Villa Guarinoni, immagini vecchie di un secolo

Villa Guarinoni, immagini vecchie di un secolo

Incrociare delle vecchie foto di un album è una pratica semplice, accade o potrebbe accadere ad ogni ora del giorno in una qualsiasi famiglia. Non sempre si riesce a riconoscere le persone ritratte ma sai che in qualche maniera hanno fatto parte della tua storia. A volte può accadere di incrociare foto di un album qualsiasi, di una famiglia qualsiasi e scoprire che comunque fanno parte della tua storia, o più propriamente della storia della tua città. E fu così che attratto da un cognome eccoci a tracciare una storia che ci porta a più di cento anni fa.

La San Donà a cavallo del secolo
Il ponte sul fiume Piave ad inizio secolo

La San Donà della fine Ottocento divenne un punto di riferimento per tutto il mandamento. Le grandi bonifiche avevano ampliato il territorio destinato all’agricoltura e anche le vie di comunicazione avevano avuto un grande sviluppo grazie al collegamento ferroviario con Venezia inaugurato nel 1885 e il successivo prolungamento verso Portogruaro inaugurato l’anno dopo. Anche il nuovo ponte pedonale in ferro che aveva sostituito quello in legno distrutto da una piena del Piave aveva portato grandi benefici alle cittadine poste sulle due sponde. Non fosse per gli argini ancora incompleti che costringeva tutti a fare i conti con le regolari bizze autunnali del fiume, San Donà si era comunque avviata ad uno sviluppo importante. Il nuovo ospedale inaugurato nel 1913 fu il giusto completamento alle tante opere pubbliche cittadine che stavano arricchendo il tessuto urbano sandonatese. Uno sviluppo che ben presto si trovò a fronteggiare le ombre di una guerra che oscurò il futuro e a cui il buio di un anno di occupazione austroungarica in prima linea regalò un’immane distruzione.

I Guarinoni
A inzio secolo un’immagine del Rialto Jesolo

Nella crescita della San Donà a cavallo del Novecento s’inseriscono i protagonisti della nostra storia, la famiglia Guarinoni. Lo spunto è venuto da alcune foto ritrovate facenti parte di uno stesso album. Una in particolare raffigurava la casa dei Guarinoni e, con sorpresa, era in realtà una cartolina viaggiata del 1915 con tante utili informazioni da approfondire.

I Guarinoni erano esponenti dell’alta borghesia sandonatese la stessa che al tempo veniva identificata come quella dei possidenti. Per lo più proprietari terrieri, i possidenti erano appartenenti a quella ristretta cerchia a cui veniva riconosciuto il diritto di voto e con esso la partecipazione alla politica attiva della città. I Guarinoni sin dall’Ottocento li troviamo citati nella storia sandonatese, in particolare il loro nome viene ricordato in due episodi dal Plateo nel suo libro, ripresi poi anche da Monsignor Chimenton. Entrambi i loro libri sono dei testi fondamentali da cui attingere importanti notizie in merito alla storia cittadina. Se il racconto di Plateo si ferma ai primi del novecento quello di Monsignor Chimenton ci permette di arrivare con la sua narrazione ai cinque lustri successivi e grazie al quale possiamo arricchire la parte riguardante i Guarinoni anche del periodo successivo alla grande guerra nel quale Guido Guarinoni ebbe un ruolo fondamentale nella ricostruzione della città.

La fucilazione del Cimetta
Rialto Jesolo (o Spalto Jesolo) visto da via Maggiore

Ambedue gli episodi riportati dal Plateo si riferiscono a quel periodo che vide San Donà inglobata nel Regno Lombardo-Veneto durante l’occupazione austriaca, ovvero dalla caduta di Napoleone sino alla fine della terza guerra di indipendenza (1815-1866). « Molti episodi, che provano il patriottismo della popolazione, si narravano fino a ieri e si ricordano ancora oggi dai vecchi, fra cui l’eroica fine di quell’Antonio Cimetta da Portogruaro, qui residente, trovato in possesso di un vecchio archibugio e sospettato d’italianità, condannato alla fucilazione, dal consiglio di guerra presieduto dal Colonnello Radetzky, figlio del famoso maresciallo. L’esecuzione capitale ebbe luogo qui il 14 gennaio 1849, presso l’argine del Piave, di fronte all’abitazione Guarinoni.

Il Cimetta, circondato da’ suoi carnefici, che lo accompagnavano all’estremo supplizio incitandolo a rivelare i nomi dei cospiratori che si servivano di lui per corrispondere col governo provvisorio di Venezia, approfittò dell’ultimo istante di vita per gettare in aria il berretto e gridare: Viva l’Italia! imitando così Antonio Sciesa, il popolano milanese celebre nella storia per la tipica frase: « tiremm innanz » con la quale rispose alle promesse di aver salva la vita se rivelava i nomi dei compagni di fede.

Una colonna spezzata nel nostro cimitero, collocata sulla fossa che racchiude le ossa del Cimetta, porta la seguente epigrafe:

ANTONIO CIMETTA

MARINAIO DI PORTOGRUARO AGENTE CORAGGIOSO DI QUELLA COSPIRAZIONE CHE HA REDENTA LA PATRIA

A MORTE DA TRIBUNALE AUSTRIACO CONDANNATO SUBIVA INTREPIDO LA FUCILAZIONE IN QUESTO COMUNE

14 GENNAIO 1849

SPIRANDO COL GRIDO  VIVA L’ITALIA

I CITTADINI DI S. DONA’ NEL XXXII ANNIVERSARIO.

Dunque una prima traccia della casa dei Guarinoni la possiamo trovare lungo l’argine, un indizio che in effetti possiamo anche intravedere nella cartolina la cui inquadratura dall’alto ci fa pensare effettivamente potesse essere ai piedi dell’argine.

“Il tricolore sulla residenza municipale “
Il Municipio in una cartolina del 1916

Il secondo episodio è posteriore, siamo già a Regno d’Italia costituito, con l’Austria che aveva perso la Lombardia e aveva trasferito la capitale dei suoi possedimenti a Venezia.

« La notte del 24 giugno 1863, quarto anniversario delle battaglie di S. Martino e Solferino, fu inalberata sul culmine del tetto della residenza municipale, ora uffizi dei consorzi, una bandiera tricolore di seta, regalata dalla signora Giovanna Guarinoni, nota per i suoi sentimenti patriottici. All’alba del dì seguente il vessillo sventolò superbo fin tanto che la polizia, scompigliata da tanta baldanza, non riuscì ad impadronirsi del corpo del reato, sul quale s’imbastì analogo processo politico.

Questa dimostrazione ardita, ispirata da alcuni signori del paese, ebbe per intrepidi e avveduti esecutori Giuseppe Mucelli, Giuseppe Baradel e Leopoldo Zaramella, tre distinti operai, tre buoni cittadini, tre ottimi patrioti, i due primi già appartenenti ai volontari del patrio riscatto, e il terzo arruolatosi nel 1866.

Il vessillo incriminato venne dal Pretore custodito nel luogo più sicuro dell’ufficio, ossia nel cassetto della propria scrivania. Nell’ottobre dello stesso anno il Mucelli e lo Zaramella, ai quali si associò Antonio Battistella, tre falegnami decisi di riavere la bandiera, resa sacra dalla persecuzione austriaca, approfittando di una notte in cui imperversava il temporale, con un vento infuriato e con abbondanti scariche di tuoni, penetrarono nell’ufficio pretoriale, ora caserma delle Guardie di Finanza, e scassinate porte e cassetti poterono prendere la bandiera tanto desiderata e uscire inavvertiti.

L’ardua impresa destò in paese grande rumore per il fatto che non furono toccati i denari dei depositi e gli oggetti di valore che si trovavano accanto alla bandiera, e gli autori della sottrazione di questa non lasciarono tracce del loro passaggio. Tuttavia le perquisizioni domiciliari si estesero a molte persone sospette di sentimenti patriottici, ma senza esito, perché la bandiera, bene piegata, poté dal Mucelli venir nascosta nel vuoto invisibile praticato ingegnosamente, in un tagliere di legno, che rimase appeso in cucina insieme a vari altri, e sfuggire così all’occhio vigile della polizia. »

Dopo questa seconda citazione che testimonia dei sentimenti italiani dei Guarinoni di quel tempo torniamo alle vicende famigliari che da quella cartolina abbiamo iniziato a dipanare. Non abbiamo trovato traccia della signora Giovanna citata dal Plateo, sarebbero state necessarie ulteriori ricerche, di certo era collegata allo stesso ramo famigliare da cui siamo partiti per andare indietro nel tempo. Perché il reale protagonista dei Guarinoni a cui quella cartolina si lega è Guido Guarinoni, sindaco di San Donà di Piave dal 1920 al 1923.

I contorni della storia albergano tra i rami dei legami famigliari
L’estratto dell’atto di matrimonio tra Guido Guarinoni e Maria Velluti (1896)

I Guarinoni in quel secolo Ottocento erano una famiglia di possidenti ben in vista a San Donà. Tra l’altro in alcuni loro locali in disuso in via Jesolo mossero i primi passi gli appassionati di teatro sandonatesi con tanto di rappresentazioni. Il nonno di Guido era Giovanni Battista mentre la nonna era Bressanin Maddalena. Anche quest’ultima appartenente ad una famiglia il cui cognome non era sconosciuto tra i possidenti di San Donà. Del resto, anche nelle successive generazioni non mutò l’appartenenza. Il padre di Guido era coetaneo di Giovanna Guarinoni citata da Plateo, Luigi Guarinoni sposò giovanissimo Bortoluzzi Teresa, una possidente di Noventa. Tra i registri di San Donà si riescono a rintracciare diversi fratelli e sorelle di Guido. Il padre morì nel 1881, i figli erano ancora giovani e poco dopo morì anche il primogenito Ugo Antonio. La sorella Alda Maria si sposò con l’ing, Radaelli di Venezia, un legame con la città lagunare che sarà importante per la famiglia i cui interessi anche professionali s’intrecciarono particolarmente con Venezia. Anche Guido divenne ingegnere e conobbe il collega Francesco Velluti di Dolo, di lì a poco ne sposò nel 1896 la sorella diciottenne Maria Velluti. I componenti della famiglia Velluti erano dei possidenti di Dolo i cui genitori erano morti pochi anni prima.  I due novelli sposi andarono a vivere nella casa di famiglia a San Donà di Piave in Rialto Jesolo, 141.  In quella stessa casa viveva anche il fratello Amedeo Guarinoni che nel 1898 aveva sposato Clorinda Crico, figlia del medico di Musile, il dottor Giacomo Crico. Sia Guido che Amedeo ebbero una figlia, nel 1897 Maria Velludi diede alla luce Teresina, mentre Clorinda Crico ebbe nel 1899 Teresa. Entrambi i nomi prendevano spunto come era d’uso un tempo da una nonna, in questo caso quella paterna.

Una immagine di Villa Guarinoni del 1915 (foto di A. Cadamuro)
La cartolina della storia
Un dettaglio dell’immagine di villa Guarinoni, in posa la famiglia del futuro sindaco di San Donà di Piave

E qui la nostra storia torna ad agganciarsi a quella famosa cartolina, quella casa vista dall’alto potrebbe proprio essere stata in Rialto Jesolo, il fotografo Antonio Cadamuro potrebbe averla ripresa dall’argine e cosa ancor più ammirevole in quel giardino posto sul retro della casa si nota l’ing. Guido Guarinoni, all’epoca già consigliere comunale, con parte della famiglia allargata che in quella abitazione viveva. Alla figlia di Guido Guarinoni Teresina veniva inviata la cartolina nel 1915, era firmata da una non meglio identificata Rita e la destinazione era Dolo dove la ragazza si trovava assieme alla madre in quel dicembre. L’Italia era già in guerra, San Donà era percorsa dalle truppe che si muovevano verso il fronte e si iniziava a cercare un posto meno esposto, e di sicuro i possedimenti di famiglia a Dolo lo erano. Qualche anno prima la zia Clorinda Crico rimasta vedova nel 1902, si era sposata con il cognato Radaelli Onofrio, rimasto anch’egli vedovo prematuramente di Alda Maria, sorella del marito di Clorinda. L’ombra lunga della guerra arrivò su San Donà nel 1917, la famiglia Guarinoni nel frattempo aveva trovato riparo a Venezia. La casa di famiglia subì dure conseguenze dal conflitto mondiale trovandosi sulla linea del fronte lungo l’argine del Piave. In una seconda fotografia presente nell’album la si ritrova ridotta in macerie, in quel Rialto Jesolo colpito ripetutamente dall’artiglieria italiana nella San Donà dove le truppe austriache vennero fermate dalla resistenza italiana attestata oltre il Piave. La famiglia Guarinoni mantenne la residenza a Venezia anche successivamente, tanto che nonostante Guido Guarinoni nel 1920 fosse divenuto sindaco di San Donà di Piave i successivi matrimoni in quei primi anni venti di Teresa e Teresina celebrati a Venezia negli atti i genitori risultano ancora residenti a Venezia.


Villa ridotta in macerie dopo la prima guerra mondiale

Racconto diviso in due parti: 1. Villa Guarinoni, immagini vecchie di un secolo – 2. Guido Guarinoni Sindaco di San Donà di Piave

Per approfondimenti: 1. « Il territorio di S. Donà nell’agro d’Eraclea » (1905) di Teodegisillo Plateo; 2. « S. Donà di Piave e le Succursali di Chiesanuova e di Passarella » (1928) di Mons. Costante Chimenton.

Plateo, alle origini della Storia

La copertina dell’edizione del 1969

Nel 1907 venne pubblicato il libro “Il territorio di S. Donà nell’agro d’Eraclea” di Teodegisillo Plateo. Oltre un secolo fa la passione e la ricerca dell’allora segretario comunale di San Donà di Piave aveva prodotto un libro che nei decenni a venire verrà poi utilizzato a piene mani da quanti s’inoltrarono nella storia di queste zone, non ultimo Mons. Costante Chimenton per il suo “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e Passarella” del 1928. Una storia segnata spesso da un grande protagonista quale il fiume Piave, o come in Veneto si era soliti utilizzarla in forma femminile, la Piave. Una matrigna tante volte irosa con le sue inondazioni e suoi cambi di corso che i veneziani cercarono di domare per salvare la laguna e che per secoli vedrà tutto il tratto compreso tra il Piave e il Tagliamento prigioniero tra terra e mare di una terra di mezzo paludosa, oggetto per secoli di lunghe bonifiche. Una lotta per la sopravvivenza accanto al fiume che nell’arco della sua storia ha visto sorgere come sparire tanti centri urbani e tra i cui abitanti ci furono anche coloro che trasferendosi nelle isole della laguna contribuirono alla nascita di Venezia.

La lapide presente presso il cimitero di San Donà di Piave

La prima edizione del libro è del 1907, ma tanto fu l’interesse che fu nuovamente stampato nel 1936. Negli anni sessanta lo stesso Comune di San Donà di Piave, allora guidato dal Sindaco Dott. Franco Pilla, ne ha pubblicato due edizioni successive nel 1963 e nel 1969. Oggi è possibile trovare anche una edizione on line scaricabile in pdf di “Il territorio di S. Donà nell’agro d’Eraclea” ma indubbiamente lo sfogliare l’edizione cartacea, fosse anche solo delle ultime edizioni, ha tutto un altro fascino.

Il Nobile Cavaliere Teodegisillo Plateo è ricordato in una lapide nel cimitero di San Donà di Piave lungo il muro destro proseguendo dall’entrata principale, nella zona dove vi sono anche molte lapidi recuperate nel vecchio cimitero dopo le distruzioni della prima guerra mondiale. Era nato il 13 dicembre 1839, morì il 16 novembre 1909 quasi settantenne. Una presenza costante nella San Donà di Piave dell’epoca quando in qualità di segretario comunale dal 1879 ebbe modo di redigere tanti atti comunali, non ultimo quello di nascita di Giovanni Guido Agostino Ancillotto, detto Giannino, eroe nazionale durante la prima guerra mondiale e a cui è dedicato il monumento in Piazza Indipendenza.

Parte dell’atto di nascita del 18 novembre 1896 di Giannino Ancillotto redatto dal segretario comunale Teodegisillo Plateo
La prefazione di Teodegisillo Plateo (1907)

Alla rappresentanza comunale di San Donà di Piave in segno di gratitudine – l’autore offre questo tenue lavoro – ispirato dal vivo affetto che lo lega al paese.

Nella parte orientale del territorio di S. Donà di Piave e in quella occidentale del limitrofo territorio di Grisolera in antico esisteva l’isola Melidissa, trasformata in penisola verso la metà del secolo VI dell’era volgare e più tardi in città marittima col nome di Eraclea.
Distrutta Eraclea al principio del secolo IX e riedificata in parte quando era ridotta a luogo di terraferma, prese il nome di Cittanova.
Nel territorio eracleese esistè pure una borgata importante col nome di Fines, situata dove oggi si trova S. Donà.
Molti scrittori hanno accennato a queste città e borgate distrutte nel cantare le glorie della Venezia adulta e per vantar le bellezze artistiche della fata delle lagune, ma ben pochi si sono occupati diffusamente della Venezia fanciulla che fu prima a scorgere negli spazi infiniti del mare il suo grande avvenire.
Io ho raccolte e coordinate varie notizie da fonti diverse, sparse quà e là, ho tenuto conto delle poche vestigia di edifizi, di strade romane e di alcuni frammenti di statue, di qualche colonna spezzata, di iscrizioni sepolcrali, indecifrate, di altre iscrizioni lapidee, delle ossa umane e di alcune monete dissepolte, per rendere il modesto lavoro meno incompleto.
Lo studio abbraccia 18 secoli e mira principalmente a ricordare che la terra in cui viviamo fu abitata da un popolo industre, nato alla vita libera, degno di grandi destini, che questo popolo conobbe la potenza del lavoro e del traffico prima degli anglo-sassoni; che Eraclea raccolse gli avanzi gloriosi della civiltà greca e latina, e che ai figli d’Eraclea e loro discendenti spetta il vanto d’aver innalzata la repubblica marittima agli splendori di Sparta e di Roma.
Mira poi a ricordare Melidissa, Cittanova, Fines, nonché la fondazione, le vicende e i progressi di San Donà coi pochi particolari consentiti dalla brevità del lavoro.
E’ uno studio d’occasione (¹) ispirato dall’affetto che mi lega a S. Donà e dal desiderio che possa invogliar altri, di me certo più competenti, a far qualche cosa di meglio.
S. Donà. Settembre 1907
TEODEGISILLO PLATEO
(¹) Per il XXV anniversario della fondazione della Società Operaia di Mutuo Soccorso “G. Garibaldi”

La prefazione dello storico Adriano Augusto Michieli nell’edizione del 1936

Ventinove anni fa, per cura del Sig. Teodegisillo Plateo, Tenente Colonello degli Alpini della Riserva, Segretario del Comune di San Donà di Piave, usciva in Oderzo, pei tipi della Ditta Bianchi, questo libro di storia, oggi da tempo del tutto esaurito, che ora qui si ristampa per pio, generoso desiderio della Vedova che intende in tal modo onorare e ricordare il suo caro trapassato e di recare insieme un nuovo contributo di bene a quella benefica istituzione di assistenza e previdenza sociale, a cui, fin dalla edizione delle sue pagine, l’Autore intese giovare.
La nuova edizione del libro, che ripete in tutto la prima, si raccomanda poi al lettore, non solo per queste due nobili e generose ragioni, ma per quella del suo contenuto storico, che non cessa, pur nelle nuove vicende presenti dell’Italia nostra, di avere un suo particolare, spiccato interesse.
La storia è fonte perenne di luce e richiamare ogni tanto chi vive alle sue vicende passate non è mai vana fatica, perchè dal passato escono insieme il presente e l’avvenire e sì l’uno che l’altro possono trarre sempre da esso – quando si sappia saggiamente interpretarlo – insegnamenti e consigli non disprezzabili.
Le vicende che il rimpianto Plateo rievocò nelle sue diligenti pagine, sono vicende remote e lontane, ma sono vicende delle nostre care terre venete riconsacrate anche di recente dal sangue dei nostri valorosi soldati che, immolandosi tra i canneti e la fanghiglia dell’antico agro o nelle belle campagne bonificate, rifatte palude con la rottura delle idrovore, salvarono nel 1917-18 Venezia e l’onore dell’Italia.
Egli espone di fatto nel suo libro la storia del territorio di San Donà dai tempi più antichi al 1900, basandosi su quanto le storie e i documenti allora più autorevoli narravano in proposito, ma non si limita – onor suo – a riassumere quanto avevano detto in proposito, i più noti storici della regione, ma si vale pel suo racconto di molte fonti nuove, pazientemente rintracciate negli Archivi, nei Musei, nelle Raccolte Private e – ciò che più contava – dato il tema – sul terreno. Questo, perché, come dimostrano i più recenti studiosi di storia lagunare e per primo il rimpianto Giuseppe Pavanello, anche i documenti più autorevoli poco dicono se non sono controllati sul posto con pazienti sopralluoghi che possono chiarire le antiche variazioni topografiche e i più vetusti rimasugli di argini, di strade e di abitati finora messi in luce o per fortuite circostanze o con appositi scavi.
Le pagine del Plateo, nonostante ch’egli non fosse uno specialista di studi storici, ma soltanto una persona colta e curiosa del passato del suo paese, conservano, quindi, anche con le loro lacune, molti pregi e fra essi soprattutto quello dell’entusiasmo col quale furono scritte e messe insieme.
Sulle prische terre venete di cui parla questo libro uscirono dopo il 1907, con apparati ben più larghi di erudizione e di documenti, gli studi del Lazzarini, del Pavanello, di Roberto Cessi, del Kretschmayr ecc. ; sullo stesso San Donà furono pubblicati dopo la guerra non poche memorie e studi assai interessanti, tra cui l’ampia, nota opera di Mons. Costante Chimenton, ma il libro del Plateo ha il merito di avere popolarizzato in forma facile ed onesta quanto egli aveva raccolto ai suoi tempi sulle vicende del territorio di San Donà dagli studiosi più autorevoli e dalle sue accurate, pazienti, amorevolissime «passeggiate» nell’agro.
Agro ispiratore di storia, in cui i fiumi sapientemente arginati e i canali d’irrigazione e di bonifica aperti nel verde d’una feconda campagna parlano a chi sa interrogarli del mare vicino e delle prime opere degli euganei e dei romani, dei veneti della Serenissima e di quelli più recenti e presenti dell’Italia nostra, inesauribile creatrice di solchi e di focolari.
E’ da Eraclea che partì alla conquista dell’estuario la consociatio lagunaris ed è da San Donà, sorta non per caso nel suo territorio, che si iniziò la redenzione delle paludi circostanti con le «cave» antiche e novissime di questa nostra Patria benedetta, che si rinnova sempre e va sempre più avanti, creando e ricreando in forme nuove ciò che le detta la sua anima romana, qui, sul nostro suolo e in tutte le terre, anche più lontane, ove i suoi figli sudano e combattono.
21 aprile 1936
ADRIANO AUGUSTO MICHIELI