L’inaugurazione del Monumento ai Caduti – Casa di Ricovero

L’inaugurazione del Monumento ai Caduti – Casa di Ricovero

« Il Podestà al fine di regolare il transito durante la cerimonia dell’inaugurazione della Casa di Ricovero che si svolgerà domani ha stabilito che nel giorno 9 corrente dalle ore 8 alle ore 14, sia vietato il transito ai veicoli di qualsiasi specie lungo la via Margherita, via Jesolo e piazza IV Novembre. » In quella domenica di novembre, al cospetto delle più alte autorità venne inaugurato a San Donà la Casa di Ricovero Monumento ai Caduti in ricordo di tutti quei sandonatesi che persero la vita durante la grande guerra.

In un lungo articolo della Gazzetta di Venezia di lunedì 10 novembre 1930 venne raccontata la cerimonia dell’inaugurazione della Casa di Ricovero Monumento ai Caduti: « S.A.R.il Duca d’Aosta ha stamane onorato della sua augusta presenza la nostra gloriosa cittadina. La popolazione sandonatese ha accolto l’invitto Condottiero della Terza Armata con vivo entusiasmo e con fervide manifestazioni di devozione. Le primi luci dell’alba hanno visto la città tappezzata di striscioni colorati inneggianti al Re, al Principe Emanuele Filiberto, ai Caduti per la Patria, ai mutilati, ai combattenti. Da tutti gli edifici pubblici e da molti privati sventola il tricolore. Intanto con i primi treni del mattino e con automezzi cominciano ad affluire le associazioni, i fasci, le diverse istituzioni.

Le autorità presenti
Il Monumento ai Caduti – Casa di Ricovero in una cartolina degli anni Trenta

Alle ore 9.30 le autorità si recano alla stazione ad attendere l’arrivo del Duca d’Aosta. Notiamo fra i presenti: il Prefetto gr. uff. Bianchetti, il Podestà di San Donà comm. dott. Costante Bortolotto, il dott. Alverà, Podestà di Venezia, l’avv. Suppiej, Segretario federale, il comm. Garioni, Preside della Provincia, l’on. Domenico Giuriati, l’on.Fantucci, il generale di Brigata comm. Appiotti anche in rappresentanza del comandante del Corpo d’Armata di Trieste, il generale di divisione Vaceamagiolini, il comm. Scaranto, l’Ammiraglio di Divisione della Piazza Marittima di Venezia comm. Fiorese, il gr. Uff. Miliani, Magistrato delle Acque, il vice Prefetto comm. Zattera, il Questore comm. Corrado, il colonello dei RR.CC. Abrile ed il capitano Bonelli, il presidente della Federazione Combattenti Valtorta, il presidente del Comitato del monumento ai Caduti comm. Giuseppe Bortolotto, con tutto il Comitato; il Segretario politico comm. De Faveri, il comm. Antonio Trentin, il comm. Fabris, i vice podestà cav. Bastianetto, Fornasari e dott. De Faveri, l’avv. Rizzo, il cav. dott. A. Cà Zorzi, i maggiori Castagna Alessandro della Direzione d’Artiglieria di Trieste, Notti Felice del 5. Genio; Peruzzo Francesco, l’avv. Rizzi, il comm. Trabaldi Podestà di Spinea, il tenente della M.V.S.N. ing. Scorzon, il pretore dott.Fabbri anche in rappresentanza del procuratore del Re di Venezia, il capitano Castaldi segretario dell’Unione ufficiali in congedo della provincia di Venezia, il cav. Errera presidente del Nastro Azzurro della provincia di Venezia, il cav. Livio Fabris, segretario capo del Comune, il dott. Costanzo in rappresentanza del R. Provveditore agli Studi, il dott. Ferrari della Federazione agricoltori, e molti altri. Nel piazzale all’interno della stazione il servizio d’ordine è diretto personalmente dal Cav. Rentana, vice Questore, e dal commissario cav. Giorgi. Dirige il servizio della stazione il capo stazione titolare dott. Molina.

L’arrivo del Duca d’Aosta
Cerimonia di inaugurazione della Casa di Riposo e del Monumento ai Caduti (da “La Storia fotografata racconta…” Ennio Mazzon, 2012)

Alle ore 9.35 viene segnalato l’arrivo del treno e pochi minuti dopo giunge il convoglio dal quale discende preceduto dall’aiutante di campo generale Montasini, S.A.R. Emanuele Filiberto di Savoia, salutato da un vibrante applauso dalle autorità.

Il prefetto gr. uff. Bianchetti si avanza e presenta il Podestà comm. Costante Bortolotto che rivolge all’augusto ospite il saluto della città. Il Duca d’Aosta si ferma poi brevemente nella saletta reale della stazione, tutta adorna di velluti e piante, dove gli vengono presentate le autorità.

Preceduto dall’aiutante di campo il Principe si avvia quindi all’uscita. Nella piazza sono schierati i mutilati, i combattenti, l’Associazione del Nastro Azzurro, dei finanzieri in congedo, il fascio ferroviario. All’apparire, l’augusto Principe salutato da entusiastici applausi e da vibranti alalà, mentre la musica cittadina intona la Marcia Reale.

Cerimonia di inaugurazione della Casa di Riposo e del Monumento ai Caduti (da “La Storia fotografata racconta…” Ennio Mazzon, 2012)

Prima di salire in auto, il valoroso Condottiero si sofferma e rivolge alcune domande al mutilato di guerra Cibin Luigi ed al combattente Canever Giuseppe ai quali esprime poi il suo compiacimento per le azioni svolte in guerra. Indi il Duca d’Aosta prende posto in automobile assieme al Podestà commendator Bortolotto, e per via Garibaldi e via Vittorio Emanuele, acclamatissimo dall’immensa folla, raggiunge la piazza del municipio dove è accolto da una nuova ovazione, mentre la musica del Presidio Militare suona la Marcia Reale e la Milizia presenta le armi.

Il Principe Emanuele Filiberto si trattiene nel salone centrale del palazzo municipale e conferisce con tutte le autorità provinciali e locali manifestando la sua ammirazione per le nostre laboriose e patriottiche popolazioni.

Durante il ricevimento, che è durato circa mezz’ora, la folla assiepata nella vasta piazza prospiciente il palazzo municipale chiama fra applausi incessanti l’augusto Principe che ha dovuto affacciarsi al balcone vivamente acclamato.

Il Monumento ai Caduti

Il Monumento ai Caduti in una cartolina degli anni Trenta

Dopo il ricevimento al palazzo comunale il Duca d’Aosta, seguito dalle autorità, tra due fitte ali di popolo acclamante si reca ad inaugurare il monumento ai Caduti. Le tribune erette di fronte al monumento, in una delle quali si trovano le madri e le vedove dei caduti, sono gremite di una folla di invitati. Ai piedi delle tribune sono schierati: un drappello di marinai, un drappello di finanzieri e una centuria della M.V.S.N., numerosi ufficiali dell’Esercito e della Milizia, le Piccole italiane, gli Avanguardisti e di Balilla, una rappresentanza del G.U.F. di Padova con gagliardetto e la musica del Presidio Militare di Trieste.

Sulla scalinata del monumento sono schierati i vessilli delle associazioni madri e vedove dei caduti, mutilati, combattenti, decorati e le bandiere dei comuni del Mandamento di San Donà, Portogruaro e di alcuni della provincia di Venezia, nonché di molti Fasci di combattimento.

La benedizione del Monumento

Cerimonia di inaugurazione della Casa di Riposo e del Monumento ai Caduti. Al centro Mons. Longhin accompagnato da Mons. Saretta (da “Ricordando San Donà” Battistella-Milanese, 1993)

Nel mezzo della via Margherita, prospiciente al Monumento, è costruito il palco reale. Alle 10:30 giunge S.E. il Vescovo Mons. Longhin e subito dopo uno squillo di tromba annunzia l’arrivo del Principe. Mentre i marinai, i finanzieri e la Milizia al comando del tenente della Guardia di Finanza sig. Ivo Borri, presentano le armi, la Piccola italiana Ravazzoli, del corso di avviamento al lavoro, offre a S.A.R. un mazzo di fiori. S.E. Mons. Longhin impartisce quindi la benedizione del monumento mentre vengono scoperte le quattro grandi lapidi sulle quali sono incisi i nomi dei gloriosi caduti.

Dopo la benedizione S.E. Mons. Longhin così parla: « Non è la prima volta che ho l’onore di alzare la mano a benedire in nome di Dio i monumenti che il popolo d’Italia ha innalzati ai suoi gloriosi caduti. Quando i centomila profughi tornarono nelle loro terre tempestate dalle artiglierie nemiche, dimenticarono tutti gli strazi sofferti e ricordarono subito coloro che col sangue e la vita avevano data possibilità di rivedere il loro luoghi. »

Mons. Longhin ha poi continuato rivolgendo fervide parole di omaggio al glorioso Condottiero della Terza Armata e ricordando la resurrezione di San Donà. L’eminente presule ha concluso esaltando il sacrificio dei Caduti per la grandezza della Patria.

Parla il presidente del Comitato

Cerimonia di inaugurazione della Casa di Riposo e del Monumento ai Caduti. Le autorità intervenute, al centro il Duca d’Aosta (da “Ricordando San Donà” Battistella-Milanese, 1993)

Ha parlato poi il presidente del Comitato comm. Giuseppe Bortolotto. « Dodici anni or sono – ha detto l’oratore – nei primi giorni del grigio novembre, dopo la Vittoria radiosa delle nostre armi, si incontravano qui a San Donà il sindaco e l’Arciprete di allora. Il primo veniva dai luoghi del profugato, il secondo giungeva dal territorio invaso. S’incontravano qui, arrivando da diverse strade, per riprendere il loro posto e per fare ciascuno il proprio dovere.

« Ma in quell’ora triste, quando le difficoltà rendevano più misera l’esistenza, il compimento del dovere era particolarmente gravoso. Sulla distruzione della guerra si abbatteva la furia degli elementi. Più aspro era il bisogno e la gente, più delle altre sperduta, invocava gli aiuti, che troppo spesso erano inferiori alle necessità del momento. Lo spettacolo era toccante di pietà e di dolore. Ed allora il Sindaco e l’Arciprete, che sentivano ad un tempo l’angoscia e la responsabilità della situazione, espressero fin da quei giorni il proponimento ed il voto che nulla in avvenire sarebbe stato tralasciato, affinchè le opere di beneficenza, di assistenza e di sollievo avessero presso di noi piena e provvida esplicazione.

« Da quel tempo asili, orfanatrofio, istituti di educazione, opere assistenziali sorsero in San Donà e furono sempre al primo posto nel nostro pensiero e nelle nostre cure. E quando si volle render tributo di onore ai Caduti gloriosi, noi elevammo nel loro nome un asilo per gli indigenti, perché nella tarda età, qui trovino sollievo e conforto.

Giuseppe Bortolotto, Presidente del Comitato per il Monumento ai Caduti, ma già Sindaco e Commissario Prefettizio di San Donà di Piave

« Ora il voto è compiuto. Dopo aver posto in funzione gli altri istituti, inauguriamo oggi, nel nome dei morti la nostra Casa di Ricovero.

« Siamo grati a S.M. il Re perché ha voluto delegare a rappresentarlo S.A.R. il Duca d’Aosta; e siamo grati a Voi, Altezza Reale, perché il Monumento ai Caduti di San Donà di Piave non poteva desiderare sorte migliore di quella di essere inaugurato per l’intervento del Re soldato nella persona del Condottiero della Terza Armata.

« Qui ha benedetto la Casa il Presule della Marca Trevigiana, che durante la guerra stette nella città travagliata come soldato al suo posto ed esercitare l’opera pietosa. Qui sono presenti il rappresentante del Governo e il Podestà di Venezia, la città che stette con coraggio in pericolo sotto le percosse notturne del nemico che voleva colpire e deturpare le sue bellezze. Qui tutti gli intervenuti hanno offerto alla grande guerra un lembo vivente della loro anima un respiro poderoso della loro passione, e tutti rendono con lo spirito intatto, il loro tributo ai 400 caduti di questa nostra piccola gloriosa terra di trincea.

Il nobile omaggio
Il Monumento ai Caduti in una cartolina degli anni Cinquanta (colorata)

« Non con espressioni plastiche o decorative, ma con opere durature di umanità, non con manifestazioni di forma o di parola, ma con fatti materiali di carità e di amore noi onoriamo la memoria di chi tutto donò alla Patria.

« E pare veramente che, come i nostri Capi ci hanno indicato, qui, più che altrove fosse questo il dovere. Qui dove al martirio delle ferite profonde si è aggiunto il dolore dell’invasione nemica, che fu ributtata in disordine dalla riscossa meravigliosa dei Vostri soldati, Altezza Reale. Essi nel nome purissimo Vostro, che è il nome invitto dei Savoia, hanno trovato lo slancio superbo della riconquista. E se eccessive ponderazioni di negoziatori o, peggio, gelosie strane di alleati, non ci avessero sbarrato il cammino, Voi, Altezza Reale, li avreste guidati a segnar patti di armistizio nel cuore della potenza nemica e vinta, affermando così solennemente ciò che la stoltezza e la perfidia si ostina a negarci: la dignità della nostra fatica, la bellezza del nostro sacrificio, la realtà della nostra Vittoria.

« Qui l’omaggio ai Caduti acquista un dolente profumo di nobiltà e dalla rimembranza triste l’anima si affina verso la purità delle opere. Qui incidere nel marmo i nomi degli scomparsi significa, più che negli altri luoghi, segnare nella storia la santità delle imprese di nostra gente. Qui ricordare i Morti significa giurare innanzi a Dio il proponimento, che venne espresso da Benito Mussolini quando, affacciatosi al cospetto della nostra terra devastata, ha esclamato commosso con suo cuore di italiano e di combattente: “ Qui un giorno giunse il nemico; gli Italiani giurano che non ritornerà mai più “.

Il significato del ricordo

« Qui ricordare il nome dei martiri ventenni affondati nelle acque o caduti sulla sponda del fiume consacrato vuol dire veramente inchiodare alla vergogna coloro che offendono la terra materna.

« Questo noi vogliamo far dire al ricordo, che è ricovero ed asilo. Questo è il pensiero dei cittadini di San Donà, che son grati a Vostra Altezza, oltre che per l’intervento augusto di oggi, perché avete voluto degnarVi di accettare la presidenza onoraria del Comitato »

Cerimonia di inaugurazione della Casa di Riposo e del Monumento ai Caduti. Il duca d’Aosta affacciato al balcone (Archivio Arturo Mestre, da “Monumento ai caduti in guerra 1915-1918” R. Gattiboni, 2018)

L’oratore ricorda quindi che all’opera tutti concorsero con slancio. Indi continua:

«  Podestà di San Donà di Piave: Ecco le chiavi di questa Casa di carità e di assistenza. Ve le consegno esprimendo un voto che è convincimento profondo, un augurio che è una valida certezza. Ed è questo: che lo spirito di fraternità che si compendia in quest’opera di ricovero e di conforto, si riaffermi e si rinsaldi, come è sempre stato, pregio e vanto di questa nostra terra modesta e operosa.

L’oratore rivolge quindi un vivo ringraziamento a Mons. Longhin, al Prefetto e al Segretario. Quindi prosegue:

« Altezza Reale : Vogliate degnarVi di deporre dinanzi alla Maestà del Re l’amore sincero di questa popolazione, che, attraverso tutte le vicende, le lotte, la distruzione, la resurrezione, il lavoro e l’aspra fatica ha serbata e serba sempre intatta una fede: La Patria; ha serbata e serba intera una devozione: il suo Re. E al suo Re soldato essa dice di essere pronta a seguirlo e a servirlo sempre ed ovunque per la vita e per la morte. Così dalla sorte dei Caduti sorge un respiro meraviglioso di vita. Così dalla tristezza dei ricordi si sprigiona un’alta, una nobile fierezza. Così lungo le tappe del cammino faticoso segniamo l’orma di un’opera buona, riconsacriamo la dignità di un proponimento severo. Così procediamo sereni perché i destini della gente nostra sono immortali ed eterni, illuminati da un sole che non tramonta, sospinti dalla superba rifiorente energia della nostra giovinezza latina.

« Viva il Re! Viva il Duca d’Aosta! Viva il Duce! Viva l’Italia! ».

Il discorso del Presidente del Comitato è stato vivamente applaudito. Si è levato quindi a parlare il Podestà comm. Costante Bortolotto il quale ha detto:

Il discorso del Podestà
Il Podestà di San Donà di Piave dal 1927-33, già Sindaco dal 1923-25

« Alla vostra presenza, Altezza Reale, che qui rappresentate S.M. il Re, dell’Arcivescovo, di S.E. il Prefetto, delle autorità civili e militari, quale Podestà della cittadina che conobbe tutto il sacrificio ed il martirio della guerra, Podestà già combattente della vostra invitta Armata e Camicia nera della vigilia, mentre ringrazio il Comitato, prendo in consegna questo edificio monumento ai caduti in guerra di San Donà.

« E quivi sul Piave dove tutto è un ricordo del sacrificio dei nostri soldati e dove si sono decise le sorti della guerra, quivi sul fiume Sacro, le cui acque vanno al mare portando ancora con rumore delle onde il canto sublime e solenne dei nostri morti in guerra, quivi più che altrove, questo monumento sarà sprone ed incitamento per i giovani ad amare sempre più l’Italia, a tutti dare per essa, a morire occorrendo sul campo di battaglia come sono caduti gli eroi che oggi onoriamo e ci benedicono e pregano Iddio perché l’Italia fascista, nei confini raggiunti sotto la Casa Savoia, sia sempre più grande, temuta e rispettata. »

Una lunga ovazione accoglie le parole del Podestà. La folla grida: Viva il Re! Viva il Condottiero della Terza Armata! Viva il Duce!

Indi in Duca d’Aosta si reca a visitare la Casa di ricovero dove si intrattiene una quindicina di minuti. Ritorna poi in Municipio acclamato sempre dalla popolazione dopo di aver rivolte alcune parole a madri e vedove di caduti che si trovavano schierate lungo il percorso.

L’emblema alla contessa Ancillotto
Un ricevimento presso il Municipio alla presenza del Duca d’Aosta, fotografato accanto al Podestà Costante Bortolotto, in una delle sue numerose presenze in città durante quel periodo.

In Municipio il Duca d’Aosta, alla presenza delle autorità, del Podestà comm. Bortolotto e del presidente della Federazione del Nastro Azzurro comm. Errera. Consegna l’emblema araldico dell’eroica medaglia d’oro ed asso dell’aviazione Giannino Ancillotto, alla madre N.D. contessa Corinna Ancillotto, che ringrazia commossa l’Augusto Principe.

S.A.R. offre anche alla contessa una propria fotografia con la seguente dedica: A donna Corinna Ancillotto, rievocando con vivo rimpianto la gloria dell’Eroico suo Giannino, che nella Terza Armata durante le tragiche giornate dimostrò slancio sublime e audacia sovrumana. Emanuele Filiberto di Savoia.

La folla intanto si riversa nuovamente nella Piazza Indipendenza dove sono più di diecimila persone che acclamano il Duca d’Aosta, il quale si affaccia fra grandi evviva al poggiolo del palazzo municipale, mentre le Piccole italiane, gli Avanguardisti e i Balilla cantano, accompagnati dalla musica e sotto la direzione delle insegnanti delle scuole elementari, l’Inno al Piave e la Marcia Reale.

La partenza del Principe

Alle ore 12, nella sala maggiore del Comune, S.A.R. ha partecipato ad una colazione intima alla quale erano presenti le più alte autorità civili militari e politiche della provincia.

Alle ore 13.15 il Duca d’Aosta, tra rinnovate manifestazioni di entusiasmo e di devozione della folla e seguito dalle autorità, si è recato alla stazione ripartendo alle 13.30 fra gli evviva dei presenti. »

Il Monumento ai Caduti in una cartolina degli anni Sessanta
I Bortolotto

La famiglia dei Bortolotto ha legato i nomi di molti dei suoi esponenti alla guida amministrativa della Città, sin dal primo Sindaco Giuseppe (1866-72), nonno del Giuseppe qui presidente del Comitato. Lo stesso Giuseppe ricoprì la carica di Sindaco prima della grande guerra e successivamente quella di commissario prefettizio prima a Firenze e poi delegato alla ricostruzione. Quando nel suo discorso nomina “il Sindaco e l’Arciprete” indica sé stesso e Monsignor Saretta. Giuseppe era figlio di Luigi Cesare Bortolotto, figlio del primo Sindaco di San Donà e fratello di Francesco, anch’egli Sindaco di San Donà dal 1885 al 1891. A chiudere il cerchio Costante Bortolotto che di Francesco era il figlio, qui lo ritroviamo Podestà di San Donà, in precedenza era stato Sindaco dal 1923 al 1925. Giusto per chiudere questo dettaglio sulle autorità presenti a questa inaugurazione, il duca d’Aosta Emanuele Filiberto morì l’anno dopo, il 4 luglio 1931 all’età di sessantadue anni. Volle farsi seppellire, al pari di tanti soldati di quella terribile guerra, nel cimitero degli invitti sul Colle Sant’Elia a Redipuglia, per poi essere traslato al Sacrario del Redipuglia quando venne inaugurato nel 1938.

Per approfondimenti: 1. “Monumento ai caduti in guerra 1915-18” di Roberto Gattiboni (Passart Editore, San Donà di Piave, 2018); 2. Archivio “La Gazzetta di Venezia”; 3. “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e Passarella” di Mons. Dott. Costante Chimenton, 1928); 4. “Il monumento all’aviatore Giannino Ancillotto (1896-1924)” di Chiara Polita (Tipolitografia Colorama, 2010); 5. “La grande guerra degli ultimi” di Chiara Polita (Mazzanti Libri, 2015); 6. “Cent’anni di carità” di Marco Franzoi (Digipress Book, 2020); 7. “Il disegno della città tra utopia e realizzazione” di Dino Casagrande e Giacomo Carletto (Tipolitigrafia Colorama, 2002)

Guido Guarinoni, Sindaco di San Donà di Piave

Ing. Guido Guarinoni (fotografia Giacomelli, Venezia)

La guerra che tutto travolse ridusse San Donà in un cumulo di macerie, non vi era edificio che si fosse salvato. Se non erano state le bombe a combinar sconquassi, ci pensò l’uomo nel depredare quanto all’abbisogna. Gli abitanti che non avevano potuto o non avevano voluto abbandonare il territorio per lo più avevano trovato riparo nelle campagne sfidando i soprusi degli occupanti e la fame di chi ogni giorno si trovava a dover fare i conti con gli eserciti in lotta. Chi non aveva resistito si era allontanato verso i paesi del portogruarese sperando in un futuro ritorno. Dopo un anno di guerra rimase nell’aria solo l’odore acre della polvere di quegli edifici diroccati, di quel centro cittadino disseminato di tante voragini causate dalle bombe che copiose erano cadute in cerca di un nemico e che ora doveva trovare nei superstiti la forza per far risorgere il paese.

In una veduta aerea del 1918 il centro cittadino distrutto, in alto il Duomo, sulla sinistra il Palazzo Comunale (fotografia originale)
Le difficoltà del lento ritorno
La San Donà del dopoguerra tra le macerie si cucinava per sfamare la popolazione. Probabile che il borghese possa essere Guido Guarinoni (fotografia originale)

In ogni dove a San Donà sorsero baracche per offrire riparo a quanti erano rimasti e a quelli che un po’ alla volta avevano deciso di tornare. Quel che gli occhi trovavano dava un peso enorme al cuore, mai avrebbero pensato di ritrovarsi in una simile situazione di disperazione. Come non bastasse la guerra era finita da poco quando nei primi giorni di gennaio del 1919 la Piave tornò a far pesare la propria incombente presenza. Gli argini ancora danneggiati dai bombardamenti e dai trinceramenti degli eserciti in lotta non erano stati ancora riparati. Facile fu per le ribelli acque del grande fiume trovare un varco ed allagare le campagne riducendole in acquitrini paludosi. Se durante la guerra questo aveva fatto gioco per bloccare l’offensiva austroungarica, ora metteva in pericolo la ricostruzione. In ambito governativo si arrivò persino ad ordinare l’evacuazione, provvedimento poi ritirato per la ferma protesta del sindaco Giuseppe Bortolotto e della popolazione stessa. Proprio il Sindaco era tornato da poco da quella Firenze che aveva offerto rifugio alla macchina amministrativa sandonatese e che ora a fatica cercava di coordinare il ritorno della popolazione e di dare un ordine alla ricostruzione. Lo stesso Sindaco più volte era entrato in contrasto con le autorità governative tanto da dare le dimissioni, ma dopo un periodo di commissariamento venne richiamato per poi rimanere in carica sino alle elezioni dell’autunno del 1920.

Piazza Indipendenza nell’immediato dopo guerra in una cartolina dell’epoca (fotografia Italvando Battistella)
L’Italia che ritorna al voto
Una giovane (Teresina Guarinoni?) nel giardino Bressanin anno 1919 (foto originale)

Le elezioni sia a livello nazionale che a livello locale durante la guerra erano rimaste congelate. La situazione generale era in rapido mutamento e le cicatrici dei lunghi anni di conflitto ebbero presto un loro peso. A questo si aggiunsero gli effetti della rivoluzione russa, con le idee del socialismo che stavano rapidamente varcando i confini. L’Italia ne venne attraversata e questo ebbe subito un riverbero nelle elezioni amministrative del 1920 tanto che in molte zone questo cementò un’alleanza tra il nascente partito fascista e molte componenti centriste, dando vita al Blocco Nazionale in contrapposizione proprio ai socialisti. In talune zone a frapporsi tra i due schieramenti si inserì il Partito Popolare, e proprio a San Donà di Piave a sorpresa le elezioni amministrative videro prevalere proprio quest’ultimo.

Racconta la Gazzetta di Venezia del 6 novembre 1920:  « Ieri, 5., fu convocato per la prima volta il nuovo consiglio comunale. Il Commissario prefettizio cav. Bortolotto riferì a lungo sull’amministrazione straordinaria del passato difficile periodo e fece gli auguri che la nuova Amministrazione possa bene affrontare i gravi problemi che s’impongono per la resurrezione del disgraziato paese.

Passato alle nomine riuscì eletto Sindaco l’ingegnere Guarinoni ed assessori i signori Bastianetto, Battistella, Roma, Zorzetto. Il pubblico numeroso che assisteva alla seduta accolse con segni di disapprovazione l’esito della votazione. I nomi dei nuovi amministratori scelti fra la maggioranza eletta dal Partito popolare danno poco affidamento poiché il momento critico che attraversa il nostro Comune richiedeva persone colte e pratiche della vita amministrativa. ».  Il malcelato critico commento del giornale era frutto della spinta che lo stesso aveva dato affinchè si formasse un blocco unico con il partito fascista mentre San Donà aveva deciso altrimenti.

Guido Guarinoni, Sindaco di San Donà
Ritratto di famiglia presso il giardino Bressanin nel 1919, anche in questo caso il signore più anziano potrebbe essere Guido Guarinoni (foto originale)

Guido Guarinoni, il protagonista della nostra storia, divenne Sindaco di San Donà nel novembre 1920. Durante la guerra aveva trovato riparo a Venezia, città nella quale ancora risiedeva come si desume dall’atto di matrimonio della figlia che lì si sposò nel 1922 con l’industriale originario di Firenze Gino Baldi. Nonostante i timori alla sua elezione l’opera dell’amministrazione Guarinoni fu fondamentale nella ricostruzione di San Donà. Lo stesso Monsignor Chimenton dà merito all’amministrazione Guarinoni per quanto fatto negli anni del suo mandato. Essendo il libro di Monsignor Chimenton del 1928, questo non era affatto scontato anche se rimarcava come l’amministrazione di quel periodo agì in modo profittevole grazie alla collaborazione dell’opposizione. Nello specifico si riferiva a quel partito fascista che poi gli succedette, ruolo in seguito divenuto non più contendibile dopo la creazione del Podestà con cariche non più elettive. Il fatto che il Sindaco risiedesse a Venezia non costituì un impedimento dato che sin da subito gli si affiancò Marco Bastianetto quale consigliere anziano, con cui Guarinoni era stato consigliere comunale prima della guerra e, cosa non secondaria, era tra i fondatori del Partito Popolare sandonatese assieme ad Alberto Battistella, Giuseppe Boem, Pietro Perin, Enrico Picchetti e Giuseppe Zucotto.

L’amministrazione Guarinoni

Ad affiancare il Sindaco Guido Guarinoni ci furono, oltre a Marco Bastianetto, i Sig.ri Umberto Roma, Giuseppe Zorzetto, Giuseppe Boem e Alberto Battistella. L’amministrazione Guarinoni nei tre anni che rimase in carica diede attuazione al piano regolatore approvato nei mesi precedenti alle elezioni, iniziò e completò la ricostruzione del Municipio; su progetto dell’architetto Giuseppe Torres fu ultimato il campanile nel 1922 con le campane che ritornarono a risuonare il venerdì Santo dell’anno seguente e fu quasi completato il duomo poi consacrato nel 1925; si allacciò all’acquedotto la gran parte del centro cittadino; e come ricorda Monsignor Chimenton:  « …si eseguì la pavimentazione interna del paese ; si iniziò e quasi si ultimò il nuovo cimitero ; si deliberò l’alberazione di alcune strade ; si provvide per ottenere la concessione del terreno , richiesto per la sistemazione delle baracche; si proseguì e si ripristinò la viabilità pubblica ; si sistemarono gli edifici scolastici, e si iniziarono le pratiche per averne di nuovi ; si provvide in parte all’illuminazione pubblica ; si approvò l’istruzione religiosa nelle scuole. ».

Il Nuovo Ospedale
L’Inaugurazione dell’Ospedale “Umberto I” (foto Battistella)

Furono tanti gli importanti eventi e le inaugurazioni che si susseguirono negli anni dell’amministrazione Guarinoni. L’11 dicembre 1921 alla presenza del Ministro Raineri e del Vescovo di Treviso Monsignor Andrea Giacinto Longhin venne inaugurato il nuovo ospedale “Umberto I”, ricostruito in viale Regina Margherita dopo le grandi distruzioni della guerra. Grande fu l’impegno del Presidente comm. Antonio Trentin e del vicepresidente cav. dott. Vincenzo Janna per riuscire a dare al direttore dell’ospedale Alessandro Girardi e al suo assistente dott. Carlo Cristani una struttura adeguata alle esigenze di un comprensorio sandonatese destinato ad un grande sviluppo. Per reperire i fondi utili alla costruzione dell’ospedale era stata indetta anche una lotteria nazionale con l’estrazione del primo premio nel marzo 1920.

Cerimonia di inaugurazione dell’ospedale, da destra: comm. Chiggiato, comm. ing, Umberto Fantucci, comm. Antonio Trentin, S.E. il ministro Raineri, il sindaco ing. Guido Guarinoni, mons. Luigi Saretta, S.E. Monsignor Andrea Giacinto Longhin, prefetto di Venezia comm. D’Adamo (foto Giacomelli, Venezia)
Il Congresso delle Bonifiche

Dal 23 al 25 marzo 1922 si tenne a San Donà di Piave il Congresso Nazionale delle Bonifiche che diede grande lustro alla città richiamando molti esponenti della politica nazionale a cominciare da quelli governativi, per non tralasciare don Luigi Sturzo e il parlamentare sandonatese Silvio Trentin, oltre a tanti tecnici che stavano portando avanti una grande opera di bonifica in tante zone d’Italia. Nei nostri territori attraversati dalla guerra molte di quelle opere vennero ancor più implementate per riparare alle molte distruzioni causate dagli eserciti in lotta. Fu grande il risalto dato all’evento nella stampa nazionale e locale, in particolare La Gazzetta di Venezia dedicò ampie paginate ai temi in discussione e ai tanti interventi dei partecipanti alla tre giorni congressuale.

Questo l’intervento di saluto del Sindaco Guido Guarinoni come riportato da La Gazzetta di Venezia di quei giorni: « Egli ricorda che quando, sul novembre 1918, orgogliosi della grande vittoria, i cittadini di San Donà tornarono dall’esilio, e videro lo squallore di queste terre di messi opime e d’invidiata prosperità, pareva un sogno la speranza che in breve tempo sarebbero risorte, per incamminarsi a più promettente avvenire. Pure, per la fermezza di propositi e l’intensità del lavoro della popolazione, la vita riprende il suo corso normale.

Il nome di San Donà, orgogliosa di essere stata scelta a sede di questo Congresso è grato all’Istituto Federale di Credito per il risorgimento delle Venezie ed alla Federazione dei Consorzi, e con essi agli illustri Presidenti comm. Ravà e comm. Mazzotto, l’oratore dà il saluto, in nome del Comune, al ministro Bertini, ai sottosegretari Beneduce, Martini e Merlin, alle Autorità e ai Congressisti.

Augura che il Congresso sia buon augurio per l’avvenire di S. Donà che un secolo fa non era che un villaggio di poche case, specie in una zona palustre di oltre 40 mila ettari, e che oggi, mercè la fiorente attività dei Consorzi di bonifica è un importantissimo centro di vasti territori, la cui prosperità economica va sempre crescendo, e si avvia a tempi radiosi di prosperità, di benessere e di progresso. (applausi vivissimi) »

L’inaugurazione del Nuovo Ponte
L’inaugurazione del Ponte, il palco delle autorità. Sulla sinistra Monsignor Longhin con Mons, Saretta; al centro il patriarca di Venezia il Cardinale La Fontaine, alle sue spalle il Duca d’Aosta e alla sua sinistra il sottosegretario Sardi; sulla destra Corinna Ancillotto con a fianco il sindaco Guido Guarinoni (Illustrazione Italiana, nov 1922)

Il 12 novembre 1922 ebbe luogo anche l’inaugurazione del nuovo ponte sul Piave. Distrutto dall’esercito italiano nel novembre 1917 per fermare l’avanzata austroungarica, subito dopo la guerra ne venne costruito uno provvisorio in legno. Poi fu la volta di quello definitivo con caratteristiche molto simili a quello che tuttora percorriamo e che successivamente fu parzialmente ricostruito anche dopo la seconda guerra mondiale. In quel novembre 1922 il ponte venne inaugurato al cospetto delle massime autorità con la presenza di Sua Altezza il Duca Emanuele Filiberto d’Aosta, del Patriarca di Venezia il Cardinale Pietro La Fontaine, del Vescovo di Treviso Monsignor Andrea Giacinto Longhin, del sottosegretario ai Lavori Pubblici Alessandro Sardi e di tutte le massime autorità cittadine a cominciare dal Sindaco Guido Guarinoni. Grande fu la festa con una San Donà gremitissima che acclamò gli oratori che si succedettero sul palco. Dopo la benedizione del Patriarca di Venezia vi fu la firma ufficiale del Duca d’Aosta sulla pergamena che sancì il battesimo del ponte, quindi la classica rottura della bottiglia da parte della contessa Corinna Ancillotto, madre dell’aviatore sandonatese Giannino Ancillotto, medaglia d’oro al valor militare. Vi è poi una curiosità attinente alla famiglia Guarinoni ed inerente al ponte: tra gli ingegneri che seguirono la costruzione del ponte ci fu anche Ippolito Radaelli, cognato del Sindaco Guido Guarinoni. Sposato inizialmente con la sorella Alda Maria, rimase vedovo ed in seconde nozze sposò Crico Clorinda a sua volta imparentata con Guido Guarinoni avendone sposato il fratello Amedeo, anche lei rimasta prematuramente vedova.

L’inaugurazione del Municipio
Il Presidente del Consiglio Benito Mussolini 1l 3 giugno 1923 sul terrazzo del Municipio di San Donà di Piave (fotografia Ferruzzi)

Ma un evento ancor più solenne avvenne il 3 giugno 1923 quando venne inaugurato il Municipio di San Donà di Piave progettato dall’architetto Camillo Pugliesi Allegra, lo stesso che poi progetterà il Palazzo dei Consorzi della Bonifica che completerà i grandi palazzi che contornano ancor oggi Piazza Indipendenza. A tenere a battesimo il Palazzo istituzionale della città fu addirittura il presidente del consiglio Benito Mussolini. In carica dall’ottobre 1922 e impegnato in un grande giro istituzionale in Veneto Mussolini fece tappa anche a San Donà di Piave. Imponente la cornice di folla che accolse il presidente del Consiglio per un evento che ancor oggi è ricordato con una targa all’interno del Municipio nella quale è citata una frase detta da Mussolini in quella occasione: “ Qui una volta giunse il nemico, gli italiani giurano che non succederà mai più “. Un’enfasi che non venne poi troppo confermata dai fatti , ma eravamo solo all’alba del ventennio che segnerà l’Italia negli anni successivi.

La targa posta all’interno del Municipio con la citazione di Mussolini in una cartolina dell’epoca (foto A. Batacchi)
Le elezioni amministrative dell’agosto 1923

Dopo tre anni di amministrazione Guarinoni a metà agosto del 1923 si tennero le ultime elezioni amministrative prima che il regime fascista istituisse la figura del Podestà di nomina governativa. Differentemente dalle precedenti questa volta il partito fascista prevalse. Sabato 18 agosto 1923 si insediò il nuovo consiglio che nominò Costante Bortolotto Sindaco di San Donà di Piave. Tra gli eletti figurava anche l’ex Sindaco Guido Guarinoni.

Questo l’articolo della Gazzetta di Venezia che racconta quella giornata:  « Il Commissario prefettizio ha oggi insediato il nuovo Consiglio comunale. Dopo la lettura della relazione che fu applauditissima, venne nominato sindaco il sig. cav. Dott. Costante Bortolotto. Furono nominati assessori effettivi i sigg. Janna cav. Dott. Vincenzo, De Faveri dott. Cav. Giuseppe, Bastianetto Marco e Guarinoni ing. Guido. Assessori supplenti i sigg. Velluti ing. Francesco e Davanzo Giuseppe. Furono spediti i seguenti telegrammi:  “ S. E. Benito Mussolini, Roma – Nuova amministrazione San Donà di Piave risorta dalla guerra prima volta riunita oggi sede municipale da Vostra Eccellenza inaugurata manda reverente saluto e ossequio Capo Governo auspicando che programma restaurazione nazionale abbia completo sicuro svolgimento. “.  ” Generale Cittadini, Primo Aiutante Campo Sua Maestà Re d’Italia, Roma. Nuova amministrazione comunale San Donà di Piave riunitasi prima volta rivolge ossequiente pensiero a Sua Maestà il Re di Italia milite in guerra probo cittadino in pace primo fra tutti nelle nobili proficue e sane iniziative nazionali. “.  Oggi (19) continuazione della Pesca, musica in Piazza, rappresentazione straordinaria del Circo Caveagna e un attraente spettacolo pirotecnico. Si prevede gran numero di gente. La tradizionale fiera di S. Rocco è stata superiore ad ogni aspettativa ». 

Costante Bortolotto, Sindaco nel 1923 e Podestà nel 1927
Comm. Costante Bortolotto, primo Podestà di San Donà di Piave (Fotografia Batacchi)

L’amministrazione Bortolotto si mosse in continuità con quella precedente in un quadro che vedeva oramai il partito fascista sempre più dominante nella politica cittadina. Mentre a livello nazionale la tensione crebbe con la legge Acerbo che condizionò le elezioni politiche dell’aprile 1924 cui seguì il delitto Matteotti, anticamera all’instaurazione della dittatura.  Costante Bortolotto rimase in carica due anni, poi il 9 marzo 1925 con la sua nomina a fiduciario del P.N.F di tutto il Basso Piave passò il testimone al dott. Giuseppe De Faveri in continuazione con lo stesso Consiglio Comunale in precedenza eletto. Il Consiglio rimase in carica ancora per poco più di un anno per poi venire sciolto il 18 luglio 1926. Dopo un periodo di commissariamento prefettizio del cav. rag. Arturo Sears, il 9 aprile 1927 venne nominato il primo Podestà di San Donà di Piave che vide il ritorno di Costante Bortolotto alla prima carica cittadina. Quanto a Guido Guarinoni con lo scioglimento del Consiglio finì la sua avventura politica sandonatese, ma è indubbio che ancor oggi a cento anni di distanza molto di quanto ricostruito durante la sua amministrazione dopo quel terribile conflitto mondiale è ancor oggi visibile in città. Guido Guarinoni e la sua famiglia mantennero la residenza a Venezia dove tra l’altro sia lui che la moglie Maria Velluti entrarono a far parte dell’Ordine Equestre del Sacro Sepolcro di Gerusalemme. Entrambi sono stati tumulati nel cimitero di San Donà di Piave presso la tomba di famiglia che accoglie anche gli antenati dei Guarinoni oltre alla figlia Teresina morta nel 1973 e il marito Gino Baldi morto venti anni dopo.

A destra la tomba della famiglia Guarinoni, a sinistra quella della famiglia Bastianetto. Sia Guido Guarinoni che Marco Bastianetto sono stati protagonisti della ricostruzione di San Donà di Piave dopo la grande guerra. Nel secondo dopoguerra lo sarà anche Celeste Bastianetto, figlio di Marco, primo sindaco eletto dopo la Liberazione anch’egli lì tumulato nella tomba di famiglia

Racconto diviso in due parti: 1. Villa Guarinoni, immagini vecchie di un secolo – 2. Guido Guarinoni Sindaco di San Donà di Piave

Per approfondimenti: 1. « S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella » di Mons. Costante Chimenton (Tipografia Editrice Trevigiana, Treviso – 1928); 2. « San Donà di Piave » di Dino Cagnazzi (Centro Stampa, Oderzo – 1995); 3. « L’esercito per la rinascita delle Terre Liberate, il ripristino delle arginature dei fiumi del Veneto dalla Piave al Tagliamento » di Comando Supremo del Regio Esercito (Stab. Tipolitografico Militare, Bologna – 1919); 4. « L’ospedale civile di San Donà di Piave 1900-2000 » di Dino Casagrande, Franco Ambrosi, Federico Teker, Rita Finotto, Nicoletta Lo Monaco, Silvia Cagnatel, Angelino Battistella (Tipolitografia Adriatica, Musile di Piave – 2000); 5. « San Donà di Piave, piccola guida di una città senza storia? » di Chiara Polita (Tipografia Digipress, San Donà di Piave – 2016); 6. « Il Ponte della Vittoria diventa storia 1922-2022 » di Lodovico Bincoletto e Loris Smaniotto (Bienne Grafica, Musile di Piave – 2022); 7. Archivio “La Gazzetta di Venezia” anni 1920-1923, quotidiano di Venezia; 8. Archivio “Gazzettino” anno 1923, quotidiano di Venezia

Pioggia di granate su San Donà (12 novembre 1917)

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , p. 256; 226-229)

Una foto austriaca di San Donà una decina di giorni dopo il primo bombardamento italiano

Dal diario di Costante Bortolotto, 12 novembre 1917

“ Siamo a Chiesanuova- – Un momento di sosta su tutta la linea ; nessun colpo di cannone, nessuna sparatoia di fucile e mitragliatrice. Lontano, il suono confuso di trombe, come di una marcia che si dirige verso San Donà : gli Austriaci come ad una festa, procedevano verso l’argine sinistro del Piave Nuovo. Il comandante Ascoli telefonicamente impartì l’ordine alle batterie di Chiesanuova di colpire la posizione dalla quale proveniva quella musica, vero concerto di guerra in un campo oramai insanguinato. Sei batterie, compresa la batteria Bortolotto, aprirono il fuoco : furono dieci minuti di inferno ; ventiquattro pezzi, a fuoco accelerato, martellarono San Donà di Piave : i figli stessi di quella terra provocarono le prime rovine sulla cittadina del Basso Piave. In pochi minuti millecinquecento granate piombarono su San Donà ; probabilmente qualcuna di quelle granate avrà raso al suolo le case degli stessi artiglieri. Quando cessò il fuoco, la zona piombò, in pochi istanti, in un silenzio sepolcrale : la banda militare, petulante e provocatrice, tacque per sempre ; il cannone austriaco rispose un po’ più tardi con la sua rabbia ringhiosa, ma il Piave quella mattina non si potè attraversare dal nemico. “

Dal diario di don Zandomenighi, Il momento della battaglia si avvicina a Passarella

La pressione da parte degli austriaci si faceva sempre più forte. La notte dal 12 al 13 novembre fu notte d’inferno : ordini severissimi da parte dei nostri avevano imposto alla popolazione di non uscire all’aperto, di sospendere qualunque movimento. Quella notte gli ufficiali italiani che alloggiavano in casa canonica, erano tutti usciti, unitamente al cappellano militare : il grosso dei nostri si era portato verso Revedoli dove infieriva il combattimento.

La preoccupazione di Don Zandomenighi

La mattina del 13 don Zandomenighi si avvide che qualche cosa di grave stava per succedere nel suo paese : poco lontano dalla chiesa parrocchiale il cappellano militare e un gruppo di ufficiali del Genio erano intenti a sistemare un impianto radiotelegrafico. Spinto dal desiderio di notizie precise, don Zandomenighi si avvicinò a questi ufficiali e, con una semplicità tutta sua, dissimulando la trepidazione del suo animo e l’angoscia che lo tormentava : “Cappellano, disse, le raccomando di nuovo il molino : la popolazione ha fame, e lei lo sa ; veda per carità che quel molino possa oggi funzionare !” – “Sta bene, sta bene ! “, rispose seccamente il cappellano, il quale in realtà mostrava di non sapere che cosa rispondesse ; e rivolto ad un tenente, compagno di un lavoro che si sistemava in una forma precipitosa : “Il molino ! –esclamò ; – si raccomanda il molino, il buon parroco ! Ne avremo oggi dei molini !…”. – Don Zandomenighi intese queste parole e si allontanò; si sforzò di mostrarsi tranquillo quando entrò in canonica, ma non riuscì ; la presenza del sacerdote che ritornava sconvolto, non più tranquillo come i giorni precedenti, aumentò lo spavento in quei disgraziati che presso quel buon sacerdote avevano chiesto ricovero e protezione.

Il nemico incombe su Passarella

Il combattimento continuava, a base di fucileria e scoppio di bombe, verso Revedoli. A mezzogiorno il cappellano militare si precipità in casa canonica : rivolse poche parole al parroco. I due sacerdoti si scambiarono un bacio, una stretta di mano, e poi… il cappellano si allontanò seguito da qualche ufficiale e da pochi soldati : quella stessa notte il passaggio del Piave era stato forzato a Revedoli : gli Austriaci avanzavano ormai verso Passarella ; erano giunti ad un chilometro dalla chiesa parrocchiale.

Don Zandomenighi rimasto solo, seguendo il consiglio del cappellano militare, ordinò che quella colonia di parrocchiani si tenesse chiusa in casa, occupasse le stanze di tramontana, come quelle che erano meno esposte in quel momento ; si interessò lui stessoperchè simili disposizioni fossero impartite nelle case più vicine alla chiesa, dove si erano concentrati gran parte dei parrocchiani. Il fuoco della fucileria cessò improvvisamente verso le 13 : si sospettò di un falso allarme da parte del cappellano, un mantovano autentico ; ma il fuoco si riprese con rabbia verso le 14, e poi… cessò di nuovo. – Quel silenzio fu più opprimente che non il crepitio delle mitragliatrici ; ma fu un silenzio di pochi istanti : verso le 15 un “urrà, urrà !” ripetuto a squarciagola sulla piazza della chiesa fece uscire il sacerdote dalla canonica.

Don Zandomenighi si trovò di fronte un picchetto di ungheresi : armati di fucile, avanzarono contro il sacerdote. Il sergente, che comandava il picchetto, si limitò a chiedere sigarette e zolfanelli ; poi disse in buona lingua italiana : “Ritorni a casa, perché qui, poco lontano, sta piazzata una mitragliatrice !” A poca distanza, verso Chiesanuova, si sentiva difatti il crepitio delle ultime mitragliatrici italiane che si sforzavano ancora d’impedire l’avanzata nemica.

La battaglia si sposta verso Chiesanuova

Perché, è necessario ricordare, i paesi di Passarella e Chiesanuova furono conquistati a palmo a palmo : la resistenza fu violenta da parte dei nostri che non cedettero se non sotto la potenzialità numerica degli avversari. Le defezioni, tanto decantate dagli invasori, si ridussero a pochi gruppi di combattenti sulla sponda destra del Piave Nuovo, che giudicarono inutile ogni resistenza quando si videro accerchiati dal nemico. Quel manipolo di ungheresi proseguì la sua corsa verso Chiesanuova.

Pochi momenti dopo si presentarono in casa canonica di Passarella una ventina di soldati italiani, privi di comandanti, armati in assetto di guerra ; non sapevano ancora di essere già prigionieri. Mosso da un senso di pietà , naturale e spontaneo, dinanzi a connazionali sfiniti, confusi, in balia di se stessi, don Zandomenighi li consigliò a disperdersi fra le famiglie di Passarella e indossare subito abiti borghesi. Il colpo riuscì a meraviglia. In quel gruppo di soldati stava un chierico salesiano. Don Zandomenighi fece indossare a quel chierico una veste talare, lo accolse in casa, lo volle ristorare con cibi confezionati a bella posta : “Poveretto !, scrive nel suo diario don Zandomenighi, credo abbia mai mangiato così volentieri in vita sua ! Lo misi poi a letto, perché mi pareva stanchissimo e molto sofferente. Maria Ausiliatrice lo protesse : quando, verso il tramonto, gli ungheresi incominciarono le perquisizioni in tutte le case di Passarella, e anche in canonica, frugando e rovistando in ogni luogo, sempre sospettando imboscate e tradimenti, nessuno pensò ad aprire la stanza dove il chierichetto dormiva tranquillamente, inconscio del pericolo che lo minacciava : sopra il suo letto, quel chierico aveva distesa la sua divisa di soldato italiano.

Un lieto fine che arriverà solo molti mesi dopo

Quel chierico si soffermò presso don Zandomenighi per una ventina di giorni; lo seguì nelle sue peripezie fino a Torre di Mosto. Ma in seguito alle disposizioni draconiane del Comando austriaco, che comminava la pena di morte ai detentori di prigionieri di guerra, il chierico, pern non esporre il suo benefattore a conseguenze fatali, volle, contro la decisione del benefattore stesso, disposto, pur di salvarlo, ad affrontare qualunque pericolo, colle spontaneamente costituirsi ai gendarmi austriaci. E così scomparve quello studente nel gran vortice della prigionia ; fu gettato nei concentramenti più disparati dell’Austria che gli fece pagare a caro presso il suo atto di coraggio per conservarsi intatto alla patria, cui servì con la massima fedeltà: cadde ammalato per i patimenti e le vessazioni sofferte. – Essendosi portato, dopo l’armistizio, don Zandomenighi a Treviso, dove fu ospite di casa di Monsignor Bettamin, S.E. Mons. Vescovo faceva recapitare al parroco di Passarella una lettera : era uno scritto del chierico salesiano Gaetano Vico, che dall’ospedale militare di Verona chiedeva al Vescovo di Treviso l’indirizzo preciso di don Zandomenighi, per poter scrivergli, e manifestare un’altra volta a lui, suo vero salvatore, i sensi della più viva riconoscenza e dell’affetto più sincero.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre 1917 (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Quei primi giorni dell’invasione aldilà del Piave

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV )

Nel libro scritto da Monsignor Chimenton una parte preminente del IV capitolo riguardante l’invasione austroungarica e il terribile anno di occupazione è dedicata agli scritti di Monsignor Saretta. Non di meno trovano spazio anche i ricordi di altri sacerdoti come don Marin, il parroco di Passarella don Zandomenighi, quello di Chiesanuova don Contò, oltre del comm. Costante Bortolotto, allora tenente sul fronte del Piave.

Passarella in una foto austrica di qualche mese dopo

Dal diario di Costante Bortolotto

5-9 novembre. Il ten, Costante Bortolotto, ricevuto l’ordine di portarsi con la batteria verso Cortellazzo, si piazzò di fianco ad un casolare, detta Bissona. Il casolare era abitato dalla famiglia Bisson : un vecchio di novant’anni, al quale tutti i famigliari portavano affetto e venerazione come ad un patriarca, era l’unico custode. Nei momenti liberi il tenente Bortolotto lasciava la sua batteria e si portava, in bicicletta, a Cavazuccherina per aver notizie più precise sulla guerra, sul nostro esercito, sulla linea di resistenza : era ospite in casa del dottor Visentini. Casa Visentini era deserta, e da quella casa fu prelevata una cassa di pastiglie e di medicinali che servivano alla batteria per tutto l’inverno. Gli austriaci erano ormai giunti al Piave Nuovo : “Ricordo, scrive lo stesso ufficiale, la impressione dolorosa del primo colpo caratteristico del fucile austriaco. Era di sera prima del tramonto, e in un baleno mi passò davanti la visione del Carso, di tanti paesi distrutti, e la cui devastazione ormai si portava nella mia terra, nella mia casa pure abbandonata, e … un singhiozzo mi strozzò la gola e piansi di nascosto : i soldati non dovevano constatare la mia depressione d’animo “. Il buon vecchio Bisson, che non si era ancora deciso ad allontanarsi da quel casolare, mentre la sua famiglia si era portata a Venezia, ripeteva “Sior tenente, i Tedeschi no i xe vegnui qua gnaca nel ’48 ; el staga sicuro, sior, che no i vegnarà gnanca stavolta”. E il tenente a lui “Non verranno neppure questa volta. Ma voi intanto allontanatevi da questo luogo! “. La mattina del 9 novembre, dopo una visita degli aereoplani nemici e l’arrivo dei primi colpi di granata attorno al casolare, il vecchio si presento al comando della batteria : “Buona fortuna, sior comandante, – disse tremando, – mi vado via, ma ghe consegno le ciave dea me caneva : el fassa quel che el vol! “. Quel vecchio, che da novantanni abitava quella casa, piangendo come sa piangere il bambino cui una forza violenta strappò una persona o una cosa che gli era carissima e che costituiva la sua vita e il suo ideale, si allontanò. La casa Bisson quello stesso giorno fu rasa al suolo : ma il vecchio non rivide quelle macerie ; morì lontano dal suo paese, durante l’anno di profuganza. (pp. 253-254)

Dal diario di Don Innocenzo Zandomenighi, curato di Passarella

9 novembre. La sera del 9 novembre gli austroungarici, dall’argine sinistro del Piave cominciarono a far sentire il dentellare delle loro mitragliatrici : la popolazione si ritirò nelle trincee che si eravo scavate in quei giorni, in attesa che il nemico si decidesse di passare. La posizione si presentò subito pericolosissima : la località si trovò circoscritta fra due fuochi e due eserciti : i nostri, sul Piave Vecchio, che in tutti i modi volevano arrestare il passo del nemico, e l’esercito austriaco, che, sistemato sull’argine sinistro del Piave Nuovo, si accaniva furiosamente per aprirsi quel varco che lo avrebbe costituito dominatore della posizione, assicurandogli l’avanzata verso Mestre e verso Venezia.

10 novembre. La prima granata austriaca piombò su Passarella il 10 novembre : il parroco ne fu salvo per miracolo. Mentre con due soldati italiani si recava ad aprire il molino, perchè la popolazione di Passarella e di Chiesanuova si trovava, da due giorni, priva di farina, la granata che doveva colpire il campanile gli passò pochi metri sopra il capo : a distanza di cinque metri da lui colpiva in pieno due soldati. Don Zandomenighi si rifugiò in casa canonica. Una seconda granata colpì un angolo della casa del sagrestano. Passarella era specialmente battuta con violenza nella località della chiesa, ritenuta dal nemico punto strategico di concentramento. Lo stesso giorno, 10 novembre, fu ferita leggermente la chiesa.

11-12 novembre. La mattina del giorno 11, festa di San Martino, si celebrò la messa per tempo nella bella chiesa di Passarella ; ma durante la notte quella chiesa era stata duramente battuta: letteralmente scoperchiata, il pavimento e gli altari frantumati e ricoperti di pietre e pietrame. Si celebrò anche il giorno 12, e si consumarono quella mattina, le Sacre Specie : chi quella mattina assistette il sacerdote, ricorda la sua trepidazione in quei momenti solenni e nefasti : il sacrificio fu compiuto tra l’orgasmo : come una tragica visione si presentarono all’animo di don Zandomenighi lo strazio del suo paese e l’immensa sciagura del suo popolo buono.

Fu l’inizio del martirio di Passarella. Il popolo comprese la sua sentenza : chiuso da tutte le parti da un fuoco concentrato, non potè più muoversi : a lui non restava che aspettare ansiosamente la morte. Eppure non si ebbero, in quelle giornate, vittime fra la popolazione borghese.

La casa canonica, posta a destra della chiesa e riparata in qualche modo dalle granate e dalla fucileria austriaca, si era trasformata in un ricovero di fanciulli, di donne, di vecchi, imploranti pietà, pallidi e tremanti per tante emozioni. (pp. 225-226)

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12-14 novembre 1917 (Passarella) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte