Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

RAPPRESENTATIVA REGIONALE: In piedi: dirigente Arnaldo Silvestri, avvocato Davanzo, Cereser, Brollo, Storto, FERRARI, Salvori. Accosciati: Ronchi, Muffato, Bedin, Isoni, Lazzarini, Armellin

Nel mondo dello sport e con esso in quello del calcio vi sono carriere che non si fermano al termine dell’attività agonistica. Chi ha giocato ad ottimi livelli poi trova in quello sport anche uno sviluppo successivo alla propria carriera come allenatore o dirigente, pari se non superiore a quella precedente. E’ per questo che questa nostra storia è lunghissima e inizia in una San Donà da sempre vera fucina di talenti sportivi, qui negli anni Sessanta muoveva i primi passi Enzo Ferrari. Chissà come è vivere con un nome e un cognome che ti lega per sempre ad un mito assoluto dell’automobilismo, di certo quel giovane sandonatese ha cominciato tardi a giocare a calcio. Inizialmente aveva seguito la passione del padre Gino ed inforcata una bici la sua aspirazione massima era divenire un ciclista professionista. Ma di questo lasceremo spazio direttamente alle sue parole grazie ad una intervista che agli inizi degli anni Ottanta concesse a Gianni Mura e che è parte integrante del nostro racconto.

Gli inizi al San Donà
SAN DONA’ 1960-61: In piedi: Salvadoretti, Vizzotto, Cornaviera, Bonazza, FERRARI, Dal Ben Accosciati: Susin, Beffagna, Tommasella. Salvori, Giovanni Perissinotto

Enzo Ferrari (classe 1942, la stessa di Dino Zoff) dopo quell’iniziale esperienza nel ciclismo abbandonata da allievo, entrò a far parte del settore giovanile del San Donà. Era un gran fermento di talenti il sandonatese in quei primi anni Sessanta. Francesco Canella e Bruno Visentin avevano da qualche anno preso la via del Venezia, tra gli oratoriani muoveva i primi passi Gianfranco Bedin, mentre con il San Donà oltre a Ferrari si stavano mettendo in luce anche Elvio Salvori e Angelo Cereser. Tutti giocatori che poi approdarono in serie A divenendo simbolo di questa terra ed esempio per i tanti ragazzi che avevano la capacità di sognare nel loro giocare a pallone. Nel San Donà appena promosso in serie D Ferrari giocò in attacco ed in panchina come allenatore aveva un Giovanni Perissinotto che di gioco d’attacco se ne intendeva avendo giocato in serie A con Roma e Udinese. Il giovane Enzo debuttò il 5 marzo 1961 contro la Pro Gorizia (1-0) allo stadio Zanutto, con la maglia numero 10 giocò nove gare segnando la sua prima e unica rete di quella annata il 16 aprile all’Argentana (4-1). Ferrari rimase in biancoceleste anche nelle successive due stagioni, l’ultima delle quali si concluse con uno sfortunato spareggio (con Faenza, 0-4) che valse la retrocessione poi sanata dal ripescaggio. Complessivamente in biancoceleste ha segnato 6 reti in 49 presenze (compresa quella dello spareggio non sempre calcolata nei totali delle stagioni), non esistendo ancora le sostituzioni per un giovane giocatore era un buon traguardo.

SAN DONA’ 1962-63: In piedi: Dal Ben, Matassa, Muffato, Mariotto, Miglioranza, Hartz. Accosciati: Manzini, Socrate Brollo, Chinellato, Cadamuro, FERRARI
Dalla Serie C alla serie B
Ferrari con la maglia dell’Arezzo

Nell’estate del 1963 passò in serie C al Forlì dove si mise in ottima evidenza arrivando ad un passo dalla promozione in serie B. Trovò poi la sua consacrazione all’Arezzo con cui giocò per tre stagioni da protagonista sfiorando la promozione in serie B la prima stagione, centrandola la seconda e giocando nella serie cadetta nella terza, conclusa con la retrocessione. Ferrari aveva esordito in serie B l’11 settembre 1966 in Genoa-Arezzo (1-0), quasi un destino visto che l’anno dopo venne ceduto proprio al Genoa. Fu una stagione sofferta per i rossoblu quella della serie B 1967-68, nella quale Ferrari segnò ben 13 reti. Al termine di un campionato molto equilibrato, furono cinque le squadre costrette agli spareggi salvezza. Spareggi interminabili dato che furono necessari dopo le iniziali quattro gare altri spareggi per determinare una seconda retrocessa. Il Genoa alla fine si salvò mantenendo la categoria dopo sette gare che videro gli sportivi genovesi assieparsi nelle piazze per ascoltare gli aggiornamenti che arrivavano attraverso la radio, e nelle quali Ferrari mise a segno altre due reti.

GENOA 1967-68: In piedi: Colombo, Rivara, Grosso, Petrini, Drigo. Accosciati: FERRARI, Derlin, Campora, Gallina, Massucco, Locatelli
In serie A a Palermo un gol che ancor tutti ricordano
PALERMO 1969-70: in piedi: Troja, Landri, FERRARI, Ferretti, Giubertoni, Lancini; accosciati: Causio, Pasetti, Bertuolo, Pellizzaro, Alario.
I fotogrammi pubblicati sui giornali del salvataggio di Ginulfi

Nell’estate del 1968 Enzo Ferrari spiccò il volo per la serie A approdando al Palermo. Fu un capitolo importante della sua carriera. Due furono i campionati di serie A disputati, al termine del secondo retrocesse in serie B ma nel quarto in rosanero riconquistò la serie A. Ferrari esordì in serie A il 29 settembre 1969 in Cagliari-Palermo 3-0, in quella annata lo scudetto venne vinto dalla squadra sarda. Nella seconda annata in serie A fu protagonista di un episodio che fece molto scalpore, ovvero una rete segnata allo stadio Olimpico contro la Roma da ben 70 metri. Così la raccontò Ferrari in una intervista alla Gazzetta dello Sport del 2008: « La partita era iniziata male per il Palermo. Bercellino si era stirato dopo cinque minuti e non aveva il coraggio di dirlo a Di Bella (ndr verrà sostituito con Causio). Verso la fine del primo tempo Ferretti, il portiere, mi passa la palla, vedo Troja tutto solo nella metà campo della Roma e lancio per Tano, poi ha fatto tutto il vento, il pallone rimbalza nell’area di porta e supera il portiere Ginulfi ». Dopo la rete di Ferrari ci fu il pareggio di Capello, con la gara che finì in parità. In realtà quella rete di Ferrari fu molto controversa dato che nel cercare di evitare la rete Ginulfi riuscì a smanacciare in corner il pallone, il guardialinee però segnalò il gol e l’arbitro Picasso di Chiavari concesse la rete, tra infinite polemiche durante e dopo la gara sia in televisione alla Domenica Sportiva che sui giornali, nella perfetta tradizione italiana di vivere il calcio. Presente tra gli undici della Roma anche il sandonatese Elvio Salvori. A Palermo Ferrari giocò qualche gara anche nella stagione del ritorno in serie A per poi venir ceduto nel mercato autunnale al Monza. Complessivamente in serie A ha giocato 55 volte segnando 8 reti, cinque complessivamente le stagioni con presenze in rosanero.

SERIE A 1969-70: INTER – PALERMO 2 – 0
Dalla B al Monza al ritorno in Veneto

Il ritorno in serie B al Monza lo porta nuovamente a lottare per la salvezza come a Genova, l’epilogo non sarà però favorevole dato che la differenza reti introdotta per evitare gli spareggi penalizzò il Monza:  appaiato ad altre quattro squadre fu tra le due squadre retrocesse. Ferrari giocò poi in serie C al Livorno, per due annate all’Udinese, quindi nel campionato 1975-76 giocò all’Union CS rimediando una retrocessione in quella che era la prima stagione dopo l’abbandono della presidenza di Teofilo Sanson. Proprio l’imprenditore veronese aveva acquistato l’Udinese e affiancato dal Ds Franco Dal Cin gestiva anche il Conegliano nella cui squadra Ferrari concluse la carriera da giocatore.

Dal Conegliano alla carriera da allenatore
CONEGLIANO 1977-78: in piedi sa sinistra: FERRARI (allenatore-giocatore), Borin, Franzolin, Villanova, Malesani, Lovison, Segat, Fongaro, Busatti, Pradella, Pizzato, Da Re, Pagura, Lisotto, Nori, Soldan (allenatore). Accosciati: Meneghin, Silotto, Marcati, Rigato, Barbui, Strappa, Da Ros, Casagrande, Turchetto, Viola, massaggiatore Nardo. (foto tratta da “100 di calcio a Conegliano” Fontanelli)

Al Conegliano nel campionato di serie D 1977-78 Ferrari assunse il doppio ruolo di allenatore-giocatore affiancando Narciso Soldan. Una stagione che vide il Conegliano ottenere la promozione in serie C2 e che fu per Ferrari anche l’occasione per giocare allo Stadio Zanutto per un’ultima volta da protagonista. In quel 2 aprile 1978 il Conegliano vinse sul campo del San Donà per 3-0 e Enzo Ferrari segnò la prima delle tre reti gialloblu. Nel 1978-79 guidò come allenatore il Conegliano anche in serie C2 con una formazione molto giovane e sono proprio i giovani che caratterizzarono l’inizio carriera del Ferrari allenatore. Molti di questi passarono con lo stesso Ferrari all’Udinese quando assunse il ruolo di allenatore della Primavera bianconera nella stagione 1979-80 arrivando ai vertici della propria categoria.

Il debutto all’Udinese come allenatore di Serie A
UDINESE PRIMAVERA CAMPIONE D’ITALIA 1980-81: In piedi da sinistra: Miano, Cinello, Maritozzi, Macuglia, Cossaro, Borin, Trombetta, Gerolin, Papais, Koetting, Dominissini. (foto tratta da “Almanacco Udinese Calcio” Schiavinello-Fontanelli)

La stagione 1980-81 segnò la svolta nella nuova carriera di Ferrari.  Dopo appena tre giornate venne esonerato l’allenatore Marino Perani con Ferrari che sedette sulla panchina bianconera nella gara del 5 ottobre contro la Fiorentina (0-0). Fu poi Gustavo Giagnoni ad essere designato alla guida della prima squadra. Ferrari tornò ad occuparsi di quella squadra Primavera che di lì a pochi mesi ebbe modo di conquistare lo scudetto di categoria. Ma prima vi fu l’esonero anche di Giagnoni. Con l’Udinese al penultimo posto Ferrari venne richiamato in prima squadra debuttando nuovamente nella gara contro la Pistoiese del 15 febbraio (1-0). L’allenatore sandonatese non lasciò più la panchina della prima squadra riuscendo a portare alla salvezza i bianconeri con un finale da brividi. In quel 24 maggio l’Udinese riuscì a sconfiggere in casa il Napoli per 2-1 grazie ad una rete all’87’ di uno dei suoi “ragazzi” lanciati dalla Primavera in prima squadra, lo jesolano Manuel Gerolin. Quella vittoria permise ai bianconeri di affiancare altre quattro squadre al terzultimo posto, con Pistoiese e Perugia venne retrocesso il Brescia per la peggior differenza reti.

Enzo Ferrari ritrova il suo compagno Franco Causio

Nell’estate Teofilo Sanson cedette l’Udinese a Lamberto Mazza, patron della Zanussi, e questi confermò Ferrari sulla panchina bianconera. L’Udinese venne rinforzata con Muraro dall’Inter, Orlando dal Vasco da Gama, Orazi dal Catanzaro e con Franco Causio, ex compagno di squadra di Ferrari al Palermo, che all’epoca faticava a trovare spazio nella Juventus di Trapattoni. Causio in quel di Udine trovò una seconda giovinezza tanto da riconquistare una convocazione in nazionale che lo porterà sino a quegli epici Mondiali di Spagna che seppur non da protagonista lo videro conquistare il titolo mondiale. Con non poca fatica Enzo Ferrari riuscì a centrare anche in questa stagione la salvezza per la sua Udinese. Si colloca all’inizio dell’annata 1982-83 l’intervista che Gianni Mura fece ad Enzo Ferrari per l’Intrepido, parte integrante di questa nostra storia e che dà i contorni della carriera di allenatore che Ferrari stava iniziando ad intraprendere:

L’allenatore dell’Udinese si chiama come il mago di Maranello

Enzo Ferrari famoso prima di esserlo

di Gianni Mura

Non è uno che dice tante cose, è uno che ha tante cose da dire. Questa era stata la mia prima impressione su Enzo Ferrari, arrivato circa un anno fa alla panchina dell’Udinese. Nome e cognome erano già famosi per via del grande Vecchio di Maranello. Ma il Ferrari del calcio era da scoprire. Sembra uno zingaro, ha fatto lo zingaro da calciatore girando l’Italia per quanto è lunga. Anche adesso, è l’unico allenatore di A che fa il pendolare: 150 km al giorno fra San Donà di Piave dove è nato e abita e Udine. « Vado a nafta costa meno. » precisa. E’ anche l’unico a dipingere, quando può. Qualche suo amico pittore di Udine, come Celiberti e Borta, insiste perché si decida ad allestire una “personale”, ma Ferrari fa il sordo. Ho visto i suoi quadri, non c’è da inginocchiarsi per l’ammirazione ma, per un dilettante, davvero niente male. Gli influssi più evidenti sono di De Pisis, poi Ferrari dichiara i suoi amori: « il Guardì, tutti gli impressionisti classici, Carrà, Sironi, Rossi ». Non li vende, semmai li regala.

ENZO FERRARI (figurina Guerin Sportivo)

Strana casa quella di Ferrari. Regolare nella famiglia, tutta simpatica: la moglie Anna, i figli Marco e Laura (15 e 13 anni); irregolare, sorprendente per la totale assenza di fotografie, maglie, medaglie, targhe, cimeli, nulla sui mobili e sui muri indica che ci abita uno che ha giocato vent’anni al calcio. Come se non esistesse il passato.

« Esiste dentro di me, – dice lui – e non vedevo il bisogno di trasformare un appartamento in un museo.Tra l’altro ho cambiato tante maglie che questo spazio non basterebbe ».

Vediamole in rassegna, queste maglie, insieme agli allenatori che Ferrari ha avuto. Calcaterra, Perissinotto, Ballacci e Tognon (San Donà), Zattoni (Forlì), Mucci e Lerici (Arezzo), Fongaro e Campatelli (Genoa), Di Bella, De Grandi e Pinardi (Palermo), Viviani (Monza), Gb. Fabbri e Zecchini (Livorno), Manente, Galeone, Comuzzi. Rosa (Udinese), Flaborea e Beraldo (Clodiasottomarina), Soldan (Coneglianese). Due di questi tecnici sono tra i “maestri” di Ferrari: Lerici per la tattica, GB Fabbri per le idee sul calcio, tutti avanti tutti indietro, come piace a Ferrari. « Se GB fosse alla Juve vincerebbe lo scudetto 8 anni di fila. Non importa se a Cesena l’hanno silurato, non cambio idea: con lui Boldini era meglio di Cabrini ». Si commuove parlando di paròn Rocco, manca a lui come a tutti quelli che l’hanno conosciuto: « Il paròn è stato tra i primi a capire l’importanza della psicologia. Non si può essere solo tecnici. “Chi no xe omo, resti sul pullman”, diceva ogni domenica Nereo, sdrammatizzando l’ambiente. Ecco noi lottiamo ancora contro la paura. Troppi miei colleghi in settimana preparano le partite in un modo che se li vedono al Pentagono diventano rossi di vergogna. Okay, c’è anche la tattica, ma prima ci sono i ragazzi, i loro problemi aggravati dal fatto che in Italia non li si aiuta a crescere. All’estero, a 20 anni sono già adulti, qui magari giocano in nazionale e sono bambocci, manca solo che ti chiedano il permesso di andare al gabinetto… ».

Da sinistra: FERRARI, Edinho, Causio (foto tratta dall’Intrepido)

Sarà, ma da cosa dipende?  « Dalla paura dell’ambiente, allenatore per primo che li contagia. Più facile che ai ragazzini si insegnino i trucchetti per perdere tempo, i finti infortuni, i palloni buttati in tribuna, che non ha giocare sul serio. Perché il ragionamento dell’allenatore è questo: prima o poi mi cacciano, dunque devo adeguarmi all’avversario. Io non lo accetto. lo rovescio questo ragionamento. Siccome nessun allenatore, che mi risulti, è mai morto di fame, io voglio che gli altri si adeguino alla mia squadra. Tanto, prima o poi mi cacciano, almeno provo a cambiare mentalità in senso positivo. Così non vedrete mai l’Udinese che fa la trincea ai limiti dell’area, semmai molto più avanti. A Torino con la Juventus abbiamo perso 0-1, costruendo sei palle gol. Dico questo: chiaro che preferisco vincere, ma ci sto anche a perdere, a patto che i ragazzi diano tutto. Io non mi scandalizzo se un giocatore prende 100 milioni l’anno, mi arrabbio se non si rende conto di cosa significa, di che doveri comporta. Mio padre m’ha insegnato che lo sport è gioia, ma anche sacrificio, anche responsabilità ».

Enzo Ferrari (foto tratta dall’Intrepido)

Il padre Gino torna spesso nei discorsi di Ferrari. « E’ il primo dei miei tifosi. Da giovane ha fatto corsa campestre, mezzofondo, le cose che costavano meno. Perché in casa lavorava solo lui, operaio in una fabbrica di secchi di juta, e poi per arrotondare faceva il tappezziere, noi eravamo sei fratelli. Io mi sono diplomato perito chimico, perché allora il futuro sembrava a Porto Marghera. Il mio sogno era di diventare ciclista professionista. Ero tesserato all’U.C. Turchetto Basso Piave, la società da cui è uscito Moreno Argentin. Ho vinto qualche corsa da allievo con avversari come il povero Schiavon (che fine, meschina: schiacciato dai trattore!) e Gregori, che adesso è il CT dei dilettanti azzurri. Ero mica male in salita e buono sul passo e in volata. Ho smesso perché la bici era un lusso, i tubolari costavano un occhio, mi sembrava immorale chiedere soldi in casa. Così son passato sui campi di calcio. Questa è zona buona: Bedin, Salvori, Maschietto, Cereser, Carlini, Gardiman… Sono rimasto appassionato di bici e tengo a Hinault. Nel calcio, vorrei essere come lui: attaccare prima di essere attaccato ».

Nel calcio partendo come ala, ha vestito tutte le maglie meno quella del portiere e del libero. Detiene il record del gol segnato da più lontano (col Palermo all’Olimpico da 70 m): « Volevo lanciare Troja, la tramontana ha preso il pallone e l’ha portato dietro Ginulfi ».  Confessa di aver segnato anche da brillo: « Diciamo allegretto, non proprio ubriaco. C’era un’amichevole con l’Inter a Fontanafredda, io non la dovevo giocare e avevo bevuto qualche bicchiere di Picolit, la mia passione. Negli spogliatoi m’han detto di cambiarmi …Corner per noi al primo minuto: vedo che Bordon dormicchia e dalla bandierina gli taglio dentro la palla, gol. Poi ho chiesto la sostituzione… ».

La famiglia Ferrari (immagine tratta dal Guerin Sportivo, giugno 1984)

E’ molto esperto di vini, Ferrari. In un certo periodo ha fatto anche il rappresentante di spumanti e quando giocava a Palermo (e suo compagno di camera era un giovane leccese, un certo Causio) faceva il piazzista di pellicce. « Noi veneti siamo i giapponesi d’Italia » ama ripetere. E’ esperto anche di legnami avendo lavorato in una fabbrica di avvolgibili, insomma è uno con cui si può stare qualche ora senza parlare di calcio. (Credetemi, col mister non succede quasi mai). Ha vissuto il calcio della provincia, mai sugli altari e difende i grandi talenti incompresi:  « Tutti dicono: il grande Cagliari di Riva. Grandissimo Gigi, d’accordo, ma chi faceva tornare i conti era Greatti… E gente come Vendrame, Inferrera, Fava, vogliamo dire che sono stati grandi campioni rovinati da allenatori che al posto del cervello e del cuore avevano un compasso? Il calcio italiano deve riscoprire la fantasia. Non tutti fantasisti, sennò è l’anarchia, ma qualcuno sì. Per questo io sono sempre stato milanista dai tempi di Gre-No-Li fino all’ultimo Rivera.

Si torna sui quadri: « Vorrei aver più tempo per fare ritratti ai vecchi delle mie parti, contadini, carrettieri, stradini, che hanno tutta la vita scritta in faccia, l’amarezza e la dignità del vivere. Ma se avessi più tempo vorrebbe dire che sono a spasso, allora non mi lamento. Ho passato un brutto momento all’inizio, solo un punto in quattro partite. Con una squadra molto rinnovata, qualche incidente di troppo, era inevitabile. Mi ha ha difeso il presidente Mazza, un manager che il calcio italiano farebbe bene a non perdere. “Si valuta alla fine del lavoro, non all’inizio” ha detto lui senza mai entrare nei dettagli tecnici. In effetti l’Udinese è l’unica squadra non sponsorizzata in serie A, perché fa parte della Zanussi. I bilanci a fine campionato. Dunque. Sono fiducioso fin qui abbiamo raccolto tanti elogi e pochi punti, ora è tempo di raccogliere tanti elogi e tanti punti. Con un Causio così non sarà difficile ».

L’Udinese si fa grande

Con l’arrivo di Edinho e Virdis l’Udinese nell’annata 1982-83 migliorò ancor di più la qualità del suo organico e nonostante i tanti pareggi, arrivò sesta a soli due punti dalla qualificazione per la Coppa Uefa. Il vero salto di qualità i bianconeri cercarono di farlo l’anno dopo quando approdò in Friuli Arthur Antunes Coimbra detto Zico e come d’incanto gli abbonamenti toccarono la soglia record delle ventiseimila tessere facendo dell’Udinese un vero fenomeno nazionale. Nonostante le 19 reti di Zico e le 10 di Virdis e un nono posto che sembrava peggiorare il piazzamento della stagione precedente, i bianconeri mancarono ancora di soli tre punti la qualificazione alla coppa Uefa dopo un campionato giocato per la gran parte in posizioni decisamente migliori. La delusione fu forte e non priva di polemiche, al termine della stagione Causio passò all’Inter, Virdis al Milan, mentre Zico rimase, non Enzo Ferrari che dopo 104 panchine in serie A si congedò da Udine. La squadra bianconera nel frattempo si era già accordata con l’allenatore Luis Vinicio.

UDINESE 1983-84: in piedi: Virdis, Pradella, Cattaneo, Brini, FERRARI (allenatore), Borin, Edinho, Miano, Mauro; seduti: Galparoli, Tesser, Marchetti, Pancheri, Causio, Gerolin, Urban, De Agostini, Dominissini, Zico.
L’esperienza all’estero
Enzo Ferrari al Real Saragozza

L’eco delle imprese di Udine e il suo esser stato l’allenatore di Zico, portò Ferrari ad intraprendere una stagione all’estero. Si trasferì al Saragozza nella Liga spagnola. « Volevano un tecnico reputatissimo, hanno contattato Eriksson e Michels e hanno pure contattato Castagner. E’ stato Pardo, l’agente di Surjak… Pardo mi conosceva e chiaramente mi apprezzava…ha fatto il nome mio e subito io e quelli del Saragozza ci siamo piaciuti. Vogliono fare una squadra da Uefa, vogliono un pò risalire la corrente». – così in due interviste al Guerin Sportivo il Ferrari prima e dopo l’esperienza spagnola – « Tecnicamente e anche fisicamente il livello si può definire pari al nostro, anche se ci sono meno fuoriclasse, a causa della crisi. D’altronde è un calcio che si porta dietro problemi organizzativi enormi ». Se l’Italia poteva godersi la vittoria mondiale e i suoi campioni stranieri, la Spagna poteva vantare un Real Madrid che vinse la coppa Uefa alla fine di quella stagione. Nonostante le complicazioni avute al Saragozza Ferrari riuscì a cogliere importanti soddisfazioni in terra iberica. Il Saragozza, privato dei giocatori Valdano e Salva, in campionato non migliorò i piazzamenti precedenti, ma Ferrari riuscì a portare la squadra spagnola alla semifinale di Coppa del Re, riuscendo a sconfiggere in campionato a Madrid sia l’Atletico che il Real. Ferrari fu il primo allenatore italiano a sconfiggere il Real al Santiago Bernabeu, nel 1962 in Coppa Campioni ci era riuscito Carlo Parola con la Juventus ma in realtà in quel caso i bianconeri avevano il ceco Korostelev come direttore tecnico. In quel 15 febbraio 1985 il Saragozza vinse con il Real Madrid in rimonta, nonostante i blanco vantassero campioni del calibro dell’ex Valdano, di Stilike, Camacho, Santillana e di un giovane Butragueno che, come detto, poi trionfarono in Coppa Uefa.

Ferrari e la Spagna

Così commentò la sua esperienza in Spagna Enzo Ferrari l’anno dopo sulle pagine del Guerin Sportivo: « Volli dimostrare, prima di tutto a me stesso, di essere in grado di allenare ad un certo livello. Credo di esserci pienamente riuscito. Volevo cominciare un ciclo, c’erano tutti i presupposti, poi molte cose non sono andate per il verso giusto. Abbiamo perso, per un cavillo federale, il libero della nazionale Salva, che è andato al Barcellona, abbiamo avuto problemi con Surjak, abbiamo perso due presidenti e i nuovi arrivati hanno ridimensionato tutto quanto. Ci siamo ritrovati anche in un momento difficile, a un certo punto del torneo: ebbene, lo abbiamo superato e a gioco lungo, quando finalmente sono riuscito a fare andare le cose come volevo io, ci siamo tolti non poche soddisfazioni ».

Il ritorno in Italia a Trieste
TRIESTINA 1985-86: In piedi: l’allenatore FERRARI, Baici, Braghin, Gandini, Bistazzoni, Attruia, Bagnato, Cerone, l’allenatore Burlando. In mezzo: Zanin, Scaglia, Orlando, Costantini, Cinello, Poletto, Salvadè. Seduti a terra: massaggiatore Evangelisti, Chiarenza, Dal Prà, Strappa, Di Giovanni, De Falco, Romano, massaggiatore Maffi.

Chiusa l’esperienza spagnola per Ferrari si aprì un nuovo importante capitolo a Trieste. Gli alabardati avevano appena perso per poco la promozione in serie A e Ferrari venne chiamato a sostituire Massimo Giacomini. In quella serie B 1985-86 la Triestina rimase a lottare nell’alta classifica sino alla fine quando il campionato venne segnato dall’ennesimo scandalo che procurò punti di penalizzazione importanti. Il Vicenza perse la promozione in serie A e quando sembrava che Empoli e Triestina fossero costrette ad uno spareggio per la promozione in serie A, ecco arrivare una penalizzazione anche per la Triestina. Una sanzione che privò gli alabardati di un possibile spareggio per la serie A e che portò ulteriori quattro punti di penalizzazione anche nella stagione successiva quando nonostante Franco Causio avesse raggiunto Ferrari a Trieste, gli alabardati non andarono oltre una meta classifica. Peggio andò nella terza stagione quando la coda delle inchieste portò ad una nuova penalizzazione per i rosso alabardati di cinque punti, risultata poi fatale alla Triestina che non andò oltre un diciannovesimo posto, con la salvezza a tre punti si concretizzò la retrocessione in serie C1.

Le infinite destinazioni del mestiere di allenatore
Enzo Ferrari (immagine Guerin Sportivo 1986)

Nel 1987 ad Avellino Ferrari subì il primo esonero, una pratica sempre più utilizzata dalle società tanto che lo stesso allenatore sandonatese successivamente subentrò più volte a campionato in corso come anche fu sostituito. L’allenatore esonerato mantiene il contratto in essere con la società ma al tempo stesso non può essere ingaggiato nella stagione in corso da un altra squadra e ai tempi di quell’esonero, come ricordò Ferrari in una intervista alla Gazzetta dello Sport del 2008, non si poteva nemmeno andare ad allenare all’estero. « È l’88-89, vengo esonerato dall’Avellino in C (ero al quarto posto!) e mi chiama il Siviglia. Per un’assurda regola cambiata l’anno dopo anche per la mia battaglia, non posso allenare all’estero perché ho iniziato la stagione in Italia. Al Siviglia arrivò Bilardo e aprì un ciclo ». L’anno dopo allenò per un periodo il Padova in serie B, quindi nel 1989-90 la stagione al Palermo in serie C dove sostituì dopo poche giornate Francesco Liguori riuscendo a riportare i rosanero in serie B grazie ad un ottimo secondo posto, oltre che a disputare la finale di Coppa Italia di serie C con il Monza, poi persa. Iniziò a Palermo anche la stagione successiva in serie B ma venne esonerato dopo poche giornate, gli subentrò Gianni Di Marzio. Vi fu poi il biennio alla Reggina in serie C1 dove nella seconda stagione dopo un ottimo secondo posto la Reggina venne eliminata nel doppio confronto dei play-off dalla Juve Stabia solo ai tempi supplementari.

L’ultima panchina in serie A alla Reggiana
FERRARI all’esordio sulla panchina della Reggiana il 6 novembre 1994, Reggiana-Lazio 0-0)

Nel 1994 Franco Dal Cin chiama Enzo Ferrari alla Reggiana allora in serie A, con il dirigente granata aveva già lavorato al Conegliano e all’Udinese. Subentrato a campionato in corso a Giuseppe Marchioro non riuscì a portare alla salvezza la Reggiana, a situazione oramai compromessa lasciò la panchina a tre gare dalla fine. Ripartì dalla serie C allenando per due stagioni l’Alessandria, per una la Juve Stabia, quindi nella stagione 1998-99 subentrò a Cacciatori sulla panchina dell’Ascoli. Con i bianconeri nella prima annata sfiorò i play-off, mentre nella seconda dopo esser giunto terzo sfidò nella finale l’Ancona che era arrivata seconda. Una gara interminabile che al termine del primo tempo supplementare vide l’Ascoli passare in vantaggio con Edy Baggio, poi la beffa più terribile per la squadra di Ferrari arrivò a due minuti dal centoventesimo minuto con la rete dell’anconetano Ventura a decretare la promozione dell’Ancona. Nella terza stagione ad Ascoli venne sostituito dopo poche giornate da Gianni Simonelli. Ferrari chiuse la carriera di allenatore all’Arezzo, subentrando a campionato in corso ma venendo poi sostituito dopo una quindicina di gare da Mario Colautti, che già in precedenza gli era subentrato ai tempi del Padova.

Fedele ai suoi dettami raccontati nell’intervista a Gianni Mura ha vissuto una carriera da allenatore senza sconti, vivendo pienamente le variabili del calcio sia a livello sportivo che in quello rappresentato dalle più diverse realtà dirigenziali.

prom.: promosso; retr.: retrocesso; p.offp: play-off persi
Enzo Ferrari nelle figurine Panini, nella stagione 1970-71 non era stato incluso nelle 12 figurine dedicate al Palermo

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A

Gli anni cinquanta furono un periodo particolare per il calcio sandonatese, dai fasti della Serie C ai campionati regionali il passo fu breve e le difficoltà finanziarie immense. Eppure dal vivaio sandonatese uscirono dei giocatori promettentissimi capaci di arrivare sino alla serie A. Uno di questi fu Bruno Visentin. In breve la sua carriera e l’intervista che nel 1974 gli fece il giornalista Gianfranco Bedin per il periodico “Il Piave”.

Gli inizi al San Donà e il trasferimento al Venezia
San Donà 1953-54 Campionato di Promozione
In piedi: massaggiatore Paludetto, Guerrato, VISENTIN, Mion, Calcaterra, Iseppi, Zanon, l’allenatore Depità: Accosciati: Rossetto, Bortoletto, Dolce, Lotto, Zanon

Nella prima annata dopo la Serie C il San Donà si ritrovò a giocare in IV Serie, un campionato interregionale che poco si addiceva alle allora magre finanze sandonatesi, si puntò per cui su una formazione giovane, tra questi anche il diciasettenne Visentin che debuttò in IV serie il 22 marzo 1953 in Legnago-San Donà (2-0). Nei due anni successivi consolidò le sue qualità nella formazione sandonatese militante in Promozione. Grazie ad un accordo con il Venezia in base al quale i migliori giovani sandonatesi approdavano poi alle giovanili neroverdi anche Visentin si trasferì in laguna al termine della stagione 1954-55. Non riùscì a debuttare nella prima squadra del Venezia allora militante in serie C e l’imminenza del militare lo portò presto lontano.

Le prime esperienze in Serie C

Giocò dapprima in IV Serie con i calabresi del Nicastro, quindi al Trapani. Con la squadra siciliana nelle prime due annate giocò poco a causa proprio del servizio militare ma ebbe comunque modo di debuttare in Serie C. Terminato il militare rimase al Trapani un’altra annata. Nel 1960 si trasferì dapprima al Pescara, quindi a novembre passò al Siena.

Con il Bari arriva il debutto in serie A
BARI 1963-1964 (Serie A): In piedi da sinistra: VISENTIN, Magnaghi, Panara, Buccione, Catalano: Accosciati: Ghizzardi, Gianmarinaro, Baccari, Carrano, Galletti, Rossi

Nella stagione 1961-62 il passo decisivo nella sua carriera avvenne con il trasferimento al Bari. Un’ascesa continua che lo vide prima debuttare in serie B, quindi ottenere la promozione nella massima serie nel 1962-63 quando il Bari allenato da Pietro Magni arrivò al secondo posto a pari merito con la Lazio, dietro la sorpresa Messina. Nel 1963-64 Bruno Visentin debuttò in serie A il 25 settembre 1963 in Juventus-Bari (4-0), una stagione travagliata per i baresi che alla fine retrocessero. Visentin disputò 29 gare con 1 rete segnata (in Modena-Bari 1-1) .

Nel Cagliari di Silvestri e Riva il punto più alto della sua carriera
CAGLIARI 1964-1965: In piedi da sinistra: Nenè, Longo, Spinosi, Gallardo, Riva, VISENTIN; Accosciati: Colombo, Tiddia, Cera, Martiradonna, Greatti
La prima di cinque parti del racconto della Storia del Cagliari che arriverà allo scudetto, tra i protagonisti nei primi anni anche Visentin

Nel 1964 passò al Cagliari, squadra allenata da Arturo Silvestri e neopromossa in serie A. Proprio Silvestri lo volle al Cagliari in quella che sarà la prima stagione in serie A nella storia dei rossoblu sardi. Visentin giocò due campionati da titolare con la maglia cagliaritana, poi con Silvestri che passò al Milan e l’arrivo di Scopigno, Visentin giocò decisamente meno. E’ però una squadra sarda in evoluzione e nella quale si stanno gettando le basi per quella che nel 1970 porterà il Cagliari a festeggiare uno storico scudetto, e con molti di quei vincenti protagonisti Visentin ebbe modo di giocare. Nel 1967 terminato il campionato il Cagliari si trasferì negli Stati Uniti per partecipare a quello che sarà il primo campionato statunitense. In via straordinaria vennero ingaggiate intere squadre di ogni parte del mondo che per l’occasione indossarono le maglie di squadre americane, i cagliaritani indossarono quella dei Chicago Mustangs. Anche Visentin fu tra i partecipanti, cagliaritani che arrivarono terzi, con Boninsegna capocannoniere.

L’esperienza al Padova e il ritorno a San Donà

Nel campionato 1967-68 Visentin si avvicinò a casa passando al Padova in serie B. Dopo un buon primo campionato, nella seconda stagione disputò poche gare meditando il ritiro. Pur tuttavia nel 1969 accettò la proposta del presidente Mucelli e divenne un giocatore del San Donà per quella che sarà la sua ultima annata da calciatore. In totale sono state 85 le sue presenze in Serie A (5 reti), 90 in serie B (6 reti), mentre con il San Donà ha giocato 59 gare segnando 15 reti.

La breve esperienza da allenatore

Come allenatore nella stagione 1972-73 ebbe modo di sedere sulla panchina biancoceleste subentrando a campionato in corso a Sergio Manente, esperienza che durò solo poche gare prima che venisse richiamato Manente. In precedenza da allenatore aveva portato al massimo campionato regionale prima la Miranese e poi lo Spinea. Nel 1973-74 divenne l’allenatore dello Jesolo guidando i nerazzurri in ottobre nelle finali del torneo anglo italiano Coppa Ottorino Barassi cui cui lo Jesolo partecipò per aver vinto la Coppa Italia Dilettanti il 1° luglio 1973 , nel novembre comunque si dimise per delle divergenze con la dirigenza.

L’intervista a “Il Piave” del 7 gennaio 1974 (Anno 7 nr. 1)

di Gianfranco Bedin

Bruno Visentin (Bari) e Elvio Salvori (Udinese)

Il nostro album dei ricordi delle vecchie glorie ci porta a conoscere un altro personaggio della nostra ricca storia calcistica: Bruno Visentin. Lo chiamavano « colombo » all’epoca della sua infanzia pedatoria per la piccola statura, ma anche per le sue doti di cursore instancabile a tutto campo. Un Benetti del calcio attuale, per capirci. Da ragazzino, come madre natura vuole, Bruno divenne poi un uomo robusto, da aspirante calciatore divenne uno dei protagonisti delle scene calcistiche nazionali, ma per gli amici è sempre « il colombo ». Visentin è molto legato alla famiglia. Sposato con la simpaticissima e « terribile » signora Franca, i suoi gioielli, come Cornelia, sono i figli Stefano e Deborah. Ma la sua grande passione, la sua seconda passione, la sua seconda famiglia è però sempre il foot-ball. Appese le scarpe al chiodo, si è dedicato al difficile mestiere di allenatore, dedicando il tempo libero alla vita….. agreste. Gioie, dolori e avvenimenti di un calciatore, Bruno Visentin li ricorda nella nosra intervista.

Quale è il ricordo più bello della tua lunga carriera calcistica? Il mio primo anno nel cagliari segnai il goal del 2 a 1 a sfavore del Milan. All’Amsicora, con quella sconfitta all’ultima giornata, il Milan perse lo scudetto che fu vinto dall’Inter.

E il più brutto ricordo? I tre anni che ho trascorso a Trapani. Causa il servizio militare non ho potuto giocare per quasi due campionati. Ho dovuto poi ricominciare tutto da capo e ciò mi è costato notevoli sacrifici. Altra delusione è stata la retrocessione del Bari nel campionato 1963-64 dalla serie A a quella cadetta.

Cosa ti ha dato il calcio nella vita? Tutto. Grosse soddisfazioni morali, mi ha reso indipendente, ma soprattutto mi ha dato la possibilità di girare il mondo. Tranne la Russia e la Cina posso dire di aver visitato quasi tutte le nazioni.

Quali sono stati i giocatori più famosi che hai avuto al tuo fianco? Gigi Riva e Roberto Boninsegna, tra quelli ancora in attività.

Parlami di Gigi Riva. Lo ricordo fortissimo nei suoi primi exploit cagliaritano. Ora rende un quarto delle sue reali possibilità perchè è costretto, a furor di popolo, a giocare al centro per fare i gol. Gli sportivi e la stampa stessa non vogliono altro da lui e questo lo danneggia. Così si spega anche l’esclusione di Boninsegna dalla Nazionale, un giocatore che reputo fortissimo: Riva è grande all’ala, Bonimba è fortissimo al centro dell’attacco.

Quali sono stati i tuoi più grandi maestri? Tommaso Maestrelli,ora allenatore della Lazio, e Arturo Silvestri, allenatore del Geonoa. Sono due tecnici che ottengono gli stessi risultati seppur usando metodi diversi: il primo con la…carota, il secondo usando il…bastone.

La tua carriera di allenatore ci sembra però avara di soddisfazioni. Non è vero perchè con la Miranese ho ottenuto la « promozione » dalla prima categoria alla promozione, con lo Spinea ho ottenuto lo stesso traguardo, dando quattordici punti di distacco alla seconda classificata, e sempre in una sola stagione. Questi risultati li ho ottenuti perchè avevo carta bianca da parte dei dirigenti delle rispettive società. Quando questi presupposti, che reputo essenziali per un allenatore, sono venuti meno, ho rassegnato le dimissioni. L’anno scorso ho collaborato con il San Donà. Quest’anno a Jesolo, pur essendo partito con una squadra in grado di vincere il campionato, mi sono trovato contro, sin dai primi allenamenti, tutti gli sportivi jesolani (ndr: abbiamo assistito anche noi nella coppa Barassi all’incivile e deprecabile linciaggio morale del tecnico) le cui insensate proteste nei miei confronti sono culminate nel duplice confronto internazionale tra lo Jesolo e il Walton.

Quale sarà il tuo futuro di allenatore? Sono deciso a continuare perchè sono innamorato del gioco del calcio, con la speranza di trovare nella mia strada dirigenti competenti che mi lascino lavorare in pace e che giudichino eventualmente il mio operato alla fine della stagione sportiva.

Come trascorri il tempo libero? Ho l’hobby della pesca ma la mia attività è rivolta principalmente ad un piccolo appezzamento di terreno che ho adibito in parte a vigneto ed in parte ad allevamento di conigli. Ho sempre vissuto all’aria aperta giocando al pallone ed ora che ho smesso voglio continuare perchè oltre che salutare è bellissimo. Sono sempre stato innamorato della natura.

BRUNO VISENTIN nelle figurine Panini

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo

Guerrino Striuli «Il Gatto Nero»

Articolo di Gianfranco Bedin tratto da «Il Piave», anno 6 nr. 19, 15 novembre 1973

San Donà 1939-40 – In piedi da sinistra: Guerrino Striuli, Bergamini, Pavan, Cappello, Magrini, Franco, X; Accosciati: Fantin, Gavagnin, X, Silvestri.

« Se, nel zogo, Guerin xe stado grande
Vinzendo a Roma, co la Triestina
Un premio lù ‘l ga vù, svolando
Dal Lazio fina qua, l’altra matina,
la notizia, là su, ghe xe rivà
che, sul Piave, ghe iera novità.
Figuratevelo lui, coi altri muli,
tutti ‘torno la radio che gratava.
Attenzione! Un piccolo Striuli
Gà lassù, ogi, l’area del rigor
Per alenarse a far come su pare,
portier de classe, che za in tante gare
difendi l’alabarda con valor.
Avanti piciul, ocio a l’attacante…
salta de «palo» a «palo» e la «traversa»!
Fa che Trieste, sempre trionfante,
la razza dei campioni non sia persa! »

Guerrino Striuli sfoglia l’album dei ricordi

Questa poesia è stata dedicata a Guerrino Striuli da Leghissa, un tifoso triestino, nel 1948, nell’epopea d’oro del calcio alabardato, allorchè il popolare portiere diventò padre.
Guerrino Striuli, « Il gatto nero » del calcio nazionale è uno dei più significativi giocatori di calcio che la prolifica «Razza Piave» sandonatese abbia sfornato nel suo prestigioso passato.

Carriera

Nato a San Donà di Piave il 24 dicembre 1917, Guerrino iniziò la sua avventura calcistica a 14 anni nel ruolo di portiere, su quel vecchio teatro che è lo stadio Zanutto.
Militò quindi nello Jesolo, con le Leghe Leggere Marghera e nella Saffa di Milano.
Nel campionato 1938-39 (ndr 1939-40) tornò a vestire la maglia del San Donà. Allora i biancocelesti militavano in serie C.

Triestina 1947-48 : In piedi da sinistra: Zorzin, Striuli, Blason; in mezzo: Presca, Sessa, Radio; seduti: Rassetti, Mlacher, Ispiro, Tosolini, Begni.

Con la Triestina in serie A
Nel campionato successivo fece il grande balzo nella massima serie. Lo voleva la Sampierdarena, ma per una serie di contrattempi finì nella gloriosa Triestina dove rimase fino al 1949, a difendere la porta alabardata (circa 260 partite in serie A!), conquistando simpatie e ammirazione in tutto lo stivale calcistico. Con Striuli alla guardia dei pali, la Triestina conquistò il record d’imbattibilità, che durò 18 giornate.
Con la Triestina a San Donà… con amore!
Guerrino ci ricorda che nel 1941, in occasione di un incontro amichevole tra la sua Triestina e il San Donà allo “Zanutto”, conobbe Emilia Crivellaro, una bionda fotografa che cinque anni più tardi sarebbe diventata la compagna della sua vita.
Nel campionato 1950-51, Striuli passa dalla Triestina all’Arsenal Taranto in serie B. Il campionato successivo, a 33 anni, veste i colori del Nocera Inferiore e inizia nel contempo la carriera di allenatore.

Il ritorno a San Donà

San Donà 1951-52 : In piedi: Dalla Villa, dir. Padovan,Tosetto, mass. Paludetto, Carlini, Lepre, Tonon, all. Striuli, Finotto
Accosciati: Spadola, Sergio Mion, Brollo, Firotto, Bertoli

Campionato 1952-53. (ndr 1951-52) Guerrino Striuli torna a San Donà (Serie C) nella veste di tecnico.
Inizia quindi la sua carriera di allenatore sui campi del Basso Piave. Con l’Eraclea, in due anni, ottiene due promozione tra i dilettanti. Dal 1963 al 1965 è ancora al timone del suo San Donà, assieme ai vari Nani Perissinotto, Tognon, Ballacci.
Nel campionato 1965-66 salva il Caorle dalla retrocessione. L’anno seguente è alla guida del San Stino.

L’ intervista

Siamo nel 1967, Guerrino Striuli rompe i ponti con il calcio e si dedica ad altro sport… quello delle bocce.
« Siamo comunque sempre nel campo del pallone! »
Perché questa rottura? « Mi sono stancato – ci risponde Guerrino – del calcio. Mi piaceva lavorare con carta bianca. Mi è mancato questo presupposto ed ho preferito smettere ».
Ritornerebbe al calcio? « Sono ancora iscritto nei ruoli di allenatore, ma al calcio non tornerò. E’ da troppo tempo che sono fuori dal giro calcistico ».

Triestina 1948-49 – da sinistra: Sessa, Striuli, Trevisan, Bacchetti, accosciato Ispiro

Quali sono i compagni di squadra che più rimangono nei suoi ricordi? « Molti: lo stopper Raciglio Grezar e Ballarin periti poi nella tragedia di Superga, Tagliasacchi, Tosolini, Ispiro, Guglielmo Trevisan, le due ali della nazionale Colaussi e Pasinati, Piero Grosso, Carraro, Defilippis, Rossi, Salar, Blason, Gratton, Rosetti, Bagni, Giannini, Sessa, Zorzin, Radio e altri ancora che in questo momento non ricordo. Tutti grandi calciatori e ottimi amici nella vita. »
Quali sono stati come tecnici i suoi più grandi maestri? « Nereo Rocco nella Triestina che era affiancato dal C.T. Beppi Girani, e Varglien I° ».
Cosa le ha dato il calcio nella sua vita? « Grandi soddisfazioni. Penso che pochi come me abbiano avuto dal calcio così grosse soddisfazioni morali e sportive soprattutto ».

Guerrino Striuli


Quando militava in serie A, quanti soldi percepiva al mese? « Nel mio primo anno nella Triestina percepivo 1200 lire al mese. Negli ultimi anni circa 120-130 mila lire. Nel 1947-48, con la Triestina, classificata al 2° posto ho guadagnato più soldi per premi partita che con lo stipendio ».
Quale è stata la sua partita “storica”? « Quella del campionato 1947-48 quando abbiamo pareggiato (1-1) a Torino contro il grandissimo « TORO »: sono stato impegnato per quasi tutto l’incontro, volando continuamente da un palo all’altro della porta. Ricordo poi nello stesso campionato, la partita di Torino dove abbiamo battuto la Juventus per 1-0. In quel campionato la squadra, diretta da Rocco, era lo spauracchio d’Italia. Ci classificammo al 2° posto alle spalle del Torino con il Milan e la Juventus ».
C’è una differenza tra il calcio di allora e quello d’oggi? « Si, c’è una grande differenza: una volta i giocatori lottavano tutti per vincere ora si va sul campo per non perdere ».
C’è attualmente una crisi di giocatori nel calcio? « Non c’è nessuna crisi. I giocatori in Italia abbondano talmente che si potrebbero fare due nazionali dello stesso valore. Il male attuale del calcio sta nelle Società che, tra l’altro dovrebbero dare carta bianca agli allenatori. I giocatori, invece o sono trattati troppo bene oppure con sono capiti. E’ inutile che mi vengano a dire, per esempio, che Rivera con gioca bene perché ha paura di prendere le botte. Un giocatore chiunque esso sia, quando entra in campo bada a giocare come meglio le sue condizioni permettono ».
Che suggerimenti dà ai giovani che vogliono praticare il calcio? « Di praticare lo sport assiduamente anche se costa loro del sacrificio. Devono poi essere a posto moralmente, non devono bere e fumare. Solo così si può diventare, avendone le qualità dei buoni giocatori ».

Gianfranco Bedin

I Protagonisti del calcio sandonatese: 1. Francesco Canella “Dall’Oratorio al tetto del mondo”; 2. Arturo Silvestri con lo scudetto sul petto nella stagione 1951-52; 3. Guerin Sportivo | Adriano Meacci: «Scusate il ritardo »; 4. Glerean: « Nessun segreto, grande San Donà »; 5. Guerrino Striuli « Il gatto nero »; 6. Elvio Salvori, un sandonatese a Roma; 7. « Bomba » Cornaviera, una vita per il San Donà; 8. Silvano Tommasella, il miglior terzino biancoceleste; 9. « Nanni » Perissinotto, il bomber che stregò la Capitale; 10. Antonio Guerrato, quell’ala destra che non sbagliava una punizione; 11. Orfeo Granzotto: « Così è nato il Sandonà dei sogni »; 12. Bruno Visentin, il « Colombo » che volò in serie A; 13. Angelo Cereser, i suoi inizi sandonatesi visti da Torino; 14. Enzo Ferrari, quel sandonatese famoso prima di esserlo