parte dell’articolo riguardante Cavazuccherina e il Lido dei Lombardi