Cartoline che raccontano: il campo del San Donà

Una cartolina di San Donà del 1927 o precedente, le case del Foro Boario, il vecchio Cimitero, la Caserma “Tito Acerbo” o “San Marco”, mentre al posto dell’Oratorio Don Bosco prima venne costruito un campo di calcio

Quante storie possono esser nascoste in una sola cartolina. La data dell’immagine può esser imprecisa ma i soggetti che lì son ritratti ne danno un contorno. Se la prima pietra dell’Oratorio è stata posata il 15 maggio 1927, pur nell’imprecisione del tratto dell’immagine tutto si può dire tranne che in quel terreno oltre al cimitero ci sia un cantiere. Le cronache ci dicono che prima che fosse posata la prima pietra quel terreno fu concesso al San Donà Foot-Ball Club e adattato a campo di calcio, per cui quell’immagine è ancor precedente al 22 dicembre 1925 quando venne inaugurato il campo di calcio. In quegli anni venti andava ad iniziare la storia quasi centenaria del calcio sandonatese.

L’inizio della Storia
Villa Amelia, nei pressi della quale si ritrovavano i primi calciatori sandonatesi

La nostra storia non può che cominciare prendendo in prestito le parole scritte da Gianni Colosetti nel suo libro sullo sport sandonatese che poi faranno da base anche a quello successivo scritto da Monforte e Pasqualato sulla storia del’A.C. San Donà.
« A San Donà la scintilla della palla rotonda è stata attivata da un giovane impresario sandonatese, operante nel campo dei pozzi artesiani, Leonida Fava, che nel corso dei suoi viaggi di lavoro, ebbe modo di assistere a degli incontri dell’Ambrosiana Inter di Milano appassionandosi a questo nuovo sport.
Avendone la possibilità, acquistò un pallone coinvolgendo in questa sua passione gli amici Antonio e Giuseppe Battistella, Federico ed Eugenio Alfier, Giovanni Nespolo, con i quali cominciò a ritrovarsi la domenica mattina nei pressi della stazione ferroviaria in un prato dietro Villa Amelia detto “Il Campo del Mago”. Il rudimentale campo da gioco era situato in via Garibaldi: grossi sassi materializzavano inizialmente le porte, sostituiti successivamente da pali di salice terminanti a forchetta sui quali veniva posta la traversa. Una parte importante in quella fase è stata svolta dal tecnico delle ferrovie, addetto al ripristino della linea San Donà-Ceggia, ancora gravemente danneggiata dagli eventi bellici, il triestino Szabados. Il tecnico, avvicinatosi al gruppo iniziò ad insegnare loro i primi rudimenti e le regole fondamentali del calcio, in particolare come trattare la palla “all’ungherese”, tiro effettuato cioè con l’esterno del piede, in modo da dare al pallone un effetto rotatorio rientrante.
Quei ritrovi domenicali, però, non durarono a lungo. Privati del loro terreno di gioco, destinato momentaneamente dai proprietari ad altri usi, quei pionieri cessarono l’attività ma proseguirono a cercare proseliti in attesa di reperire qualche altro terreno dove sfogare la loro nuova passione ».

Un vero campo dove giocare

Continua Colosetti nel suo libro: « Furono proprio due di questi nuovi proseliti, Bruno e Gino Rossi, che contribuirono a risolvere, dopo qualche tempo, il gravoso problema del terreno di gioco. I due fratelli, infatti, convinsero il padre Enrico a cedere in affitto un campo dislocato dietro la caserma “Tito Acerbo”, terreno che fu, dagli stessi, ben spianato e dotato di pali per le porte ». Un campo di calcio vicino alla Caserma “Tito Acerbo”, che forse ancora non aveva tale denominazione, la zona è la stessa della cartolina ma il campo non sembra essero quello che si intravede nell’immagine. Viene detto dietro la Caserma mentre quella che si vede nell’immagine della cartolina è la facciata della stessa prospiciente la strada detta “Del Casermone”. Vien però citato il nome di Enrico Rossi che ritroveremo poi, evidentemente tutta quella zona era stata di sua proprietà, sia davanti che dietro la caserma.

La nascita dell’Ardita
L’ « Ardita » la prima squadra che si formo nei primi anni

Ben presto quel gruppo di giocatori formarono una squadra vera. « La ripresa dell’attività portò nuovi adepti, alcuni dei quali avevano già dimestichezza con il pallone avendolo praticato nelle scuole veneziane o trevigiane da essi frequentate. Dopo qualche tempo al gruppo si unì Tullio Roma, che essendosi diplomato capitano di lungo corso, aveva giocato, oltre che nell’istituto scolastico, anche nella giovanile del Venezia con un altro sandonatese Giovanni (Nino) Gallerani, studente presso l’Istituto Commerciale Sanudo. Così, vuoi per la sua esperienza che per il grado derivategli dal suo titolo di studio, quando, costituita la squadra, si trattò di designare il capitano, la scelta non potè che essere rivolta sul suo nome.
Raggiunto il numero sufficiente fu costituita una squadra alla quale fu dato il nome di “Ardita” che con tassazioni personali e questue fra amici si diede una divisa, maglia bianco nera a scacchi e pantaloncini bianchi. Hanno fatto parte dell’Ardita: Alessandro Janna (presidente), Ruggero Galassini (allenatore). Giocatori: Eugenio, Nene e Federico Alfier, Antonio e Giuseppe Battistella, fratelli Bincoletto, Gino Bonetto, Libero Dus, Emilio Caramel, Cesarin, Giuseppe Da Villa, Sante Calcide, Amos e Ruggero Galassini, Girolamo Gallerani, Vito Girardi, Bernardo Guerrato, Loro da Ceggia, Bruno Marusso, Giuseppe Nespolo, Giovanni e Giuseppe Picchetti, Tullio Roma, Bruno e Gino Rossi, Salvador, Antonio Velludo, Alessandro Zuccon e Luigi Zorzi.

Dietro quella Caserma il campo di calcio diviene importante

« Le esibizioni dei calciatori erano motivo di curiosità da parte di molti che, dopo aver assistito a qualche allenamento non mancavano di appassionarsi e ingrandire il numero dei calciatori. La cosa non sfuggì ad Alessandro Janna, presidente dell’Unione Sportiva Piave, che prese subito a cuore le necessità di quei pionieri, non disdegnando di far fronte alle loro esigenze.
Il campo di calcio fu recintato con delle tavole provenienti dall’Azienda Agricola Janna, dotato di una baracca di legno nelle vicinanze della quale una fontanella d’acqua serviva ai giocatori per lavarsi e tentare di ripulirsi, a turno, dal copioso fango che nelle giornate piovose rendeva quel terreno più simile ad una stazione di cure termali che ad un campo di calcio. Il campo aveva anche nel signor Callegher il suo custode. »

Celeste Bastianetto presidente del San Donà
Il presidente Celeste Bastianetto con il San Donà F.C. nel 1926

Il campo dietro la caserma venne dunque recintato, nel mentre entra in scena la figura di Celeste Bastianetto. Era “un ragazzo del ‘99” reduce da quella prima guerra mondiale nella quale era stato insignito di una medaglia di bronzo al valor militare. Laureatosi in legge, divenne avvocato venendo poi nominato presidente dell’Azione Cattolica sandonatese. Impegnato nell’associazionismo cattolico al fianco di monsignor Saretta, fondò anche un’associazione ginnico sportiva che per la sua attività condivideva gli spazi del campo di calcio. Racconta Colosetti: « L’attività era svolta anche nel campo di calcio dell’Ardita e fu proprio grazie a queste comuni frequentazioni che Celestino Bastianetto pensò di unire queste giovani realtà sportive. Dopo una serie di contatti con Alessandro Janna, il “manager” dei calciatori, domenica 14 dicembre 1924, terminate le funzioni pomeridiane, nei locali della canonica si tenne una riunione nel corso della quale furono gettate le basi per la creazione di una Polisportiva alla cui presidenza fu nominato Celestino Bastianetto, che aveva una componente calcistica nel San Donà Football Club e una ginnica sportiva, nelle sopracitate associazioni parrocchiali. »

Monsignor Saretta acquista il terreno per il futuro Oratorio

Dopo aver avuto in desiderio di far arrivare a San Donà di Piave per tanti anni i Salesiani, monsignor Saretta decise di acquistare il terreno vicino al vecchio Cimitero. Ne da conto Wally Perissinotto nel suo libro: « Oggetto della transazione era l’area edificabile di 12.667 mq posta in località Loghetto, subito dopo il vecchio cimitero comunale, sulla strada di via Calnova (l’odierna via XIII Martiri).
Il confine orientale frantumava l’originaria proprietà proseguendo in modo irregolare lungo un breve tratto dell’attuale via Eraclea, detta strada “del Casermone” per la presenza della imponente Caserma “Tito Acerbo”. A sud e a ovest il terreno andava a morire nell’acqua di scolo della fossa Molina e in quello delimitante la proprietà Bortolotto. Sul fondo, parte seminativo e parte prativo, c’erano i resti di una casa colonica danneggiata dalla guerra già abitata dal sig. Enrico Rossi e Callegher ». Ecco ritornar i nomi di Enrico Rossi e Callegher, il primo diede in affitto il terreno dietro la Caserma per il primo campo di calcio, mentre il secondo ne era il custode.

Il terreno acquistato nel 1925 da Monsignor Saretta tra il vecchio cimitero e la Caserma che divenne provvisoriamente campo di calcio, in seguito nel 1927 furono acquistati altri due lotti di terreno vicino a quello acquistato per primo e venne costruito l’Oratorio Don Bosco
Prima dell’Oratorio un nuovo campo di calcio

In attesa che maturino i tempi per la costruzione dell’Oratorio, Monsignor Saretta decise di destinare quel terreno inizialmente a un campo di calcio. Scrive ancora Wally Perissinotto nel suo libro: « E’ interessante osservare comunque come in questo secondo atto compaia la specifica destinazione d’uso della proprietà immobiliare: “ricreatorio e campo sportivo, nonché scuola professionale”, annotazione che ci svela i progetti dell’arciprete a medio e lungo termine. Una fattura conservata in archivio parrocchiale della ditta “Barbato costruzioni edili” ci fornisce ulteriori indicazioni: già a dicembre sul fondo ripulito e adeguatamente sistemato veniva costruito uno spogliatoio per consentire l’attività ginnico-sportiva dei giovani sandonatesi.
Sappiamo che la gestione del campo venne affidata alla società sportiva “San Donà Foot-ball Club” le cui finalità avevano senz’altro incontrato l’approvazione del parroco. Infatti lo statuto pubblicato il 15 agosto 1926 recita fedelmente: “Accanto allo sport (la società sportiva) curerà l’educazione dell’animo dei giovani. All’art. 12. E’ dovere di ogni socio giocatore di astenersi completamente dalla bestemmia e dal turpiloquio. E all’art. 24. Il campo sportivo sarà chiuso a chiunque non appartenga alla società, ma in ore da convenirsi potrà essere aperto alle due Società dei ginnasti della Guido Negri e degli Esploratori cattolici… ».

L’inaugurazione del nuovo campo di calcio

Racconta Gianni Colosetti dell’inaugurazione del nuovo campo: « I lavori di livellamento e di costruzione dello spogliatoio furono eseguiti dall’impresa Dante Barbato che provvide anche alla recinzione del medesimo recuperando lo steccato del vecchio campo. L’impianto fu inaugurato, domenica 22 dicembre 1925, alla presenza del Podestà Giuseppe De Faveri, del dottor Stocchino, segretario del Fascio, di autorità civili e militari e con la partecipazione della banda comunale.
Nel susseguirsi dei rari discorsi commemorativi, ci fu un piccolo incidente “diplomatico”, l’avvocato Bastianetto, i cui rapporti con il segretario del Fascio non erano di certo idilliaci, non acconsentì che il dottor Stocchino, intervenisse adducendo a motivazione il ritardo accumulato dai vari discorsi precedenti. Dopo la benedizione data da don Casonato, in assenza del Parroco impegnato a Montebelluna e il taglio del rituale nastro fatto dalla madrina, la Signora Pasin vedova Guarinoni, si disputò l’incontro tra l’undici sandonatese e il Portogruaro.
Fu quella, in pratica la prima esibizione ufficiale del San Donà Football-Club capitanato da Tullio Roma che si era presentato in campo, come tutti i componenti della squadra, vestendo la maglia bianconera dell’Ardita seguito da un accompagnatore che portava delle maglie azzurre.
Prima di iniziare l’incontro, Tullio indossò la nuova divisa dicendo: “Copriamo la vecchia gloriosa bianconera con la nuova maglia azzurra”, quindi consegnò ad ognuno dei componenti la squadra la nuova casacca. L’incontro terminò con il punteggio di 2-0 a favore del Portogruaro che era una delle formazioni emergenti di quel periodo ».

Una delle prime formazioni del San Donà, la maglia “sembra” azzurra e l’edificio alle spalle li colloca proprio nel nuovo campo di via Calnova tra dicembre 1925 e l’aprile 1927
Quella vecchia foto del San Donà Foot-ball Club d’azzurro vestito
Il manifesto di una delle ultime gare giocate dal San Donà F.C. su quel campo sportivo (stampato da Tipografia SPES – via Giannno Ancillotto)

Sul libro di Wally Perissinotto è presente una foto che viene indicata come una delle prime del calcio sandonatese. Ebbene grazie alla cartolina ora abbiamo pure una più giusta collocazione temporale di quei giocatori. Alle spalle degli stessi vi è un casolare le cui fattezze le rincontriamo in quello presente nella cartolina nelle vicinanze di via Calnova. La maglia scura indica che potrebbe essere quella descritta da Gianni Colosetti nel suo racconto, magari non legata all’inaugurazione del dicembre 1925 ma sicuramente una delle gare successive. Il campo fu utilizzato non solo dal San Donà ma anche dai ginnasti facenti parte della Polisportiva, che nel frattempo nel novembre 1926 vide le dimissioni di Celeste Bastianetto dalla presidenza perchè inviso all’autorità fascista dell’epoca che di lì a poco sciolse anche le componenti cattoliche della Polisportiva. Alessandro Janna divenne il presidente del San Donà Foot-ball Club affiancato da Girolamo Janna e Fausto Picchetti, mentre la società dovette entrar a far parte dell’Opera Nazionale Dopolavoro. Il San Donà F.C. ebbe in gestione quel campo sino alla primavera del 1927, quando Monsignor Saretta si vide costretto a dare lo sfratto ai calciatori in quanto aveva ottenuto quanto sperato, l’arrivo dei salesiani a San Donà. Poche settimane dopo ci fu la posa della prima pietra dell’Oratorio Don Bosco, ma questa è un’altra storia. Quanto al San Donà Foot-ball Club, presto divenne Società Sportiva Fascista e di lì a due anni venne inaugurato il nuovo campo sportivo del Littorio, l’attuale Stadio “Verino Zanutto”, ma anche questa è un altra storia.

Lo statuto del San Donà Foot-ball Club, 15 agosto 1926

Per approfondimenti sul campo di calcio di via Calnova: (1) « Monsignor Saretta, “Pastore” di San Donà di Piave » a cura del Gruppo “El Solzariol” (2004); (2)« Ancora un giro in giostra » di Wally Perissinotto (2006); (3) « Storia dello sport sandonatese » di Gianni Colosetti (2007); (4) « A.C. San Donà – 90 anni di Calcio Biancoceleste » di Giovanni Monforte e Stefano Pasqualato (2012)

Cartoline che raccontano: il Vecchio Cimitero

Una cartolina di San Donà presumibilmente del 1927 o precedente, le case del Foro Boario, il vecchio Cimitero, la Caserma “Tito Acerbo” o “San Marco”, ancora non c’era l’Oratorio Don Bosco

Quel vecchio cimitero nel mezzo di San Donà è forse l’elemento che è stato meno fotografato e meno riprodotto nelle cartoline del secolo scorso. La maggior parte delle immagini che sinora si sono viste sono state legate al periodo della prima guerra mondiale. Quelle austriache in particolare lo han ripreso nelle mura di cinta e nella sua entrata. Poi in qualche scorcio lo si incrocia ancora ma sempre per caso, di sfuggita, un contorno lontano da cercare. In questa cartolina degli anni venti un po’ sfumata dal tempo lo si vede dall’alto in una distesa sandonatese libera da costruzioni. Una San Donà che ancora doveva svilupparsi in quella direzione: le case del Foro Boario, il vecchio Cimitero, ancor non vi era l’oratorio Don Bosco, un po’ più in là la caserma « Tito Acerbo » o « San Marco » come nei vari periodi si è chiamata. La datazione dell’immagine è indubbiamente precedente al 15 maggio 1927, data della posa della prima pietra dell’Oratorio Don Bosco. Una immagine che mette insieme tante storie, una di queste è legata a quel vecchio cimitero.

In principio il cimitero s’accompagnava alla chiesa
Il cimitero di San Donà in una immagine austriaca del 25 nov. 1917

Quel cimitero di via Calnova è rimasto lì sin quasi la metà del secolo scorso, quando è stato dismesso definitivamente allorchè un allargamento del nuovo cimitero ha poi portato alla chiusura definitiva del vecchio a quasi vent’anni dall’ultima sepoltura.
E’ Teodegisillo Plateo, colui che per primo ci ha accompagnato attraverso la storia sandonatese, a raccontare che sin dalle sue origini a San Donà le sepolture dei morti erano svolte nelle vicinanze della chiesa cittadina. Quando nel 1475 venne costruita la nuova chiesa per talune personalità di particolare importanza la tumulazione poteva avvenire anche dentro la chiesa. Come ben sottolineava Plateo, poi ripreso da Monsignor Chimenton: « …Gli avelli (tombe) della chiesa e sagrestia erano ornate di lapidi, con iscrizioni che si confondevano con i simboli della religione e stavano a provare che le distinzioni di casta continuavano, come continuano anche oggi, anche nel sonno eterno ciò che avveniva presso gli egiziani, gli ebrei, i romani ed i greci ». Al popolo rimaneva lo spazio esterno che sino alla metà del cinquecento aveva una sua precarietà ed incuria a cui il vescovo Monsignor Francesco Pisani cercò di porre rimedio tanto che dal 1557 il cimitero fu provvisto di mura di cinta, furono tolti gli alberi da frutto e lasciate solo le piante d’olivo, i cui rami dovevano servire nella domenica delle palme.

Il peso del tempo su chiesa e cimitero

Il destino del cimitero andò di pari passo con quello della chiesa. La stessa con il passar degli anni cominciò a sentir il peso del tempo. L’ultima tumulazione in chiesa è della metà del settecento, ma con una San Donà che oramai superava i tremila abitanti sia gli spazi religiosi che quelli nel vicino cimitero divennero sempre più limitati. Tanto più quando le periodiche epidemie si diffondevano tra la popolazione e le decine di morti che causavano faticavano a trovare un posto decoroso nel camposanto. Scrive ancora Monsignor Chimenton, citanto Plateo: « Nel 1764 si sentì il bisogno di ingrandire il cimitero. Ma un ampliamento non fu possibile : il terreno che avrebbe dovuto essere destinato ad accogliere le salme, si trovò, in quell’epoca, rinchiuso fra due strade interne, le attuali Via Maggiore e via Calnova, e la canonica e la proprietà Pesaro, e precisamente nella località oggi conosciute coi nomi di Pescheria, Largo della Chiesa e Foro Boario- Si ricorse allora, per la prima volta, al rimedio di seppellire le nuove salme sopra i cadaveri già sepolti molti anni prima.»

Nell’ottocento il nuovo Cimitero
Il duomo in una immagine del 1915, lo stesso fu inaugurato ne 1842 mentre per il campanile si dovrà attendere cinquant’anni dopo

Dopo il periodo napoleonico e passati sotto il dominio austriaco, l’emergenza del cimitero trovò una prima soluzione grazie a Mons. Angelo Gallici che perorò la causa dell’apertura di un nuovo cimitero, sin quando nell’aprile 1825 fu inaugurato in via Calnova il nuovo sepolcreto, non troppo lontano dalla chiesa e ai margini dell’allora centro cittadino. Proprio la chiesa fu il successivo grosso intervento che conobbe San Donà. Nel 1838 su spinta del nuovo Monsignor Angelo Rizzi dopo la costruzione di una chiesa provvisoria in legno venne iniziata la demolizione del vecchio duomo e la successiva costruzione di quello nuovo inaugurato nel 1842, tutto molto ben raccontato da Mons. Chimenton ma che tralasciamo proseguendo nel verso del cimitero.

Il nuovo cimitero s’affaccia al nuovo secolo
Il registro degli atti di morte del 1880 del Comune di San Donà di Piave. In quell’anno sono stati 341 gli atti di morte redatti

Il nuovo cimitero di via Calnova non ebbe vita facile. Quando venne costruito San Donà aveva una popolazione di quattromila abitanti. Nonostante una grave carestia che colpì le campagne prima con la siccità e poi con le malattie che danneggiarono i bachi da seta e i vitigni, e buon ultimo un’epidemia di colera, trent’anni dopo gli abitanti erano divenuti seimila. Il nuovo cimitero visse sin da subito una grave emergenza. E’ Giacomo Carletto nel suo libro a raccontarci le varie traversie e i problemi che afflissero le diverse amministrazioni comunali costringendole sempre ad impegnarsi nel cercare soluzioni. Al problema degli spazi si sommò ben presto l’incuria che inevitabilmente divenne una emergenza sanitaria. Il cimitero era oramai nelle vicinanze delle case e nei periodi di grandi piogge le tombe sovente venivano allagate con il conseguente scorrere di queste acque impure verso i fossi rischiando di inquinare anche la falda da dove i pozzi privati attingevano. Frattanto nel 1890 venne eretta anche la cappella dedicata al Santissimo Redentore nella quale trovò ospitalità la lapide sepolcrale di Mons. Angelo Rizzi.

Il nuovo secolo e l’esigenza di un altro cimitero

Accanto a continue opere di costosa manutenzione, si arrivò ben presto ad avvertire l’esigenza della costruzione di un nuovo cimitero. Lo sviluppo di San Donà oramai lo imponeva, nel 1911 la popolazione aveva raggiunto i tredici mila abitanti. Sin dall’anno prima il dibattito in Consiglio Comunale aveva portato ad un unanime consenso, come ricorda il professor Giacomo Carletto nel suo libro: « Queste constatazioni, da tutti condivise, indirizzarono il dibattito verso una nuova direzione: la Giunta stessa sottopose al Consiglio un articolato programma che prevedeva lo spostamento del Cimitero in una località periferica, lontana dal centro, individuata “lungo la strada delle Code”, a mezzogiorno del canale consorziale Molina e a 450 metri circa dal quadrivio della strada Carbonera, sopra il terreno del cav. uff. Cesare Bortolotto” ».
Senonchè il progetto approntato si arenò sullo scoglio finanziario dopo che una revisione del progetto stesso imposta dalla Prefettura ne incrementò notevolmente la previsione di spesa. Per l’ennesima volta si optò per una importante manutenzione del vecchio cimitero, l’approssimarsi della guerra rimandò il tutto ad un futuro prossimo.

La grande guerra che tutto distrusse
La facciata del cimitero di San Donà di Piave in una immagine austriaca del 7 gennaio 1918

Il conflitto mondiale colpì duramente San Donà, tutto il centro ne fece le spese e il cimitero non fu da meno. Una porzione dello stesso tra l’altro divenne anche cimitero militare dove vennero sepolti decine di caduti della guerra. Ne dà conto anche Monsignor Chimenton: « Il cimitero militare è attiguo al cimitero comunale ; molte salme però sono sepolte dentro il recinto dello stesso cimitero comunale. Si può definire austriaco : pochissime le salme italiane. Sono circa 500 tombe, che contengono in gran parte, salme ignote ; quelle tombe sono curate con passione, visitate spesso dal forestiero, adorne di fiori dal nostro buon popolo. Le poche salme di italiani furono inumate negli ultimi giorni di Caporetto, o nei primi momenti della grande offensiva del giugno. ».

Il cimitero di San Donà di PIave subito dopo la guerra in una immagine dall’interno
Nel 1920 iniziano i lavori per un nuovo Cimitero
Una veduta aerea delle distruzioni della guerra, sulla destra si notano le mura in rovina del Cimitero Comunale

Dopo la guerra il problema del camposanto tornò d’attualità. Il progetto del nuovo cimitero manteneva tutta la sua urgenza ma al tempo stesso i tempi sarebbero stati lunghi, per cui il cimitero di via Calnova venne ripristinato superando le distruzioni causate dalla guerra. Il progetto del nuovo cimitero prese il via nel 1920 quando iniziarono già i lavori sul terreno di via Code. A differenza del vecchio progetto per raggiungere via Code venne decisa anche la costruzione di una nuova strada, una direttrice che dalla strada del Foro Boario incrociasse la via del Casermone (l’odierna via Eraclea) per poi attraverso i terreni di proprietà dei Bortolotto incrociare via Carbonera, per arrivare sino al nuovo cimitero, dopo l’attraversamento di un nuovo ponte a superar lo “scolo delle Code”. Il progetto della strada si rivelò un po’ più complicato del previsto, l’opera venne comunque consegnata alla fine del 1925, in pratica in quegli anni vennero costruite le attuali strade di via Giodo Bortolazzi e di viale Primavera.

Nel 1927 l’inaugurazione del nuovo Cimitero in zona Code

Quanto al nuovo cimitero lo stesso venne inaugurato il 19 giugno 1927 con la consacrazione da parte del vescovo di Treviso Monsignor Giacinto Longhin alla presenza delle autorità civili e religiose. Da quel 19 giugno il Podestà Costante Bortolotto avvertiva che non si sarebbero più potuti inumare cadaveri nel vecchio cimitero. Quando venne inaugurato non era ancora stato completato, come ricorda il professor Carletto, rispetto al progetto originario molto ancora mancava, come la casa del custode, la camera mortuaria, le due cappelle ossario e la chiesa a pianta circolare. « Nulla di questo progetto, eccetto il grande cancello in ferro battuto, fu costruito. Negli anni successivi la funzionalità più modesta sembrò guidare il completamento delle parti essenziali mancanti forse a causa della crisi economica che aveva costretto a ridimensionare i grandi progetti collegati alla ricostruzione del paese ».

Giannino Ancillotto, un illustre ospite del vecchio come del nuovo Cimitero
Nel primo anniversario della morte di Giannino Ancillotto, una manifestazione ricordo all’interno del vecchio cimitero (1925)

Durante la costruzione del nuovo cimitero un grave lutto colpì San Donà, in un incidente stradale morì la medaglia d’oro Giannino Ancillotto, eroe della prima guerra mondiale. I solenni funerali si tennero il 21 ottobre 1924 e la sua salma venne tumulata provvisoriamente nel vecchio cimitero presso la tomba della famiglia De Faveri. La traslazione nel nuovo cimitero tardò come ricorda Chiara Polita nel libro monografico dedicato all’eroico aviatore e al monumento a lui dedicato. L’imponente monumento in Piazza Indipendenza venne inaugurato solennemente nel 1931 alla presenza di migliaia di persone, poi iniziò un lungo carteggio per trovare la giusta collocazione nel nuovo cimitero della tomba dedicata all’eroe dell’aria. Come ricordato nel 1927 venne consacrato il cimitero ma risultava ancora incompleto, tanto che alla fine la tomba di Giannino Ancillotto venne edificata nello spazio che inizialmente era previsto per la casa del custode, sulla sinistra dell’entrata del cimitero. Nel 1938, a quattordici anni dalla scomparsa, la salma di Giannino Ancillotto venne traslata dal vecchio al nuovo cimitero, quel 16 ottobre 1938 fu un’altra grande giornata per la San Donà dell’epoca.

Il vecchio cimitero fine di una storia
Il Vecchio Cimitero in una immagine degli anni trenta ripresa dall’Oratorio Don Bosco (Foto Battistella)

Quanto al vecchio cimitero dal 1927 non è stato più oggetto di nuove inumazioni. Tutte le nuove sepolture sono state dirottate verso il nuovo con il risultato che già negli anni quaranta si rivelò insufficiente a ricevere tutte le salme. Tanto più che nel frattempo in vista della chiusura era iniziato il trasferimento da parte dei famigliari a proprie spese delle salme dal vecchio cimitero al nuovo. Come ricorda il libro di Luisa Furlan e Maria Trivellato la soluzione venne trovata nei primi anni quaranta ma perfezionata solo dopo la guerra nel 1946. I fratelli Bortolotto cedettero un’ampia area attorno al nuovo cimitero ed in permuta ebbero l’area del vecchio cimitero accanto all’Oratorio Don Bosco. Iniziò così l’urbanizzazione anche di quell’area di San Donà adiacente all’oratorio Don Bosco e che per centoventi anni era stata adibita a cimitero comunale.

In una processione religiosa del secondo dopoguerra sullo sfondo si nota l’Oratorio Don Bosco mentre non ci sono più le mura del vecchio Cimitero (Foto Battistella, tratta da San DOnà di Piave: una finestra sul passato, 2007)

Approfondimenti sull’argomento del Vecchio Cimitero si possono trovare sui seguenti libri: (1) “Il territorio di S. Donà nell’agro d’Eraclea” di Teodegisillo Plateo (1907); (2) “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Mons. Costante Chimenton (1928), (3) “San Donà di Piave” di Dino Cagnazzi (1995); (4) “Il disegno della città tra utopia e realizzazione” di Dino Casagrande e Giacomo Carletto (2002); (5) “Il monumento all’aviatore Giannino Ancillotto” di Chiara Polita (2010); (6) “La grande guerra degli ultimi” di Chiara Polita (2015); (7) “Attività amministrativa – Primo mandato elettorale – Vita Sociale” di Luisa Florian e Maria Trivellato (2019)