Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV pp. 217-218; pp. 222-224; pp. 241-242)
A Torre di Mosto si era rifugiato il parroco di Passarella don Innocenzo Zandomenighi, nominato parroco dalle truppe di occupazione. E qui vi sarà l’incontro con Monsignor Saretta. Monsignor Chimenton intreccia i racconti degli scritti del parroco di Passarella e quelli di don Umberto Marin per narrare l’arresto dei due sacerdoti di San Donà.
Il clero attenzionato dalle truppe di occupazione
Quale l’accusa che gravava sul clero di S. Donà di Piave? L’accusa dello spionaggio, facile e opportuna scappatoia per levarsi d’intorno dei sacerdoti che costituivano un controllo prolungato sulle vessazioni che, con freddo cinismo, si perpetravano dai nemici sul popolo italiano.
Non destano meraviglia, se si tiene presente questo concetto, le disposizioni segrete emanate contro il clero italiano, ritenuto sempre dall’Austria come una spia, un elemento equivoco che bisognava o domare con la fame o sopprimere con la violenza. Questo principio, che fu principio fondamentale della politica tenuta dall’Austria nei paesi invasi, fu sanzionato in varie circolari : ne citiamo semplicemente una : « In caso di offensiva, e se per ragioni di difficoltà non venisse effettuato lo sgombero, tutti i borghesi di sesso maschile che vivono qui, verranno dichiarati in arresto e rinchiusi a cura del personale del reparto informativo ; il parroco, sotto la sorveglianza mia personale, sarà tenuto nella prigione ». (nota: ” La Battaglia del Montello, Comando dell’VIII Armata, Ufficio informazioni, riservatissimo, luglio 1918 – Battaglia del Montello, Comando dell’VIII Armata – “I.R. 44 Regg. Famt., Misure di precauzione per la repressione dello spionaggio nemico” – SI riferisce allo spionaggio compiuto dai nostri invasi nel territorio di Sernaglia”.)
Mons. Saretta e don Marin furono maggiormente colpiti da questa imputazione di spionaggio. – Mons. Saretta era ormai caduto nelle mani della giustizia : il severo controllo organizzato attorno alla sua persona non lasciava incertezze ; un po’ difficile invece si presentò la cattura di don Marin.
Dal Diario di don Zandomenighi: l’incontro con Mons. Saretta
Giunse il giorno 8 dicembre, giorno indimenticabile per il clero di S. Donà. Dispersi dalla guerra, i due parroci di S. Donà e di Passarella si trovarono momentaneamente ricongiunti sulla via del dolore e della fame ; la loro posizione giuridica si era interamente tramutata : don Zandomenighi, parroco eletto di Torre di Mosto, a Mons. Saretta, profugo e ramingo, un giorno suo superiore, concedeva l’elemosina e il soccorso. L’uguaglianza delle sofferenze fece dimenticare ogni divergenza giuridica : sul campo del dolore i due rappresentanti legittimi del popolo si intesero, si scambiarono i soccorsi, organizzarono un piano di comune salvezza.
Cediamo la parola all’ex parroco di Passarella : « Avevo celebrato la prima Messa e, ritornando a casa, mi incontro con l’arciprete di S. Donà : la barba lunga, pallidissimo, ma pure con il fare scherzoso, mi domandò il permesso di celebrare, e mi disse che fra un’ora sarebbero arrivate tutte le suore, e, fra qualche giorno, forse domani, anche sua madre con la donna di casa. Avevo quattro camerette con due letti ; a noi, quattro giorni prima, si era aggiunto P. Emidio, l’economo di Chiesanuova : quella mattina stessa domandarono ricovero il sig. Roma di S. Donà e, più tardi, don Umberto Marin. Come fare? Come provvedere di alloggio? Le suore, come tante pecore, occuparono la stanza vuota, priva di letti, e si accontentarono di riposarsi così, gettate sul nudo pavimento, nell’estrema povertà come il poverello d’Assisi in S. Damiano ; l’arciprete di S. Donà, il P. Emidio ed io su di un unico letto, da buoni fratelli, don Umberto nella stessa stanza ; la nipote, le cugine, la signora Letizia Saretta, l’inserviente, nella quarta stanza, esse pure sul nudo pavimento ». E per il vitto? Il problema si presentò ancor più interessante : « le due mie cugine e la nipote, che ormai erano conosciute, in giro ogni mattina, presso le varie macellerie per domandare un po’ di carne, e al molino per chiedere farina, e sul mezzogiorno in caserma, presso i gendarmi, con una pignatta, per prendere un po’ di minestra : il pranzo doveva essere allestito in due o tre riprese per mancanza di piatti e di posate ». Condizioni compassionevoli, ma ben più fortunate di quelle in cui si trovò gettata la gran massa del popolo di S. Donà, sotto l’oppressione di un nemico, e in momenti così tristi e così fatali. Allo stimolo della fame che tormentava, all’ostilità di uno spionaggio spietato, alle continue requisizioni che privavano il popolo di tutto e lo sottoponevano ad un regime insostenibile, non è da scordarsi la preoccupazione di un avvenire che si avanzava minaccioso, saturo di nuove persecuzioni e di nuovi pericoli.
Dal diario di don Umberto Marin: lo sgombero di via Sgorlon
Dopo l’arresto di Mons. Saretta e il suo internamento a Torre di Mosto, si volle dal Comando militare di Palazzetto che fosse allontanato da quella posizione anche il cappellano che, alle dipendenze dell’arciprete di San Donà, prestava il servizio religioso alla comunità concentrata in casa Sgorlon.
Un capitano a cavallo giunse la mattina del 13 dicembre a casa Sgorlon : riferì al cappellano che quella stessa mattina doveva partire. Il capitano, che parlava perfettamente italiano, si mostrò gentilissimo nei suoi atti ; con un atteggiamento quasi compassionevole verso il sacerdote, disse che motivi di convenienza avevano costretto l’autorità austriaca a trasferirlo in altra sede. Don Marin non si lasciò vincere da quelle prime parole melate : teneva con sé, nascosto in casa Sgorlon, tutto il tesoro della chiesa di San Donà. Il capitano, sempre con modi gentili, conchiuse : « E’ ordine superiore ; io devo eseguire quest’ordine, e lei veda di seguirmi! ». Fu inutile ogni resistenza : don Marin gettò su di una carretta di campagna un po’ di masserizie ; poi salì in cappella, prese la sacra pisside con le Specie consacrate, se la assicurò al petto, sotto le vesti, e, fra le grida di quella comunità e dei profughi accorsi dalle cascine circonvicine, intraprese il suo viaggio. Così la comunità di casa Sgorlon rimase priva del sacerdote e dei conforti della fede ; di essa si interessò, a lunghe riprese, don Rossetto, in quell’epoca impegnato in una missione del tutto pastorale nel concentramento di Cà Fiorentina.
L’arrivo di don Marin a Torre di Mosto e l’incontro con Monsignor Saretta
Dopo un viaggio lungo e faticoso, stanco, affamato, inzaccherato, don Marin giunse a Torre di Mosto poco dopo il mezzogiorno. Sulla pubblica piazza, contornato da gendarmi, lo attendeva l’arciprete di San Donà, già informato del suo arrivo, e che, dimenticando per un momento le sue lunghe sofferenze, fece al nuovo arrivato una festosa accoglienza. I due sacerdoti si abbracciarono e si baciarono tra le lagrime ; poi : « Porto con me l’Eucarestia! », esclamò il cappellano. Mons. Saretta s’inginocchiò, adorò Cristo, « che veniva a confortarlo nel Calvario da lui tanto coraggiosamente e con tanta generosità d’animo intrapreso ».
Monsignor Saretta e don Marin arrestati
I soldati fecero salire i due sacerdoti su di una carretta campestre e il convoglio si mosse. – Per dove? Era una nuova incognita a cui non si sapeva dare una risposta. Sulla stessa piazza di Torre assisteva, quale spettatore, il sig. Umberto Roma di San Donà. – Questi, commosso dinanzi a quella scena stranissima, si accostò ai due sacerdoti per rivolgere loro un saluto e una parola d’incoraggiamento. « Eh ! ci segua ! – esclamò Mons. Saretta ; – ci faccia compagnia ! » – « Ben volentieri ! », rispose il sig. Roma ; e salì, arrampicandosi su quel calesse già ormai in movimento. – Ma non era un viaggio di piacere : subito si comprese che la comitiva era diretta a Ceggia, presso il Comando di divisione, sistemantosi a Villa Loro. – Umberto Roma, conosciuto l’equivoco, chiese di tornare a Torre di Mosto : i gendarmi si opposero e lo dichiararono prigioniero di guerra, unitamente ai due sacerdoti. – A Villa Loro i tre prigionieri furono gettati in una lurida stanza : passarono la notte su un povero giaciglio ; tre soldati, con la baionetta innestata, furono incaricati a far la guardia a quei malcapitati, uno nella stanza stessa, il secondo fuori della porta e il terzo alla finestra. I prigionieri furono trattati da veri furfanti, o meglio da delinquenti.
L’interrogatorio e l’insperata liberazione
La mattina i tre prigionieri consumarono le Sacre Specie. – Verso le nove, si iniziò l’interrogatorio presso la cancelleria del tribunale di guerra. L’equivoco per il sig. Roma fu subito chiarificato : il prigioniero improvvisato fu rimesso in libertà ; al contrario l’interrogatorio dei due sacerdoti si protrasse fino alle tre e mezzo del pomeriggio ; furono discussi a lungo i rapporti presentati dai due sacerdoti contro le violenze e le rapine perpetrate dai soldati a danno delle donne e delle famiglie profughe. La montatura dello spionaggio tramontò, e anche i due sacerdoti, digiuni da ben 24 ore, furono rimessi in libertà. Si volle anzi, da quel Comando riparare, in qualche modo, all’affronto fatto ingiustamente patire : in una carrozza, unitamente al sig. Roma, i due sacerdoti furono ricondotti a Torre di Mosto. (1)
(nota 1): Il Sig. Umberto Roma rimase a Torre di Mosto fino all’armistizio ; ma la sua permanenza in quella località fu sempre poco fortunata : privo di notizie dei suoi familiari, visse giornate di dolore, come tutto il popolo invaso di San Donà ; riportiamo qualche periodo della lettera, spedita a Mons. Saretta, risiedente in quell’epoca a Portogruaro, il 22 luglio 1918 : “ Da molto tempo non ho notizie dirette ; però ognuno che so venire da Porto, lo interpello se mi sa dare di Lei notizie…. Spero continuerà a star bene ; fui ammalato, con otto giorni di letto lo scorso giugno : fortissimi dolori intestinali mi lasciarono in brutto stato… ; ieri tornati a disturbarmi : speriamo sia cosa passeggera. – Immagini lo stato dell’animo mio per non aver ancora notizie dei miei cari… Io e la sorella ce la passiamo, nella speranza che il buon Dio calcoli questo tempo per un po’ di purgatorio ; ma non le enumero i dispiaceri che soffriamo, ecc. “. (Cfr. Arch. Di Curia, incarto San Donà di Piave e la nuova chiesa).
Dal diario di don Zandomenighi: una nuova destinazione per la comunità di Monsignor Saretta
Passarono sei giorni in queste condizioni anormali, « quando, la mattina del giorno 14, Mons. Saretta e don Marin furono chiamati in tutta fretta dai gendarmi austriaci ; una carretta era giunta nel cortile ; i sacerdoti furono fatti salire : dovevano essere ricondotti nuovamente a Ceggia. E si fermarono a Ceggia tutta la giornata, sottoposti ad un nuovo interrogatorio lungo e minuzioso. Ritornarono a tarda sera tranquilli. Ma forse non era rimasta contenta e soddisfatta la cattiveria austriaca : la mattina del giorno 15, per tempo, un soldato mi venne a domandare, per ordine del Comando, se la sera antecedente erano ritornati i due sacerdoti, e a quale ora fossero ritornati ; due giorni dopo un ordine militare internava i due sacerdoti, con tutte le suore, a Portogruaro ».
L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:
29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre 1917 undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte