E in quei primi di dicembre l’incosciente visita ad una San Donà gravemente ferita

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV pp. 206-210)

La strada che portava verso il cimitero vista da via Maggiore, sulla destra quella che diverrà piazzetta delle Grazie
Primo dicembre, la certezza che la guerra continuerà

Il primo giorno di dicembre un aereoplano austriaco, volteggiando a bassa quota, lasciò cadere su Grisolera, fin presso S. Donà, dei piccoli manifesti che annunziavano la pace separata con la Russia : si assicurò così che la guerra avrebbe assunto una maggiore audacia sul fronte italiano.

Il ricordo di San Donà commuove i profughi

Lo stesso giorno, il più sfacciato saccheggio di quanto non si era potuto nascondere nelle case di Palazzetto, in Cà Fiorentina e in Cà Catturcata. – Il giorno 2, domenica, il servizio religioso si potè effettuare in tutti i concentramenti : Mons. Saretta incaricò il cappellano don Marin a portarsi per la seconda messa in Catturcata. Non è possibile descrivere l’entusiasmo con cui il sacerdote fu accolto da questa comunità : al Vangelo don Marin rivolse al popolo il suo saluto, pieno di fede e d’entusiasmo, e commentando il passo biblico Super flumina Babilonis illic sedimus et flevimus, ricordò la casa abbandonata, la chiesa dove molte lagrime si erano sparse e voti ardentissimi si erano innalzati : luoghi santi, a cui erano intrecciate una storia e tante sacre memorie. Il ricordo del paese, della casa, della chiesa suscitò un fremito di indignazione e un profluvio di lagrime.

L’incoscienza delle suore le guida sino a San Donà
Il cimitero di San Donà di Piave, nella zona dell’attuale Oratorio Don Bosco

Il lunedì 3 dicembre iniziò una nuova settimana tragica. Nella speranza di ottenere qualche aiuto, quella mattina Mons. Saretta si era recato a far visita al cappellano di un reggimento austriaco. Durante la sua assenza tre suore e la domestica di canonica, sig. Rosa Carniato, una donna piena di coraggio confinante con un ardimento spinto alla follia, presero la strana risoluzione di portarsi a piedi fino a S. Donà per una ricognizione. Prive di ogni biglietto di passaggio, costeggiando sempre l’argine, a piè della scarpata, per essere riparate dal tiro della fucileria italiana, giunsero a S. Donà : l’argine sinistro del Piave era interamente abbandonato,

‹‹ Visitammo l’asilo, completamente saccheggiato e in più punti colpito da granate ; alcuni soldati austriaci si dividevano gli oggetti che avevano trovato sopra la soffitta della cappellina e sotto l’altare,  nascosti là prima della nostra partenza, nella ingenua speranza di sottrarli all’ingordigia dell’invasore. Di là passammo al cimitero, che trovammo abbastanza intatto ; era scoperchiato l’ossario, e la mura di cinta colpita in più parti ; la tomba della nostra sorella, suor Santa Tommasoni, non aveva avuto alcun danno ; mentre recitavamo per l’anima di lei, raccomandandoci alle sue preghiere, il De profundis, sul cielo volteggiavano minacciosi sette aereoplani italiani che pareva spiassero le nostre mosse.

Le distruzioni all’interno del duomo

̶ ̶ Dal cimitero, alla chiesa ; vi potemmo entrare a stento, perché il pavimento era ingombro di macerie ; il tetto era in gran parte crollato, l’organo gravemente danneggiato, il tutto messo a soqquadro. Anche la bella statua della Madonna era scomparsa. Molti banchi erano stati asportati. Intatta ancora si conservava la cappella di Maria Bambina, ma le magnifiche vetrate erano tutte infrante. Dalla chiesa alla canonica : semi distrutta come tutte le altre case della piazza di S. Donà, che pareva un cimitero sconvolto. ̶ ̶ Non potemmo che prelevare un ostensorio, un crocefisso della chiesetta dell’ospedale militare e alcuni metri di panno nero, che doveva aver servito per drappo mortuario, e che, più tardi, in un’altra fuga, doveva servire per velo ad alcune di noi ››.

Mentre uscivano dall’ospedale militare, un soldato austriaco le ammonì del pericolo a cui erano esposte. Inconscie della gravità del passo che stavano per compiere, attraversarono la piazza a pochi metri dall’argine del Piave, e si diressero all’ospedale civile : Il fabbricato era sufficientemente intatto, ma del tutto completo il saccheggio di ciò che le suore avevano abbandonato. ‹‹Potemmo solo raccogliere la statua del S. Cuore, alcuni libri e qualche indumento ; nel refettorio trovammo un soldato che indossava il vestito di una suora, e che depose subito appena ci vide comparire ; un altro soldato, in cappella, con la tovaglia della balaustra si fasciava i piedi. Terrorizzate da una fitta scarica di artiglieria di tutti i calibri, che pareva puntasse contro di noi, fra il sibilio delle pallotole, intontite, prendemmo la corsa del ritorno››.

Ospedale Umberto I

Erano le quattro pomeridiane e la giornata calava assai tetra. E a quelle ardite, troppo imprudenti, sebbene degne di encomio per il sangue freddo sempre addimostrato, erano riservate, nel ritorno, sorprese poco gradite. Rifatta la strada dall’ospedale alla piazza, attraversata frettolosamente quest’ultima, per la Via dei Tigli, giunsero sotto l’argine del Piave. Vollero seguire un’altra via nel ritorno : alcuni figuri che le avevano lasciate passare e non pareva fossero disposti a mostrarsi verso di loro cavalieri onorati, le avevano seguite a lungo con aria minacciosa ; la nuova via che si intendeva percorrere, era più breve e più opportuna per quattro donne che, in sul tramonto, in mezzo a tanti pericoli, tra soldati capaci di ogni azione, dovevano percorrere ancora circa dieci chilometri di strada a piedi, su un terreno sconvolto, sparpagliato di cadaveri e, più di tutto, ingombro di munizioni di guerra.

Le postazioni austriace poste all’inizio di Viale dei Tigli

Appena giunte sulla rampata, presso la casa abitata un giorno dal segretario comunale sig. Livio Fabris, una sentinella le invitò a presentarsi al vicino Comando, sistemato in casa Maschietto. Dopo un rapido interrogatorio, in cui quelle donne si sforzarono di far capire ad un tenente lo scopo del loro viaggio e il desiderio di ritornare a Grisolera, furono con difficoltà esaudite : un soldato fu incaricato dell’accompagnamento. Il soldato si dimostrò sempre premuroso e gentile verso quelle donne ; fu, in realtà, una scorta sicura, ma aveva avuto ordini tassativi : condurre le suore presso un Comando di linea, a 200 metri appena da S. Donà, e che aveva stanza in una grotta, scavata nell’argine stesso del Piave, presso la rampa. Il nuovo interrogatorio fu breve, e si decise di far accompagnare le suore a Ceggia, e non più a Grisolera che doveva essere ormai sgombra dalla popolazione civile. Era un nuovo pericolo per la comunità religiosa : la separazione avrebbe certamente avuto fatali conseguenze.

Insperatamente libere

Quelle suore tanto piansero e tanto pregarono che furono lasciate libere, in balia di sé stesse, sotto la piena e personale responsabilità per tutti gli incidenti a cui potevano rimanere esposte. Esse accettarono l’intera responsabilità : per quelle suore era preferibile la morte, anziché rimanere a disposizione di un Comando austriaco e di soldati ed ufficiali di tutte le fedi e di tutti i costumi. Era ormai notte ; le granate fioccavano qua e là, ad intermittenza, sul terreno sconvolto ; i riflettori spiavano il cielo dalle due parti dei combattenti e illuminavano di una luce sinistra la via che si doveva percorrere : quelle donne, tutte sole, tra gli spasimi continui e le preghiere, con passo più che affrettato, inciampando spesso nelle pozzanghere e fra i reticolati, giunsero finalmente a casa Sant. Non erano più attese né da Mons. Saretta né dalla comunità : il giusto rimprovero del sacerdote si trasformò in gioia alla narrazione delle peripezie incorse : su quelle fortunate vegliò la mano di Dio. Ne ricordiamo i nome : suor Giuseppina Fossa, suor Battistina Lanza e la sorella Giuseppina.

Il retro del duomo danneggiato di San Donà con accanto i poveri resti del campanile
Continua la difficile convivenza in casa Sant

La notte dal 3 al 4 dicembre fu un’altra notte tormentosa per l’intera comunità. I soldati austriaci, che tenevano occupato il pianterreno di casa Sant, quel giorno avevano data la caccia ad un maiale ; la sera sedettero a banchetto per consumare la facile selvaggina in una di quelle orgie che così spesso si ripeterono nelle nostre regioni invase. Non mancò il vino prelibato ; non mancarono i liquori più rinomati, rubati a Grisolera : tutta la notte, fino alle cinque del mattino, si prolungò una gazzarra stomachevole, frammischiata da canti e frizzi immorali, consolata dal gridio stridulo di un verticale, rubato con il solito sistema della violenza austriaca. Non si rispettò il sonno delle donne ; non si badò ai gemiti degli ammalati : la violenza era più o meno inaugurata a sistema in tutti i paesi invasi e bisognò tacere : ogni reclamo sarebbe stato scontato con la morte sotto il colpo di un pugnale o con la strage di una bomba a mano.

Prima ancora che sorgesse il sole del 4 dicembre, la comunità, dopo una notte agitatissima. Era uscita di casa e si era portata a Grisolera per i funerali di un vecchio. La cassa funebre fu formata colle stesse porte della casa Sant, e il feretro fu coperto con uno sciallo nero. Il calesse, una carretta da campagna, fu trascinato da un magro ronzino che più volte cadde al suolo, sfinito per mancanza di nutrimento : suore e donne dovettero sostituirsi a quella bestia, fino al cimitero.

Il giorno 5 dicembre un nuovo funerale a Grisolera : una donna, una certa Balbo, era morta, consunta dai patimenti e dallo spavento. Mons. Saretta volle celebrare la Messa tra le rovine della chiesa di Grisolera presente il feretro : ultimata appena la Messa, alcune granate italiane colpirono l’unica cappella rimasta intatta ; dell’artistico edificio non doveva rimanere che un cumulo di macerie continuamente battute e sconvolte.

Il duomo di Grisolera

Lo stesso giorno si diffuse fra i nostri la notizia che i Tedeschi avevano avanzato per sei chilometri e occupato Croce di Piave e Losson di Meolo : era una notizia falsa, diffusa ad arte dagli Austriaci per sollevare lo spirito dei combattenti ed opprimere maggiormente i nostri profughi.

La fame cominciò a farsi sentire : le poche provviste si assottigliavano sempre più ; il pane stesso della carità veniva a mancare. – A Grisolera funzionavano una macina e un forno che servivano per tutta la zona ; ma il pane fresco era assai raro, mancava perfino agli ammalati. Mons. Saretta più volte domandò a qualche ufficiale un pò di pagnotta e di rancio per sè e la numerosa famiglia ; fu sempre assistito, in quest’opera di soccorso, dal capitano di Gorizia, già sopra ricordato, sig. Paolo Hertzog che, al sacerdote che chiedeva l’elemosina per il suo popolo, offriva quel pane che serviva alla truppa. Il pane era impastato di tutto fuorchè di farina di frumento ; ma in mezzo a tanta indigenza quella carità fu provvidenziale : di pochi ufficiali austriaci il popolo di San Donà conserva un migliore ricordo.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre 1917 undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Don Zandomenighi diviene parroco di Torre di Mosto

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV pp. 235-241)

Don Zandomenighi dopo aver protestato presso il Comando austroungarico di Ceggia, aver subito un interrogatorio ed essere rimasto qualche giorno in cella, era stato nominato a sorpresa parroco di Ceggia dalle truppe occupanti con l’assoluta proibizione di muoversi dal paese….

Torre di Mosto nel 1918

La mattina però del 22 novembre il decreto fu cambiato : don Zandomenighi, su una carretta di campagna, fu trasportato a Torre di Mosto e nominato, dal Comando ungherese parroco di quella cura. Era un nuovo metodo di elezione, certamente non conosciuto in Italia.

Don Zandomenighi si trasferisce a Torre di Mosto

Il sacerdote, diretto a Torre di Mosto, in compagnia di un gendarme, per prendere in consegna la parrocchia, si incontrò, presso i confini del paese, con il colonnello stesso che aveva proposta la sua nomina, il quale, scambiate poche parole con il gendarme, salutò il sacerdote quale parroco di Torre di Mosto, e gli impose, per il giorno seguente, 23 novembre, di far sgombrare e addobbare a festa la chiesa : alle nove del mattino si era fissata, dal Comando supremo, una solenne funzione religiosa per il reggimento ungherese, e don Zandomenighi doveva essere il celebrante in sostituzione del cappellano militare, assente per convalescenza. Giunse a Torre di Mosto verso le ore 15 e si portò a visitare la canonica : la trovò trasformata in deposito di munizioni, guardata da numerose sentinelle che impedivano a tutti l’ingresso. Don Zandomenighi fu accolto provvisoriamente quale ospite presso una buona famiglia del paese.

I famigliari di Don Zandomenighi riescono a rintracciare il loro congiunto
Torre di Mosto nel settembre 1918

Intanto ad Isiatta nulla si sapeva di preciso sulla sorte toccata a don Innocenzo Zandomenighi : si era sparsa perfino la voce della sua fucilazione da parte degli Ungheresi, avvenuta a Ceggia o a Torre di Mosto. Fra la disperazione ed il pianto, due cugine e una nipote del sacerdote, dopo tre giorni di un’attesa affannosa, presero la decisione di farne le ricerche : sempre a piedi si portarono a Ceggia, dove poterono conoscere un pò di storia sulle avventure successe al loro congiunto : di poi passarono a Torre di Mosto, dove ormai lo sapevano sano e salvo. Vi giunsero sfigurate dai patimenti, trepidanti per lo spavento, impossibilitate a credere ai loro occhi, quando lo ravvisarono di lontano, calmo e tranquillo, sebbene un pò abbattuto dai patimenti della prigionia e del digiuno prolungato. Lo stesso Comando militare si interessò di fornire al sacerdote ed alla sua famiglia una casa per abitazione, in sostituzione della casa colonica che doveva restare adibita per scopi di guerra ; gli fu assegnata la casa della famiglia Rettanin, fuggita nell’interno d’Italia al primo avanzarsi del nemico.

Fu una fortuna per il sacerdote : quella casa, che fu sempre adibita ad uso canonico fino all’armistizio, era composta di varie stanze, e presentava tutte le comodità ; fu una fortuna anche per il proprietario, perchè così quei locali furono salvi da quelle requisizioni e occupazioni militari che tanta miseria lasciarono in tutti i paesi invasi dal nemico.

Da quel giorno don Zandomenighi si sistemava a Torre di Mosto con i suoi congiunti, intieramente spoglio di tutto, perfino il breviario che aveva lasciato ad Isiatta nella persuasione di un ritorno ; i suoi compaesani, in piccole comitive, presto lo raggiunsero. Durante la sua assenza da Isiatta, gli furono venduti il cavallo, la carrozza e tutto il corredo che era stato trasportato da Passarella. Cominciò per lui il periodo della fame e della miseria, sostenuta, o, meglio, riparata, elemosinando. Non è questa una frase esagerata : rappresenta la triste posizione di don Zandomenighi e di tutti i profughi di Passarella che si trovarono presto separati dal loro parroco e lanciati nelle varie località del Friuli : solo poche famiglie poterono sistemarsi a Ceggia e a Torre.

Don Zandomenighi costretto a ristrettezze

Don Zandomenighi cominciò a mendicare un pò di indumenti : il povero uomo, in prigione, sopra quel tavolato e quel pò di paglia, aveva assunto una di quelle famiglie eterogenee che rendono assai noiosa e pungente la vita : prima cosa, chiese in elemosina una camicia e un paio di mutande per cambiarsi e mandare i noiosi inquilini in un’altra sede. Ottenne il tutto da una povera donna, che pure fornì di biancheria i famigliari del parroco di Passarella, i quali versavano nelle stesse condizioni. Tutti i giorni poi il buon sacerdote ripetè il servizio di ricerche presso le cucine e i magazzini militari per avere un pò di rancio per sè e per il suo popolo.

Torre di Mosto si poteva definire un concentramento di profughi, stretti, assiepati in tutte le case, sui fienili e nelle stalle; a Torre di Mosto, si erano rifugiati ed avevano trovato ospitalità, in quei primi momenti, profughi di Passarella e di Chiesanuova, escluse poche famiglie che per conto proprio avevano cercato una dimora più tranquilla nei paesi circonvicini.

Le tristi voci sui destini di Passarella e Chiesanuova
L’interno della chiesa di Passarella (gennaio 1918)

In quell’epoca, non possiamo precisare il giorno, si ebbero le prime notizie di Passarella e Chiesanuova per mezzo di soldati austriaci reduci dal fronte. Furono notizie catastrofiche : tutto il mobilio della chiesa e dell’oratorio, l’archivio parrocchiale, gli oggetti più preziosi del culto, tutto era andato distrutto. Soltanto le campane erano salve ; ma il nemico le aveva asportate : i profughi di Passarella, concentrati a Torre di Mosto, le videro passare, una mattina di dicembre, su di un camion austriaco, dirette alla volta di Udine, Il camion sostò pochi minuti sulla pubblica piazza : alcuni coraggiosi si avvicinarono a quel carro per baciare l’ultima volta quelle campane che avevano suonato a festa nelle circostanze religiose, che avevano pianto i loro morti, e che si avviavano in un paese in cui dovevano essere tramutate in cannoni contro i nostri che difendevano il diritto e la giustizia. – Andò perduta anche tutta l’argenteria della chiesa di Passarella, e più ancora, perdita gravissima ed irreparabile, gli oggetti d’oro che ornavano l’immagine della Madonna : erano i doni preziosi delle donne di Passarella, che, rinchiusi in una cassettina, costituivano un vero tesoro. Quella perdita, come vedremo, è anche oggi un mistero, perchè quel tesoro fu salvato a tempo dalla rapina del nemico : scomparve molto più tardi, proprio quando persone coraggiose, con vero sacrificio, lo avevano ormai messo in salvo !

Inizia lo sgombero dei profughi da Torre di Mosto

Il 25 novembre il Comando militare impose lo sgombero di Torre di Mosto : i profughi dovevano prendere la via di Latisana, e il Comando stesso si interessò per un trasporto rapido su carri e autocarri.

Molti uomini erano stati già requisiti dall’autorità austriaca, e così il corteo dei nuovi partenti risultava composto, in massima parte, di donne, di bambini, di vecchi, a cui era stato pure requisito gran parte di quel provvigionamento che si era salvato nei primi giorni dell’invasione. – Anche per questi sfortunati nessuna preoccupazione, nessun riguardo : neppure il senso della pietà più elementare per i bambini più teneri o per le spose prossime a divenire madri. La prima notte il lungo convoglio sostò all’aperto fra Ceggia e Torre, in attesa che al mattino giungesse il treno che avrebbe dovuto trasportarlo a Latisana. – Fra gli altri sventurati, la mamma di don Emilio Barrichello, attuale parroco di S. Elena sul Sile : aveva ricevuto, il giorno precedente, gli ultimi Sacramenti, ricoverata per pietà in un fienile. Si domandò con insistenza da don Zandomenighi che almeno si fosse fatta una eccezione per quella vecchia morente ; ma si rispose, in tono arrogante : “Deve partire come gli altri ! Già deve morire, e morirà in Latisana ! “. Ma il cimitero di Latisana non accolse la salma di quella vecchia : l’infelice spirò lungo la via e fu sepolta in aperta campagna, presso la stazione di Ceggia.

Un altro caso pietoso. Un vecchio di ottant’anni, certo Callegher, con la figlia e tre nipoti, non si sentì di affrontare le nuove profezie della profuganza ; si rifugiò nel sottoscala della nuova casa canonicam e vi rimase chiuso otto giorni, uscendo unicamente di notte per cuocere un pò di polenta. E’ facile immaginare in quali condizioni dovette trovarsi quella famiglia, composta di cinque persone, tutta chiusa, in un piccolo vano di sottoscala, senz’aria e senza luce.

Il duro prezzo della profuganza per il popolo di Passarella
Torre di Mosto nel settembre 1918

Le requisizioni e le minacce si succedevano intanto tutti i giorni ; questi atti di barbarie, questi soprusi, erano spesso camuffati sotto le sembianze più ipocrite della filantropia : fu una nuova fase dei barbarismi e delle vessazioni, perpetrate contro i nostri. – Secondo gli Ungheresi, tutti i popolani di Passarella dovevano essere affetti di malaria : la posizione delle loro case, il luogo dove le masserizie rimasero concentrate dopo la rotta di Caporetto costituivano documento sicuro per provare l’esistenza del bacillo infettivo e la giustificazione più autentica per allontanare da Torre tanta gente. Ma dove sarebbero stati inviati tanti disgraziati? Proprio nelle posizioni più malariche : la mentalità teutonica era riuscita, a base di sillogismi terapeutici, a dimostrare che il malarico, che porta già con sè il bacillo micidiale, si è ormai assuefatto alle azioni deleterie, proprio come il cinese sa assuefarsi all’uso del veleno, o il ladro all’arte di rubare, Inutili, anche qui, le proteste del sacerdote : la scienza medica militare austriaca aveva deciso così, e non si dovevano fare ulteriori recriminazioni. Fu precisamente questo uno dei motivi per cui la mortalità fra i prigionieri borghesi fu spaventosa : la sola Passarella ebbe più di 300 morti durante la profuganza.

Una bambina di dodici anni, rimasta sola, smarrita la madre lungo il viaggio, fuggì dal convoglio, si rifugiò presso don Zandomenighi, e piangendo dichiarò che non sarebbe partita per Latisana o per Caorle : domandò di rimanere nascosta, magari fra le spazzature, in qualunque angolo della casa, Don Zandomenighi, che nulla poteva più compiere perchè rigorosamente controllato dai gendarmi, volle tentare la sorte : “Mi presentai con la bambina presso il Comando sanitario : un tenente germanico, lungo, magro, brutto, mi ascoltò impassibile ; poi si decise a prendere in mano il registro, e, trovato il nome della ragazzina, col suo pennino d’oro tracciò un segno, ed aggiunse : ” Per questa volta ! Ma sia la prima e l’ultima volta che si interessa delle disposizioni nostre “. – Nei suoi modi un pò inurbani si mostrò pure gentile quel tenente medico : avendo riconosciuto in don Zandomenighi il sacerdote che visitava spesso l’ospedaletto militare, dove pure venivano raccolti anche i borghesi più bisognosi di cure, nel riconsegnargli quella bambina, regalò al sacerdote sei scatole di medicinali e un corredo abbondante per pronto soccorso, insegnandone l’uso con una meticolosità che contrastava con i modi ruvidi che gli erano propri. Il sacerdote accolse quel corredo, come un dono prezioso e riportò in casa canonica l’orfanella che, piangendo per la commozione, non riusciva a trovar parole per ringraziare il suo salvatore.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre 1917 undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

I profughi di Monsignor Saretta a Palazzetto tra lutti e lotta per la sopravvivenza

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 203-206)

Piazza Indipendenza nel novembre 1917, sullo sfondo i palazzi più importanti danneggiati dai bombardamenti
Sempre sul filo del pericolo, nuovi lutti per le comunità di sfollati
Il Duomo danneggiato di Grisolera

Il giovedì 23 novembre fu turbato da un triste episodio. Mentre Mons. Saretta percorreva il breve tratto che divide casa Sant da casa Sgorlon, una granata di grosso calibro, proveniente dalla direzione di Meolo, cadde a pochi metri dal sacerdote e dalle suore che lo accompagnavano, nel cortile di casa Fiorindo. In quel momento una donna si trovava nel cortile : portava l’acqua attinta nel Piave. Una scheggia la colpì, le squarciò il petto e la distese a terra : sopravvisse pochi minuti. ̶ ̶ ̶ Mons. Saretta potè appena impartirle l’assoluzione e amministrarle l’estrema unzione. La sventurata aveva il marito in guerra, e lasciava, abbandonati alle cure dei parenti, undici orfanelli, di cui il maggiore contava appena quindici anni, mentre un prossimo nascituro attendeva di uscire alla luce per … godere la vita. ̶ ̶ ̶ Lo stesso giorno un vecchio, in un’altra casa di Palazzetto, fu colpito da scheggia di granata : raccolto da due soldati austriaci, benedetto da Mons. Saretta, fu sepolto nella campagna prospiciente la sua casa. ̶ ̶ ̶ Quel tiro insolito attorno a casa Fiorindo, e che riuscì fatale ai profughi, fu provocato da un pallone frenato austriaco, che i nostri non cessarono di perseguitare, finchè non fu interamente distrutto.

La mattina del 24 si trasportò al cimitero di Grisolera la salma della povera Fiorindo. La famiglia Fiorindo, pur sotto la minaccia di nuove disgrazie, volle rendere l’ultimo tributo di affetto all’estinta. Le esequie si celebrarono in una cappella della chiesa di Grisolera, rimasta ancora in piedi ; ma bisognò passare su di un cumulo di macerie. Al cimitero di Grisolera si ebbe lo spettacolo delle tombe sconvolte e dei morti disseppelliti dalle granate ; il quadro era reso più tetro ancora dalla vista di otto soldati austriaci morti e abbandonati sopra ai tumuli, stringenti ancora tra le mani il pugnale. Il prigioniero è sempre degno di rispetto ; più ancora merita rispetto l’avversario che sacrificò la sua vita : se l’esercito austriaco, operante in quella zona, mancava ancora di cappellano, è però sempre biasimevole la mancanza di quel senso di umanità che si trova perfino tra le pieghe del cuore più indurito : Mons. Saretta giudicò suo dovere supplire a questo senso di indifferenza e di cinismo e, aiutato dai Fiorindo e dalle suore, diede a quelle salme una provvisoria sepoltura.

Tensione con i soldati in casa Sgorlon

La sera del 24, quattro soldati austriaci penetrarono in casa Sgorlon : fumarono, bevettero e canticchiarono una loro canzone, accompagnando il canto con gesti poco decenti. Consumato quanto trovarono in cucina, tre soldati si portarono a spopolare il pollaio di quel poco che era rimasto dalle requisizioni di quei giorni; e poi se ne andarono ; il quarto invece si fermo in cucina evidentemente con cattive intenzioni. Pregato di andarsene, prepotentemente, villanamente si rifiutò : la pazienza ebbe un limite, e quel disgraziato si vide sul punto di essere aggredito da quelle donne che stavano raccolte in casa Sgorlon. Compresa la sua posizione pericolosa, ridotto in uno stato di assoluta impotenza, perché le donne si erano ormai armate di bastoni e di coltelli, credette opportuno tramutarsi in piffero da montagna, e queto queto si allontanò, lanciando però contro quelle donne delle frasi che anche al più inesperto della lingua tedesca suonarono banali bestemmie e titoli osceni, sputati contro creature onestissime che vollero salvaguardato il loro onore.

Casa Ronchi saccheggiata da borghesi e soldati
Casa Ronchi

La mattina del 25, giorno di domenica, la prima Messa si celebrò in casa Sant; la seconda in casa Sgorlon, dove alcuni uomini di Cava e di Grisolera si accostarono ai sacramenti. Sulla località si erano intanto, quella notte, rifugiate altre famiglie di Passarella che trasportarono con sé due vecchi ammalati, di Cavazuccherina : quei due vecchi furono subito consegnati, per l’assistenza, alle suore ; muniti dei conforti religiosi, abbandonati dalle famiglie che ne avevano curato il trasporto e che proseguirono la via dell’esilio, rimasero in definitiva aggregati alla compagnia del Mons. Saretta.

Nello stesso giorno si amministrò il battesimo in casa Marcon ad una bambina, cui le suore imposero il nome di Maria. ̶ ̶ ̶ In complesso, il 25 e il 26 novembre, in casa Sant e in casa Sgorlon, passarono tranquilli : rattristò unicamente tutti i profughi il saccheggio e le devastazioni compiute in casa Ronchi. Borghesi e soldati trovarono là, per diversi giorni, ogni sorta di derrate e di provviste : il vino allagò l’immensa cantina, dove accorsero, muniti di fiaschi e di botticelli, tutti i Comandi dei dintorni. Lo stesso Mons. Saretta, perché le cose nostre non andassero sciupate, pensò di approfittare di questa abbondanza ; si fornì di un po’ di vino e di alcuni salsicciotti, che furono, pochi giorni appresso, un vero acquisto provvidenziale per la numerosa famiglia.

Dal rifugio di Palazzetto la triste visione dei continui bombardamenti su San Donà
San Donà nel gennaio 1918

In casa Catelan, il mercoledì 28 novembre, si erano intanto rifugiate le suore Giuseppine, il parroco, e il medico di Grisolera, dott. Bressanin, unico medico rimasto prigioniero in quella zona (1 – Dobbiamo ricordare che il dott. Bressanin si tenne in contatto con il dott. Perin che spesso lo sostituì nella cura degli ammalati) : con quest’ultimo, in modo speciale, la comitiva di S. Donà procurò di non perdere mai contatto, anche in previsione di una fuga che si prospettava non lontana : parroco e medico, anzi, il 29 novembre si fermarono a modesta colazione con quei fuggiaschi di S. Donà e scambiarono con questi il loro programma per l’avvenire. Verso S. Donà, intanto, era sempre diretto il bombardamento, mentre razzi luminosi, durante la notte, spiavano il cielo e proiettavano scie fantastiche su quelle lugubri campagne.

Il giorno 30 la battaglia si accanì sopra S. Donà : aereoplani italiani e nemici volteggiarono, per lunghe ore, nel cielo di Palazzetto con tragiche scaramucce e lunghi inseguimenti. Così nella più angosciosa incertezza, senza una chiara visione di uscita, sempre con lo spettro della morte dinanzi agli occhi, tramontava, in un sanguinoso lembo di fuoco e di sangue, il disgraziato novembre 1917.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre 1917 undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Lo sgomento di Monsignor Saretta nel rivedere San Donà in rovina

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 198-203)

Via Maggiore antistante al Duomo
Monsignor Saretta si reca in visita a San Donà

La mattina del 19, lunedì, il capitano e un soldato ungherese, quest’ultimo dall’aspetto truce e feroce, si presentarono a Mons. Saretta per trasportarlo a S. Donà su di un povero calesse, Mons. Saretta ritornò la sera stessa, mezzo sciupato, pallidissimo, incapace di proferire parola, tutto orgasmo e singhiozzi.

Il Duomo in funa immagine del gennaio 1918

Giunto a S. Donà, oltrepassate le sentinelle della prima linea, fu fatto segno di nutrite scariche di artiglieria da parte dei nostri, che forse scambiarono il sacerdote con un alto personaggio austriaco ; il cavallo, spaventato dallo scoppio delle granate, si era dato ad una fuga precipitosa, abbattendosi infine sulle macerie accatastate del campanile. Mons. Saretta, rifugiatosi sotto le pietre della vecchia pescheria, abbandonato dall’ungherese che aveva pensato a mettere in salvo la sua vita, dopo una rapida e melanconica visita alla sua bella chiesa, già rovinata sul tetto e foracchiata sulla facciata, e alla canonica ormai colpita e danneggiata in varie parti, riprese, tutto solo e a piedi, la via del ritorno. Non seguì la via percorsa antecedentemente ; ma attraversò la campagna, eluse la vigilanza del nemico e ritornò incolume, portando scolpita sul volto l’impronta della sciagura che aveva colpito il suo paese : aveva visto morti disseminati in ogni luogo, cimiteri improvvisati lungo le strade e nelle campagne, animali abbandonati o squarciati dalle bombe, cadaveri mezzo sepolti, la vera distruzione, in una parola, e la più completa rovina. E dietro le sue spalle, nel ritorno, una densa colonna di fumo annunziava il furore nemico in quel triste tramonto : il setificio Bortolotto si consumava con i suoi immensi depositi, col suo splendido macchinario, tra le fiamme di un incendio vastissimo. Quando Mons. Saretta, rientrò in casa Sant, nessuno osò disturbare il suo dolore : dopo lunghe ore gli si poterono levare dalle labbra solo poche e succinte notizie.

Le distruzioni dei primi giorni al di qua e aldilà del Piave

Il vero martirio di S. Donà era incominciato da diversi giorni. Preziose, a questo proposito, le notizie che il cap. mil. Giuseppe Casonato inviava al Vescovo di Treviso il 25 novembre 1917 : era stato a S. Donà, sua patria, il giorno 8, e, sotto il tiro dei cannoni, era tornato fino a Musile il giorno 15. Lo spettacolo di S. Donà e di Musile vi è registrato in un modo efficacissimo : ‹‹ …A S. Donà mi recai il giorno 8 in camion ; ma che doloroso, straziante spettacolo! Il campanile completamente distrutto ; tutte le case e i negozi completamente saccheggiati! Entrai anche nella mia casa, già aperta al pubblico : trattandosi di casa di poveri, hanno lasciato quasi tutto intatto. La chiesa era chiusa e non ancora toccata. C’era in piazza il dott. Perin con don Umberto Marin. L’arciprete e i cappellani si ritirarono, pare, a Grisolera : quale sorte sia poi a loro toccata non lo posso immaginare. Ritornai in bicicletta ; non a S. Donà già occupata, ma a Musile il giorno 15 : avevo sentito che tutto a S. Donà era stato distrutto. Volli andare a far la verifica, e sotto i colpi di cannone giunsi fino a Villa Sicher di Musile : la chiesa di Musile fu dalle granate nemiche rovinata in gran parte ; così la cuspide del campanile fino alla cella campanaria. Sull’argine di Musile si trovano i nostri ; su quello di S. Donà gli altri. Di S. Donà vidi ancora in piedi la chiesa, il municipio e diversi altri palazzi più emergenti. Pranzai dal parroco di Losson, deciso di fermarsi sul posto ; vidi intatta la chiesa e il campanile di Croce : il parroco di Croce si trova a Zellarino… ››.

Postazione austriaca in via dei Tigli a San Donà

Fu in seguito a queste notizie che S. Ecc. Mons. Vescovo, tentate invano, in quelle fosche giornate, tutte le pratiche per ottenere notizie dei paesi sulla riva sinistra del Piave, scriveva, gli ultimi giorni di novembre nel 1917, nel suo promemoria, queste parole : ‹‹ La sorte di questi paesi è completamente ignota. Anche la S. Sede, a cui si fece ricorso, non seppe dare notizie precise ››.

In casa Sant la convivenza si fa difficile

Il martedì 20 novembre fu specializzato dall’attività delle granate provenienti dalla nostra marina. In casa Sant il soggiorno fu turbato dall’arrivo di una compagnia di soldati ungheresi, incaricati del trasporto delle munizioni sul ponte di S. Donà, e che si stabilirono al pian terreno della casa stessa. Il capo della compagnia, un vero tipo gaudente che si gloriava di indossare la pelliccia strappata ad un ufficiale italiano prigioniero, da lui stesso ucciso, aveva un aspetto di provocazione nauseante. Quel giorno Mons. Saretta si portò a benedire le salme di due povere donne, colpite in pieno durante la profuganza verso l’interno, presso Cà Catelan : appartenevano alla famiglia Zoia di Passarella. Fuggite in seguito all’avanzata austriaca, si erano rifugiate in una casetta dispersa nella campagna ; in quella località e in una posizione che, interamente abbandonata, era considerata la più sicura, furono colpite mentre in cucina attendevano a distribuire un po’ di polenta ai figli ; le loro cervella vennero lanciate sulle pareti e sparpagliate sul pavimento. Le vittime furono sepolte senza cassa sotto una pianta del cortile.

Casa Sgorlon in Palazzetto, ripristinata dalle rovine della guerra
Anche rimanere in casa Sgorlon non è più così sicuro

La notte dal 20 al 21 novembre fu un’altra notte spaventosa : il combattimento su S. Donà infierì dal tramonto al levar del sole. Mons. Saretta, ritornato a Cà Catelan, dove erano rimaste le suore Giuseppine, e dove aveva fatto visita al parroco di Grisolera, Mons. Ghezzo, rifugiatosi in quella località, raccolse in preghiera la comunità, affidandola interamente, e di nuovo, alla Provvidenza. La notte fu infernale, degno preludio al mercoledì 21 novembre, festa della Salute, il più lugubre forse di quel mese avventuroso. In casa Sgorlon il giorno 20 novembre, e tutta la notte appresso, soldati a drappello, portarono spavento nella famiglia con requisizioni di ogni genere, vessazioni brutali a mano armata nelle stanze da letto, spari continui di rivoltella per terrorizzare e ottenere quanto non si doveva né si poteva concedere ; al di fuori infuriava la battaglia, e le granate, vera tempesta interminabile, tutto sconvolsero il terreno circostante. La casa Sgorlon, per fortuna, non fu colpita neppure quella notte : di tanta gente si sarebbe fatto un impasto confuso. Ma tale fu lo spavento, che tutta la famiglia Sgorlon cercò rifugio nella piccola cappella unitamente a don Marin, e passò la notte insonne in continua preghiera, disposta ad essere maciullata ai piedi dell’altare, olocausto offerto a Dio per la pace e la salvezza della patria.

L’entrata del cimitero di San Donà il 25 novembre 1917

La mattina del 22, da casa Sant, Mons. Saretta si portò prestissimo, non appena il combattimento cessò, in casa Sgorlon, per consolare quella famiglia ; poi per battezzare due bambini nati in quella notte d’inferno in due case vicine, Rina Angela Pellegrini e Antonio Luigi Minetto, degni di essere chiamati figli della guerra.

La giornata del 22 fu tranquilla per la comunità ; però un insolito movimento di aereoplani preannunziava, fin dalle prime ore del mattino, un piano di guerra
organizzato dai nostri. Quella mattina, verso le 11, una granata italiana colpì il Comando austriaco : Villa Ronchi fu fortemente danneggiata. Nel pomeriggio don Marin fu inviato a Cittanova per consolare i profughi e per amministrare il battesimo a quattro bambini nati in quei giorni : si incontrò in quella circostanza con don Rossetto, che si era sistemato con un forte concentramento di profughi in Cà Fiorentina. Qui, in Cà Fiorentina, le vessazioni da parte di soldati ed ufficiali austriaci raggiunsero il parossismo : gli ufficiali di quel comando di divisione, di tutta notte, inviarono soldati armati di fucile con baionetta innestata a rapire le fanciulle del luogo, sotto il pretesto di una serata di danza che si voleva organizzare, la notte del 22 in quel campo di battaglia.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Il 16 novembre Passarella e Chiesanuova vennero evacuate

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 230-235)

Chiesanuova, liberata dai civili divenne zona di aspra battaglia
Don Zandomenighi riceve l’ordine di evacuazione

I primi giorni di prigionia furono giorni di dolore. Con poche parole descrive don Zandomenighi le condizioni di Passarella : “ Il campanile, che gli ungheresi non avevano potuto colpite, era divenuto bersaglio dell’artiglieria italiana, e da Capo Sile, da Fossalta e Fossetta erano granate continue che piombavano sopra di noi. Fu volere di Dio se la canonica non fu colpita : era piena, stipata notte e giorno di spose, ragazze, tenere fanciulle che si stringevano intorno al parroco per salvarsi dalla brutalità di una soldatesca ubbriaca “. Il 16 novembre, nel pomeriggio, il colonnello ungherese, che comandava quel settore, impensierito lui pure dall’imperversaredelle granate, – una di queste era caduta, gettata da un aereoplano francese, sulla canonica e avrebbe dovuto fare un’ecatombe, – ordinò al parroco di allontanarsi immediatamente con tutto il popolo e di dirigersi con questo alla volta di Ceggia : “ Perché – disse, in cattivo italiano, – oggi essere qui, ore 4, grande bombardamento “. – Contemporaneamente l’ordine si passò di casa in casa. Fu una partenza precipitosa, coadiuvata in qualche modo dagli stessi soldati ungheresi che avevano avuto l’incarico di accompagnare la colonna di profughi a Ceggia, presso il Comando militare, dove popolo e parroco avrebbero ottenuto una destinazione definitiva. “Si caricò in fretta, continua don Zandomenighi, una carretta di sacchi, di materassi e di tutto quel meglio che si potè trasportare ; nella mia carrozza, fra le valigie e le coperte, si collocò una povera vecchia ; lo stesso, guidando a mano il cavallo, precedetti una lunga fila di carri e di popolo che mi seguiva ; si percorse l’argine del Piave verso Palazzetto, per passare il ponte di barche, costruito dal nemico. Dio mio ! quanti pericoli e quanto orrore ! L’argine era qua e là rotto dalle trincee ; era un rischio continuo dover passare ! Nei campi e nelle trincee stesse stavano accumulati cadaveri insanguinati, col fucile ancora stretto fra le mani ; granate lanciate contro il ponte si schiantavano sulla scarpata o si spegnevano rabbiosamente nel fiume “. La colonna sembrava interminabile : ai fuggiaschi di Passarella si erano uniti i fuggiaschi di Chiesanuova.

L’attraversamento sulle passarelle all’ Agenzia Trezza metodo veloce quanto pericoloso in quanto preso di mira dall’artiglieria

Nessun incidente sul ponte : il passaggio fu preoccupante, e si effettuò fra gli scoppi continui delle granate lanciate dai nostri. Il parroco passò per primo, scortato da due ungheresi, e il popolo seguì il suo esempio ; ma poi il sacerdore, appena raggiunta la sponda sinistra del fiume, lasciò procedere la colonna : egli si arrestò sull’argine sinistro per assistere a tutto il passaggio, per dirigere quella strana processione di carri e di fuggiaschi. Sull’argine sinistra, sdraiati per terra, col fucile spianato verso la sponda destra, Ungheresi disposti in ordine sparso ; a piè degli argini, piccoli raggruppamenti di Ungheresi un po’ avvinazzati, in attesa di un ordine che li lanciasse all’assalto, assistevano con indifferenza, frammista a qualche frizzo e sorriso sarcastico, a quel passaggio.

La lunga colonna aveva terminato il passaggio pericoloso e prendeva ordinatamente il largo verso Ceggia, quando una granata italiana, lanciata da Fossetta, si infranse contro il fabbricato dell’agenzia Vianello ; fu colpito in pieno un concentramento di Ungheresi che stava preparando le munizioni per procedere all’attacco, che ormai si era iniziato, contro Musile e Piave Vecchio : 14 soldati furono maciullatio : il loro sangue si spruzzò contro i muri esterni del fabbricato dell’agenzia ; qualche pezzo di carne umana fu lanciato sul calesse del parroco che rimase imbrattato di sangue e di fango, avvolto in una nube densa ed oscura, e sbattuto violentemente al suolo per lo spostamento dell’aria.

Dopo i rischi della attraversata del Piave, ci sono quelli della campagna

Si proseguì a passo lento, lungo l’argine, verso Ceggia ; si abbandonò l’argine più tardi per prendere la direzione verso Isiatta. Il parroco intanto era di nuovo passato in testa a quella lunga comitiva, e ai gendarmi, che lo accompagnavano, chiedeva con insistenza : “ Ma… dove si va per questa parte ? E questa notte che cosa succederà di noi ? “. – Giunse la notte ; quella povera gente, senza poter gustare un po’ di cibo, dovette continuare il viaggio, che diventava, attraverso la campagna, sempre più pericoloso. I lunghi razzi lanciati dai due eserciti, le larghe scie di luce proiettate dai riflettori italiani sembravano incaricarsi ad aprire il varco a quel popolo per strade del tutto nuove. – Alle ore 9 di sera, un po’ di sosta ; e poi, dopo pochi minuti, si riprese il cammino : “ Ma dove si va? “, chiese di nuovo don Zandomenighi. “ Avanti ! Dopo tre chilometri, stare borghesi ! “, rispondeva il sergente che lo accompagnava.

Le evacuazioni uguale destino in tutto
il Veneto occupato

Gli Ungheresi, sempre con la baionetta innestata, accompagnarono la comitiva ancora per poco tempo. Poi si fermarono : assistettero alla sfilata della carovana, e poi, spianato il fucile in aria, in direzione del Piave, lasciarono partire alcuni colpi, e, senz’altri complimenti, reso così a quel popolo un saluto, all’ungherese, ripresero la via del ritorno,

La colonna procedette sempre fra le tenebre. – Verso le dieci di notte si incontrò con l’artiglieria ungherese, diretta al Piave. Per quella viuzza il passaggio apparve impossibile ; ma gli artiglieri, smontati dai loro pezzi e dai cavalli, in pochi minuti disposero la colonna dei fuggiaschi e i loro carri sul ciglio della piccola viuzza, e poi, con massima cautela, senza parole né frizzi, rasentando il ciglio opposto, proseguirono il viaggio verso il fronte. Il tenente ungherese, che comandava il drappello, si fermò presso il parroco ; quando l’ultimo pezzo gli transitò dinanzi, strinse la mano al vecchio sacerdote, gli rese il saluto e a piedi seguì lui pure il suo ultimo carro, guardando commosso quella povera gente lacera ed affamata, che forse gli rammentava, in quel momento, le stesse miserie a cui era sottoposta la sua patria.

L’arrivo in prossimità di Ceggia (o più probabilmente a Isiatta come si desume dal racconto del Chimenton)

Si giunse in Ceggia, “ alla prima casa di borghesi “, come avevano detto gli Ungheresi, – Il parroco entrò nel cortile di quella casa con tutta quella gente, per attendervi il mattino : le donne e gli uomini si adagiarono sopra o sotto i carri, riparati da qualche coperta ; i più robusti preferirono rimanese all’aperto, accoccolati sotto le piante ; i vecchi furono disposti sotto il porticato ; i bambini e le mamme, in numero più di novanta, furono concentrati nel vasto granaio, e si arrangiarono, in qualche modo, sopra il granone, già raccolto dalla campagna.

La difficile convivenza con i militari di truppa ungheresi

In quella località, senz’ordini, senza una sistemazione ufficiale, quei profughi dovettero rassegnarsi a passare le prime giornate della prigionia. La mattina si provvide ad una sistemazione più razionale di quella massa, disperdendola, come fu possibile, fra le varie famiglie del luogo ; nella casa d’arrivo rimase sempre il centro della colonna, Furono giornate di spasimi e di continue minacce. “La massima indisciplinatezza, da parte dell’esercito nemico, portava un continuo allarme alla massa di quei disgraziati. I soldati austriaci e ungheresi, di notte e di giorno, assediavano le case, insidiavano alle donne, violentando specialmente le fanciulle : queste ultime dovettero ridursi in compagnia del loro parroco, lontane, perché più sicure, perfino dai genitori. – La notte dal 16 al 17 novembre un ungherese, a tutta forza, voleva entrare in una stanza, e al parroco, che in via assoluta si oppone alla sua sete libidinosa, presentò il suo pugnale, in atto minaccioso, per colpirlo. Don Zandomenighi, non più giovane di età, ma pure forte e robusto, si lanciò sopra di lui : con una mano lo afferrà per la divisa, sopra il petto, e con l’altra arrestò quella mano armata, e in un supremo sforzo di nervosismo, dopo una colluttazione violenta, portò di peso, alla porta della cucina, quel soldato e lo gettò stramazzone nel fango in mezzo al cortile.

La complicata convivenza con le truppe di occupazione

La mattina del 17 don Zandomenighi rivide quel soldato ungherese : digerita la sbornia che in quella notte lo aveva trasformato in delinquente, preoccupato anche di un possibile rapporto a suo carico, chiese perdono al sacerdote e lo ottenne : da quel momento divenne il miglior amico del popolo di Passarella.

La seconda notte un nuovo incidente. Un altro ungherese voleva, a tutti i costi, entrare nel granaio interamente ripieno di donne, Quella volta il sacerdote non attese una minaccia per agire con energia : lo afferrò sulla sommità delle scale, e con una spinta, datagli a tradimento, lo fece ruzzolare giù per una quarantina di scalini : quel malcapitato, zoppicando, si allontanò da quel luogo, forse per notificare il suo eroismo e le sue ferite che lo resero malconcio, e farsi inserire nell’ordine del giorno per una proposta ad una nuova onorificenza per merito di guerra, onorificenza acquistata nel campo del …disonore ! Scomparve per sempre, dopo di aver appreso, a proprie spese, che le energie, specialmente in un campo di battaglia, si devono esercitare in ben altri combattimenti.

Ceggia durante l’occupazione

Il giorno 18, don Zandomenighi credette suo dovere presentarsi al comando ungherese di Ceggia, per reclamare un pò di sorveglianza attorno alla sua casa ; si incontrò con una signorina ungherese che lo salutò rispettosamente, gli baciò la mano, e si dichiarò disposta a favorirlo presso il Comando in ogni sua richiesta. Il sacerdote si limitò ad esporre le sue lagnanze per le vessazioni subite e ad implorare provvedimenti : ” Si – rispose in buon italiano quella signorina, – ma lei non può procedere fino a Ceggia : questa notte le granate italiane hanno preso di mira il palazzo Cà Loro, dove risiede il Comando generale : nessuno può procedere verso quella posizione. Però può presentarsi al Comando di divisione “. Scrisse un bigliettino in fretta, che consegnò ad un soldato : questo ricondusse il sacerdote un pò indietro, presso il Comando di divisione. Il generale lesse il biglietto, sopra una carretta di campagna, don Zandomenighi fu condotto al Comando generale.

Don Zandomenighi prima incarcerato e poi nominato parroco dagli occupanti

Ma poi si cambiò scena : L’Austria, che procedette sempre a base di spionaggio e di sospetti, si comportò così anche questa volta. Don Zandomenighi fu sottoposto ad un interrogatorio che si prolungò più di un’ora ; si estese un lungo verbale, e poi il povero prete fu passato alle carceri militari, in attesa di una nuova inchiesta e di nuove informazioni. In quelle carceri rimase tre giorni in compagnia di due borghesi, senza cibo : un pò di acqua fu l’unico ristoro di quelle giornate. E furono pure tre notti insonni, in compagnia di quei borghesi, rei di delitti che non conoscevano. Il terzo giorno giunsero le risposte richieste : a mezzogiorno il sacerdote fu messo in libertà invitato alla mensa degli ufficiali e proclamato, fra i brindisi, da quel Comando, parroco di Ceggia, ma con l’assoluta proibizione di muoversi dal luogo.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

I profughi di Monsignor Saretta trovano rifugio a casa Sant

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 194-197)

Sgomberati dal Conventino a Grisolera e rifugiati a casa Pasqual, i profughi dopo una notte sotto un bombardamento decidono di spostarsi nuovamente, questa volta verso casa Sant

Il Municipio di Grisolera pesantemente colpito dall’artiglieria italiana
Don Marin in visita al Conventino

Da casa Sgorlon don Umberto Marin, che non conosceva gli avvenimenti successi, si era portato, la mattina del 14, assai per tempo, al Conventino di Grisolera per conferire con Mons. Saretta. Trovò il Conventino abbandonato ; chiese qualche informazione, e comprese, più che da questa, dallo scempio della vittima e dalle rovine prodotte dalle granate, che una grave sciagura aveva colpito la comitiva affidata al suo arciprete. Avvilito e confuso si accostò alla salma di suor Teofila, recitò una preghiera per quella defunta, e poi fece ritorno a casa Sgorlon, assorto in tristi pensieri, quasi fuor di sé e in un orgasmo impressionante. S’imbattè, lungo la via, in un ferito grave portato da due tedeschi su di una barella : domandò se fosse cristiano cattolico, e, avutane una risposta affermativa, don Marin si curvò su quel disgraziato, ascoltò la sua confessione, gli impartì l’assoluzione, e poi continuò la via del ritorno.

I funerali di suor Teofila

Quella stessa mattina del 14 novembre, Mons. Saretta ritornò con alcune suore al Conventino di Grisolera, attraversando le campagne sconvolte, e sparpagliate qua e là di cadaveri e allagate dalla pioggia di quelle giornate. Il Conventino era rimasto intatto in quella notte ; la salma di suor Teofila giaceva composta sul suo feretro : sul petto risplendeva d’una luce funerea il piccolo Crocifisso. Dinanzi a quella salma Mons. Saretta celebrò la Messa, e distribuì la Comunione ; poi nel giardino stesso del Conventino si scavò la fossa ; quattro porte servirono per cassa funebre a quella giovane vittima : le suore fecero scendere nella fossa, da loro stesse scavata, quella martire, e sulla fossa fu piantata la croce dell’oratorio. Ultimata la dolorosa cerimonia, si riprese la via del casolare.

Quella stessa mattina i due fratelli Boscaro furono trasportati all’ospedale di Torre del Mosto. ̶ ̶ ̶ ̶ La comitiva, accompagnata da Mons. Saretta, ricominciò la peregrinazione in cerca di un nuovo rifugio. Respinta più volte, trovò finalmente ospitalità in un ampio caseggiato, in aperta campagna, di recente abbandonato dagli Austriaci ; il padrone di casa, il sig. Sant, si reputò felice di cedere un intero appartamento alle suore, al sacerdote e a tanti sfortunati ; sarebbero rimasti occupati tutti i locali liberi, e un’altra invasione degli Austriaci sarebbe stata sventata. Alle suore di Maria Bambina fu assegnato tutto il primo piano, costituito da sei stanze, fornite di buoni letti ; le pareti di quelle stanze erano tappezzate di santi e di cartoline illustrate ; in diverse stanze si vedevano ancora i fili telefonici : quella casa era stata, fino a poche ore prima, sede di un Comando tedesco. Mons. Saretta e gli altri profughi trovarono ospitalità in altre stanze di quel vasto caseggiato.

I profughi trovano rifugio in casa Sant

In casa Sant fu subito raccolto quanto si potè salvare nel Conventino di Grisolera e in casa Pasqual. Quando, la sera, la comitiva si trovò finalmente riunita a consumare un po’ di cena, si provò tutti un senso di sollievo, che però fu ben presto turbato dalla visita intempestiva di qualche soldato. Si comprese subito che la nuova casa era troppo vistosa, e, per di più, troppo vicina alla strada : si comprese che non sarebbero mancare le noie del passaggio delle truppe.

Le famiglie numerose costrette a vivere in ambienti ristretti
durante l’occupazione

La notte passò abbastanza tranquilla ; la mattina del 15 novembre, in una stanzetta tramutata in cappellina, su d’un altare portatile, si celebrò da Mons. Saretta la Messa : una cassettina di legno servì da Tabernacolo, dove si custodì il SS.mo. La giornata fu splendida : aereoplani italiani volteggiarono sopra quella casa con i colori meravigliosi illuminati da un magnifico sole di autunno avanzato. Nessuna noia quel giorno ; soltanto una suora ebbe l’ordine di ritirare la biancheria esposta al sole : il nemico vedeva, in tutto, spionaggio e segnalazioni. ̶ ̶ ̶ ̶ A tarda ora due ungheresi avvinazzati entrarono baldanzosamente a domandare del vino. Mons. Saretta cedette loro quel poco che teneva in riserva : i due si accontentarono e si allontanarono biascicando, tra un barcollamento stomachevole, delle mezze bestemmie.

Monsignor Saretta visita la madre rimasta a casa Sgorlon

La mattina del 16 prometteva una giornata calma. ̶ ̶ ̶ ̶ Mons. Saretta pensò alla mamma lontana e al cappellano don Marin, rimasti in casa Sgorlon, e dei quali da qualche giorno non aveva notizie. Dopo la Messa si portò con alcune suore a Palazzetto, in casa Sgorlon, presso l’argine del Piave, lungo la via S. Donà-Grisolera. L’incontro fu emozionante : madre e figlio ritenevano che non si sarebbero incontrati più. ̶ ̶  ̶ In casa Sgorlon, in una stanzuccia che prima aveva servito da pollaio, si era improvvisata una nuova cappellina : un piccolo Tabernacolo, vera cassettina sconnessa, sostituì, anche qui, il magnifico ciborio, lavorato dal Diego per il tempio di S. Donà di Piave.

L’incrocio con i profughi di Passarella e Chiesanuova

Lo stesso giorno, il 16 novembre, sul ponte gettato dinanzi casa Sgorlon, passarono, fra una granata e l’altra, gli abitanti di Chiesanuova e di Passarella. Giungevano dal vivo della lotta ; parecchi erano rimasti lunghe ore rinchiusi in una stanza, mentre Italiani e Austriaci si battevano ad arma bianca nella casa stessa : alcuni erano stati nella fuga sorpresi da pattuglie nemiche, mentre cercavano la via verso Musile ed erano stati ricacciati indietro alla rinfusa. Sul volto di tutti si vedeva impresso lo spavento : qualcuno non aveva avuto neppure il tempo necessario per provvedersi di indumenti : donne, bambini scamiciati, laceri e piangenti ; madri che avevano nella confusione perduto le loro creaturine ; un vecchio venerando di circa 90 anni rimasto abbandonato, veniva raccolto pietosamente da quel popolo in fuga. A tanti disgraziati, che in parte continuavano la via dell’interno, Mons. Saretta rivolse parole di conforto.

In una foto di repertorio, alcuni profughi dei migliaia costretti a cercare un rifugio per sfuggire alla guerra

Sulla sera le suore ritornarono in casa Sant, unitamente all’arciprete, accompagnandosi alla famiglia Finotto di Chiesanuova che in due carri trasportava, alla ventura, le sue povere masserizie : sopra uno di questi carri stavano rannicchiati ventisette fra bambini e bambine, tutti al di sotto dei dieci anni. Al povero uomo, che guidava la mesta carovana, Mons. Saretta augurò buona fortuna, promettendo a quei bambini l’unico soccorso che poteva dare, il soccorso della preghiera.

Il giorno 17 novembre, sabato, in casa Sgorlon fu un lavorare insolito per arredare la cappellina : i sacerdoti, dietro le tendine tolte dal palazzo Ronchi, rimasto abbandonato, assistettero alle confessioni. La giornata passò tranquilla ; solo una bomba piombò sul cortile e spaventò la comitiva ; ma nulla più : si era ormai assuefatti a certe sorprese e si continuò il lavoro spirituale.

Monsignor Saretta avverte l’esigenza di un nuovo trasferimento

La domenica, 18 novembre, si celebrò una Messa in casa Sant e due Messe in casa Sgorlon : nel pomeriggio le funzioni si svolsero indisturbate. Per provvedere all’incolumità di tante persone, concentrate in casa Sgorlon e in casa Sant, Mons. Saretta pensò di seguire le colonne di profughi, avanzarsi un po’ nell’interno, e avvicinarsi almeno alle campagne di Portogruaro. Non volle però iniziare una seconda serie di peripezie senza prima dare uno sguardo alla sua bella chiesa, al suo asilo rimasto abbandonato, alla sua diletta S. Donà di Piave, di cui si occupava, in compagnia dei suoi cappellani, a racimolare i figli dispersi per sollevarne le miserie. Chiese di poter presentarsi in casa Stefani, a Palazzetto : accompagnato da un capitano di Gorizia, Paolo Hertzog, che balbettava l’italiano, dopo una lunga anticamera potè avvicinare il colonnello comandante il battaglione, un vecchio viennese, bruscamente gli promise, per il giorno seguente, il permesso richiesto.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Anche Grisolera non si rivelò rifugio sicuro per i profughi in fuga guidati da Monsignor Saretta

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp. 188-194)

Fuggiti da San Donà di Piave in cerca di salvezza, i profughi guidati da Monsignor Saretta nel Conventino di Grisolera si ritrovarono nel mezzo dell’offensiva austriaca e fatti oggetto del tiro dell’artiglieria italiana.

Dal diario di Monsignor Saretta: 13 novembre 1917

Il giorno 12 novembre passò abbastanza tranquillo : i Tedeschi continuarono i loro lavori di sistemazione e di appostamento. La notte fu tormentata da fucileria e da mitraglia. ̶ ̶ ̶ La mattina del 13 novembre la comitiva fu svegliata di soprassalto da un improvviso crepitio di mitragliatrici, piazzate, durante la notte, di fronte al Conventino : i Tedeschi avevano scelto quel punto per passare il Piave.

San Donà di Piave in una foto austriaca del 24 novembre 1917, via Maggiore
Le truppe austroungariche oltrepassano il Piave

Dalla vedetta, aperto sul tetto della casa, si potè assistere, verso le sette del mattino, al passaggio a nuoto del primo soldato tedesco ; e dietro a lui, già sicuro ormai sull’altra sponda, sopra una leggera barchetta, da lui stesso rimorchiata con un filo di ferro, un drappello di altri soldati, quasi tutti incolumi, riuscirono a passare il fiume. Il passaggio si effettuò di fronte alla casa Teso. ̶ ̶ ̶ ̶ E si trincerarono subito quei soldati nel folto della macchia non battuta dai proiettili italiani. Il momento fu tragico, emozionante : la barca continuò il trasporto, protetta dalle mitragliatrici, finchè il nucleo di Tedeschi, passati all’altra riva, si lanciò all’assalto del secondo argine tenuto dai nostri.

I nostri non poterono resistere, perché privi di mitragliatrici e scarsi di munizioni, e si diedero prigionieri. ‹‹ Quando vedemmo il primo drappello italiano, ̶ ̶ ̶ ̶ scrive Mons. Saretta nelle sue memorie di guerra, ̶ ̶ ̶ ̶ passare il Piave, trasportato sulla barca dei vincitori, ci parve che la loro sventura si riversasse sopra di noi! Al grido di hoch hoch der Friede! i Tedeschi allargarono la loro penetrazione sull’altra riva, continuando a raccogliere quei pochi prigionieri che venivano disarmati, aggiunti ai primi, e, spinti oltre, attraverso Grisolera, nelle retrovie. La giornata cominciava terribile e noi ne avemmo subito il presagio e la sensazione ››.

Grisolera, nel febbraio 1918

Il primo fatto d’armi sconcertò i profughi di casa Sgorlon. In un momento di tregua alcune famiglie lasciarono quella posizione e si internarono nelle bonifiche dell’Ongaro Superiore e nelle paludi dell’Ongaro Inferiore. Don Umberto Marin rimase al suo posto, in piena dipendenza dall’arciprete, in casa Sgorlon, con il nucleo principale, sulle prime linee di combattimento. ‹‹ Non fu audacia, ̶ ̶ ̶ ̶ scrive giustamente don Marin; ̶ ̶̶ ma sentimento del dovere che spinse noi sacerdoti a rimanere fra quei disgraziati che nel sacerdote riconoscevano l’unica loro salvezza ››.

Si ebbe un momento di tregua. Poi una tempesta di granate italiane si riversò, con una audacia del tutto nuova, attorno a casa Sgorlon : obiettivo da parte dei nostri, la villa Ronchi, sede del Comando austriaco, e il ponte che il nemico aveva gettato.

Ma in quel brevissimo intervallo di tregua relativa, la comunità di Grisolera si raccolse nella cappellina; Mons. Saretta incominciò la S. Messa e dispensò la Comunione. ̶ ̶ Contrasto terribile! mai forse, come in quel giorno, a dieci metri dalle mitragliatrici tedesche che crepitarono durante tutta la Messa, e fra il fuoco incrociato delle artiglierie fu offerto il S. Sacrificio! I vetri caddero infranti ; i colpi di fucile echeggiavano d’intorno, e da lontano il cannone della marina italiana e dei porti di Cavallino e di Cortellazzo, cui era giunta la notizia della posizione forzata dal nemico, rintronava l’aria con terribili boati, succeduti dallo schianto delle granate infrante. La posizione del Conventino divenne disperata : Mons. Saretta impartì più volte l’assoluzione a tutti i suoi profughi.

L’artiglieria italiana colpisce la chiesa e il campanile di Grisolera

Verso le ore 12 il Piave fu superato in altre località, di fronte alla chiesa parrocchiale di Grisolera, in località del Vecchio Passo. L’artiglieria italiana da Meolo e da Cavazuccherina diresse allora i suoi colpi, bene aggiustati, sulla chiesa e sul campanile di Grisolera ; dalla vedetta, su cui era tornato, Mons. Saretta assistette al crollo del campanile e allo sventramento dell’artistica cupola. Case fumanti all’intorno, pagliai colpiti da granate e incendiati rendevano la scena terrorizzante. Per rispondere ai nostri, i Tedeschi si affrettarono a piazzare in ogni luogo i suoi piccoli cannoni e le loro nuove mitragliatrici, tra i cespugli, dietro le siepi, sulle finestre stesse delle case. Ma il primo felice successo apparve subito effimero : al di là del Piave, di fronte alla chiesa di Grisolera, i Tedeschi avevano incontrata una resistenza disperata : si udiva una mischia feroce, uno scambio di colpi di pistola e di fucile, un vero duello gigantesco fra i nostri soldati che, presi di soprassalto, non volevano arrendersi e di difendevano dalle finestre del piano superiore delle case, e i Tedeschi che volevano avanzare e fare prigionieri nelle case stesse i pochi nostri ardimentosi che difendevano quella posizione.

La chiesa e il campanile di Grisolera che sin dai primi giorni della battaglia d’arresta furono colpiti dall’artiglieria italiana

La lotta durò tutta la giornata, sempre più incalzante. Poco dopo il mezzogiorno comparvero i primi aereoplani italiani sul cielo di Grisolera, subito seguiti dalle granate di grosso calibro che tempestarono di nuovo la zona. Il Conventino fu leggermente colpito. ̶ ̶ ̶ ̶ La fanciulla Boscaro, assistita dalla propria madre, appariva più oppressa ; più calmo di tutti si mostrava l’arciprete : ma il suo pallore tetro, l’occhio vitreo tradivano lo spasimo che gli martoriava il cuore e la sua preoccupazione per tante persone, specialmente per le suore, che ormai erano affidate alle sue cure : il Conventino di Grisolera si era, durante la notte, trasformato in una vera colonia di sandonatesi, fuggiti da tutte le posizioni, privi di tutto e arrivati là in cerca di un inutile riparo, scampati miracolosamente alla strage. ̶ ̶ ̶ ̶ Ricordiamo, fra le altre, le due famiglie Evaristo Da Villa e Attilio Boscaro.

Nelle prime ore del pomeriggio del giorno 13 la battaglia assunse proporzioni ancor più gigantesche. Il nemico si accanì in una forma disperata per forzare il Piave ; e i nostri rovesciarono le passarelle con una continua tempesta di granate. ̶ ̶ ̶ ̶ Alle tre del pomeriggio un reggimento intero di fanteria nemica era pronto per l’assalto, o, meglio, per il rincalzo alle truppe d’assalto. I nostri aereoplani avevano già segnalato quel punto pericoloso : l’artiglieria italiana, che batteva le rive del Piave, circondò nella sua rosa di fuoco il Conventino.

Il Conventino viene colpito duramente

La comitiva si rinchiuse di nuovo nella piccola sacrestia, a ridosso dell’altare, protetta in tre lati da un solido muro. Impartita da Mons. Saretta l’assoluzione, si cominciò la recita del Rosario ; ma la prima decade non era ancora ultimata, quando uno schianto, sordo e opprimente, poi uno scoppio formidabile, accompagnato da una densa nube di fumo e di polvere, avvolsero gli oranti, inebetiti sotto l’urto immane : grida di spavento echeggiarono per tutta la casa.

Le suore di San Donà rimasero incolumi ; anche suor Lorenzina Fava, rimasta coperta dalle macerie, uscì in preda al terrore, leggermente ferita.

L’edificio chiamato Conventino in una immagine di qualche anno fa

Ma intanto la madre dell’inferma Boscaro chiamava i suoi bambini ; e la superiora delle Giuseppine del Conventino chiamava insistentemente una sua suora che non rispondeva all’appello. I bambini strillavano in preda al terrore : successe un fuggi fuggi generale. Mons. Saretta, con atto energico che confinò, in quel momento, con la violenza, riuscì a imporre un po’ di calma e a raccogliere la sua comitiva in una seconda stanza. Allora si constatò la tragedia che ormai era successa. Una bomba, lanciata da aereoplano italiano, era caduta, rasente il muro esterno della cucina e lo aveva abbattuto : fra le macerie, sotto una grossa trave, si sentì risuonare il gemito di una morente : era una suora, suor Teofila, invano prima ricercata dalla Superiora, che, ritardatasi in cucina, era stata coinvolta in quel disastro. A stento si sollevò la trave che le schiacciava il petto, e si estrasse tra le pietre e i calcinacci la vittima : la povera suora aveva le gambe spezzate sopra il ginocchio, e dai monconi usciva a fiotti il sangue ; le braccia pure spezzate mostravano i tronconi uscenti dalla vestre stracciata ; il petto era stato orrendamente pesto. Distesa a terra, in mezzo alla sala, mentre si procurava dalle suore di fasciare le ferite e impedire la morte per dissanguamento, Mons. Saretta somministrò, piangendo, a quella morente gli ultimi conforti della Chiesa.

Ma fra le macerie si sentivano ancora dei gemiti : era il figlio dodicenne della povera Boscaro, di nome Armando, fratello della fanciulla ammalata, che, rimasto lui pure coinvolto fra le macerie, riportò una gamba spezzata e larghe ferite sul petto. Erano pure rimaste leggermente ferite altre due suore Giuseppine.

Il Conventino fu trasformato in luogo di morte ; fuori, all’intorno, continuava a ruggire il cannone, e la mitragliatrice aveva ormai seminato il suolo di cadaveri.

Alle prime grida disperate successe, attorno alla suora agonizzante e al fanciullo ferito, un pianto represso ; poi un silenzio più sepolcrale. In quel momento entrò precipitosamente un soldato tedesco, con la baionetta innestata, l’elmetto fissato sugli occhi, ed impose lo sgombero immediato del luogo. Erano le quattro pomeridiane del giorno 13 novembre : fuori piovigginava : il cielo nuvoloso rendeva più tetra la notte che si avanzava.

Costretti ad abbandonare quel pericoloso rifugio

Mons. Saretta raccolse nella cappellina le suore ; distribuì a quell’ora, la Comunione, e consumò le Sacre Specie. Poi, adagiati su due lettighe i due fratelli, l’ammalata e il ferito, lasciata in custodia a tre suore Giuseppine l’agonizzante suor Teofila, con un fardello sotto le braccia, le lettighe portate a spalla dalle suore di S. Donà, si prese la via attraverso la campagna, senza meta, in balia della fortuna. Suor Lorenzina, leggermente ferita, seguì, ella pure, la triste comitiva.

La strada dell’argine era impraticabile, interamente occupata dalle truppe tedesche, Dopo un chilometro di cammino, fra i campi, sotto la pioggia e nell’oscurità della sera, la comitiva si fermò presso casa Pasqual, contornata da un ampio cortile trasformato in una vera pozzanghera, e chiese ospitalità. La vista di quella comitiva del dolore commosse gli inquilini e l’ospitabilità fu concessa. ̶ ̶ ̶ ̶ Ai nuovi arrivati furono offerte una stanza e una baracca di legno che serviva da pollaio : nella prima presero posto i due fratelli, il ferito e l’ammalata, unitamente alla loro madre ; nel secondo, un vero capannone, le suore e parte degli inquilini, in tutto diciassette persone ; altre dodici persone, il sig. Da Villa con la sua famiglia, si raccolsero in cucina.

Le tipiche passarelle che venivano gettate sui corsi d’acqua dagli austriaci e che divenivano poi bersaglio dell’artiglieria italiana

Mons. Saretta, assicurata la comitiva e trovato il rifugio per la notte, ritornò con alcune suore al Conventino di Grisolera, presso suor Teofila agonizzante, per prestare a questa gli ultimi soccorsi della fede. La trovò in vita, assistita dalle tre suore Giuseppine immerse nel pianto e nella preghiera. La visita del sacerdote ridestò un barlume di vita : quella morente mormorò l’ultima preghiera, poi piegò la testa in atto di rassegnazione e spirò. Erano appena le sei pomeridiane.

Il feretro fu subito composto in mezzo alla sala fra quattro candelieri : sopra il petto della defunta fu posto un piccolo crocefisso. Quando scesero le ombre della notte, quella camera ardente presentava l’aspetto di una visione macabra : si recitarono le preghiere dei defunti ; si affidò alla morta la custodia della casa : Mons. Saretta riprese la via del ritorno conducendo con sé, in casa Pasqual, tutte le suore.

Una notte ancor più tragica doveva passare la comitiva, riunita insieme dalla morte e dallo spavento. Consumato un po’ di pane vecchio, rammollito dalle lagrime, recitate in comune le preghiere della sera, sul pavimento, su una sedia, su un po’ di paglia si tentò di conciliare un po’ di riposo ; ma i disgraziati, sfuggiti a un pericolo, si trovarono coinvolti in un secondo più grave ancora. Una batteria austriaca, piazzata dietro il casolare Pasqual, alle nove di sera cominciò il suo tiro ininterrotto sulle linee italiane. I nostri risposero con una ridda accelerata ; dalle dieci di sera alle 5 antimeridiane del 14 novembre la baracca di legno fu fatta bersaglio a una tempesta di fuoco italiano : quando alla mattina, cessato il bombardamento, quelle suore uscirono dal loro nascondiglio, difficilmente poterono riconoscere il terreno circostante, orrendamente sconvolto, il casolare che le aveva ospitate : la Provvidenza, invocata con fiducia, le aveva visibilmente salvate.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Il 14 novembre gli austroungarici arrivarono a Chiesanuova

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , pp.246-251)

Dal diario di don Giovanni Contò (Chiesanuova)

Aperto il passaggio a Palazzetto il 14 novembre e occupata Passarella, anche Chiesanuova fu invasa, lo stesso giorno, dal nemico. Non vi fu combattimento quel giorno ; i nostri, impossibilitati ormai a resistere, si ritirarono sulla riva destra del Piave Vecchio, e là attesero l’avversario per le prove più dure e per la sconfitta.

Chiesanuova fu subito sottoposta al saccheggio e alla devastazione : il nemico si dimostrà più fuoribondo in questa località, dove trovò una resistenza imprevista, organizzata dai nostri, per proteggere la ritirata. Gli Austriaci e gli Ungheresi entrarono nelle case, si precipitarono nelle cantine. Testimoni oculari descrivono anche oggi lo spettacolo brutale di quegli avvinazzati che non avevano, sembra, che un unico programma lo sperpero e la distruzione : si bevette con una avidità impressionante ; il vino che non si potè consumare in quest’orgia fantastica, fu lasciato libero ; spezzate le botti, guazzarono i Tedeschi su laghi di nuovo genere, nel fondo delle grosse cantine del Basso Piave, e prima della partenza dei profughi, in varie cantine di Chiesanuova stavano galleggianti sul vino salme di soldati austriaci ed ungheresi, eroi lacrimanti, caduti…per la patria ! A questo sperpero si aggiunsero la caccia agli animali da lavoro e la requisizione di tutti i raccolti concentrati nei granai ; quanto poi rimaneva ancora nella campagna, fu abbattuto in quelle prime ore di occupazione. La popolazione terrorizzata assistette impassibile a quello scempio : a qualunque parola di lamento e di imprecazione si spianava il fucile ! […]

Nell’infuriare della battaglia il popolo si trovò tra due fuochi

[…] La notte fra il 14 e il 15 novembre, un furioso bombardamento da parte dei due eserciti : la vera lotta sul Basso Piave si era ormai iniziata ; le due linee di combattimento si erano ormai sistemate. Il popolo, fatte pochissime eccezioni, era ancora in Chiesanuova : preso a bersaglio fra due fuochi di estrema violenza, battuto negli edifici sacri e nelle case disperse per la campagna, non aveva via di scampo. Si ebbero momenti di disperazione, perché il popolo fu sempre illuso da chi non aveva compreso la tragicità del momento : l’autorità locale non aveva saputo far pervenire laggiù ordini tassativi e il popolo si trovò in balia di sé stesso. Colpito e abbattuto dai nostri il campanile, colpita la chiesa e la casa canonica, il popolo vide moltiplicarsi sotto i suoi occhi le sventure e i suoi cari minacciati dal fuoco italiano e tedesco.

Le vittime si moltiplicarono tra la popolazione civile

Episodi emozionanti, scene strazianti si moltiplicarono in quelle poche ore : madri svenute lungo la strada ; bambini con il petto squarciato abbandonati nei fossati ; donne gettate nel fondo dei canali ; fanciulle oppresse o violentate, cadute colpite, abbracciate ai loro padri ; ammalati rimasti abbandonati e soli nelle case. – E il sacerdote? Nulla potè fare per quel popolo, perché coinvolto lui pure in questa ridda di guerra : d’altronde, sotto pena di fucilazione, gli era stato proibito di uscire dall’abitazione e si trovò così doppiamente prigioniero : la sua casa era controllata con una sorveglianza speciale.

Numerosissime furono le vittime. Quante? Nessuno può dirlo : gli Austriaci spostarono i morti e i feriti gravi per ignota destinazione ; si faceva il nome di Lubiana come primo concentramento di questi sventurati : dopo l’armistizio però tanti feriti di quelle giornate non si videro più ricomparire : scomparvero per sempre, vittime ignote, sui campi della grande guerra.

Accenniamo ad uno fra i tanti episodi. – Aurelia Rizzetto, mentre fuggendo cercava un rifugio, in compagnia del padre suo, Luigi Rizzetto, fu colpita da una pallottola di fucile ; il padre, che si vide cadere la figlia, non mortalmente ferita, la adagiò sul terreno, le slacciò le vesti per medicarla e per impedirle la fuoriuscita del sangue. Mentre era intento a questo atto pietoso, una seconda pallottola lo colpì in fronte e lo gettò cadavere sul corpo sanguinante della figliuola. I Tedeschi si avanzarono, abbandonarono la salma del padre e strapparono quella fanciulla per trasportarla lontana dal combattimento.

La posizione di Chiesanuova diventò insostenibile e fu necessario prendere un provvedimento per la partenza da quel luogo d’inferno ; “Sgomberate le case per ordine del nemico, – scrive il curato don Contò, – la popolazione non volendo cedere nemmeno sotto quel fuoco, si rifugiò nelle trincee, in parte costruite dal Genio e in parte scavate, di tutta notte, dalla popolazione stessa nelle brevi soste del bombardamento. Ma in seguito, fatto più violento il fuoco delle mitragliatrici italiane, dovette rassegnarsi : chi potè rimanere illeso o ferito leggermente, dovette lasciare le case, i congiunti morti e insepolti ; fuggire disordinatamente accompagnato da padre Emidio, attraverso le campagne allagate, sotto il fuoco e l’infuriare delle granate e sotto una fitta pioggia, che rendeva più disagevole la fuga.

Anche per la popolazione di Chiesanuova iniziò l’esodo verso le retrovie

Il Comando italiano aveva fatto arrestare il corso del fiume Sile, perché l’acqua si riversasse nelle bonifiche : si dovette passare il Piave a Palazzetto, sopra una passarella, unica via di scampo a più di 1500 persone”. – Il passaggio non fu facile questa volta : la nostra artiglieria, individuata la passarella, batteva furiosamente la posizione per impedire al nemico di attraversare il Piave : si moltiplicarono così le vittime e i feriti. Ultimato, tra le grida, il passaggio, quella turba, dopo lunghe peripezie fu dispersa fra Torre di Mosto, Caorle, Latisana, San Giorgio di Nogaro e altri paesi della provincia di Udine : per il gruppo che si soffermò a Torre di Mosto  si interessò, in un primo momento, il parroco di Passarella ; per il gruppo che si raccolse a Portogruaro si interessò, un po’ più tardi, Monsignor Saretta : ma la maggior parte della popolazione dovette provvedere da sé alle esigenze della vita, alla sistemazione più rudimentale della famiglia.

Uomini e ragazzi abili al lavoro, furono presto requisiti e sottoposti alle fatiche : gli uomini furono gettati in un primo concentramento a Lubiana e presto dispersi perfino nei punti più estremi dell’Austria e dell’Ungheria, per lavorare nelle trincee e nelle miniere e per essere maltrattati e per patire la fame anche in mezzo a lavori tanto faticosi. Si comprende così come nel solo anno 1918 più di 200 persone di Chiesanuova morirono per la fame, le angoscie, le ristrettezze, i patimenti subiti : “A queste vittime aggiungete le vittime colpite nel paese, e quelle che anche oggi, scappate al massacro, portano sulle loro carni le stigmate gloriose di una guerra senza nome : sul campo di battaglia, nelle lotte di trincea, sulle balze del Carso e sulle rive del Piave, Chiesanuova lasciò 44 giovinezze troncate ; e poi dite che Chiesanuova non ha dato un forte contributo di sangue per la rivendicazione della libertà e della grandezza della nazione”.

Forse chi leggerà queste pagine penserà a quelle avventure esotiche di romanzi nordici che tanto piacciono alla gioventù ; sembreranno tanto strane tante peripezie catastrofiche. Chi ha provato quanto fu doloroso, opprimente, un anno di prigionia, potrà apprezzare la fortezza, il coraggio di chi non volle mai piegare la propria bandiera, e leggerà in tutte queste pagine un pò lunghe, un pò dilatate la storia di tutte le famiglie, di tutti i disgraziati che furono vittime della dominazione austriaca delle nostre terre invase.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre 1917 (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Pioggia di granate su San Donà (12 novembre 1917)

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV , p. 256; 226-229)

Una foto austriaca di San Donà una decina di giorni dopo il primo bombardamento italiano

Dal diario di Costante Bortolotto, 12 novembre 1917

“ Siamo a Chiesanuova- – Un momento di sosta su tutta la linea ; nessun colpo di cannone, nessuna sparatoia di fucile e mitragliatrice. Lontano, il suono confuso di trombe, come di una marcia che si dirige verso San Donà : gli Austriaci come ad una festa, procedevano verso l’argine sinistro del Piave Nuovo. Il comandante Ascoli telefonicamente impartì l’ordine alle batterie di Chiesanuova di colpire la posizione dalla quale proveniva quella musica, vero concerto di guerra in un campo oramai insanguinato. Sei batterie, compresa la batteria Bortolotto, aprirono il fuoco : furono dieci minuti di inferno ; ventiquattro pezzi, a fuoco accelerato, martellarono San Donà di Piave : i figli stessi di quella terra provocarono le prime rovine sulla cittadina del Basso Piave. In pochi minuti millecinquecento granate piombarono su San Donà ; probabilmente qualcuna di quelle granate avrà raso al suolo le case degli stessi artiglieri. Quando cessò il fuoco, la zona piombò, in pochi istanti, in un silenzio sepolcrale : la banda militare, petulante e provocatrice, tacque per sempre ; il cannone austriaco rispose un po’ più tardi con la sua rabbia ringhiosa, ma il Piave quella mattina non si potè attraversare dal nemico. “

Dal diario di don Zandomenighi, Il momento della battaglia si avvicina a Passarella

La pressione da parte degli austriaci si faceva sempre più forte. La notte dal 12 al 13 novembre fu notte d’inferno : ordini severissimi da parte dei nostri avevano imposto alla popolazione di non uscire all’aperto, di sospendere qualunque movimento. Quella notte gli ufficiali italiani che alloggiavano in casa canonica, erano tutti usciti, unitamente al cappellano militare : il grosso dei nostri si era portato verso Revedoli dove infieriva il combattimento.

La preoccupazione di Don Zandomenighi

La mattina del 13 don Zandomenighi si avvide che qualche cosa di grave stava per succedere nel suo paese : poco lontano dalla chiesa parrocchiale il cappellano militare e un gruppo di ufficiali del Genio erano intenti a sistemare un impianto radiotelegrafico. Spinto dal desiderio di notizie precise, don Zandomenighi si avvicinò a questi ufficiali e, con una semplicità tutta sua, dissimulando la trepidazione del suo animo e l’angoscia che lo tormentava : “Cappellano, disse, le raccomando di nuovo il molino : la popolazione ha fame, e lei lo sa ; veda per carità che quel molino possa oggi funzionare !” – “Sta bene, sta bene ! “, rispose seccamente il cappellano, il quale in realtà mostrava di non sapere che cosa rispondesse ; e rivolto ad un tenente, compagno di un lavoro che si sistemava in una forma precipitosa : “Il molino ! –esclamò ; – si raccomanda il molino, il buon parroco ! Ne avremo oggi dei molini !…”. – Don Zandomenighi intese queste parole e si allontanò; si sforzò di mostrarsi tranquillo quando entrò in canonica, ma non riuscì ; la presenza del sacerdote che ritornava sconvolto, non più tranquillo come i giorni precedenti, aumentò lo spavento in quei disgraziati che presso quel buon sacerdote avevano chiesto ricovero e protezione.

Il nemico incombe su Passarella

Il combattimento continuava, a base di fucileria e scoppio di bombe, verso Revedoli. A mezzogiorno il cappellano militare si precipità in casa canonica : rivolse poche parole al parroco. I due sacerdoti si scambiarono un bacio, una stretta di mano, e poi… il cappellano si allontanò seguito da qualche ufficiale e da pochi soldati : quella stessa notte il passaggio del Piave era stato forzato a Revedoli : gli Austriaci avanzavano ormai verso Passarella ; erano giunti ad un chilometro dalla chiesa parrocchiale.

Don Zandomenighi rimasto solo, seguendo il consiglio del cappellano militare, ordinò che quella colonia di parrocchiani si tenesse chiusa in casa, occupasse le stanze di tramontana, come quelle che erano meno esposte in quel momento ; si interessò lui stessoperchè simili disposizioni fossero impartite nelle case più vicine alla chiesa, dove si erano concentrati gran parte dei parrocchiani. Il fuoco della fucileria cessò improvvisamente verso le 13 : si sospettò di un falso allarme da parte del cappellano, un mantovano autentico ; ma il fuoco si riprese con rabbia verso le 14, e poi… cessò di nuovo. – Quel silenzio fu più opprimente che non il crepitio delle mitragliatrici ; ma fu un silenzio di pochi istanti : verso le 15 un “urrà, urrà !” ripetuto a squarciagola sulla piazza della chiesa fece uscire il sacerdote dalla canonica.

Don Zandomenighi si trovò di fronte un picchetto di ungheresi : armati di fucile, avanzarono contro il sacerdote. Il sergente, che comandava il picchetto, si limitò a chiedere sigarette e zolfanelli ; poi disse in buona lingua italiana : “Ritorni a casa, perché qui, poco lontano, sta piazzata una mitragliatrice !” A poca distanza, verso Chiesanuova, si sentiva difatti il crepitio delle ultime mitragliatrici italiane che si sforzavano ancora d’impedire l’avanzata nemica.

La battaglia si sposta verso Chiesanuova

Perché, è necessario ricordare, i paesi di Passarella e Chiesanuova furono conquistati a palmo a palmo : la resistenza fu violenta da parte dei nostri che non cedettero se non sotto la potenzialità numerica degli avversari. Le defezioni, tanto decantate dagli invasori, si ridussero a pochi gruppi di combattenti sulla sponda destra del Piave Nuovo, che giudicarono inutile ogni resistenza quando si videro accerchiati dal nemico. Quel manipolo di ungheresi proseguì la sua corsa verso Chiesanuova.

Pochi momenti dopo si presentarono in casa canonica di Passarella una ventina di soldati italiani, privi di comandanti, armati in assetto di guerra ; non sapevano ancora di essere già prigionieri. Mosso da un senso di pietà , naturale e spontaneo, dinanzi a connazionali sfiniti, confusi, in balia di se stessi, don Zandomenighi li consigliò a disperdersi fra le famiglie di Passarella e indossare subito abiti borghesi. Il colpo riuscì a meraviglia. In quel gruppo di soldati stava un chierico salesiano. Don Zandomenighi fece indossare a quel chierico una veste talare, lo accolse in casa, lo volle ristorare con cibi confezionati a bella posta : “Poveretto !, scrive nel suo diario don Zandomenighi, credo abbia mai mangiato così volentieri in vita sua ! Lo misi poi a letto, perché mi pareva stanchissimo e molto sofferente. Maria Ausiliatrice lo protesse : quando, verso il tramonto, gli ungheresi incominciarono le perquisizioni in tutte le case di Passarella, e anche in canonica, frugando e rovistando in ogni luogo, sempre sospettando imboscate e tradimenti, nessuno pensò ad aprire la stanza dove il chierichetto dormiva tranquillamente, inconscio del pericolo che lo minacciava : sopra il suo letto, quel chierico aveva distesa la sua divisa di soldato italiano.

Un lieto fine che arriverà solo molti mesi dopo

Quel chierico si soffermò presso don Zandomenighi per una ventina di giorni; lo seguì nelle sue peripezie fino a Torre di Mosto. Ma in seguito alle disposizioni draconiane del Comando austriaco, che comminava la pena di morte ai detentori di prigionieri di guerra, il chierico, pern non esporre il suo benefattore a conseguenze fatali, volle, contro la decisione del benefattore stesso, disposto, pur di salvarlo, ad affrontare qualunque pericolo, colle spontaneamente costituirsi ai gendarmi austriaci. E così scomparve quello studente nel gran vortice della prigionia ; fu gettato nei concentramenti più disparati dell’Austria che gli fece pagare a caro presso il suo atto di coraggio per conservarsi intatto alla patria, cui servì con la massima fedeltà: cadde ammalato per i patimenti e le vessazioni sofferte. – Essendosi portato, dopo l’armistizio, don Zandomenighi a Treviso, dove fu ospite di casa di Monsignor Bettamin, S.E. Mons. Vescovo faceva recapitare al parroco di Passarella una lettera : era uno scritto del chierico salesiano Gaetano Vico, che dall’ospedale militare di Verona chiedeva al Vescovo di Treviso l’indirizzo preciso di don Zandomenighi, per poter scrivergli, e manifestare un’altra volta a lui, suo vero salvatore, i sensi della più viva riconoscenza e dell’affetto più sincero.

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre 1917 (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte

Quei primi giorni dell’invasione aldilà del Piave

Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo IV )

Nel libro scritto da Monsignor Chimenton una parte preminente del IV capitolo riguardante l’invasione austroungarica e il terribile anno di occupazione è dedicata agli scritti di Monsignor Saretta. Non di meno trovano spazio anche i ricordi di altri sacerdoti come don Marin, il parroco di Passarella don Zandomenighi, quello di Chiesanuova don Contò, oltre del comm. Costante Bortolotto, allora tenente sul fronte del Piave.

Passarella in una foto austrica di qualche mese dopo

Dal diario di Costante Bortolotto

5-9 novembre. Il ten, Costante Bortolotto, ricevuto l’ordine di portarsi con la batteria verso Cortellazzo, si piazzò di fianco ad un casolare, detta Bissona. Il casolare era abitato dalla famiglia Bisson : un vecchio di novant’anni, al quale tutti i famigliari portavano affetto e venerazione come ad un patriarca, era l’unico custode. Nei momenti liberi il tenente Bortolotto lasciava la sua batteria e si portava, in bicicletta, a Cavazuccherina per aver notizie più precise sulla guerra, sul nostro esercito, sulla linea di resistenza : era ospite in casa del dottor Visentini. Casa Visentini era deserta, e da quella casa fu prelevata una cassa di pastiglie e di medicinali che servivano alla batteria per tutto l’inverno. Gli austriaci erano ormai giunti al Piave Nuovo : “Ricordo, scrive lo stesso ufficiale, la impressione dolorosa del primo colpo caratteristico del fucile austriaco. Era di sera prima del tramonto, e in un baleno mi passò davanti la visione del Carso, di tanti paesi distrutti, e la cui devastazione ormai si portava nella mia terra, nella mia casa pure abbandonata, e … un singhiozzo mi strozzò la gola e piansi di nascosto : i soldati non dovevano constatare la mia depressione d’animo “. Il buon vecchio Bisson, che non si era ancora deciso ad allontanarsi da quel casolare, mentre la sua famiglia si era portata a Venezia, ripeteva “Sior tenente, i Tedeschi no i xe vegnui qua gnaca nel ’48 ; el staga sicuro, sior, che no i vegnarà gnanca stavolta”. E il tenente a lui “Non verranno neppure questa volta. Ma voi intanto allontanatevi da questo luogo! “. La mattina del 9 novembre, dopo una visita degli aereoplani nemici e l’arrivo dei primi colpi di granata attorno al casolare, il vecchio si presento al comando della batteria : “Buona fortuna, sior comandante, – disse tremando, – mi vado via, ma ghe consegno le ciave dea me caneva : el fassa quel che el vol! “. Quel vecchio, che da novantanni abitava quella casa, piangendo come sa piangere il bambino cui una forza violenta strappò una persona o una cosa che gli era carissima e che costituiva la sua vita e il suo ideale, si allontanò. La casa Bisson quello stesso giorno fu rasa al suolo : ma il vecchio non rivide quelle macerie ; morì lontano dal suo paese, durante l’anno di profuganza. (pp. 253-254)

Dal diario di Don Innocenzo Zandomenighi, curato di Passarella

9 novembre. La sera del 9 novembre gli austroungarici, dall’argine sinistro del Piave cominciarono a far sentire il dentellare delle loro mitragliatrici : la popolazione si ritirò nelle trincee che si eravo scavate in quei giorni, in attesa che il nemico si decidesse di passare. La posizione si presentò subito pericolosissima : la località si trovò circoscritta fra due fuochi e due eserciti : i nostri, sul Piave Vecchio, che in tutti i modi volevano arrestare il passo del nemico, e l’esercito austriaco, che, sistemato sull’argine sinistro del Piave Nuovo, si accaniva furiosamente per aprirsi quel varco che lo avrebbe costituito dominatore della posizione, assicurandogli l’avanzata verso Mestre e verso Venezia.

10 novembre. La prima granata austriaca piombò su Passarella il 10 novembre : il parroco ne fu salvo per miracolo. Mentre con due soldati italiani si recava ad aprire il molino, perchè la popolazione di Passarella e di Chiesanuova si trovava, da due giorni, priva di farina, la granata che doveva colpire il campanile gli passò pochi metri sopra il capo : a distanza di cinque metri da lui colpiva in pieno due soldati. Don Zandomenighi si rifugiò in casa canonica. Una seconda granata colpì un angolo della casa del sagrestano. Passarella era specialmente battuta con violenza nella località della chiesa, ritenuta dal nemico punto strategico di concentramento. Lo stesso giorno, 10 novembre, fu ferita leggermente la chiesa.

11-12 novembre. La mattina del giorno 11, festa di San Martino, si celebrò la messa per tempo nella bella chiesa di Passarella ; ma durante la notte quella chiesa era stata duramente battuta: letteralmente scoperchiata, il pavimento e gli altari frantumati e ricoperti di pietre e pietrame. Si celebrò anche il giorno 12, e si consumarono quella mattina, le Sacre Specie : chi quella mattina assistette il sacerdote, ricorda la sua trepidazione in quei momenti solenni e nefasti : il sacrificio fu compiuto tra l’orgasmo : come una tragica visione si presentarono all’animo di don Zandomenighi lo strazio del suo paese e l’immensa sciagura del suo popolo buono.

Fu l’inizio del martirio di Passarella. Il popolo comprese la sua sentenza : chiuso da tutte le parti da un fuoco concentrato, non potè più muoversi : a lui non restava che aspettare ansiosamente la morte. Eppure non si ebbero, in quelle giornate, vittime fra la popolazione borghese.

La casa canonica, posta a destra della chiesa e riparata in qualche modo dalle granate e dalla fucileria austriaca, si era trasformata in un ricovero di fanciulli, di donne, di vecchi, imploranti pietà, pallidi e tremanti per tante emozioni. (pp. 225-226)

L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:

29 ottobre – 5 novembre 1917  prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12-14 novembre 1917 (Passarella) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte