Venerdì 9 novembre 1917, l’attesa

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV pp. 182-188)

Il lungo sciamare di persone e carri lungo il ponte carrozzabile fino alla sua distruzione del 9 novembre 1917

L’isolamento di San Donà

3. – Si possono comprendere l’orgasmo e la disperazione del popolo, quando, alle incertezze e trepidazioni prolungate dei giorni precedenti, successe la sicurezza della prigionia. Impedita ormai la via dell’interno, in un momento di esasperazione, libero di se stesso e privo di autorità, il popolo si abbandonò al saccheggio, alla devastazione già iniziatasi, in parte, il giorno 7 novembre ; anche il giorno 8 e la mattina del giorno 9 novembre S. Donà presentò lo spettacolo di uno sperpero inconsulto e odioso. Erano state abbattute dai soldati e dai borghesi le porte delle case e delle botteghe ; gettato sulla strada un corredo prezioso ; derrate alimentari, mobilio, biancheria, stoviglie, tutto fu distrutto o disperso.

Dopo il brillamento del campanile lo sperpero diventò più spiccato : se pensiamo che quel materiale sarebbe caduto nelle mani del nemico che si sarebbe servito per aumentare il danno ai nostri connazionali e ai nostri combattenti, possiamo coprire con un indulgente oblio questo episodio poco simpatico. Del resto, quel materiale non si sarebbe potuto asportare ; non avrebbe giovato al popolo invaso per mitigare le sofferenze della sua prigionia, e non doveva, quindi, giovare neppure a chi avesse, per lungo tempo, tenuta oppressa una popolazione disgraziata.

Il piazzale della Chiesa teatro nel quale le tante case abbandonate furono oggetto di disputa di chi rimasto in città necessitava per affrontare l’oggi e forse il domani

Anche le scene comiche in quei momenti dolorosi : “Mi sta bene questa pelliccia?”, domandava un vecchio arzillo che era penetrato in casa del cav. dott. Vincenzo Janna e ne aveva asportato quell’arnese. “Eh! Taci, vecchio – rispondeva una donna ; – a me bastano questa nuova lettiera, questo specchio da sposa e questa culla per bambini ; almeno per poche ore il mio bambino riposerà nella culla di questi ricchi che se ne sono andati!”. Frasi inconsulte, alle quali nessun valore etico si può attribuire : la disperazione spinge a quelle aberrazioni che sono proprie di tutti i tempi, e che sono così presto biasimate da coloro stessi che ne furono i protagonisti.

Non mancarono, in quei momenti, gli spiriti coraggiosi e fieri, che seppero protestare contro tanto scempio ; fra questi il dott. Perin e il sig. Umberto Roma. Ritti in mezzo alla piazza come gendarmi, precipitandosi là dove la fiumana si gettava all’assalto, poterono salvare, per un momento, molto materiale prezioso e indurre i rapitori a depositarlo in canonica. Ma questa fu un magazzino precario : all’avvicinarsi del nemico, il materiale racimolato scomparve nelle mani dei poveri. – Di tutto il paese, l’unica casa che non fu saccheggiata dai borghesi, nelle ultime ore che precedettero la prigionia come neppure nei primi momenti dell’invasione, sebbene ormai abbandonata, fu la casa canonica. Più tardi gli Austriaci penetrarono nella canonica, e non trovarono che i libri di Mons. Saretta : tutto il resto era stato asportato a Grisolera, o distribuito ai poveri.

Oggetti perduti, poi sorprendendentemente ritrovati

E’ curiosa, a questo proposito, la cartolina che un professore di Leopoli, il sac. Mathian Borgomskei, inviava il 6 agosto 1919 a Mons. Saretta : i libri dell’arciprete di S. Donà erano, in parte, andati a finire in Polonia : “Leopolis, – In possessione mea sunt duo volumina Ovidii Nasonis, Venetiae 1717, et duo volumina Horatii Flacci, Venetiae 1737, quae miles quidam dono michi obtulit. Donum accepi hac mente, ut proprietario hanc rapinam reddam. Quod nuntians rogo, velitis michi modum, quo ea 4 volumina R.mo Domino reddere possim, monstrare. Salutem dico. – f.o Borgomskei Mathian, magister gimnasialis, Leopolis (Polonia)”.

E’ forse l’unica restituzione che si sia effettuata dopo l’armistizio : l’atto però, così delicato e che fa veramente onore al buon professore polacco, radicale : il nemico nulla risparmiò di quanto potè racimolare nel paese abbandonato dai nostri profughi.

Nei documenti, la tragedia successiva

E incominciamo una narrazione dolorosa. – Premettiamo che non ci fu possibile ricostruire un diario perfetto ; non intendiamo neppure ricostruire una storia completa : ogni famiglia di S. Donà ha la sua storia dolorosa! Dobbiamo limitarci a semplici cenni ricavati dai diversi diari di guerra, manoscritti che abbiamo potuto rintracciare, e che oggi si conservano nell’archivio di Curia di Treviso. Chi vuole formarsi una pallida idea della storia di S. Donà in questo periodo disgraziatissimo, moltiplichi all’infinito gli episodi che registriamo. – Dobbiamo, anzi, fare un’esplicita confessione : noi stessi fummo costretti a mutilare episodi e scene, per quel senso di rispetto che meritano sempre le vittime. Chi scriverà la storia dopo di noi, quando tanti attori di questa tragedia saranno scomparsi ; chi si assumerà il compito di scrivere delle pagine, che, senza dubbio, avranno un sapore romanzesco, potrà trovare documenti preziosi nei nostri stessi incarti che oggi noi conserviamo gelosamente, e che, un altro giorno, affideremo all’archivio di Curia, dove si sapranno custodire come cosa sacra.

L’ospedale Umberto I prima dell’invasione

La lunga traversata raccontata nel diario di Monsignor Saretta

4. – Ci è impossibile riunire insieme, in un unico filo, le narrazioni raccolte nei vari diari di guerra che conserviamo : un ordine omogeneo di fatti non si effettuò in quel confusionismo. Preferiamo riportare gli episodi quali appariscono dagli stessi diari, presi separatamente : dal loro insieme il lettore può farsi una pallida idea dello stato anormale, delle condizioni disastrose in cui versò tutto il popolo durante il periodo della profuganza nelle terre invase.

Da queste diverse narrazioni apparisce sempre che i centri principali della vita sandonatese, sotto il dominio nemico, furono Casa Sgorlon, in località Palazzetto, e Portogruaro.

Dal diario di Mons. Saretta. – La sera dell’8 novembre le ultime pattuglie dei nostri passarono sulla sponda destra del Piave ; di lontano si udivano i primi rombi di cannone e, fragorosi, spaventosi, gli scoppi della dinamite che abbattevano gli ultimi edifici, le ultime torri campanarie, i vari ponti sui canali della sinistra Piave. Nella nuova casa di Grisolera, nel Conventino, posto sull’argine sinistro del Piave, si raccolsero presto i primi ammalati che furono affidati in cura alle suore : così si improvvisò un piccolo ospedale, e il presagio di queste sacrificate, di cui nessuno ancora raccontò la storia dolorosa, cominciò ad effettuarsi. Una ragazza del popolo, una certa Boscaro, ed un soldato italiano, gravemente ammalati, ebbero, per primi, in quella casa tutta l’assistenza, tutte le cure più delicate e più materne.

San Donà nel dicembre 1917

L’esodo verso Grisolera

Ritenuta inutile la permanenza in S. Donà, teatro di vandalismo e di distruzione, sotto la minaccia di un arrivo imminente delle prime pattuglie austriache, i due cappellani don Giovanni Rossetto e don Umberto Marin, dopo ansiose perplessità, la sera del giorno 7 novembre si erano avviati verso Palazzetto : là, in casa Sgorlon, si era raccolto un piccolo concentramento di profughi. Lungo l’argine, dalla sentinella posta sulla destra del Piave, fu data ai sacerdoti la parola d’ordine, ma questa non fu compresa : i sacerdoti furono considerati quali nemici e una forte scarica di fucileria li gettò attraverso la campagna fangosa, con la bicicletta sulla spalle e il pallore in volto. Furono, per qualche ora, ospitati nell’osteria di Davide Armellin, dove poterono un po’ rifocillarsi : la mattina del giorno 8 novembre giunsero in casa Sgorlon. Don Rossetto proseguì il suo viaggio per le bonifiche in assistenza ad un altro concentramento di profughi : don Marin si soffermò in casa Sgorlon ; aiutato dal capo famiglia, sig. Giacomo, con arte suggerita dall’intelligenza e dalla pietà, allestì, in casa Sgorlon, una piccola cappella. Il giorno seguente, 9 novembre, in quella stanzetta, cappellina ben degna di sostituire il grandioso Duomo del Meduna, perché ricca della fede di tanti disgraziati, fu celebrata la S. Messa, e il Dio degli eserciti, sotto le sembianze di poco pane, riceveva, per la prima volta, l’omaggio delle preghiere di un popolo prigioniero e santificava le lagrime rassegnate di tanti infelici. In casa Sgorlon giunse quella mattina la madre dell’arciprete, sig.ra Letizia Saretta.

Don Umberto Marin cappellano di San Donà

Le prime truppe austroungariche occupano San Donà e Grisolera

Lo stesso giorno 9 novembre il nemico, alle ore 11 antimeridiane, giunse in piazza a Grisolera ; alle due pomeridiane, quando Mons. Saretta rientrò nel Conventino, i nemici avevano ormai occupato S. Donà, si erano già appostati sull’argine sinistro, presso Palazzetto, Arciprete e suore, dispersi nei primi momenti e occupati in mansioni diverse nelle prime tappe di concentramento, si trovarono così riuniti : da questo momento i dolori saranno condivisi, come pure saranno condivisi i pochi conforti e la lotta più aspra e la persecuzione più dura.

I primi Tedeschi giunsero presso il Conventino di Grisolera alle tre pomeridiane del giorno 9 novembre. Camminavano poco discosti dall’argine, guardinghi, con il fucile nelle mani. ̶̶ ̶ Le prime mitragliatrici austriache e germaniche furono piazzate cautamente lungo la strada, presso l’argine. A ogni dieci passi fu posta una sentinella, che si scavò la piccola trincea, e si dispose a passare la notte in vigile attesa. Sul far della sera, una pattuglia, comandata da un tenente, entrò nel Conventino per una ispezione : la vista del sacerdote, delle suore, della ragazza, appena ospitata e gravemente ammalata, indusse i soldati a non occupare quel luogo di dolore ; chiesero del pane che divorarono avidamente ; si mostrarono oltremodo rispettosi, ringraziando l’arciprete del dono ricevuto e passarono ai loro posti di vedetta, sull’argine del fiume.

La Piazza di Grisolera

Gli echi della battaglia risuonano sulle due sponde del Piave

Tutta la notte fu uno scambio ininterrotto di fucileria : le pallottole dei nostri giunsero a foracchiare le imposte dei poveri ricoverati.

Il giorno 10 e 11 novembre la fucileria diventò più fuoribonda : i primi mezzi di artiglieria nemica cominciarono a colpire i nostri soldati, sistemati oramai sulla destra del fiume. I profughi si trovarono circondati dai Tedeschi e a cento metri dai nostri combattenti, che tiravano furiosamente contro il Conventino, per sgomberare quella posizione così tenacemente tenuta dal nemico. ̶̶̶ ̶ All’oppressione della prigionia, si aggiunsero i primi fatti dolorosi, le prime vessazioni morali. Sono vessazioni a cui noi semplicemente accenniamo, tralasciando, in queste narrazioni, tutti i nomi, per un doveroso riguardo a tante giovani creature tuttora viventi, e che meritano il massimo rispetto, la venerazione più sincera, anche se nelle orgie perpetrate in quei primi giorni rimasero vittime di passioni ignobili da parte di elementi nemici.

I primi effetti dell’occupazione sulla popolazione rimasta

Il 10 novembre giunsero spasimanti in casa Sgorlon tre fanciulle : il volto sconvolto, le vesti infangate, mostravano di aver subito una lunga lotta e affrontato un gravissimo pericolo. Soldati austriaci, sbandati e briachi, le avevano sorprese rannicchiate nei loro rifugi : erano sfuggite al disonore con una arditezza che ebbe dell’eroismo. ̶̶̶̶ ̶ ̶ Le stesse violenze la notte del 10 novembre, in casa Sgorlon, contro alcune giovinette dai 12 ai 14 anni e contro una giovane sposa di 22 anni, già prossima a diventar madre. ̶ ̶ ̶ Simili infamie a Grisolera, a Catturcata, a Cittanova. Le notizie si propagarono con una rapidità spaventosa fra i profughi e aumentarono in tutti, giustamente le preoccupazioni.

Quel giorno stesso don Umberto Marin si presentò al Comando austriaco, sistemato in villa Ronchi ; presentò una protesta contro gli incidenti successi. Gli ufficiali lo accolsero benevolmente e promisero che avrebbero subito adottate misure più severe per impedire, da parte della truppa, nuove brutalità ; ma, come vedremo, furono promesse che non si mantennero ; le violenze si rinnovarono con una facilità spaventosa in tutto il tempo della prigionia ; si giunse perfino a vari delitti di sangue.

Queste notizie arrivarono anche nel Conventino di Grisolera, trasportate, nota melanconica, in una casa di tristezza e di spavento, dai profughi ritardatari provenienti da S. Donà.

La completa interruzione di tutto ciò che costituisce il rapporto con la vita civile, e l’incertezza dell’avvenire non facevano che accrescere lo sgomento e la trepidazione ; sgomento e trepidazione che venivano confuse con le più strane ipotesi, da quando, nel pomeriggio del giorno 11, si videro i Tedeschi raccogliere, dalle case di Grisolera, le botti, riunirle insieme per preparare il passaggio sul Piave sopra passerelle galleggianti. Non era ancora la guerra, la vera guerra : una calma verso il tramonto fece pensare ad una ritirata avversaria ; era invece la calma sorda, tetra, che preparava il primo scontro.

Grisolera in una foto di repertorio austriaca

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte; 6 – 9 novembre 1917  seconda parte; 9 – 11 novembre terza parte; 9 – 12 novembre (Passarella) quarta parte; 12-14 novembre 1917 (Passarella) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte