Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV pp. 206-210)
Primo dicembre, la certezza che la guerra continuerà
Il primo giorno di dicembre un aereoplano austriaco, volteggiando a bassa quota, lasciò cadere su Grisolera, fin presso S. Donà, dei piccoli manifesti che annunziavano la pace separata con la Russia : si assicurò così che la guerra avrebbe assunto una maggiore audacia sul fronte italiano.
Il ricordo di San Donà commuove i profughi
Lo stesso giorno, il più sfacciato saccheggio di quanto non si era potuto nascondere nelle case di Palazzetto, in Cà Fiorentina e in Cà Catturcata. – Il giorno 2, domenica, il servizio religioso si potè effettuare in tutti i concentramenti : Mons. Saretta incaricò il cappellano don Marin a portarsi per la seconda messa in Catturcata. Non è possibile descrivere l’entusiasmo con cui il sacerdote fu accolto da questa comunità : al Vangelo don Marin rivolse al popolo il suo saluto, pieno di fede e d’entusiasmo, e commentando il passo biblico Super flumina Babilonis illic sedimus et flevimus, ricordò la casa abbandonata, la chiesa dove molte lagrime si erano sparse e voti ardentissimi si erano innalzati : luoghi santi, a cui erano intrecciate una storia e tante sacre memorie. Il ricordo del paese, della casa, della chiesa suscitò un fremito di indignazione e un profluvio di lagrime.
L’incoscienza delle suore le guida sino a San Donà
Il lunedì 3 dicembre iniziò una nuova settimana tragica. Nella speranza di ottenere qualche aiuto, quella mattina Mons. Saretta si era recato a far visita al cappellano di un reggimento austriaco. Durante la sua assenza tre suore e la domestica di canonica, sig. Rosa Carniato, una donna piena di coraggio confinante con un ardimento spinto alla follia, presero la strana risoluzione di portarsi a piedi fino a S. Donà per una ricognizione. Prive di ogni biglietto di passaggio, costeggiando sempre l’argine, a piè della scarpata, per essere riparate dal tiro della fucileria italiana, giunsero a S. Donà : l’argine sinistro del Piave era interamente abbandonato,
‹‹ Visitammo l’asilo, completamente saccheggiato e in più punti colpito da granate ; alcuni soldati austriaci si dividevano gli oggetti che avevano trovato sopra la soffitta della cappellina e sotto l’altare, nascosti là prima della nostra partenza, nella ingenua speranza di sottrarli all’ingordigia dell’invasore. Di là passammo al cimitero, che trovammo abbastanza intatto ; era scoperchiato l’ossario, e la mura di cinta colpita in più parti ; la tomba della nostra sorella, suor Santa Tommasoni, non aveva avuto alcun danno ; mentre recitavamo per l’anima di lei, raccomandandoci alle sue preghiere, il De profundis, sul cielo volteggiavano minacciosi sette aereoplani italiani che pareva spiassero le nostre mosse.
̶ ̶ Dal cimitero, alla chiesa ; vi potemmo entrare a stento, perché il pavimento era ingombro di macerie ; il tetto era in gran parte crollato, l’organo gravemente danneggiato, il tutto messo a soqquadro. Anche la bella statua della Madonna era scomparsa. Molti banchi erano stati asportati. Intatta ancora si conservava la cappella di Maria Bambina, ma le magnifiche vetrate erano tutte infrante. Dalla chiesa alla canonica : semi distrutta come tutte le altre case della piazza di S. Donà, che pareva un cimitero sconvolto. ̶ ̶ Non potemmo che prelevare un ostensorio, un crocefisso della chiesetta dell’ospedale militare e alcuni metri di panno nero, che doveva aver servito per drappo mortuario, e che, più tardi, in un’altra fuga, doveva servire per velo ad alcune di noi ››.
Mentre uscivano dall’ospedale militare, un soldato austriaco le ammonì del pericolo a cui erano esposte. Inconscie della gravità del passo che stavano per compiere, attraversarono la piazza a pochi metri dall’argine del Piave, e si diressero all’ospedale civile : Il fabbricato era sufficientemente intatto, ma del tutto completo il saccheggio di ciò che le suore avevano abbandonato. ‹‹Potemmo solo raccogliere la statua del S. Cuore, alcuni libri e qualche indumento ; nel refettorio trovammo un soldato che indossava il vestito di una suora, e che depose subito appena ci vide comparire ; un altro soldato, in cappella, con la tovaglia della balaustra si fasciava i piedi. Terrorizzate da una fitta scarica di artiglieria di tutti i calibri, che pareva puntasse contro di noi, fra il sibilio delle pallotole, intontite, prendemmo la corsa del ritorno››.
Erano le quattro pomeridiane e la giornata calava assai tetra. E a quelle ardite, troppo imprudenti, sebbene degne di encomio per il sangue freddo sempre addimostrato, erano riservate, nel ritorno, sorprese poco gradite. Rifatta la strada dall’ospedale alla piazza, attraversata frettolosamente quest’ultima, per la Via dei Tigli, giunsero sotto l’argine del Piave. Vollero seguire un’altra via nel ritorno : alcuni figuri che le avevano lasciate passare e non pareva fossero disposti a mostrarsi verso di loro cavalieri onorati, le avevano seguite a lungo con aria minacciosa ; la nuova via che si intendeva percorrere, era più breve e più opportuna per quattro donne che, in sul tramonto, in mezzo a tanti pericoli, tra soldati capaci di ogni azione, dovevano percorrere ancora circa dieci chilometri di strada a piedi, su un terreno sconvolto, sparpagliato di cadaveri e, più di tutto, ingombro di munizioni di guerra.
Appena giunte sulla rampata, presso la casa abitata un giorno dal segretario comunale sig. Livio Fabris, una sentinella le invitò a presentarsi al vicino Comando, sistemato in casa Maschietto. Dopo un rapido interrogatorio, in cui quelle donne si sforzarono di far capire ad un tenente lo scopo del loro viaggio e il desiderio di ritornare a Grisolera, furono con difficoltà esaudite : un soldato fu incaricato dell’accompagnamento. Il soldato si dimostrò sempre premuroso e gentile verso quelle donne ; fu, in realtà, una scorta sicura, ma aveva avuto ordini tassativi : condurre le suore presso un Comando di linea, a 200 metri appena da S. Donà, e che aveva stanza in una grotta, scavata nell’argine stesso del Piave, presso la rampa. Il nuovo interrogatorio fu breve, e si decise di far accompagnare le suore a Ceggia, e non più a Grisolera che doveva essere ormai sgombra dalla popolazione civile. Era un nuovo pericolo per la comunità religiosa : la separazione avrebbe certamente avuto fatali conseguenze.
Insperatamente libere
Quelle suore tanto piansero e tanto pregarono che furono lasciate libere, in balia di sé stesse, sotto la piena e personale responsabilità per tutti gli incidenti a cui potevano rimanere esposte. Esse accettarono l’intera responsabilità : per quelle suore era preferibile la morte, anziché rimanere a disposizione di un Comando austriaco e di soldati ed ufficiali di tutte le fedi e di tutti i costumi. Era ormai notte ; le granate fioccavano qua e là, ad intermittenza, sul terreno sconvolto ; i riflettori spiavano il cielo dalle due parti dei combattenti e illuminavano di una luce sinistra la via che si doveva percorrere : quelle donne, tutte sole, tra gli spasimi continui e le preghiere, con passo più che affrettato, inciampando spesso nelle pozzanghere e fra i reticolati, giunsero finalmente a casa Sant. Non erano più attese né da Mons. Saretta né dalla comunità : il giusto rimprovero del sacerdote si trasformò in gioia alla narrazione delle peripezie incorse : su quelle fortunate vegliò la mano di Dio. Ne ricordiamo i nome : suor Giuseppina Fossa, suor Battistina Lanza e la sorella Giuseppina.
Continua la difficile convivenza in casa Sant
La notte dal 3 al 4 dicembre fu un’altra notte tormentosa per l’intera comunità. I soldati austriaci, che tenevano occupato il pianterreno di casa Sant, quel giorno avevano data la caccia ad un maiale ; la sera sedettero a banchetto per consumare la facile selvaggina in una di quelle orgie che così spesso si ripeterono nelle nostre regioni invase. Non mancò il vino prelibato ; non mancarono i liquori più rinomati, rubati a Grisolera : tutta la notte, fino alle cinque del mattino, si prolungò una gazzarra stomachevole, frammischiata da canti e frizzi immorali, consolata dal gridio stridulo di un verticale, rubato con il solito sistema della violenza austriaca. Non si rispettò il sonno delle donne ; non si badò ai gemiti degli ammalati : la violenza era più o meno inaugurata a sistema in tutti i paesi invasi e bisognò tacere : ogni reclamo sarebbe stato scontato con la morte sotto il colpo di un pugnale o con la strage di una bomba a mano.
Prima ancora che sorgesse il sole del 4 dicembre, la comunità, dopo una notte agitatissima. Era uscita di casa e si era portata a Grisolera per i funerali di un vecchio. La cassa funebre fu formata colle stesse porte della casa Sant, e il feretro fu coperto con uno sciallo nero. Il calesse, una carretta da campagna, fu trascinato da un magro ronzino che più volte cadde al suolo, sfinito per mancanza di nutrimento : suore e donne dovettero sostituirsi a quella bestia, fino al cimitero.
Il giorno 5 dicembre un nuovo funerale a Grisolera : una donna, una certa Balbo, era morta, consunta dai patimenti e dallo spavento. Mons. Saretta volle celebrare la Messa tra le rovine della chiesa di Grisolera presente il feretro : ultimata appena la Messa, alcune granate italiane colpirono l’unica cappella rimasta intatta ; dell’artistico edificio non doveva rimanere che un cumulo di macerie continuamente battute e sconvolte.
Lo stesso giorno si diffuse fra i nostri la notizia che i Tedeschi avevano avanzato per sei chilometri e occupato Croce di Piave e Losson di Meolo : era una notizia falsa, diffusa ad arte dagli Austriaci per sollevare lo spirito dei combattenti ed opprimere maggiormente i nostri profughi.
La fame cominciò a farsi sentire : le poche provviste si assottigliavano sempre più ; il pane stesso della carità veniva a mancare. – A Grisolera funzionavano una macina e un forno che servivano per tutta la zona ; ma il pane fresco era assai raro, mancava perfino agli ammalati. Mons. Saretta più volte domandò a qualche ufficiale un pò di pagnotta e di rancio per sè e la numerosa famiglia ; fu sempre assistito, in quest’opera di soccorso, dal capitano di Gorizia, già sopra ricordato, sig. Paolo Hertzog che, al sacerdote che chiedeva l’elemosina per il suo popolo, offriva quel pane che serviva alla truppa. Il pane era impastato di tutto fuorchè di farina di frumento ; ma in mezzo a tanta indigenza quella carità fu provvidenziale : di pochi ufficiali austriaci il popolo di San Donà conserva un migliore ricordo.
L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:
29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre 1917 undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte