Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 188-194)
Fuggiti da San Donà di Piave in cerca di salvezza, i profughi guidati da Monsignor Saretta nel Conventino di Grisolera si ritrovarono nel mezzo dell’offensiva austriaca e fatti oggetto del tiro dell’artiglieria italiana.
Dal diario di Monsignor Saretta: 13 novembre 1917
Il giorno 12 novembre passò abbastanza tranquillo : i Tedeschi continuarono i loro lavori di sistemazione e di appostamento. La notte fu tormentata da fucileria e da mitraglia. ̶ ̶ ̶ La mattina del 13 novembre la comitiva fu svegliata di soprassalto da un improvviso crepitio di mitragliatrici, piazzate, durante la notte, di fronte al Conventino : i Tedeschi avevano scelto quel punto per passare il Piave.
Le truppe austroungariche oltrepassano il Piave
Dalla vedetta, aperto sul tetto della casa, si potè assistere, verso le sette del mattino, al passaggio a nuoto del primo soldato tedesco ; e dietro a lui, già sicuro ormai sull’altra sponda, sopra una leggera barchetta, da lui stesso rimorchiata con un filo di ferro, un drappello di altri soldati, quasi tutti incolumi, riuscirono a passare il fiume. Il passaggio si effettuò di fronte alla casa Teso. ̶ ̶ ̶ ̶ E si trincerarono subito quei soldati nel folto della macchia non battuta dai proiettili italiani. Il momento fu tragico, emozionante : la barca continuò il trasporto, protetta dalle mitragliatrici, finchè il nucleo di Tedeschi, passati all’altra riva, si lanciò all’assalto del secondo argine tenuto dai nostri.
I nostri non poterono resistere, perché privi di mitragliatrici e scarsi di munizioni, e si diedero prigionieri. ‹‹ Quando vedemmo il primo drappello italiano, ̶ ̶ ̶ ̶ scrive Mons. Saretta nelle sue memorie di guerra, ̶ ̶ ̶ ̶ passare il Piave, trasportato sulla barca dei vincitori, ci parve che la loro sventura si riversasse sopra di noi! Al grido di hoch hoch der Friede! i Tedeschi allargarono la loro penetrazione sull’altra riva, continuando a raccogliere quei pochi prigionieri che venivano disarmati, aggiunti ai primi, e, spinti oltre, attraverso Grisolera, nelle retrovie. La giornata cominciava terribile e noi ne avemmo subito il presagio e la sensazione ››.
Il primo fatto d’armi sconcertò i profughi di casa Sgorlon. In un momento di tregua alcune famiglie lasciarono quella posizione e si internarono nelle bonifiche dell’Ongaro Superiore e nelle paludi dell’Ongaro Inferiore. Don Umberto Marin rimase al suo posto, in piena dipendenza dall’arciprete, in casa Sgorlon, con il nucleo principale, sulle prime linee di combattimento. ‹‹ Non fu audacia, ̶ ̶ ̶ ̶ scrive giustamente don Marin; ̶ ̶̶ ma sentimento del dovere che spinse noi sacerdoti a rimanere fra quei disgraziati che nel sacerdote riconoscevano l’unica loro salvezza ››.
Si ebbe un momento di tregua. Poi una tempesta di granate italiane si riversò, con una audacia del tutto nuova, attorno a casa Sgorlon : obiettivo da parte dei nostri, la villa Ronchi, sede del Comando austriaco, e il ponte che il nemico aveva gettato.
Ma in quel brevissimo intervallo di tregua relativa, la comunità di Grisolera si raccolse nella cappellina; Mons. Saretta incominciò la S. Messa e dispensò la Comunione. ̶ ̶ Contrasto terribile! mai forse, come in quel giorno, a dieci metri dalle mitragliatrici tedesche che crepitarono durante tutta la Messa, e fra il fuoco incrociato delle artiglierie fu offerto il S. Sacrificio! I vetri caddero infranti ; i colpi di fucile echeggiavano d’intorno, e da lontano il cannone della marina italiana e dei porti di Cavallino e di Cortellazzo, cui era giunta la notizia della posizione forzata dal nemico, rintronava l’aria con terribili boati, succeduti dallo schianto delle granate infrante. La posizione del Conventino divenne disperata : Mons. Saretta impartì più volte l’assoluzione a tutti i suoi profughi.
L’artiglieria italiana colpisce la chiesa e il campanile di Grisolera
Verso le ore 12 il Piave fu superato in altre località, di fronte alla chiesa parrocchiale di Grisolera, in località del Vecchio Passo. L’artiglieria italiana da Meolo e da Cavazuccherina diresse allora i suoi colpi, bene aggiustati, sulla chiesa e sul campanile di Grisolera ; dalla vedetta, su cui era tornato, Mons. Saretta assistette al crollo del campanile e allo sventramento dell’artistica cupola. Case fumanti all’intorno, pagliai colpiti da granate e incendiati rendevano la scena terrorizzante. Per rispondere ai nostri, i Tedeschi si affrettarono a piazzare in ogni luogo i suoi piccoli cannoni e le loro nuove mitragliatrici, tra i cespugli, dietro le siepi, sulle finestre stesse delle case. Ma il primo felice successo apparve subito effimero : al di là del Piave, di fronte alla chiesa di Grisolera, i Tedeschi avevano incontrata una resistenza disperata : si udiva una mischia feroce, uno scambio di colpi di pistola e di fucile, un vero duello gigantesco fra i nostri soldati che, presi di soprassalto, non volevano arrendersi e di difendevano dalle finestre del piano superiore delle case, e i Tedeschi che volevano avanzare e fare prigionieri nelle case stesse i pochi nostri ardimentosi che difendevano quella posizione.
La lotta durò tutta la giornata, sempre più incalzante. Poco dopo il mezzogiorno comparvero i primi aereoplani italiani sul cielo di Grisolera, subito seguiti dalle granate di grosso calibro che tempestarono di nuovo la zona. Il Conventino fu leggermente colpito. ̶ ̶ ̶ ̶ La fanciulla Boscaro, assistita dalla propria madre, appariva più oppressa ; più calmo di tutti si mostrava l’arciprete : ma il suo pallore tetro, l’occhio vitreo tradivano lo spasimo che gli martoriava il cuore e la sua preoccupazione per tante persone, specialmente per le suore, che ormai erano affidate alle sue cure : il Conventino di Grisolera si era, durante la notte, trasformato in una vera colonia di sandonatesi, fuggiti da tutte le posizioni, privi di tutto e arrivati là in cerca di un inutile riparo, scampati miracolosamente alla strage. ̶ ̶ ̶ ̶ Ricordiamo, fra le altre, le due famiglie Evaristo Da Villa e Attilio Boscaro.
Nelle prime ore del pomeriggio del giorno 13 la battaglia assunse proporzioni ancor più gigantesche. Il nemico si accanì in una forma disperata per forzare il Piave ; e i nostri rovesciarono le passarelle con una continua tempesta di granate. ̶ ̶ ̶ ̶ Alle tre del pomeriggio un reggimento intero di fanteria nemica era pronto per l’assalto, o, meglio, per il rincalzo alle truppe d’assalto. I nostri aereoplani avevano già segnalato quel punto pericoloso : l’artiglieria italiana, che batteva le rive del Piave, circondò nella sua rosa di fuoco il Conventino.
Il Conventino viene colpito duramente
La comitiva si rinchiuse di nuovo nella piccola sacrestia, a ridosso dell’altare, protetta in tre lati da un solido muro. Impartita da Mons. Saretta l’assoluzione, si cominciò la recita del Rosario ; ma la prima decade non era ancora ultimata, quando uno schianto, sordo e opprimente, poi uno scoppio formidabile, accompagnato da una densa nube di fumo e di polvere, avvolsero gli oranti, inebetiti sotto l’urto immane : grida di spavento echeggiarono per tutta la casa.
Le suore di San Donà rimasero incolumi ; anche suor Lorenzina Fava, rimasta coperta dalle macerie, uscì in preda al terrore, leggermente ferita.
Ma intanto la madre dell’inferma Boscaro chiamava i suoi bambini ; e la superiora delle Giuseppine del Conventino chiamava insistentemente una sua suora che non rispondeva all’appello. I bambini strillavano in preda al terrore : successe un fuggi fuggi generale. Mons. Saretta, con atto energico che confinò, in quel momento, con la violenza, riuscì a imporre un po’ di calma e a raccogliere la sua comitiva in una seconda stanza. Allora si constatò la tragedia che ormai era successa. Una bomba, lanciata da aereoplano italiano, era caduta, rasente il muro esterno della cucina e lo aveva abbattuto : fra le macerie, sotto una grossa trave, si sentì risuonare il gemito di una morente : era una suora, suor Teofila, invano prima ricercata dalla Superiora, che, ritardatasi in cucina, era stata coinvolta in quel disastro. A stento si sollevò la trave che le schiacciava il petto, e si estrasse tra le pietre e i calcinacci la vittima : la povera suora aveva le gambe spezzate sopra il ginocchio, e dai monconi usciva a fiotti il sangue ; le braccia pure spezzate mostravano i tronconi uscenti dalla vestre stracciata ; il petto era stato orrendamente pesto. Distesa a terra, in mezzo alla sala, mentre si procurava dalle suore di fasciare le ferite e impedire la morte per dissanguamento, Mons. Saretta somministrò, piangendo, a quella morente gli ultimi conforti della Chiesa.
Ma fra le macerie si sentivano ancora dei gemiti : era il figlio dodicenne della povera Boscaro, di nome Armando, fratello della fanciulla ammalata, che, rimasto lui pure coinvolto fra le macerie, riportò una gamba spezzata e larghe ferite sul petto. Erano pure rimaste leggermente ferite altre due suore Giuseppine.
Il Conventino fu trasformato in luogo di morte ; fuori, all’intorno, continuava a ruggire il cannone, e la mitragliatrice aveva ormai seminato il suolo di cadaveri.
Alle prime grida disperate successe, attorno alla suora agonizzante e al fanciullo ferito, un pianto represso ; poi un silenzio più sepolcrale. In quel momento entrò precipitosamente un soldato tedesco, con la baionetta innestata, l’elmetto fissato sugli occhi, ed impose lo sgombero immediato del luogo. Erano le quattro pomeridiane del giorno 13 novembre : fuori piovigginava : il cielo nuvoloso rendeva più tetra la notte che si avanzava.
Costretti ad abbandonare quel pericoloso rifugio
Mons. Saretta raccolse nella cappellina le suore ; distribuì a quell’ora, la Comunione, e consumò le Sacre Specie. Poi, adagiati su due lettighe i due fratelli, l’ammalata e il ferito, lasciata in custodia a tre suore Giuseppine l’agonizzante suor Teofila, con un fardello sotto le braccia, le lettighe portate a spalla dalle suore di S. Donà, si prese la via attraverso la campagna, senza meta, in balia della fortuna. Suor Lorenzina, leggermente ferita, seguì, ella pure, la triste comitiva.
La strada dell’argine era impraticabile, interamente occupata dalle truppe tedesche, Dopo un chilometro di cammino, fra i campi, sotto la pioggia e nell’oscurità della sera, la comitiva si fermò presso casa Pasqual, contornata da un ampio cortile trasformato in una vera pozzanghera, e chiese ospitalità. La vista di quella comitiva del dolore commosse gli inquilini e l’ospitabilità fu concessa. ̶ ̶ ̶ ̶ Ai nuovi arrivati furono offerte una stanza e una baracca di legno che serviva da pollaio : nella prima presero posto i due fratelli, il ferito e l’ammalata, unitamente alla loro madre ; nel secondo, un vero capannone, le suore e parte degli inquilini, in tutto diciassette persone ; altre dodici persone, il sig. Da Villa con la sua famiglia, si raccolsero in cucina.
Mons. Saretta, assicurata la comitiva e trovato il rifugio per la notte, ritornò con alcune suore al Conventino di Grisolera, presso suor Teofila agonizzante, per prestare a questa gli ultimi soccorsi della fede. La trovò in vita, assistita dalle tre suore Giuseppine immerse nel pianto e nella preghiera. La visita del sacerdote ridestò un barlume di vita : quella morente mormorò l’ultima preghiera, poi piegò la testa in atto di rassegnazione e spirò. Erano appena le sei pomeridiane.
Il feretro fu subito composto in mezzo alla sala fra quattro candelieri : sopra il petto della defunta fu posto un piccolo crocefisso. Quando scesero le ombre della notte, quella camera ardente presentava l’aspetto di una visione macabra : si recitarono le preghiere dei defunti ; si affidò alla morta la custodia della casa : Mons. Saretta riprese la via del ritorno conducendo con sé, in casa Pasqual, tutte le suore.
Una notte ancor più tragica doveva passare la comitiva, riunita insieme dalla morte e dallo spavento. Consumato un po’ di pane vecchio, rammollito dalle lagrime, recitate in comune le preghiere della sera, sul pavimento, su una sedia, su un po’ di paglia si tentò di conciliare un po’ di riposo ; ma i disgraziati, sfuggiti a un pericolo, si trovarono coinvolti in un secondo più grave ancora. Una batteria austriaca, piazzata dietro il casolare Pasqual, alle nove di sera cominciò il suo tiro ininterrotto sulle linee italiane. I nostri risposero con una ridda accelerata ; dalle dieci di sera alle 5 antimeridiane del 14 novembre la baracca di legno fu fatta bersaglio a una tempesta di fuoco italiano : quando alla mattina, cessato il bombardamento, quelle suore uscirono dal loro nascondiglio, difficilmente poterono riconoscere il terreno circostante, orrendamente sconvolto, il casolare che le aveva ospitate : la Provvidenza, invocata con fiducia, le aveva visibilmente salvate.
L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:
29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte