Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV pp. 235-241)
Don Zandomenighi dopo aver protestato presso il Comando austroungarico di Ceggia, aver subito un interrogatorio ed essere rimasto qualche giorno in cella, era stato nominato a sorpresa parroco di Ceggia dalle truppe occupanti con l’assoluta proibizione di muoversi dal paese….
La mattina però del 22 novembre il decreto fu cambiato : don Zandomenighi, su una carretta di campagna, fu trasportato a Torre di Mosto e nominato, dal Comando ungherese parroco di quella cura. Era un nuovo metodo di elezione, certamente non conosciuto in Italia.
Don Zandomenighi si trasferisce a Torre di Mosto
Il sacerdote, diretto a Torre di Mosto, in compagnia di un gendarme, per prendere in consegna la parrocchia, si incontrò, presso i confini del paese, con il colonnello stesso che aveva proposta la sua nomina, il quale, scambiate poche parole con il gendarme, salutò il sacerdote quale parroco di Torre di Mosto, e gli impose, per il giorno seguente, 23 novembre, di far sgombrare e addobbare a festa la chiesa : alle nove del mattino si era fissata, dal Comando supremo, una solenne funzione religiosa per il reggimento ungherese, e don Zandomenighi doveva essere il celebrante in sostituzione del cappellano militare, assente per convalescenza. Giunse a Torre di Mosto verso le ore 15 e si portò a visitare la canonica : la trovò trasformata in deposito di munizioni, guardata da numerose sentinelle che impedivano a tutti l’ingresso. Don Zandomenighi fu accolto provvisoriamente quale ospite presso una buona famiglia del paese.
I famigliari di Don Zandomenighi riescono a rintracciare il loro congiunto
Intanto ad Isiatta nulla si sapeva di preciso sulla sorte toccata a don Innocenzo Zandomenighi : si era sparsa perfino la voce della sua fucilazione da parte degli Ungheresi, avvenuta a Ceggia o a Torre di Mosto. Fra la disperazione ed il pianto, due cugine e una nipote del sacerdote, dopo tre giorni di un’attesa affannosa, presero la decisione di farne le ricerche : sempre a piedi si portarono a Ceggia, dove poterono conoscere un pò di storia sulle avventure successe al loro congiunto : di poi passarono a Torre di Mosto, dove ormai lo sapevano sano e salvo. Vi giunsero sfigurate dai patimenti, trepidanti per lo spavento, impossibilitate a credere ai loro occhi, quando lo ravvisarono di lontano, calmo e tranquillo, sebbene un pò abbattuto dai patimenti della prigionia e del digiuno prolungato. Lo stesso Comando militare si interessò di fornire al sacerdote ed alla sua famiglia una casa per abitazione, in sostituzione della casa colonica che doveva restare adibita per scopi di guerra ; gli fu assegnata la casa della famiglia Rettanin, fuggita nell’interno d’Italia al primo avanzarsi del nemico.
Fu una fortuna per il sacerdote : quella casa, che fu sempre adibita ad uso canonico fino all’armistizio, era composta di varie stanze, e presentava tutte le comodità ; fu una fortuna anche per il proprietario, perchè così quei locali furono salvi da quelle requisizioni e occupazioni militari che tanta miseria lasciarono in tutti i paesi invasi dal nemico.
Da quel giorno don Zandomenighi si sistemava a Torre di Mosto con i suoi congiunti, intieramente spoglio di tutto, perfino il breviario che aveva lasciato ad Isiatta nella persuasione di un ritorno ; i suoi compaesani, in piccole comitive, presto lo raggiunsero. Durante la sua assenza da Isiatta, gli furono venduti il cavallo, la carrozza e tutto il corredo che era stato trasportato da Passarella. Cominciò per lui il periodo della fame e della miseria, sostenuta, o, meglio, riparata, elemosinando. Non è questa una frase esagerata : rappresenta la triste posizione di don Zandomenighi e di tutti i profughi di Passarella che si trovarono presto separati dal loro parroco e lanciati nelle varie località del Friuli : solo poche famiglie poterono sistemarsi a Ceggia e a Torre.
Don Zandomenighi costretto a ristrettezze
Don Zandomenighi cominciò a mendicare un pò di indumenti : il povero uomo, in prigione, sopra quel tavolato e quel pò di paglia, aveva assunto una di quelle famiglie eterogenee che rendono assai noiosa e pungente la vita : prima cosa, chiese in elemosina una camicia e un paio di mutande per cambiarsi e mandare i noiosi inquilini in un’altra sede. Ottenne il tutto da una povera donna, che pure fornì di biancheria i famigliari del parroco di Passarella, i quali versavano nelle stesse condizioni. Tutti i giorni poi il buon sacerdote ripetè il servizio di ricerche presso le cucine e i magazzini militari per avere un pò di rancio per sè e per il suo popolo.
Torre di Mosto si poteva definire un concentramento di profughi, stretti, assiepati in tutte le case, sui fienili e nelle stalle; a Torre di Mosto, si erano rifugiati ed avevano trovato ospitalità, in quei primi momenti, profughi di Passarella e di Chiesanuova, escluse poche famiglie che per conto proprio avevano cercato una dimora più tranquilla nei paesi circonvicini.
Le tristi voci sui destini di Passarella e Chiesanuova
In quell’epoca, non possiamo precisare il giorno, si ebbero le prime notizie di Passarella e Chiesanuova per mezzo di soldati austriaci reduci dal fronte. Furono notizie catastrofiche : tutto il mobilio della chiesa e dell’oratorio, l’archivio parrocchiale, gli oggetti più preziosi del culto, tutto era andato distrutto. Soltanto le campane erano salve ; ma il nemico le aveva asportate : i profughi di Passarella, concentrati a Torre di Mosto, le videro passare, una mattina di dicembre, su di un camion austriaco, dirette alla volta di Udine, Il camion sostò pochi minuti sulla pubblica piazza : alcuni coraggiosi si avvicinarono a quel carro per baciare l’ultima volta quelle campane che avevano suonato a festa nelle circostanze religiose, che avevano pianto i loro morti, e che si avviavano in un paese in cui dovevano essere tramutate in cannoni contro i nostri che difendevano il diritto e la giustizia. – Andò perduta anche tutta l’argenteria della chiesa di Passarella, e più ancora, perdita gravissima ed irreparabile, gli oggetti d’oro che ornavano l’immagine della Madonna : erano i doni preziosi delle donne di Passarella, che, rinchiusi in una cassettina, costituivano un vero tesoro. Quella perdita, come vedremo, è anche oggi un mistero, perchè quel tesoro fu salvato a tempo dalla rapina del nemico : scomparve molto più tardi, proprio quando persone coraggiose, con vero sacrificio, lo avevano ormai messo in salvo !
Inizia lo sgombero dei profughi da Torre di Mosto
Il 25 novembre il Comando militare impose lo sgombero di Torre di Mosto : i profughi dovevano prendere la via di Latisana, e il Comando stesso si interessò per un trasporto rapido su carri e autocarri.
Molti uomini erano stati già requisiti dall’autorità austriaca, e così il corteo dei nuovi partenti risultava composto, in massima parte, di donne, di bambini, di vecchi, a cui era stato pure requisito gran parte di quel provvigionamento che si era salvato nei primi giorni dell’invasione. – Anche per questi sfortunati nessuna preoccupazione, nessun riguardo : neppure il senso della pietà più elementare per i bambini più teneri o per le spose prossime a divenire madri. La prima notte il lungo convoglio sostò all’aperto fra Ceggia e Torre, in attesa che al mattino giungesse il treno che avrebbe dovuto trasportarlo a Latisana. – Fra gli altri sventurati, la mamma di don Emilio Barrichello, attuale parroco di S. Elena sul Sile : aveva ricevuto, il giorno precedente, gli ultimi Sacramenti, ricoverata per pietà in un fienile. Si domandò con insistenza da don Zandomenighi che almeno si fosse fatta una eccezione per quella vecchia morente ; ma si rispose, in tono arrogante : “Deve partire come gli altri ! Già deve morire, e morirà in Latisana ! “. Ma il cimitero di Latisana non accolse la salma di quella vecchia : l’infelice spirò lungo la via e fu sepolta in aperta campagna, presso la stazione di Ceggia.
Un altro caso pietoso. Un vecchio di ottant’anni, certo Callegher, con la figlia e tre nipoti, non si sentì di affrontare le nuove profezie della profuganza ; si rifugiò nel sottoscala della nuova casa canonicam e vi rimase chiuso otto giorni, uscendo unicamente di notte per cuocere un pò di polenta. E’ facile immaginare in quali condizioni dovette trovarsi quella famiglia, composta di cinque persone, tutta chiusa, in un piccolo vano di sottoscala, senz’aria e senza luce.
Il duro prezzo della profuganza per il popolo di Passarella
Le requisizioni e le minacce si succedevano intanto tutti i giorni ; questi atti di barbarie, questi soprusi, erano spesso camuffati sotto le sembianze più ipocrite della filantropia : fu una nuova fase dei barbarismi e delle vessazioni, perpetrate contro i nostri. – Secondo gli Ungheresi, tutti i popolani di Passarella dovevano essere affetti di malaria : la posizione delle loro case, il luogo dove le masserizie rimasero concentrate dopo la rotta di Caporetto costituivano documento sicuro per provare l’esistenza del bacillo infettivo e la giustificazione più autentica per allontanare da Torre tanta gente. Ma dove sarebbero stati inviati tanti disgraziati? Proprio nelle posizioni più malariche : la mentalità teutonica era riuscita, a base di sillogismi terapeutici, a dimostrare che il malarico, che porta già con sè il bacillo micidiale, si è ormai assuefatto alle azioni deleterie, proprio come il cinese sa assuefarsi all’uso del veleno, o il ladro all’arte di rubare, Inutili, anche qui, le proteste del sacerdote : la scienza medica militare austriaca aveva deciso così, e non si dovevano fare ulteriori recriminazioni. Fu precisamente questo uno dei motivi per cui la mortalità fra i prigionieri borghesi fu spaventosa : la sola Passarella ebbe più di 300 morti durante la profuganza.
Una bambina di dodici anni, rimasta sola, smarrita la madre lungo il viaggio, fuggì dal convoglio, si rifugiò presso don Zandomenighi, e piangendo dichiarò che non sarebbe partita per Latisana o per Caorle : domandò di rimanere nascosta, magari fra le spazzature, in qualunque angolo della casa, Don Zandomenighi, che nulla poteva più compiere perchè rigorosamente controllato dai gendarmi, volle tentare la sorte : “Mi presentai con la bambina presso il Comando sanitario : un tenente germanico, lungo, magro, brutto, mi ascoltò impassibile ; poi si decise a prendere in mano il registro, e, trovato il nome della ragazzina, col suo pennino d’oro tracciò un segno, ed aggiunse : ” Per questa volta ! Ma sia la prima e l’ultima volta che si interessa delle disposizioni nostre “. – Nei suoi modi un pò inurbani si mostrò pure gentile quel tenente medico : avendo riconosciuto in don Zandomenighi il sacerdote che visitava spesso l’ospedaletto militare, dove pure venivano raccolti anche i borghesi più bisognosi di cure, nel riconsegnargli quella bambina, regalò al sacerdote sei scatole di medicinali e un corredo abbondante per pronto soccorso, insegnandone l’uso con una meticolosità che contrastava con i modi ruvidi che gli erano propri. Il sacerdote accolse quel corredo, come un dono prezioso e riportò in casa canonica l’orfanella che, piangendo per la commozione, non riusciva a trovar parole per ringraziare il suo salvatore.
L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:
29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre 1917 undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte