Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 230-235)
Don Zandomenighi riceve l’ordine di evacuazione
I primi giorni di prigionia furono giorni di dolore. Con poche parole descrive don Zandomenighi le condizioni di Passarella : “ Il campanile, che gli ungheresi non avevano potuto colpite, era divenuto bersaglio dell’artiglieria italiana, e da Capo Sile, da Fossalta e Fossetta erano granate continue che piombavano sopra di noi. Fu volere di Dio se la canonica non fu colpita : era piena, stipata notte e giorno di spose, ragazze, tenere fanciulle che si stringevano intorno al parroco per salvarsi dalla brutalità di una soldatesca ubbriaca “. Il 16 novembre, nel pomeriggio, il colonnello ungherese, che comandava quel settore, impensierito lui pure dall’imperversaredelle granate, – una di queste era caduta, gettata da un aereoplano francese, sulla canonica e avrebbe dovuto fare un’ecatombe, – ordinò al parroco di allontanarsi immediatamente con tutto il popolo e di dirigersi con questo alla volta di Ceggia : “ Perché – disse, in cattivo italiano, – oggi essere qui, ore 4, grande bombardamento “. – Contemporaneamente l’ordine si passò di casa in casa. Fu una partenza precipitosa, coadiuvata in qualche modo dagli stessi soldati ungheresi che avevano avuto l’incarico di accompagnare la colonna di profughi a Ceggia, presso il Comando militare, dove popolo e parroco avrebbero ottenuto una destinazione definitiva. “Si caricò in fretta, continua don Zandomenighi, una carretta di sacchi, di materassi e di tutto quel meglio che si potè trasportare ; nella mia carrozza, fra le valigie e le coperte, si collocò una povera vecchia ; lo stesso, guidando a mano il cavallo, precedetti una lunga fila di carri e di popolo che mi seguiva ; si percorse l’argine del Piave verso Palazzetto, per passare il ponte di barche, costruito dal nemico. Dio mio ! quanti pericoli e quanto orrore ! L’argine era qua e là rotto dalle trincee ; era un rischio continuo dover passare ! Nei campi e nelle trincee stesse stavano accumulati cadaveri insanguinati, col fucile ancora stretto fra le mani ; granate lanciate contro il ponte si schiantavano sulla scarpata o si spegnevano rabbiosamente nel fiume “. La colonna sembrava interminabile : ai fuggiaschi di Passarella si erano uniti i fuggiaschi di Chiesanuova.
Nessun incidente sul ponte : il passaggio fu preoccupante, e si effettuò fra gli scoppi continui delle granate lanciate dai nostri. Il parroco passò per primo, scortato da due ungheresi, e il popolo seguì il suo esempio ; ma poi il sacerdore, appena raggiunta la sponda sinistra del fiume, lasciò procedere la colonna : egli si arrestò sull’argine sinistro per assistere a tutto il passaggio, per dirigere quella strana processione di carri e di fuggiaschi. Sull’argine sinistra, sdraiati per terra, col fucile spianato verso la sponda destra, Ungheresi disposti in ordine sparso ; a piè degli argini, piccoli raggruppamenti di Ungheresi un po’ avvinazzati, in attesa di un ordine che li lanciasse all’assalto, assistevano con indifferenza, frammista a qualche frizzo e sorriso sarcastico, a quel passaggio.
La lunga colonna aveva terminato il passaggio pericoloso e prendeva ordinatamente il largo verso Ceggia, quando una granata italiana, lanciata da Fossetta, si infranse contro il fabbricato dell’agenzia Vianello ; fu colpito in pieno un concentramento di Ungheresi che stava preparando le munizioni per procedere all’attacco, che ormai si era iniziato, contro Musile e Piave Vecchio : 14 soldati furono maciullatio : il loro sangue si spruzzò contro i muri esterni del fabbricato dell’agenzia ; qualche pezzo di carne umana fu lanciato sul calesse del parroco che rimase imbrattato di sangue e di fango, avvolto in una nube densa ed oscura, e sbattuto violentemente al suolo per lo spostamento dell’aria.
Dopo i rischi della attraversata del Piave, ci sono quelli della campagna
Si proseguì a passo lento, lungo l’argine, verso Ceggia ; si abbandonò l’argine più tardi per prendere la direzione verso Isiatta. Il parroco intanto era di nuovo passato in testa a quella lunga comitiva, e ai gendarmi, che lo accompagnavano, chiedeva con insistenza : “ Ma… dove si va per questa parte ? E questa notte che cosa succederà di noi ? “. – Giunse la notte ; quella povera gente, senza poter gustare un po’ di cibo, dovette continuare il viaggio, che diventava, attraverso la campagna, sempre più pericoloso. I lunghi razzi lanciati dai due eserciti, le larghe scie di luce proiettate dai riflettori italiani sembravano incaricarsi ad aprire il varco a quel popolo per strade del tutto nuove. – Alle ore 9 di sera, un po’ di sosta ; e poi, dopo pochi minuti, si riprese il cammino : “ Ma dove si va? “, chiese di nuovo don Zandomenighi. “ Avanti ! Dopo tre chilometri, stare borghesi ! “, rispondeva il sergente che lo accompagnava.
Gli Ungheresi, sempre con la baionetta innestata, accompagnarono la comitiva ancora per poco tempo. Poi si fermarono : assistettero alla sfilata della carovana, e poi, spianato il fucile in aria, in direzione del Piave, lasciarono partire alcuni colpi, e, senz’altri complimenti, reso così a quel popolo un saluto, all’ungherese, ripresero la via del ritorno,
La colonna procedette sempre fra le tenebre. – Verso le dieci di notte si incontrò con l’artiglieria ungherese, diretta al Piave. Per quella viuzza il passaggio apparve impossibile ; ma gli artiglieri, smontati dai loro pezzi e dai cavalli, in pochi minuti disposero la colonna dei fuggiaschi e i loro carri sul ciglio della piccola viuzza, e poi, con massima cautela, senza parole né frizzi, rasentando il ciglio opposto, proseguirono il viaggio verso il fronte. Il tenente ungherese, che comandava il drappello, si fermò presso il parroco ; quando l’ultimo pezzo gli transitò dinanzi, strinse la mano al vecchio sacerdote, gli rese il saluto e a piedi seguì lui pure il suo ultimo carro, guardando commosso quella povera gente lacera ed affamata, che forse gli rammentava, in quel momento, le stesse miserie a cui era sottoposta la sua patria.
L’arrivo in prossimità di Ceggia (o più probabilmente a Isiatta come si desume dal racconto del Chimenton)
Si giunse in Ceggia, “ alla prima casa di borghesi “, come avevano detto gli Ungheresi, – Il parroco entrò nel cortile di quella casa con tutta quella gente, per attendervi il mattino : le donne e gli uomini si adagiarono sopra o sotto i carri, riparati da qualche coperta ; i più robusti preferirono rimanese all’aperto, accoccolati sotto le piante ; i vecchi furono disposti sotto il porticato ; i bambini e le mamme, in numero più di novanta, furono concentrati nel vasto granaio, e si arrangiarono, in qualche modo, sopra il granone, già raccolto dalla campagna.
La difficile convivenza con i militari di truppa ungheresi
In quella località, senz’ordini, senza una sistemazione ufficiale, quei profughi dovettero rassegnarsi a passare le prime giornate della prigionia. La mattina si provvide ad una sistemazione più razionale di quella massa, disperdendola, come fu possibile, fra le varie famiglie del luogo ; nella casa d’arrivo rimase sempre il centro della colonna, Furono giornate di spasimi e di continue minacce. “La massima indisciplinatezza, da parte dell’esercito nemico, portava un continuo allarme alla massa di quei disgraziati. I soldati austriaci e ungheresi, di notte e di giorno, assediavano le case, insidiavano alle donne, violentando specialmente le fanciulle : queste ultime dovettero ridursi in compagnia del loro parroco, lontane, perché più sicure, perfino dai genitori. – La notte dal 16 al 17 novembre un ungherese, a tutta forza, voleva entrare in una stanza, e al parroco, che in via assoluta si oppone alla sua sete libidinosa, presentò il suo pugnale, in atto minaccioso, per colpirlo. Don Zandomenighi, non più giovane di età, ma pure forte e robusto, si lanciò sopra di lui : con una mano lo afferrà per la divisa, sopra il petto, e con l’altra arrestò quella mano armata, e in un supremo sforzo di nervosismo, dopo una colluttazione violenta, portò di peso, alla porta della cucina, quel soldato e lo gettò stramazzone nel fango in mezzo al cortile.
La mattina del 17 don Zandomenighi rivide quel soldato ungherese : digerita la sbornia che in quella notte lo aveva trasformato in delinquente, preoccupato anche di un possibile rapporto a suo carico, chiese perdono al sacerdote e lo ottenne : da quel momento divenne il miglior amico del popolo di Passarella.
La seconda notte un nuovo incidente. Un altro ungherese voleva, a tutti i costi, entrare nel granaio interamente ripieno di donne, Quella volta il sacerdote non attese una minaccia per agire con energia : lo afferrò sulla sommità delle scale, e con una spinta, datagli a tradimento, lo fece ruzzolare giù per una quarantina di scalini : quel malcapitato, zoppicando, si allontanò da quel luogo, forse per notificare il suo eroismo e le sue ferite che lo resero malconcio, e farsi inserire nell’ordine del giorno per una proposta ad una nuova onorificenza per merito di guerra, onorificenza acquistata nel campo del …disonore ! Scomparve per sempre, dopo di aver appreso, a proprie spese, che le energie, specialmente in un campo di battaglia, si devono esercitare in ben altri combattimenti.
Il giorno 18, don Zandomenighi credette suo dovere presentarsi al comando ungherese di Ceggia, per reclamare un pò di sorveglianza attorno alla sua casa ; si incontrò con una signorina ungherese che lo salutò rispettosamente, gli baciò la mano, e si dichiarò disposta a favorirlo presso il Comando in ogni sua richiesta. Il sacerdote si limitò ad esporre le sue lagnanze per le vessazioni subite e ad implorare provvedimenti : ” Si – rispose in buon italiano quella signorina, – ma lei non può procedere fino a Ceggia : questa notte le granate italiane hanno preso di mira il palazzo Cà Loro, dove risiede il Comando generale : nessuno può procedere verso quella posizione. Però può presentarsi al Comando di divisione “. Scrisse un bigliettino in fretta, che consegnò ad un soldato : questo ricondusse il sacerdote un pò indietro, presso il Comando di divisione. Il generale lesse il biglietto, sopra una carretta di campagna, don Zandomenighi fu condotto al Comando generale.
Don Zandomenighi prima incarcerato e poi nominato parroco dagli occupanti
Ma poi si cambiò scena : L’Austria, che procedette sempre a base di spionaggio e di sospetti, si comportò così anche questa volta. Don Zandomenighi fu sottoposto ad un interrogatorio che si prolungò più di un’ora ; si estese un lungo verbale, e poi il povero prete fu passato alle carceri militari, in attesa di una nuova inchiesta e di nuove informazioni. In quelle carceri rimase tre giorni in compagnia di due borghesi, senza cibo : un pò di acqua fu l’unico ristoro di quelle giornate. E furono pure tre notti insonni, in compagnia di quei borghesi, rei di delitti che non conoscevano. Il terzo giorno giunsero le risposte richieste : a mezzogiorno il sacerdote fu messo in libertà invitato alla mensa degli ufficiali e proclamato, fra i brindisi, da quel Comando, parroco di Ceggia, ma con l’assoluta proibizione di muoversi dal luogo.
L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:
29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte