Don Zandomenighi diviene parroco di Torre di Mosto

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV pp. 235-241)

Don Zandomenighi dopo aver protestato presso il Comando austroungarico di Ceggia, aver subito un interrogatorio ed essere rimasto qualche giorno in cella, era stato nominato a sorpresa parroco di Ceggia dalle truppe occupanti con l’assoluta proibizione di muoversi dal paese….

Torre di Mosto nel 1918

La mattina però del 22 novembre il decreto fu cambiato : don Zandomenighi, su una carretta di campagna, fu trasportato a Torre di Mosto e nominato, dal Comando ungherese parroco di quella cura. Era un nuovo metodo di elezione, certamente non conosciuto in Italia.

Don Zandomenighi si trasferisce a Torre di Mosto

Il sacerdote, diretto a Torre di Mosto, in compagnia di un gendarme, per prendere in consegna la parrocchia, si incontrò, presso i confini del paese, con il colonnello stesso che aveva proposta la sua nomina, il quale, scambiate poche parole con il gendarme, salutò il sacerdote quale parroco di Torre di Mosto, e gli impose, per il giorno seguente, 23 novembre, di far sgombrare e addobbare a festa la chiesa : alle nove del mattino si era fissata, dal Comando supremo, una solenne funzione religiosa per il reggimento ungherese, e don Zandomenighi doveva essere il celebrante in sostituzione del cappellano militare, assente per convalescenza. Giunse a Torre di Mosto verso le ore 15 e si portò a visitare la canonica : la trovò trasformata in deposito di munizioni, guardata da numerose sentinelle che impedivano a tutti l’ingresso. Don Zandomenighi fu accolto provvisoriamente quale ospite presso una buona famiglia del paese.

I famigliari di Don Zandomenighi riescono a rintracciare il loro congiunto
Torre di Mosto nel settembre 1918

Intanto ad Isiatta nulla si sapeva di preciso sulla sorte toccata a don Innocenzo Zandomenighi : si era sparsa perfino la voce della sua fucilazione da parte degli Ungheresi, avvenuta a Ceggia o a Torre di Mosto. Fra la disperazione ed il pianto, due cugine e una nipote del sacerdote, dopo tre giorni di un’attesa affannosa, presero la decisione di farne le ricerche : sempre a piedi si portarono a Ceggia, dove poterono conoscere un pò di storia sulle avventure successe al loro congiunto : di poi passarono a Torre di Mosto, dove ormai lo sapevano sano e salvo. Vi giunsero sfigurate dai patimenti, trepidanti per lo spavento, impossibilitate a credere ai loro occhi, quando lo ravvisarono di lontano, calmo e tranquillo, sebbene un pò abbattuto dai patimenti della prigionia e del digiuno prolungato. Lo stesso Comando militare si interessò di fornire al sacerdote ed alla sua famiglia una casa per abitazione, in sostituzione della casa colonica che doveva restare adibita per scopi di guerra ; gli fu assegnata la casa della famiglia Rettanin, fuggita nell’interno d’Italia al primo avanzarsi del nemico.

Fu una fortuna per il sacerdote : quella casa, che fu sempre adibita ad uso canonico fino all’armistizio, era composta di varie stanze, e presentava tutte le comodità ; fu una fortuna anche per il proprietario, perchè così quei locali furono salvi da quelle requisizioni e occupazioni militari che tanta miseria lasciarono in tutti i paesi invasi dal nemico.

Da quel giorno don Zandomenighi si sistemava a Torre di Mosto con i suoi congiunti, intieramente spoglio di tutto, perfino il breviario che aveva lasciato ad Isiatta nella persuasione di un ritorno ; i suoi compaesani, in piccole comitive, presto lo raggiunsero. Durante la sua assenza da Isiatta, gli furono venduti il cavallo, la carrozza e tutto il corredo che era stato trasportato da Passarella. Cominciò per lui il periodo della fame e della miseria, sostenuta, o, meglio, riparata, elemosinando. Non è questa una frase esagerata : rappresenta la triste posizione di don Zandomenighi e di tutti i profughi di Passarella che si trovarono presto separati dal loro parroco e lanciati nelle varie località del Friuli : solo poche famiglie poterono sistemarsi a Ceggia e a Torre.

Don Zandomenighi costretto a ristrettezze

Don Zandomenighi cominciò a mendicare un pò di indumenti : il povero uomo, in prigione, sopra quel tavolato e quel pò di paglia, aveva assunto una di quelle famiglie eterogenee che rendono assai noiosa e pungente la vita : prima cosa, chiese in elemosina una camicia e un paio di mutande per cambiarsi e mandare i noiosi inquilini in un’altra sede. Ottenne il tutto da una povera donna, che pure fornì di biancheria i famigliari del parroco di Passarella, i quali versavano nelle stesse condizioni. Tutti i giorni poi il buon sacerdote ripetè il servizio di ricerche presso le cucine e i magazzini militari per avere un pò di rancio per sè e per il suo popolo.

Torre di Mosto si poteva definire un concentramento di profughi, stretti, assiepati in tutte le case, sui fienili e nelle stalle; a Torre di Mosto, si erano rifugiati ed avevano trovato ospitalità, in quei primi momenti, profughi di Passarella e di Chiesanuova, escluse poche famiglie che per conto proprio avevano cercato una dimora più tranquilla nei paesi circonvicini.

Le tristi voci sui destini di Passarella e Chiesanuova
L’interno della chiesa di Passarella (gennaio 1918)

In quell’epoca, non possiamo precisare il giorno, si ebbero le prime notizie di Passarella e Chiesanuova per mezzo di soldati austriaci reduci dal fronte. Furono notizie catastrofiche : tutto il mobilio della chiesa e dell’oratorio, l’archivio parrocchiale, gli oggetti più preziosi del culto, tutto era andato distrutto. Soltanto le campane erano salve ; ma il nemico le aveva asportate : i profughi di Passarella, concentrati a Torre di Mosto, le videro passare, una mattina di dicembre, su di un camion austriaco, dirette alla volta di Udine, Il camion sostò pochi minuti sulla pubblica piazza : alcuni coraggiosi si avvicinarono a quel carro per baciare l’ultima volta quelle campane che avevano suonato a festa nelle circostanze religiose, che avevano pianto i loro morti, e che si avviavano in un paese in cui dovevano essere tramutate in cannoni contro i nostri che difendevano il diritto e la giustizia. – Andò perduta anche tutta l’argenteria della chiesa di Passarella, e più ancora, perdita gravissima ed irreparabile, gli oggetti d’oro che ornavano l’immagine della Madonna : erano i doni preziosi delle donne di Passarella, che, rinchiusi in una cassettina, costituivano un vero tesoro. Quella perdita, come vedremo, è anche oggi un mistero, perchè quel tesoro fu salvato a tempo dalla rapina del nemico : scomparve molto più tardi, proprio quando persone coraggiose, con vero sacrificio, lo avevano ormai messo in salvo !

Inizia lo sgombero dei profughi da Torre di Mosto

Il 25 novembre il Comando militare impose lo sgombero di Torre di Mosto : i profughi dovevano prendere la via di Latisana, e il Comando stesso si interessò per un trasporto rapido su carri e autocarri.

Molti uomini erano stati già requisiti dall’autorità austriaca, e così il corteo dei nuovi partenti risultava composto, in massima parte, di donne, di bambini, di vecchi, a cui era stato pure requisito gran parte di quel provvigionamento che si era salvato nei primi giorni dell’invasione. – Anche per questi sfortunati nessuna preoccupazione, nessun riguardo : neppure il senso della pietà più elementare per i bambini più teneri o per le spose prossime a divenire madri. La prima notte il lungo convoglio sostò all’aperto fra Ceggia e Torre, in attesa che al mattino giungesse il treno che avrebbe dovuto trasportarlo a Latisana. – Fra gli altri sventurati, la mamma di don Emilio Barrichello, attuale parroco di S. Elena sul Sile : aveva ricevuto, il giorno precedente, gli ultimi Sacramenti, ricoverata per pietà in un fienile. Si domandò con insistenza da don Zandomenighi che almeno si fosse fatta una eccezione per quella vecchia morente ; ma si rispose, in tono arrogante : “Deve partire come gli altri ! Già deve morire, e morirà in Latisana ! “. Ma il cimitero di Latisana non accolse la salma di quella vecchia : l’infelice spirò lungo la via e fu sepolta in aperta campagna, presso la stazione di Ceggia.

Un altro caso pietoso. Un vecchio di ottant’anni, certo Callegher, con la figlia e tre nipoti, non si sentì di affrontare le nuove profezie della profuganza ; si rifugiò nel sottoscala della nuova casa canonicam e vi rimase chiuso otto giorni, uscendo unicamente di notte per cuocere un pò di polenta. E’ facile immaginare in quali condizioni dovette trovarsi quella famiglia, composta di cinque persone, tutta chiusa, in un piccolo vano di sottoscala, senz’aria e senza luce.

Il duro prezzo della profuganza per il popolo di Passarella
Torre di Mosto nel settembre 1918

Le requisizioni e le minacce si succedevano intanto tutti i giorni ; questi atti di barbarie, questi soprusi, erano spesso camuffati sotto le sembianze più ipocrite della filantropia : fu una nuova fase dei barbarismi e delle vessazioni, perpetrate contro i nostri. – Secondo gli Ungheresi, tutti i popolani di Passarella dovevano essere affetti di malaria : la posizione delle loro case, il luogo dove le masserizie rimasero concentrate dopo la rotta di Caporetto costituivano documento sicuro per provare l’esistenza del bacillo infettivo e la giustificazione più autentica per allontanare da Torre tanta gente. Ma dove sarebbero stati inviati tanti disgraziati? Proprio nelle posizioni più malariche : la mentalità teutonica era riuscita, a base di sillogismi terapeutici, a dimostrare che il malarico, che porta già con sè il bacillo micidiale, si è ormai assuefatto alle azioni deleterie, proprio come il cinese sa assuefarsi all’uso del veleno, o il ladro all’arte di rubare, Inutili, anche qui, le proteste del sacerdote : la scienza medica militare austriaca aveva deciso così, e non si dovevano fare ulteriori recriminazioni. Fu precisamente questo uno dei motivi per cui la mortalità fra i prigionieri borghesi fu spaventosa : la sola Passarella ebbe più di 300 morti durante la profuganza.

Una bambina di dodici anni, rimasta sola, smarrita la madre lungo il viaggio, fuggì dal convoglio, si rifugiò presso don Zandomenighi, e piangendo dichiarò che non sarebbe partita per Latisana o per Caorle : domandò di rimanere nascosta, magari fra le spazzature, in qualunque angolo della casa, Don Zandomenighi, che nulla poteva più compiere perchè rigorosamente controllato dai gendarmi, volle tentare la sorte : “Mi presentai con la bambina presso il Comando sanitario : un tenente germanico, lungo, magro, brutto, mi ascoltò impassibile ; poi si decise a prendere in mano il registro, e, trovato il nome della ragazzina, col suo pennino d’oro tracciò un segno, ed aggiunse : ” Per questa volta ! Ma sia la prima e l’ultima volta che si interessa delle disposizioni nostre “. – Nei suoi modi un pò inurbani si mostrò pure gentile quel tenente medico : avendo riconosciuto in don Zandomenighi il sacerdote che visitava spesso l’ospedaletto militare, dove pure venivano raccolti anche i borghesi più bisognosi di cure, nel riconsegnargli quella bambina, regalò al sacerdote sei scatole di medicinali e un corredo abbondante per pronto soccorso, insegnandone l’uso con una meticolosità che contrastava con i modi ruvidi che gli erano propri. Il sacerdote accolse quel corredo, come un dono prezioso e riportò in casa canonica l’orfanella che, piangendo per la commozione, non riusciva a trovar parole per ringraziare il suo salvatore.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre 1917 undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Il 16 novembre Passarella e Chiesanuova vennero evacuate

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 230-235)

Chiesanuova, liberata dai civili divenne zona di aspra battaglia
Don Zandomenighi riceve l’ordine di evacuazione

I primi giorni di prigionia furono giorni di dolore. Con poche parole descrive don Zandomenighi le condizioni di Passarella : “ Il campanile, che gli ungheresi non avevano potuto colpite, era divenuto bersaglio dell’artiglieria italiana, e da Capo Sile, da Fossalta e Fossetta erano granate continue che piombavano sopra di noi. Fu volere di Dio se la canonica non fu colpita : era piena, stipata notte e giorno di spose, ragazze, tenere fanciulle che si stringevano intorno al parroco per salvarsi dalla brutalità di una soldatesca ubbriaca “. Il 16 novembre, nel pomeriggio, il colonnello ungherese, che comandava quel settore, impensierito lui pure dall’imperversaredelle granate, – una di queste era caduta, gettata da un aereoplano francese, sulla canonica e avrebbe dovuto fare un’ecatombe, – ordinò al parroco di allontanarsi immediatamente con tutto il popolo e di dirigersi con questo alla volta di Ceggia : “ Perché – disse, in cattivo italiano, – oggi essere qui, ore 4, grande bombardamento “. – Contemporaneamente l’ordine si passò di casa in casa. Fu una partenza precipitosa, coadiuvata in qualche modo dagli stessi soldati ungheresi che avevano avuto l’incarico di accompagnare la colonna di profughi a Ceggia, presso il Comando militare, dove popolo e parroco avrebbero ottenuto una destinazione definitiva. “Si caricò in fretta, continua don Zandomenighi, una carretta di sacchi, di materassi e di tutto quel meglio che si potè trasportare ; nella mia carrozza, fra le valigie e le coperte, si collocò una povera vecchia ; lo stesso, guidando a mano il cavallo, precedetti una lunga fila di carri e di popolo che mi seguiva ; si percorse l’argine del Piave verso Palazzetto, per passare il ponte di barche, costruito dal nemico. Dio mio ! quanti pericoli e quanto orrore ! L’argine era qua e là rotto dalle trincee ; era un rischio continuo dover passare ! Nei campi e nelle trincee stesse stavano accumulati cadaveri insanguinati, col fucile ancora stretto fra le mani ; granate lanciate contro il ponte si schiantavano sulla scarpata o si spegnevano rabbiosamente nel fiume “. La colonna sembrava interminabile : ai fuggiaschi di Passarella si erano uniti i fuggiaschi di Chiesanuova.

L’attraversamento sulle passarelle all’ Agenzia Trezza metodo veloce quanto pericoloso in quanto preso di mira dall’artiglieria

Nessun incidente sul ponte : il passaggio fu preoccupante, e si effettuò fra gli scoppi continui delle granate lanciate dai nostri. Il parroco passò per primo, scortato da due ungheresi, e il popolo seguì il suo esempio ; ma poi il sacerdore, appena raggiunta la sponda sinistra del fiume, lasciò procedere la colonna : egli si arrestò sull’argine sinistro per assistere a tutto il passaggio, per dirigere quella strana processione di carri e di fuggiaschi. Sull’argine sinistra, sdraiati per terra, col fucile spianato verso la sponda destra, Ungheresi disposti in ordine sparso ; a piè degli argini, piccoli raggruppamenti di Ungheresi un po’ avvinazzati, in attesa di un ordine che li lanciasse all’assalto, assistevano con indifferenza, frammista a qualche frizzo e sorriso sarcastico, a quel passaggio.

La lunga colonna aveva terminato il passaggio pericoloso e prendeva ordinatamente il largo verso Ceggia, quando una granata italiana, lanciata da Fossetta, si infranse contro il fabbricato dell’agenzia Vianello ; fu colpito in pieno un concentramento di Ungheresi che stava preparando le munizioni per procedere all’attacco, che ormai si era iniziato, contro Musile e Piave Vecchio : 14 soldati furono maciullatio : il loro sangue si spruzzò contro i muri esterni del fabbricato dell’agenzia ; qualche pezzo di carne umana fu lanciato sul calesse del parroco che rimase imbrattato di sangue e di fango, avvolto in una nube densa ed oscura, e sbattuto violentemente al suolo per lo spostamento dell’aria.

Dopo i rischi della attraversata del Piave, ci sono quelli della campagna

Si proseguì a passo lento, lungo l’argine, verso Ceggia ; si abbandonò l’argine più tardi per prendere la direzione verso Isiatta. Il parroco intanto era di nuovo passato in testa a quella lunga comitiva, e ai gendarmi, che lo accompagnavano, chiedeva con insistenza : “ Ma… dove si va per questa parte ? E questa notte che cosa succederà di noi ? “. – Giunse la notte ; quella povera gente, senza poter gustare un po’ di cibo, dovette continuare il viaggio, che diventava, attraverso la campagna, sempre più pericoloso. I lunghi razzi lanciati dai due eserciti, le larghe scie di luce proiettate dai riflettori italiani sembravano incaricarsi ad aprire il varco a quel popolo per strade del tutto nuove. – Alle ore 9 di sera, un po’ di sosta ; e poi, dopo pochi minuti, si riprese il cammino : “ Ma dove si va? “, chiese di nuovo don Zandomenighi. “ Avanti ! Dopo tre chilometri, stare borghesi ! “, rispondeva il sergente che lo accompagnava.

Le evacuazioni uguale destino in tutto
il Veneto occupato

Gli Ungheresi, sempre con la baionetta innestata, accompagnarono la comitiva ancora per poco tempo. Poi si fermarono : assistettero alla sfilata della carovana, e poi, spianato il fucile in aria, in direzione del Piave, lasciarono partire alcuni colpi, e, senz’altri complimenti, reso così a quel popolo un saluto, all’ungherese, ripresero la via del ritorno,

La colonna procedette sempre fra le tenebre. – Verso le dieci di notte si incontrò con l’artiglieria ungherese, diretta al Piave. Per quella viuzza il passaggio apparve impossibile ; ma gli artiglieri, smontati dai loro pezzi e dai cavalli, in pochi minuti disposero la colonna dei fuggiaschi e i loro carri sul ciglio della piccola viuzza, e poi, con massima cautela, senza parole né frizzi, rasentando il ciglio opposto, proseguirono il viaggio verso il fronte. Il tenente ungherese, che comandava il drappello, si fermò presso il parroco ; quando l’ultimo pezzo gli transitò dinanzi, strinse la mano al vecchio sacerdote, gli rese il saluto e a piedi seguì lui pure il suo ultimo carro, guardando commosso quella povera gente lacera ed affamata, che forse gli rammentava, in quel momento, le stesse miserie a cui era sottoposta la sua patria.

L’arrivo in prossimità di Ceggia (o più probabilmente a Isiatta come si desume dal racconto del Chimenton)

Si giunse in Ceggia, “ alla prima casa di borghesi “, come avevano detto gli Ungheresi, – Il parroco entrò nel cortile di quella casa con tutta quella gente, per attendervi il mattino : le donne e gli uomini si adagiarono sopra o sotto i carri, riparati da qualche coperta ; i più robusti preferirono rimanese all’aperto, accoccolati sotto le piante ; i vecchi furono disposti sotto il porticato ; i bambini e le mamme, in numero più di novanta, furono concentrati nel vasto granaio, e si arrangiarono, in qualche modo, sopra il granone, già raccolto dalla campagna.

La difficile convivenza con i militari di truppa ungheresi

In quella località, senz’ordini, senza una sistemazione ufficiale, quei profughi dovettero rassegnarsi a passare le prime giornate della prigionia. La mattina si provvide ad una sistemazione più razionale di quella massa, disperdendola, come fu possibile, fra le varie famiglie del luogo ; nella casa d’arrivo rimase sempre il centro della colonna, Furono giornate di spasimi e di continue minacce. “La massima indisciplinatezza, da parte dell’esercito nemico, portava un continuo allarme alla massa di quei disgraziati. I soldati austriaci e ungheresi, di notte e di giorno, assediavano le case, insidiavano alle donne, violentando specialmente le fanciulle : queste ultime dovettero ridursi in compagnia del loro parroco, lontane, perché più sicure, perfino dai genitori. – La notte dal 16 al 17 novembre un ungherese, a tutta forza, voleva entrare in una stanza, e al parroco, che in via assoluta si oppone alla sua sete libidinosa, presentò il suo pugnale, in atto minaccioso, per colpirlo. Don Zandomenighi, non più giovane di età, ma pure forte e robusto, si lanciò sopra di lui : con una mano lo afferrà per la divisa, sopra il petto, e con l’altra arrestò quella mano armata, e in un supremo sforzo di nervosismo, dopo una colluttazione violenta, portò di peso, alla porta della cucina, quel soldato e lo gettò stramazzone nel fango in mezzo al cortile.

La complicata convivenza con le truppe di occupazione

La mattina del 17 don Zandomenighi rivide quel soldato ungherese : digerita la sbornia che in quella notte lo aveva trasformato in delinquente, preoccupato anche di un possibile rapporto a suo carico, chiese perdono al sacerdote e lo ottenne : da quel momento divenne il miglior amico del popolo di Passarella.

La seconda notte un nuovo incidente. Un altro ungherese voleva, a tutti i costi, entrare nel granaio interamente ripieno di donne, Quella volta il sacerdote non attese una minaccia per agire con energia : lo afferrò sulla sommità delle scale, e con una spinta, datagli a tradimento, lo fece ruzzolare giù per una quarantina di scalini : quel malcapitato, zoppicando, si allontanò da quel luogo, forse per notificare il suo eroismo e le sue ferite che lo resero malconcio, e farsi inserire nell’ordine del giorno per una proposta ad una nuova onorificenza per merito di guerra, onorificenza acquistata nel campo del …disonore ! Scomparve per sempre, dopo di aver appreso, a proprie spese, che le energie, specialmente in un campo di battaglia, si devono esercitare in ben altri combattimenti.

Ceggia durante l’occupazione

Il giorno 18, don Zandomenighi credette suo dovere presentarsi al comando ungherese di Ceggia, per reclamare un pò di sorveglianza attorno alla sua casa ; si incontrò con una signorina ungherese che lo salutò rispettosamente, gli baciò la mano, e si dichiarò disposta a favorirlo presso il Comando in ogni sua richiesta. Il sacerdote si limitò ad esporre le sue lagnanze per le vessazioni subite e ad implorare provvedimenti : ” Si – rispose in buon italiano quella signorina, – ma lei non può procedere fino a Ceggia : questa notte le granate italiane hanno preso di mira il palazzo Cà Loro, dove risiede il Comando generale : nessuno può procedere verso quella posizione. Però può presentarsi al Comando di divisione “. Scrisse un bigliettino in fretta, che consegnò ad un soldato : questo ricondusse il sacerdote un pò indietro, presso il Comando di divisione. Il generale lesse il biglietto, sopra una carretta di campagna, don Zandomenighi fu condotto al Comando generale.

Don Zandomenighi prima incarcerato e poi nominato parroco dagli occupanti

Ma poi si cambiò scena : L’Austria, che procedette sempre a base di spionaggio e di sospetti, si comportò così anche questa volta. Don Zandomenighi fu sottoposto ad un interrogatorio che si prolungò più di un’ora ; si estese un lungo verbale, e poi il povero prete fu passato alle carceri militari, in attesa di una nuova inchiesta e di nuove informazioni. In quelle carceri rimase tre giorni in compagnia di due borghesi, senza cibo : un pò di acqua fu l’unico ristoro di quelle giornate. E furono pure tre notti insonni, in compagnia di quei borghesi, rei di delitti che non conoscevano. Il terzo giorno giunsero le risposte richieste : a mezzogiorno il sacerdote fu messo in libertà invitato alla mensa degli ufficiali e proclamato, fra i brindisi, da quel Comando, parroco di Ceggia, ma con l’assoluta proibizione di muoversi dal luogo.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Pioggia di granate su San Donà (12 novembre 1917)

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , p. 256; 226-229)

Una foto austriaca di San Donà una decina di giorni dopo il primo bombardamento italiano

Dal diario di Costante Bortolotto, 12 novembre 1917

“ Siamo a Chiesanuova- – Un momento di sosta su tutta la linea ; nessun colpo di cannone, nessuna sparatoia di fucile e mitragliatrice. Lontano, il suono confuso di trombe, come di una marcia che si dirige verso San Donà : gli Austriaci come ad una festa, procedevano verso l’argine sinistro del Piave Nuovo. Il comandante Ascoli telefonicamente impartì l’ordine alle batterie di Chiesanuova di colpire la posizione dalla quale proveniva quella musica, vero concerto di guerra in un campo oramai insanguinato. Sei batterie, compresa la batteria Bortolotto, aprirono il fuoco : furono dieci minuti di inferno ; ventiquattro pezzi, a fuoco accelerato, martellarono San Donà di Piave : i figli stessi di quella terra provocarono le prime rovine sulla cittadina del Basso Piave. In pochi minuti millecinquecento granate piombarono su San Donà ; probabilmente qualcuna di quelle granate avrà raso al suolo le case degli stessi artiglieri. Quando cessò il fuoco, la zona piombò, in pochi istanti, in un silenzio sepolcrale : la banda militare, petulante e provocatrice, tacque per sempre ; il cannone austriaco rispose un po’ più tardi con la sua rabbia ringhiosa, ma il Piave quella mattina non si potè attraversare dal nemico. “

Dal diario di don Zandomenighi, Il momento della battaglia si avvicina a Passarella

La pressione da parte degli austriaci si faceva sempre più forte. La notte dal 12 al 13 novembre fu notte d’inferno : ordini severissimi da parte dei nostri avevano imposto alla popolazione di non uscire all’aperto, di sospendere qualunque movimento. Quella notte gli ufficiali italiani che alloggiavano in casa canonica, erano tutti usciti, unitamente al cappellano militare : il grosso dei nostri si era portato verso Revedoli dove infieriva il combattimento.

La preoccupazione di Don Zandomenighi

La mattina del 13 don Zandomenighi si avvide che qualche cosa di grave stava per succedere nel suo paese : poco lontano dalla chiesa parrocchiale il cappellano militare e un gruppo di ufficiali del Genio erano intenti a sistemare un impianto radiotelegrafico. Spinto dal desiderio di notizie precise, don Zandomenighi si avvicinò a questi ufficiali e, con una semplicità tutta sua, dissimulando la trepidazione del suo animo e l’angoscia che lo tormentava : “Cappellano, disse, le raccomando di nuovo il molino : la popolazione ha fame, e lei lo sa ; veda per carità che quel molino possa oggi funzionare !” – “Sta bene, sta bene ! “, rispose seccamente il cappellano, il quale in realtà mostrava di non sapere che cosa rispondesse ; e rivolto ad un tenente, compagno di un lavoro che si sistemava in una forma precipitosa : “Il molino ! –esclamò ; – si raccomanda il molino, il buon parroco ! Ne avremo oggi dei molini !…”. – Don Zandomenighi intese queste parole e si allontanò; si sforzò di mostrarsi tranquillo quando entrò in canonica, ma non riuscì ; la presenza del sacerdote che ritornava sconvolto, non più tranquillo come i giorni precedenti, aumentò lo spavento in quei disgraziati che presso quel buon sacerdote avevano chiesto ricovero e protezione.

Il nemico incombe su Passarella

Il combattimento continuava, a base di fucileria e scoppio di bombe, verso Revedoli. A mezzogiorno il cappellano militare si precipità in casa canonica : rivolse poche parole al parroco. I due sacerdoti si scambiarono un bacio, una stretta di mano, e poi… il cappellano si allontanò seguito da qualche ufficiale e da pochi soldati : quella stessa notte il passaggio del Piave era stato forzato a Revedoli : gli Austriaci avanzavano ormai verso Passarella ; erano giunti ad un chilometro dalla chiesa parrocchiale.

Don Zandomenighi rimasto solo, seguendo il consiglio del cappellano militare, ordinò che quella colonia di parrocchiani si tenesse chiusa in casa, occupasse le stanze di tramontana, come quelle che erano meno esposte in quel momento ; si interessò lui stessoperchè simili disposizioni fossero impartite nelle case più vicine alla chiesa, dove si erano concentrati gran parte dei parrocchiani. Il fuoco della fucileria cessò improvvisamente verso le 13 : si sospettò di un falso allarme da parte del cappellano, un mantovano autentico ; ma il fuoco si riprese con rabbia verso le 14, e poi… cessò di nuovo. – Quel silenzio fu più opprimente che non il crepitio delle mitragliatrici ; ma fu un silenzio di pochi istanti : verso le 15 un “urrà, urrà !” ripetuto a squarciagola sulla piazza della chiesa fece uscire il sacerdote dalla canonica.

Don Zandomenighi si trovò di fronte un picchetto di ungheresi : armati di fucile, avanzarono contro il sacerdote. Il sergente, che comandava il picchetto, si limitò a chiedere sigarette e zolfanelli ; poi disse in buona lingua italiana : “Ritorni a casa, perché qui, poco lontano, sta piazzata una mitragliatrice !” A poca distanza, verso Chiesanuova, si sentiva difatti il crepitio delle ultime mitragliatrici italiane che si sforzavano ancora d’impedire l’avanzata nemica.

La battaglia si sposta verso Chiesanuova

Perché, è necessario ricordare, i paesi di Passarella e Chiesanuova furono conquistati a palmo a palmo : la resistenza fu violenta da parte dei nostri che non cedettero se non sotto la potenzialità numerica degli avversari. Le defezioni, tanto decantate dagli invasori, si ridussero a pochi gruppi di combattenti sulla sponda destra del Piave Nuovo, che giudicarono inutile ogni resistenza quando si videro accerchiati dal nemico. Quel manipolo di ungheresi proseguì la sua corsa verso Chiesanuova.

Pochi momenti dopo si presentarono in casa canonica di Passarella una ventina di soldati italiani, privi di comandanti, armati in assetto di guerra ; non sapevano ancora di essere già prigionieri. Mosso da un senso di pietà , naturale e spontaneo, dinanzi a connazionali sfiniti, confusi, in balia di se stessi, don Zandomenighi li consigliò a disperdersi fra le famiglie di Passarella e indossare subito abiti borghesi. Il colpo riuscì a meraviglia. In quel gruppo di soldati stava un chierico salesiano. Don Zandomenighi fece indossare a quel chierico una veste talare, lo accolse in casa, lo volle ristorare con cibi confezionati a bella posta : “Poveretto !, scrive nel suo diario don Zandomenighi, credo abbia mai mangiato così volentieri in vita sua ! Lo misi poi a letto, perché mi pareva stanchissimo e molto sofferente. Maria Ausiliatrice lo protesse : quando, verso il tramonto, gli ungheresi incominciarono le perquisizioni in tutte le case di Passarella, e anche in canonica, frugando e rovistando in ogni luogo, sempre sospettando imboscate e tradimenti, nessuno pensò ad aprire la stanza dove il chierichetto dormiva tranquillamente, inconscio del pericolo che lo minacciava : sopra il suo letto, quel chierico aveva distesa la sua divisa di soldato italiano.

Un lieto fine che arriverà solo molti mesi dopo

Quel chierico si soffermò presso don Zandomenighi per una ventina di giorni; lo seguì nelle sue peripezie fino a Torre di Mosto. Ma in seguito alle disposizioni draconiane del Comando austriaco, che comminava la pena di morte ai detentori di prigionieri di guerra, il chierico, pern non esporre il suo benefattore a conseguenze fatali, volle, contro la decisione del benefattore stesso, disposto, pur di salvarlo, ad affrontare qualunque pericolo, colle spontaneamente costituirsi ai gendarmi austriaci. E così scomparve quello studente nel gran vortice della prigionia ; fu gettato nei concentramenti più disparati dell’Austria che gli fece pagare a caro presso il suo atto di coraggio per conservarsi intatto alla patria, cui servì con la massima fedeltà: cadde ammalato per i patimenti e le vessazioni sofferte. – Essendosi portato, dopo l’armistizio, don Zandomenighi a Treviso, dove fu ospite di casa di Monsignor Bettamin, S.E. Mons. Vescovo faceva recapitare al parroco di Passarella una lettera : era uno scritto del chierico salesiano Gaetano Vico, che dall’ospedale militare di Verona chiedeva al Vescovo di Treviso l’indirizzo preciso di don Zandomenighi, per poter scrivergli, e manifestare un’altra volta a lui, suo vero salvatore, i sensi della più viva riconoscenza e dell’affetto più sincero.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre 1917 (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Quei primi giorni dell’invasione aldilà del Piave

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV )

Nel libro scritto da Monsignor Chimenton una parte preminente del IV capitolo riguardante l’invasione austroungarica e il terribile anno di occupazione è dedicata agli scritti di Monsignor Saretta. Non di meno trovano spazio anche i ricordi di altri sacerdoti come don Marin, il parroco di Passarella don Zandomenighi, quello di Chiesanuova don Contò, oltre del comm. Costante Bortolotto, allora tenente sul fronte del Piave.

Passarella in una foto austrica di qualche mese dopo

Dal diario di Costante Bortolotto

5-9 novembre. Il ten, Costante Bortolotto, ricevuto l’ordine di portarsi con la batteria verso Cortellazzo, si piazzò di fianco ad un casolare, detta Bissona. Il casolare era abitato dalla famiglia Bisson : un vecchio di novant’anni, al quale tutti i famigliari portavano affetto e venerazione come ad un patriarca, era l’unico custode. Nei momenti liberi il tenente Bortolotto lasciava la sua batteria e si portava, in bicicletta, a Cavazuccherina per aver notizie più precise sulla guerra, sul nostro esercito, sulla linea di resistenza : era ospite in casa del dottor Visentini. Casa Visentini era deserta, e da quella casa fu prelevata una cassa di pastiglie e di medicinali che servivano alla batteria per tutto l’inverno. Gli austriaci erano ormai giunti al Piave Nuovo : “Ricordo, scrive lo stesso ufficiale, la impressione dolorosa del primo colpo caratteristico del fucile austriaco. Era di sera prima del tramonto, e in un baleno mi passò davanti la visione del Carso, di tanti paesi distrutti, e la cui devastazione ormai si portava nella mia terra, nella mia casa pure abbandonata, e … un singhiozzo mi strozzò la gola e piansi di nascosto : i soldati non dovevano constatare la mia depressione d’animo “. Il buon vecchio Bisson, che non si era ancora deciso ad allontanarsi da quel casolare, mentre la sua famiglia si era portata a Venezia, ripeteva “Sior tenente, i Tedeschi no i xe vegnui qua gnaca nel ’48 ; el staga sicuro, sior, che no i vegnarà gnanca stavolta”. E il tenente a lui “Non verranno neppure questa volta. Ma voi intanto allontanatevi da questo luogo! “. La mattina del 9 novembre, dopo una visita degli aereoplani nemici e l’arrivo dei primi colpi di granata attorno al casolare, il vecchio si presento al comando della batteria : “Buona fortuna, sior comandante, – disse tremando, – mi vado via, ma ghe consegno le ciave dea me caneva : el fassa quel che el vol! “. Quel vecchio, che da novantanni abitava quella casa, piangendo come sa piangere il bambino cui una forza violenta strappò una persona o una cosa che gli era carissima e che costituiva la sua vita e il suo ideale, si allontanò. La casa Bisson quello stesso giorno fu rasa al suolo : ma il vecchio non rivide quelle macerie ; morì lontano dal suo paese, durante l’anno di profuganza. (pp. 253-254)

Dal diario di Don Innocenzo Zandomenighi, curato di Passarella

9 novembre. La sera del 9 novembre gli austroungarici, dall’argine sinistro del Piave cominciarono a far sentire il dentellare delle loro mitragliatrici : la popolazione si ritirò nelle trincee che si eravo scavate in quei giorni, in attesa che il nemico si decidesse di passare. La posizione si presentò subito pericolosissima : la località si trovò circoscritta fra due fuochi e due eserciti : i nostri, sul Piave Vecchio, che in tutti i modi volevano arrestare il passo del nemico, e l’esercito austriaco, che, sistemato sull’argine sinistro del Piave Nuovo, si accaniva furiosamente per aprirsi quel varco che lo avrebbe costituito dominatore della posizione, assicurandogli l’avanzata verso Mestre e verso Venezia.

10 novembre. La prima granata austriaca piombò su Passarella il 10 novembre : il parroco ne fu salvo per miracolo. Mentre con due soldati italiani si recava ad aprire il molino, perchè la popolazione di Passarella e di Chiesanuova si trovava, da due giorni, priva di farina, la granata che doveva colpire il campanile gli passò pochi metri sopra il capo : a distanza di cinque metri da lui colpiva in pieno due soldati. Don Zandomenighi si rifugiò in casa canonica. Una seconda granata colpì un angolo della casa del sagrestano. Passarella era specialmente battuta con violenza nella località della chiesa, ritenuta dal nemico punto strategico di concentramento. Lo stesso giorno, 10 novembre, fu ferita leggermente la chiesa.

11-12 novembre. La mattina del giorno 11, festa di San Martino, si celebrò la messa per tempo nella bella chiesa di Passarella ; ma durante la notte quella chiesa era stata duramente battuta: letteralmente scoperchiata, il pavimento e gli altari frantumati e ricoperti di pietre e pietrame. Si celebrò anche il giorno 12, e si consumarono quella mattina, le Sacre Specie : chi quella mattina assistette il sacerdote, ricorda la sua trepidazione in quei momenti solenni e nefasti : il sacrificio fu compiuto tra l’orgasmo : come una tragica visione si presentarono all’animo di don Zandomenighi lo strazio del suo paese e l’immensa sciagura del suo popolo buono.

Fu l’inizio del martirio di Passarella. Il popolo comprese la sua sentenza : chiuso da tutte le parti da un fuoco concentrato, non potè più muoversi : a lui non restava che aspettare ansiosamente la morte. Eppure non si ebbero, in quelle giornate, vittime fra la popolazione borghese.

La casa canonica, posta a destra della chiesa e riparata in qualche modo dalle granate e dalla fucileria austriaca, si era trasformata in un ricovero di fanciulli, di donne, di vecchi, imploranti pietà, pallidi e tremanti per tante emozioni. (pp. 225-226)

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12-14 novembre 1917 (Passarella) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte