Louis Robert de Beauchamp, l’aviatore francese a cui San Donà diede una medaglia

Louis Marie Maurice Georges Robert de Beauchamp

Dagli oggetti talvolta scaturisce una storia che nel suo prender forma quasi incanta. La nostra è una storia che dal luccichio dell’argento riemerge lenta e subito si dipana grazie ad una data che lega un episodio della prima guerra mondiale alla nostra San Donà di Piave. Non è il fronte verso cui andavano i nostri soldati il palcoscenico dell’episodio accaduto il 17 novembre 1916, la nostra storia cala dal cielo e ha un accento spiccatamente francese. La sorpresa di chi avrà visto sbucare tra le nuvole l’aereo di questo sconosciuto capitano sarà stata come minimo pari a quella che abbiamo provato noi a veder prima e toccar con mano poi la medaglia dalla quale ci siamo incamminati per ricostruire la storia del nostro protagonista.

Il capitano Louis Robert de Beauchamp
Louis Robert de Beauchamp (da sinistra), con i fratelli Marie Michel e Hubert assieme alla madre Valérie Marie Antoinette Turquet

Il protagonista dell’episodio che andremo a raccontare è un capitano dell’aviazione francese dagli infiniti nomi: Louis Marie Maurice Georges Robert de Beauchamp. Nato a Senlis nell’alta Francia nel 1887, era figlio del visconte Marie Louis Michel Maurice Robert de Beauchamp, capitano del 9° Reggimento Corazzieri, e di Valérie Marie Antoinette Turquet. La madre morì il 4 maggio 1897, fu una delle vittime del furioso incendio che colpì “Le Bazar de la Charité” a Parigi, un’istituzione benefica dove morirono 120 persone, un evento che scosse fortemente tutta la Francia. Il giovane Louis e i suoi due fratelli rimasero così orfani di madre sin dalla tenera età. Louis seguì le orme del padre e entrò presto nell’accademia militare di St. Cyr nella regione della Loira. Quel giovane votato alla cavalleria ben presto trovò nell’aviazione la sua aspirazione più grande, arruolatosi nel 1908 nell’ottobre 1912 virò deciso verso l’aviazione ottenendo il brevetto di pilota civile e l’anno seguente quello di pilota militare.

La guerra è alle porte

Il Nieuport 16, uno degli aerei della squadriglia MS 23 (immagine dal sito dedicato alla squadriglia)

Allo scoppio della guerra il capitano Beauchamp si ritrova subito in prima linea. Il fronte franco-tedesco è stato tra i più cruenti di tutta la guerra mondiale. Le fanterie nelle trincee e il fuoco continuo delle artiglierie divennero sin da subito il cruento spartito di una guerra di posizione nella quale l’aviazione si ritagliò un ruolo importante. Dal cielo gli aerei esploravano il terreno circostante, attaccavano con mitragliatrici e bombe le difese avversarie e soprattutto contrastavano i palloni di osservazione chiamati Drachen che davano sempre informazioni importanti alle artiglierie per colpire le linee avversarie. Il capitano Beauchamp si mise in mostra in una operazione di bombardamento già nel novembre 1914, mentre per l’abbattimento di un Aviatik C avvenuto il 4 febbraio 1915 si meritò una menzione speciale: « Il 4 febbraio 1915 con l’abilità e la precisione delle sue manovre eseguite sotto il fuoco rotolante dell’artiglieria nemica, permise all’ufficiale osservatore da lui guidato, di causare con il suo fuoco (moschettone), la caduta di un biplano nemico dopo una breve lotta ».Il 10 ottobre accadde un episodio che dà il senso del coraggio del capitano Beauchamp. Uscito in missione, combattè contro quattro aerei tedeschi consumando interamente la sua dotazione di munizioni delle mitragliatrici (450 colpi), sulla via del ritorno venne affrontato da un aereo tedesco armato di due mitragliatrici. Il capitano Beauchamp pur senza munizioni virò puntando diritto verso l’aereo tedesco, colto di sorpresa dalla manovra il pilota tedesco ignorando che Beauchamp fosse in realtà disarmato si ritirò.

La nomina a comandate di squadriglia

7 dicembre 1916 Il capitano Beauchamp (il secondo in piedi da destra), alla sua sinistra il tenente Daucourt (tratta rivista “L’Aérophile” 1-15 dicembre 1916)

L’8 dicembre 1915 divenne il comandante della squadriglia MS 23 e prese parte alla lunga battaglia di Verdun dove per mesi i francesi resistettero a caro prezzo all’offensiva tedesca. La battaglia di Verdun è ricordata come uno dei più cruenti eventi bellici della storia, negli opposti fronti furono 700mila i caduti in battaglia in quei lunghi mesi. Tante le operazioni nelle quali il capitano Beauchamp fu protagonista. Nel maggio comandò una missione a cui parteciparono anche dei piloti di altre squadriglie per andare a colpire un gran numero di drachen di osservazione. Gli otto piloti partirono in missione su dei Nieuport 16 portando a termine con successo l’operazione. Vennero abbattuti sei drachen, pur lamentando la perdita di un Nieuport dopo un combattimento aereo. Sono numerose le menzioni che il comandante Beauchamp ottenne per le sue missioni, citazioni che comparivano nei comunicati del comando francese e che valevano quasi un’onorificenza tanto era il prestigio che creavano attorno al protagonista.

L’impresa di Essen, una missione con un volo di oltre 700 chilometri

Il capitano Beauchamp in una rara fotografia a colori con il Sorwith 1B1 prima della missione verso Essen (Getty Image)

Tra i pionieri dei voli di esplorazione con rilevamenti fotografici e dei voli notturni, nel settembre 1916 il capitano Beauchamp compì la prima delle operazioni a lungo raggio che lo caratterizzò. Assieme al tenente Daucourt a bordo di due Sopwith 1B1 armati delle sole bombe, il capitano Beauchamp partì per una missione che aveva come obiettivo le fabbriche di armamenti Krupp ad Essen. Un’operazione azzardata data la distanza e il viaggiar attraverso dei territori nemici ma dall’alto valore simbolico e che vide i due piloti coronare questa loro missione con successo. Saranno dodici le bombe sganciate su Essen dopo un viaggio lunghissimo ad alta quota che per i mezzi dell’epoca era un’assoluta novità. Un’impresa che fu celebrata con grande risalto dalla stampa dell’epoca.

17 novembre 1916, De Beauchamp in missione a Monaco di Baviera

La seconda missione impossibile è relativa proprio alla nostra storia. Questa volta il capitano Beauchamp partì in solitaria verso Monaco di Baviera e grande fu il risalto sui giornali dell’epoca. Proponiamo per l’intero l’articolo a firma Gino Piva pubblicato sia su “La Stampa” di Torino che sul “Resto del Carlino” di Bologna:

Il Sopwith 1B1 “Ariel” del capitano de Beauchamp prima della missione verso Monaco di Baviera

I particolari del formidabile viaggio aereo del capitano De Beauchamp

 « Ieri sera ci giungeva notizia che ai borghi del paese di San Donà di Piave, nell’antico agro altinate, ad una trentina di chilometri a nord di Venezia, era atterrato in buone condizioni un aereoplano Nieuport (ndr Sopwith) che aveva a bordo un unico aviatore, il capitano francese De Beauchamp. Tosto si ebbero i ragguagli intorno all’atterramento ed al volo compiuto dall’arditissimo aviatore, ragguagli sui quali si potrebbe costruire il tessuto di uno dei più romanzeschi episodi dell’aviazione. Il capitano Beauchamp, giovane e brillante ufficiale, che proviene dai cacciatori, si era offerto volontariamente di eseguire un bombardamento di rappresaglia su Monaco di Baviera, quale risposta al bombardamento aereo compiuto sulla città aperta di Amiens dagli aviatori tedeschi ».

Dai campi della Marna

« Lo straordinario volo era stato a lungo preordinato. Il capitano Beauchamp, compiuta la sua missione su Monaco, avrebbe dovuto dirigersi verso le alpi ed entrare in Italia per prendere terra a Venezia. Erano stati avvertiti di questo volo tutti i nostri posti antiaerei ed i campi di aviazione onde lo svelto apparecchio francese non fosse scambiato per un apparecchio nemico. Prese tutte le opportune predisposizioni, in condizioni metereologiche tutt’altro che rassicuranti, il capitano Beauchamp lasciava terra alle sette e mezza di ieri, 17 corrente, da un campo di aviazione dell’alta Marna. La partenza si effettuava nel più perfetto orario. Sembrava che nessuno dubitasse che l’aviatore avrebbe fatto tutto quanto si fosse proposto. I saluti dei camerati furono brevi ed augurali. L’apparecchio nelle brume del primo mattino spiccò il volo dai campi della Marna e si sottrasse tosto, dirigendosi verso nord-est, agli sguardi dei rimasti che ne seguivano il volo con intensa emozione ».

La prima pagina dell’Excelsior del 19 novembre 1916 che venne dedicata alle imprese di Essen e Monaco

Il volo ed il bombardamento

« Dall’alta Marna, per Colmar, la Foresta Nera, il Wurtemberg raggiungendo quote dai 1000 ai 3000 metri, il capitano Beauchamp, si diresse sopra Monaco, eludendo la vigilanza delle guardie antiaeree. Egli filava diritto e sicuro verso il cielo tedesco, tenendo sempre una grande altezza. La temperatura era bassissima ed oltremodo gelide erano le correnti che l’aviatore andava incontrando. L’impresa in qualche momento sembrava diventare disperata; ed in quei momenti critici il capitano Beauchamp faceva più che mai appello alla eccezionalità delle sue forze fisiche e morali. Grande era l’impegno che egli si era assunto e sempre più grande sembrava diventare quanto più diventava avverso lo spazio in cui la macchina aerea si librava. Verso mezzogiorno Beauchamp era in vista di Monaco. Il solitario e temerario sparviero veniva salutato da numerosi colpi di cannone. Ma nulla ormai poteva più trattenerlo. A bordo dell’aeroplano erano agganciate sei bombe ad alto esplosivo; e quando l’apparecchio, dopo essersi abbassato, si trovò sopra la principale stazione ferroviaria della città, le sei bombe furono lasciate cadere. L’aviatore riferisce che gli effetti furono visibilissimi. L’operazione fu rapidamente compiuta, quindi – nonostante l’allarme – l’apparecchio prese quota dirigendosi verso sud-est ».

L’aereo Sopwith 1B1 “Ariel” del capitano Beauchamp dopo l’atterraggio a San Donà di Piave (tratta da La Guerre aérienne illustrée)

L’atterramento a San Donà

« Gettatosi lungo l’Inn per la valle volò su Innsbruck da dove per la valle dell’Eisach, passato il Brennero, sospeso sul territorio alpino, candido di nevi, filò verso il mare. Questa era la meta. I profili terrestri poco si distinguevano nella foschia della giornata piovosa e nevosa; ma il luccicore delle paludi e la striscia bianca del mare si rilevavano facilmente. Il capitano Beauchamp oramai vedeva l’Italia; vedeva tutta la laguna nostra. Gli parve di essere già sopra a Venezia. Il Basso agro del Piave infatti, visto dall’alto, dà facilmente questa illusione. Il volo dunque era compiuto. Non c’era che da atterrare. Ed il capitano Beauchamp con l’animo pieno di legittimo orgoglio fu accolto entusiasticamente dai nostri ufficiali che avvertirono del glorioso arrivo il comandante la piazza di Venezia. Il capitano Beauchamp nella serata si recava a Venezia per riferire i particolari del suo meraviglioso viaggio aereo al comandante De Challange della squadriglia di aviazione francese ».

L’aereo Sopwith 1B1 “Ariel” del capitano Beauchamp dopo l’atterraggio a San Donà di Piave (tratta da La Guerre aérienne illustrée)

La versione del Gazzettino

Sulle pagine del Gazzettino di Venezia il viaggio in direzione Italia lo diedero frutto di necessità piuttosto che di programmazione: «….Compiuta la sua missione, inseguito da numerosi apparecchi nemici e sorpreso da un violento temporale, il valoroso aviatore s’elevò fino ad una altezza di quattromila metri. Stimando per le condizioni atmosferiche quasi impossibile il ritorno alla sua sede decise di portarsi in Italia e dirigendosi verso sud, attraversò le Alpi inseguito fino al Brennero dai numerosi velivoli tedeschi. Dopo un’ora e tre quarti di volo, da Monaco, vide il cielo alquanto rischiararsi, le nubi diradandosi gli lasciarono intravedere il mare. Allora decise di scendere. Come è noto, il capitano De Beauchamp prese terra a poca distanza da San Donà di Piave ».

La permanenza a Venezia
Il capitano Beauchamp a sinistra, alla sua destra il tenente Daucourt (cartolina originale)

Dopo essere atterrato nei pressi di San Donà di Piave il capitano Beauchamp si trasferì a Venezia dove era già di stanza una squadriglia di aerei francesi in supporto a quelli italiani. Nella domenica successiva all’impresa la Gazzetta di Venezia segnalò la sua presenza assieme a quella dei diplomatici francesi e alla pari di quella delle più importanti rappresentanze diplomatiche alleate, in occasione della grande cerimonia tenuta in piazza San Marco per la consegna di numerose onorificenze ai militari italiani che si erano distinti in combattimento, molte di queste alla memoria. Probabilmente lo stesso Beauchamp in quella occasione venne insignito di una medaglia da parte dei comandi italiani, essendo la stessa genericamente citata nel suo palmares. Il capitano ripartì alla volta di Milano mercoledì 22 novembre assieme alla moglie che nel frattempo lo aveva raggiunto, così ne dà notizia la Gazzetta di Venezia: « … A quell’ora alla stazione il pubblico era assai numeroso ed il capitano, che era entrato nel buffet, venne subito riconosciuto e fatto segno ad una calorosa manifestazione. Circondato dalla folla plaudente attraversò l’atrio e quando il treno per Milano si mosse applausi vivissimi lo salutarono. Egli ringraziò sorridendo e salutando modestamente ».

Una medaglia d’argento, la sorpresa della nostra storia
La medaglia d’argento coniata dal Comune di San Donà di Piave in ricordo dell’impresa del capitano Beauchamp

La pietra d’inciampo di quella impresa che ha dato lo spunto per ritrovarne la storia è una stata una medaglia d’argento che la Città di San Donà di Piave coniò per ricordare l’evento e chissà, consegnarla al protagonista. Il come, il dove o il quando è rimasto tra le pieghe della storia ma vi è la concretezza di questa medaglia oggi recuperata e tornata a San Donà. Nel lato principale lo stemma di San Donà di Piave, la data e il ringraziamento a Louis De Beauchamp, la citazione dell’aereoporto di partenza Belfort, l’oggetto della missione Monaco di Baviera e l’imprevista destinazione finale San Donà di Piave. Sul retro stilizzato l’uomo che vola armato con una bomba come un’aquila oltre le Alpi … fino a quel luogo vicino alle sponde del Piave, tra mare e laguna chiamato San Donà e che per quell’impresa ebbe un risalto internazionale.

Il retro della medaglia d’argento coniata dal Comune di San Donà di Piave in ricordo dell’impresa del capitano Beauchamp
Per il capitano Beauchamp l’onorificenza francese più prestigiosa
Il generale Robert Georges Nivelle

Louis Robert de Beauchamp tornato in Francia si ritrovò nuovamente immerso nell’infinita battaglia di Verdun, giunta ormai ad una svolta. Il giorno 12 dicembre 1916 per le sue imprese di Essen e Monaco di Baviera gli venne consegnata la coccarda della Legione d’Onore dal generale Robert Georges Nivelle, comandante dell’intero settore di Verdun e che il giorno dopo sarebbe stato egli stesso nominato comandante in capo dell’esercito francese. Questa la motivazione della Legion d’Onore: « Ufficiale del più grande coraggio. Posto alla testa di uno squadrone dell’esercito, ha mostrato durante la battaglia di Verdun, eccezionali qualità di ritmo, iniziativa e spirito. Nelle missioni di ricognizione così come nelle missioni di caccia, ha costantemente dato ai suoi piloti i migliori esempi di coraggio riflessivo e senso del dovere. Riuscì per primo ad organizzare ed eseguire bombardamenti a lungo raggio, dimostrando, nel compimento di queste missioni, energia, tenacia e audacia senza pari. ».

Il destino di un eroe semplice
I resti dell’aereo del capitano de Beauchamp precipitato nei pressi di Verdun (fotografia originale)

Poche sono le vicende di guerra che sono legate ad un lieto fine. Ad un mese da quella missione che lo aveva portato sino a San Donà di Piave, il 17 dicembre 1916 il capitano Beauchamp s’alzo in volo con il suo Sapd 7 alle ore 15.00. Dopo aver inseguito un aereo nemico venne attaccato da altri tre aerei tedeschi e, come sempre, Beauchamp non negò loro battaglia. Colpito ripetutamente virò verso le linee francesi cercando di atterrare vicino il bosco di Vaux-Chapitre nei pressi di Vaux-devant-Damloup a pochi chilometri da Verdun. Impervio il terreno scelto, il capitano venne sbalzato fuori dall’aereo, subito soccorso, le ferite inferte dalle pallottole delle mitragliatrici tedesche non gli lasciarono scampo. Colpito alla testa e con l’arteria del braccio recisa, l’esser riuscito a portarsi nei pressi delle linee francesi era stato il suo ultimo atto glorioso. Attoniti i suoi compagni d’arme che vanamente ne avevano atteso il ritorno alla base. Presso l’aeroporto della squadriglia venne allestita la camera ardente. Il funerale venne celebrato solennemente il 20 dicembre 1916 – come scrisse una rivista dell’epoca – « …in mezzo ad un pubblico di valorosi che piansero tutti il grande condottiero, l’eroe immortale che avevano appena perso e che non può essere vendicato in quanto era il più glorioso tra tutti ».

I fratelli Beauchamp caduti per la Francia
La lapide dedicata ai caduti al cimitero di Lignac che ricorda tra gli altri anche i tre fratelli de Beauchamp

Le spoglie di Louis Marie Maurice Georges Robert de Beauchamp riposano ancor oggi presso la tomba di famiglia a Saint-Julien l’Ars, un piccolo paese a pochi chilometri da Poitiers nel dipartimento di Vienne nella regione odierna della Nuova Aquitania (con capoluogo Bordeaux). Lì sono ricordati anche i suoi fratelli Hubert Marie Henry (sottotenente di fanteria morto nel 1915 sulle trincee di Ypres in Belgio) e Marie Michel Pierre Jean (sottotenente di aviazione morto in combattimento nel 1918 a  Oulchy-le-Château), un’intera famiglia caduta per la Francia. Nel 2016 è stato celebrato il centenario dalla sua scomparsa, a cui oggi aggiungiamo anche il nostro ricordo.

La fotografia pubblicata da La Nouvelle Republique in occasione del centenario dalla morte di Louis Robert de Beauchamp, nell’immagine la tomba di famiglia a St. Julien l’Ars
Il Capitano De Beauchamp in una immagine apparsa su « La Guerre aérienne illustrée » del 7 dicembre 1916, autografata

Per approfondimenti: 1. « L’illustration » rivista del 23-30 dicembre 1916; 2. « Excelsior , Journal Illustré Quotidien » Dimanche 19 novembre 1916; 3. Escadrille MS-23, sito dedicato alla squadriglia MS23; 4. « La Nouvelle republique », articolo dedicato alla commemorazione del centenario dalla morte; 5. « Huffpost », articolo dedicato alla tragedia del Le Bazar de la Charité; 6. « Gallica », articolo dedicato a Louis Robert de Beauchamp. 7. «Archivio storico La Stampa », l’articolo del 20 novembre 1916.

Il sacrificio dei legionari cechi sul fronte del Piave

I cinque legionari cechi giustiziati il 19 giugno 1918 a Calvecchia, presso casa Davanzo vicino alla scuola (foto originale)

Una delle tante Storie che si sono intrecciate con le vicende della Grande Guerra è stata indubbiamente quella incentrata sui legionari cecoslovacchi. Alcune di quelle strazianti vicende sono accadute nelle nostre terre, flagellate esse stesse dal loro essere prima linea nel conflitto mondiale.

L’impero diviso

Quell’insieme di popoli rappresentato dall’impero austroungarico si presentò sullo scenario della prima guerra mondiale tutt’altro che unito. Molte erano le spinte indipendentiste al suo interno che nemmeno la crudezza della guerra seppe nascondere, tra queste anche quelle nelle regioni della Boemia e della Slovacchia. Durante la guerra si formò un governo in esilio che cercò una sponda negli stati dell’Intesa allo scopo in un futuro prossimo di ottenere il riconoscimento di un nuovo stato con capitale Praga. Tra le varie iniziative ci fu quella di costituire un gruppo di legionari che dopo la rotta di Caporetto venne inquadrato nell’esercito italiano. Per la gran parte formato da ex prigionieri dell’esercito austro-ungarico costituirono il I° battaglione del 33° reggimento, a comando italiano già nel maggio del 1918 parte di esso venne dislocato sul fronte del Piave. Chiaramente costoro venivano considerati dei traditori dal comando austroungarico e il loro ruolo avrebbe dovuto essere di solo supporto alle truppe italiane. Nonostante l’accordo di un loro immediato ritiro in caso di combattimento gli eventi portarono a tutt’altro e a metà del giugno 1918 l’intero battaglione era schierato tra Casa Fasan e Fossa delle Millepertiche.

I cinque legionari giustiziati a Calvecchia

Racconta Eugenio Bucciol nel suo libro che l’offensiva austriaca del 15 giugno 1918 colse il battaglione dei legionari schierato accanto agli italiani e contrariamente agli accordi presi questi non vennero ritirati ma parteciparono attivamente ai combattimenti e alle controffensive di quei giorni. Costretti al ripiegamento assieme alle truppe italiane, nel pomeriggio  del 17 giugno venne ordinata la controffensiva e i legionari si trovarono a fronteggiare la 10ª divisione austroungarica costituita principalmente da soldati cechi come loro. Al termine della battaglia i legionari avevano catturato duecento prigionieri e otto mitragliatrici; otto di loro erano morti, sessantatrè feriti o dispersi. « …Sei dei legionari dichiarati dispersi erano caduti nelle mani dei loro connazionali della 10ª divisione, comandata dal generale polacco Gologòrsky, con sede a Ceggia. Essi erano:

Antonín Kahler (2)

Hynek Horák, nato il 25 marzo 1899 a Bohdane (Boemia), fatto prigioniero dagli italiani il 2 agosto 1917 a Hermada. Contadino, sposato, due figli.

Antonín Kahler, nato il 6 giugno 1883 a Praga. Caduto prigioniero degli italiani sull’Isonzo il 15 settembre 1917. Orefice, sposato, una figlia.

Emanuel Kubeš (2)

Jozef Kříž, nato il 31 maggio 1888 a Šebanovice (Boemia), fatto prigioniero dagli italiani il 9 ottobre 1916 presso Jamiano. Scalpellino, sposato, un figlio.

Emanuel Kubeš, mato l’8 agosto 1880 a Praga, arresosi agli italiani il 7 agosto 1916 sul Monte Sabotino. Imbianchino, sposato, due figli.

František Viktora, nato il 24 dicembre 1875 a Purkarec (Boemia), caduto prigioniero degli italiani il 5 maggio 1917 a Jamiano. Macchinista, celibe.

František Viktora (2)

Una ferita alla coscia con frattura del femore salvò la vita del sesto legionario catturato, Antonin Vokřínek. Nel lazzaretto di San Stino fu interrogato, ma ottenne il rinvio del processo. Trasferito a Udine, alla fine di ottobre era già tornato a casa in convalescenza. Pochi giorni dopo cessava per lui, con la guerra perduta, ogni presupposto di colpa.

Il 18 giugno i cinque legionari furono processati dal tribunale della 10ª divisione. Condannati a morte per alto tradimento, vennero impiccati alle ore 14 del giorno seguente, tra gli insulti del capitano di cavalleria Maier che comandava l’esecuzione, agli ippocastani davanti alla scuola, presso l’agenzia Giustiniani, con il privilegio di avere ciascuno una pianta per sé. Alla sera furono sepolti nel vicino vigneto. » Sulla sepoltura la versione di Bucciol differisce da quella di Mons. Chimenton secondo cui i cinque legionari rimasero appesi agli ippocastani per due giorni.

Un sesto legionario giustiziato a Calvecchia

Continua Eugenio Bucciol:  « Il 21 giugno 1918 fu giustiziato a Calvecchia, nella campagna di San Donà di Piave, sulla strada per Ceggia, il legionario Bedřích Havlena, nato a Nova Lbota (Boemia) il 18 maggio 1888, impiegato delle imposte, celibe, catturato dagli italiani a San Michele del Carso il 28 novembre 1915.

La targa posta a Calvecchia in ricordo del legionario Bedřích Havlena (2)

Nell’offensiva del Solstizio si era arreso ai cechi del 98°, il suo reggimento di provenienza. L’avevano condotto a Calvecchia, nella fattoria Bertolotti, detta, in virtù dell’intonaco, “la Casa rossa”, sede del comando della 10ª divisione cui subentrò, all’arrivo del legionario, quello della 46ª che lo prese in consegna nella stalla.

Condannato a morte, si dovette attendere che inchiodassero un legno al palo del telegrafo davanti alla “Casa rossa” per ricavare il braccio della forca. Alle 11.30 il legionario si diresse con passo sicuro verso il luogo dell’esecuzione. Aveva ottenuto che gli slegassero le mani. Accanto all’improvvisato patibolo, anticipò gli esecutori aggrappandosi con una mano alla traversa e infilandosi con l’altra il capestro; ma il sostegno cedette al suo peso. Lo ricondussero nella stalla. La consuetudine voleva che fosse graziato e in tal senso si pronunciò il comando interpellato. Ma il presidente del tribunale, il capitano Von Fröhlich, insistette affinché l’operazione venisse ripetuta. Alle 14.30 il legionario fu fatto uscire nuovamente dalla stalla dove aveva scritto una cartolina ai famigliari. Accanto al palo si aggrappò ancora al sostegno che resistette. Parendogli tuttavia troppo basso, pregò che sterrassero il suolo. Lo accontentarono. Alla base del palo fu posta una cassetta-. Bedřích Havlena vi salì sopra per infilarsi il cappio. Un militare diede un calcio alla cassetta. Lo tolsero alle 19 per seppellirlo nel campo davanti al palo telegrafico. »

Furono tristi giorni per i legionari cechi catturati dagli austroungarici, lungo tutto il fronte ripetute furono .le esecuzioni ai danni dei legionari catturati. Complessivamente alla fine della guerra saranno 46 i legionari giustiziati dagli austroungarici, 8 dagli italiani e 2 giustiziati in Slovacchia.

I tre legionari cechi giustiziati il 18 giugno 1918 ad Oderzo (foto originale)

I cinque legionari di Calvecchia nel ricordo di Mons. Chimenton

″ Le forche ufficiali, le più speciose, funzionarono di fronte alle scuole di Calvecchia, sui cinque ippocastani prospicienti quell’edificio scolastico.

Su questi ippocastani furono giustiziati i czeco slovacchi. Fatti prigionieri sul fronte italiano del Carso, incorporati nel nostro esercito, presero parte alla battaglia del giugno in località di Fossalta di Piave e caddero prigionieri degli Austriaci : giudicati dal tribunale di guerra con una procedura sommaria, dichiarati traditori, furono trascinati attraverso Noventa e San Donà fino a Calvecchia e immediatamente giustiziati. Ferveva sul Piave la grande battaglia : essi rimasero appesi alle corde di quei cinque ippocastani per due giorni interi : le truppe austriache che movevano all’assalto lessero così in quelle vittime la loro sentenza. Le salme furono gettate confusamente nell’orto della famiglia Carlo Carpenè, in proprietà di Federico Colosso, e vi rimasero fin dopo l’armistizio quando, come già accennammo, furono esumate e sepolte nel cimitero militare di San Donà. Su molte di quelle salme penzolanti fu posta in un cartellino a stampa, questa dicitura : Così si puniscono i traditori della Patria!.

Sulla parete di quella scuola, prospiciente la strada, di fonte agli ippocastani, dopo l’armistizio fu posta una lapide su cui furono incise queste parole, dettate in cattiva lingua italiana da qualche prigioniero di guerra: « Qui morirono per la patria 5 legionari – Czeco slovacchi, – combattendo in Italia – per la libertà del popolo – dalla vendetta l’Austria gli impiccava – 18 giugno 1918 »

Nel 1921 l’esumazione dei legionari caduti

Nel 1921 le salme dei legionari cechi furono trasportate in patria. Così lo racconta Monsignor Chimenton nel capitolo dedicato al cimitero militare di San Donà attiguo a quello comunale:  « In questo cimitero erano state deposte anche le salme dei vari soldati czeco slovacchi, che, caduti prigionieri degli Austriaci, durante la battaglia del giugno 1918, furono impiccati dinanzi le scuole di Calvecchia. Le salme furono esumate e trasportate a Praga il 2 aprile 1921. – Il loro riconoscimento fu semplicissimo. Dal cimitero degli impiccati di Calvecchia le salme erano state trasportate nel cimitero comunale subito dopo l’armistizio : occupavano la prima fila nord; nella traslazione le salme esumate e avvolte separatamente in una tela da campo erano state rinchiuse in apposite casse funebri. L’autorità boema volle accertarsi dell’autenticità di quelle salme : esumate le casse e aperte, le salme apparvero scheletrite ; ma le loro braccia erano ancora legate dietro la schiena, con il filo telefonico usato dall’Austria in simili esecuzioni, e attorno al collo le vittime portavano ancora un nodo scorsoio e un pezzo di fune che aveva servito alla loro esecuzione capitale. L’autenticità apparve evidente : rinchiuse in doppia cassa quelle salme furono composte nuovamente e trasportate in Boemia. »

Il 24 aprile 1921 in occasione della traslazione dei legionari giustiziati in Italia, ebbe luogo una grande cerimonia e ad essi furono tributati i più grandi onori militari in una grande cornice di popolo. Furono poi tumulati nel cimitero Olsany di Praga (2)

La terra sandonatese a ricordo del sacrificio dei legionari

Nel 1924, come racconta Chiara Polita, un’Associazione cecoslovacca per le onoranze ai caduti in guerra volendo ricordare in occasione dell’inaugurazione di un nuovo cimitero i propri legionari caduti sul fronte italiano inviò una richiesta particolare al Comune di San Donà di Piave. Desiderava avere della terra dei campi di battaglia italiani da inserire in una nicchia. Venne dato l’assenso da parte del Comune e di quel prelievo è rimasta traccia in un verbale. Il solenne prelievo venne effettuato dal Sindaco Costante Bortolotto assieme al sig. Antonio Bincoletto, dell’Associazione Mutilati e Invalidi di guerra, al rag. Ippolito Gianasso, della sezione sandonatese dell’Associazione Nazionale ex combattenti, e al segretario comunale Livio Fabris. Il prelievo venne effettuato l’11 giugno 1924: « …in territorio di questo Comune e precisamente sulla riva destra del Piave in prossimità del ponte distrutto durante la guerra mondiale 1915-1918 e nella zona delle ex trincee interrate ». Posta in un doppio sacchetto con i sigilli del Comune e i colori nazionali quella terra venne inviata al Console cecoslovacco a Trieste.

Fonti: Approfondimenti sulle vicende dei legionari cechi sul fronte del Piave è possibile trovarli in questi testi: 1. « S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e Passarella » di Mons. Costante Chimenton (1928); 2. « Dalla Moldava al Piave – I legionari cecosclovacchi sul fronte italiano nella Grande Guerra » di Eugenio Bucciol (Ed. Nuova dimensione, 1998); 3. « Di qua e al di là del Piave – La grande guerra degli ultimi » di Chiara Polita (Mazzanti Libri, 2015)

31 ottobre 1920, Orfanotrofio di San Donà di Piave

La guerra giunse cruenta sulle sponde del Piave nei primi giorni di novembre del 1917 e si abbattè con tutto il suo carico di violenza e distruzione sulla città di San Donà di Piave. Tanti sandonatesi riuscirono a mettersi in salvo al riparo delle linee italiane e poi come profughi in regioni vicine e lontane. Ma sono stati molti coloro che non riuscendo ad oltrepassare i ponti sul Piave sono rimasti nei pressi della città, per la maggior parte disperdendosi nella campagna, per poi cercar di sfuggire agli echi della battaglia e trovar riparo dietro le linee austriache.

Occupazione austriaca

Fame e violenze nell’occupazione regalarono infiniti lutti che solo in parte sono arrivati a noi nella loro immane crudezza attraverso gli scritti dei tanti diari di quel periodo. Su di essi si è basato monsignor Costante Chimenton per la stesura del suo monumentale libro “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” che ancor oggi ci da un mirabile senso della tragedia che in quel periodo dovette affrontare il territorio sandonatese.

Il libro di Monsignor Chimenton (1928)

Le cicatrici della guerra

Quella tragedia durò un’infinito anno al termine del quale oltre alle rovine materiali lasciò tante rovine umane ed uno stuolo di minori privi dei padri morti al fronte, o ancor peggio dei genitori morti durante l’occupazione, costringendoli a vivere d’espedienti cresciuti da parenti oppure da semplici conoscenti.

San Donà di Piave, le rovine del dopoguerra

La ricostruzione e la necessità di un’orfanotrofio

Alla fine della guerra si rese necessario dare un futuro a questi giovani affinchè crescessero al riparo della loro comunità. A questo scopo nel mentre la città vedeva il ritorno dei tanti profughi sparsi ovunque, si costitui un comitato promotore che ponesse le basi per la costruzione di un’orfanotrofio alla cui presidenza fu nominato Monsignor Luigi Saretta e di cui facevano parte i notabili della città.

Il Comitato promotore:

Cav, Giuseppe Bortolotto, Comm. Giovanni Ancillotto, Comm. Antonio Trentin, Signora Corinna Ancillotto, Signora Elena Bortolotto, Signora Marina Del Negro, Signora Maria Perissinotto, Monsignor Luigi Saretta.

La costruzione dell’orfanotrofio

Il nuovo edificio dell’Orfanotrofio

Il 31 ottobre 1920 in occasione del II° anniversario della liberazione di San Donà di Piave dall’occupazione austroungarica, l’Orfanotrofio di San Donà era ormai prossimo all’ultimazione della costruzione del proprio edificio principale. Il Comitato promotore avvertì per cui l’esigenza di rendere noto ai tanti benefattori del come erano stati spesi i fondi messi a loro disposizione.

Relazione morale e finanziaria

Qui di seguito riportiamo l’introduzione di Monsignor Luigi Saretta, presidente del Comitato, presente in apertura del prezioso libretto “Relazione Morale e finanziaria” in cui oltre alla storia dell’orfanotrofio, vi si può trovare un primo statuto, l’elencazione delle offerte ricevute, delle spese sostenute ed infine la lista degli orfani della città di San Donà di Piave. Il libretto in formato pdf è possibile scaricarlo a questo link: Orfanotrofio di San Donà di Piave – Relazione morale e finanziaria

Questa breve relazione morale e finanziaria della costruzione dell’Orfanotrofio di San Donà di Piave è indirizzata ai benefattori che vi hanno contribuito con qualche offerta con simpatia e l’hanno protetta con la loro benevolenza di fronte alle facili critiche, alle opposizioni maligne e alla fredda indifferenza dei più.

Fra poco il grandioso e splendido edificio sarà aperto, e raccoglierà i figli dei nostri poveri morti, caduti nel Carso o sul Piave.

Alla loro memoria imperitura noi lo dedichiamo – monumento sacro di pietà e di gratitudine – con animo devoto e profondamente commosso. Le loro spoglie gloriose, disperse per le romite valli, nei cimiteri degli alti piani o sul letto dei torrenti, qui rivivono nel sorriso dell’infanzia e domandano non sterile tributo di vana eloquenza o di fiori, ma amore generoso e fattivo.

Oh! venite, poveri orfanelli di San Donà di Piave! Nessuno ha sofferto come voi, in questo Paese distrutto dalla guerra: senza padre, senza madre, senza letto, senza pane.

Il nostro cuore esulta nell’offrirvi la più bella casa, e affretta col più vivo desiderio il giorno lieto del vostro ingresso.

Sarà un giorno di festa indimenticabile per San Donà di Piave. Da quel dì la memoria dei padri gloriosi sarà benedetta.

I cittadini pietosi di quella nobile terra, a nessuna seconda nelle opere della carità, riguarderanno l’Orfanotrofio come la casa dei loro figli di adozione.

San Donà di Piave, 29 ottobre 1920.

p. Il Comitato Promotore

Mons.r Luigi Saretta

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” in un post dedicato:

29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte