Negli anni Sessanta a San Donà di Piave e nel suo circondario ci fu un proliferare di giovani promesse che poi videro la loro carriera concretizzarsi nelle maggiori squadre di serie A. Era già accaduto nel decennio precedente, come d’incanto si apre una via e uno alla volta questi giovani giocatori hanno la bravura e spesso la fortuna di approdare in società che poi ne decretano il successo. Uno di questi è stato Angelo Cereser e di lui parla un bel libro di Paolo Ferrero uscito nel 2019 che ha il grande pregio di avere una ricca dotazione fotografica del suo periodo granata. Del Cereser che muove i primi passi nella San Donà a cavallo degli anni Sessanta vi è un capitolo che inseriamo nella sua interezza, ovviamente l’oratorio salesiano di cui si parla non può essere che l’Oratorio Don Bosco cittadino.
Tratto dal libro « Angelo Cereser, una vita in “Trincea” » (di Paolo Ferrero in collaborazione con Toro Club Valcerrina granata “Angelo Cereser”, Bradipo Libri, 2019)
” Ciao San Donà “
« La mia non è stata un’infanzia facile. Sono nato a Eraclea, un comune della città metropolitana di Venezia, affacciato sul golfo veneto. Per l’esattezza sono di Cittanova, una piccola frazione del paese. Ho perso il papà quando avevo solo due anni. La mamma, allora, per tirare a campare aveva aperto un negozietto di maglieria a San Donà di Piave e lì eravamo andati ad abitare. Studiavo all’istituto chimico, di pomeriggio ripassavo le lezioni e poi andavo in bicicletta in centro a comperare per la mamma. Ironia della sorte, il mio professore di chimica era Paolo Casarin, il futuro arbitro internazionale, che tante volte ho incontrato sul campo. Di questo, sia io che lui, abbiamo sempre taciuto, per non creare facili illazioni. »
Terra veneta, terra di uomini tosti, di infaticabili lavoratori, ostinatamente rivolti a combattere contro le zone paludose della laguna. Una vita semplice nel quale il pallone riempie ad Angelo i pochi spazi lasciati per il divertimento. Nel mondo, se non fossero esistiti gli oratori, il calcio avrebbe avuto molti meno campioni. Tra preghiere, messe, canti e feste, il pallone ha sempre trovato lo spazio su quei campetti di periferia straboccanti di entusiasmo e di speranze, stretti tra palazzoni di edilizia popolare, tutti uguali tra di loro. Il ragazzo gioca e sogna e a volte ce la fa. Sarà il più bravo, anche se spesso la bravura non basta; ci vuole disciplina, determinazione, costanza. Angelo ha quattordici anni e gioca come portiere nella squadretta dell’oratorio salesiano di Cittanova. La sua casa è lì a due passi, si salta un muretto ed è fatta. A correre in campo spesso senza scarpette per non consumarle, c’è anche Gianfranco Bedin, futuro mediano dell’Inter del mago Herrera, un anno di età in meno e, come lui, razza Piave doc. Angelo ha il fisico adatto e anche una sana dose di incoscienza per quel ruolo. Il parroco don Giacomo stravede per quel ragazzo, educato, riservato, rispettoso, sempre premuroso con tutti. E poi non manca mai alla santa messa. Capita un giorno che in una uscita a terra molto coraggiosa su un attaccante lanciato a rete riporti un trauma cranico e quattro punti di sutura in fronte. E’ quello il suo “sliding doors” della vita: « In quel momento – racconta Cereser su Alè Toro – il pensiero dominante in me, più del dolore della ferita, era rivolto alla mia mamma, che già altre volte mi aveva bonariamente rimproverato affinchè smettessi di giocare. Non sapendo come giustificarmi pensai di chiedere protezione a don Giacomo, che tra l’altro giocava al pallore ed era un grintoso centravanti e che mi era stato vicino mentre mi medicavano. Con il suo aiuto riuscii a convincere la mamma che era stato un incidente di percorso, ma quando si trattò di decidere se continuare a giocare o smettere, dovetti accettare un compromesso: non avrei più giocato quale portiere, ma in un altro ruolo meno pericoloso; scelsi comunque, per non allontanarmi troppo dalla porta, quello di difensore, terzino e centromediano »
E anche in quel ruolo i risultati si vedono subito, tanto da far attirare l’attenzione, dopo un paio di partite ad alto livello, ai dirigenti della gloriosa società veneta del San Donà di Piave. Il passaggio è presto stabilito: per poche migliaia di lire che vanno a finire nelle povere casse dell’oratorio, Angelo va a giocare in biancoceleste. Sono quelli gli anni della rinascita sportiva del calcio sandonatese che veleggia fra alterne fortune tra Promozione e serie D. Si sta costruendo una buona squadra, dando molta importanza al vivaio: Cereser è uno dei tanti giovani sfornati da quella società sotto l’attenta guida di Giovanni “Nani” Perissinotto, bandiera storica, con un passato glorioso di attaccante del secondo dopoguerra nelle fila di Roma e Udinese, dove era stato anche il primo goleador della squadra in serie A. Era una punta velocissima, imprevedibile, molto versatile. Al San Donà, nel doppio ruolo di allenatore e giocatore, Perissinotto vinse per due anni consecutivi il campionato, riuscendo ad approdare il serie D per poi chiudere la carriera a 38 anni. Ma il vero artefice della crescita calcistica di Angelo è Omero Tognon, veneto anche lui, antico centromediano del Milan di Schiaffino che, terminato di giocare, è diventato allenatore del San Donà, E’ una fortuna per un ragazzo di 16 anni avere come maestro un campione che ha giocato nello stesso ruolo con il quale si cimenta; consigli e incoraggiamenti sono profusi in gran quantità, basta solo carpirli e farne buon uso. Nel San Donà, Angelo gioca una dozzina di partite, due nella stagione 1960-61 e dieci nella stagione 1961-62 per l’esattezza. Assieme ad Angelo prendono la via del calcio che conta anche Elvio Salvori, mediano di grande corsa con futuro anche in lui in giallorosso ed Enzo Ferrari, potente ala sinistra che giocherà in molte squadre di serie A prima di intraprendere una brillante carriera di allenatore.
Si è agli inizi degli anni Sessanta. L’Italia sta vivendo il boom economico. E’ un bel periodo quello: i Giochi olimpici disputati a Roma hanno fatto vedere al mondo che l’Italia ci sa fare. La gente ha voglia di divertirsi e di trasgredire. Si balla il rock’n’roll, si impazzisce per Elvis Presley e si rimane estasiati di fronte alla bellezza e alla eleganza di Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”. E intanto incomincia la conquista dello spazio: Yuri Gagarin diventa il primo uomo a volare negli spazi siderali portando con successo a termine la sua missione. Il Torino, intanto, è in giro per l’Italia in cerca di talenti. E non solo per l’Italia: da lì a poco sarebbe arrivata dall’Inghilterra la giovane coppia di attaccanti Denis Law e Joe Baker, tanto talentuosi (il primo) e potenti (il secondo) sul campo, quanto incostanti e trasgressivi nella vita. Sotto la Mole sarebbero rimasti solo un anno, per poi ritornare in patria a conquistare allori e gloria, ma in quell’anno, anche se solo a tratti, si vide un gran bel calcio al Comunale. Per ben quattro volte la società granata manda Cesare Nay a visionare il ragazzo. Nay ha giocato per cinque stagioni nel Toro del post Superga come sentromediano terminando poi la carriera sulla sponda opposta della Juve. E’ cresciuto nel vivaio granata e conosce alla perfezione chi sono i giocatori adatti per giocare al Filadelfia. « Mi avevano avvertito – racconta ancora Cereser – che ogni tanto veniva sin da Torino un tecnico per controllarmi, ma io non lo conoscevo. Ricordo una volta, nel bel mezzo di una partita importante, il pallone era nell’area di rigore avversaria; mi giro verso la tribuna e vedo il presidente della società parlottare con un distinto signore. Immagino subito che si tratti di quell’osservatore. Mi viene la tremarella, rimango fermo impalato a guardare i due che continuano a parlare, e non mi accorgo che la mia ala da marcare, ricevuto il pallone, mi sta scartando e se ne va in gol. Fortuna che il portiere ci mette una pezza, altrimenti non mi sarei mai perdonato tanta leggerezza in un momento così delicato ed importante. »
E’ comunque fatta. Al termine dell’incontro Angelo viene chiamato in direzione dove gli viene presentato il signor Nay (era proprio lui) e comunicato l’avvenuto passaggio in maglia granata. « Ricordo che divenni rosso come un gambero, non sapevo cosa fare, se ringraziare, se sorridere, l’unica cosa che uscì di bocca, e adesso giudico un po’ banale, ma in quel momento non ne trovai altra, fu: viva il Toro! » Fa tenerezza pensare ad Angelo Cereser di tanti anni fa, ragazzo timido ed impacciato e confrontarlo con l’uomo di adesso sempre sicuro di sé, ironico, mattatore di ogni serata al “suo” Toro club.
« Io sono arrivato qui nel 1962, non avevo ancora 18 anni. Ero figlio unico, senza genitori (la madre era rimasta a San Donà). Per me è stata una storia di vita, non solo di calcio » ci racconta Angelo. « Andavo a fare colazione con il custode alle 9 di mattina, perchè non avevo una famiglia. Noi ragazzi si veniva qua in pullman, in tram, a piedi, si faceva riferimento al Filadelfia e alle persone a esso collegate. Una seconda casa? Per me il Fila è stata la prima casa. » …. così inizia il capitolo successivo quello che vedrà Cereser crescere in tutti i sensi nella Torino granata.
I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo