Tratto da “S. Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” di Monsignor Costante Chimenton (1928, capitolo V pp. 263-268)
Monsignor Saretta rifugiato a Portogruaro
Portogruaro, nel dicembre del 1917, sembrava una terra deserta : i pochi borghesi del centro, come pure i contadini della campagna, vivevano la massima parte appartati e diffidenti ; grandi concentramenti di truppe austro-ungariche per le campagne. Rendeva più penosa quella posizione il silenzio assoluto che dall’autorità militare fu imposto a tutte le campane ; il provvedimento non portò gravi conseguenze, perché in città di Portogruaro il servizio del culto era limitatissimo, anche per mancanza di clero : il parroco Mons. G. B. Tittilo e i canonici della cattedrale si erano allontanati al primo avvicinarsi del nemico ; in città erano rimasti, – animi veramente zelanti, – con Mons. Vescovo, don Luigi Bortoluzzi, arciprete di S. Agnese e Mons. Giuseppe Gaiatto ex parroco del Duomo : anche le classe dirigenti si erano allontanate.
L’arrivo dell’arciprete di San Donà. Specialmente nel campo spirituale, fu considerato un dono provvidenziale da parte di quella popolazione. In mezzo a tanti orrori non era spenta la fede in Portogruaro ; era assopita e bisognava ridestarla nelle coscienze ; bisognava commuovere un po’ i cuori, eccitare gli animi, far comprendere al popolo che il sacerdote è fatto per lui, e che gli sta vicino non soltanto quando la pace e la gioia rendono felice la sua vita, ma più ancora quando la guerra, la miseria, la fame e la prigionia lo gettano sul lastricato della pubblica strada, lo costringono a stendere la mano per chiedere l’elemosina di un pane, lo avviliscono nelle sue aspirazioni di libertà, gli spezzano gli affetti più santi, religiosi e famigliari.
Mons. Luigi Saretta era fatto per questo lavoro. – Quando giunse a Portogruaro trovò le chiese abbandonate ; il popolo stesso, non compresi i suoi profughi, guardava con occhio di diffidenza il sacerdote forestiero che giungeva a rimpiazzare il posto, rimasto vacante, dei suoi pastori. Ma quella figura pallida, magra, che giungeva, in quei giorni, sul luogo della prigionia, prigioniero volontario, tormentato da sofferenze, suscitò presto le simpatie : la diffidenza dei primi momenti si cambiò in affetto, finì in entusiasmo. Mons. Saretta riuscì ad impadronirsi di quel popolo, a portare un nuovo soffio di vita, anche in mezzo ad un nemico che non cessò mai di controllare i passi dei nostri connazionali.
La cerimonia del 31 dicembre 1917 nella Cattedrale
Segnò l’inizio della sua missione provvidenziale la cerimonia della benedizione solenne, in occasione del ringraziamento dell’anno 1917, nella Cattedrale di Portogruaro. A lui, abbiamo già detto, fu dal Vescovo affidato l’incarico di tenere il discorso d’occasione, compito delicatissimo in quei momenti, più delicato ancora perché a quella cerimonia potevamo intervenire, in veste ufficiale, le stesse autorità militari dell’esercito invasore. La bella Cattedrale quella sera era gremita di popolo : cittadini e profughi, frammisti ai soldati tedeschi, stavano riuniti dinanzi all’altare, al Crocefisso sanguinante sulla croce, che mai forse, durante la guerra, rappresentò più che in quella circostanza le sofferenze degli uni e degli altri.
Mons. Saretta fu felicissimo nel suo discorso. Seppe commuovere il cuore di tutti, senza suscitare sospetti o gelosie, facile difetto per chi parla in pubblico e sotto l’impulso di una commozione così naturale per chi è prigioniero e bersagliato dal nemico ; più naturale ancora in chi, da una condizione fortunata, è sbalzato nella miseria, lontano dal suo paese, in balìa di una forza brutale che non conosce limiti nelle sue vendette. Siamo riusciti a rintracciare, fra le carte accatastate nell’archivio di San Donà, il manoscritto degli appunti del brevissimo discorso, conservato da Mons. Saretta con gelosia. E che l’indiscrezione di chi scrive questa monografia potè carpire ; ci perdoni Mons. Saretta l’indiscrezione ancor più marcata, che oggi commettiamo, nel pubblicare integralmente questi appunti : è un documento storico, e la storia, anche questa volta, domanda che siano rispettati i suoi diritti:
« Salvum fac…. Mai grido d’angoscia, voce di pianto e di preghiera uscì più spontanea di questa che la chiesa ci pone sulle labbra, in questa sera, ultima del 1917! – Oh! Signore, salva il tuo popolo! – Siamo qui raccolti davanti al tuo altare per implorare misericordia e perdono. – Ecce populus tuus omnes nos! Siamo il tuo popolo! – Altri gridarono : nolumus hunc regnare super nos! ; ma noi ripetiamo: non habemus alium regem nisi Christum!
Noi siamo la tua eredità. Noi che siamo stati redenti dal tuo sangue.
Ma in questa sera quante memorie ci opprimono! In questo momento quanti affetti si affollano nel nostro cuore! La chiesa ci suggerisce l’inno della lode e del ringraziamento, e non ci accorgiamo che le lagrime inondano il nostro volto ; noi ci accorgiamo che il pianto è l’unica voce che vibra nelle nostre anime.
Ogni anno che muore porta con sé la mestizia. Esso rappresenta qualche cosa che scompare nella vita di un uomo. E’ così breve la vita! – Esso ci parla della fugacità del tempo ; nella nullità di tutte le cose umane. Ma quest’anno 1917 è per noi più triste del solito ; la sua fine ci trova oppressi dal più profondo dolore, dalla più orribile sventura che possa colpire una nazione. Tu comprendi il mio pensiero, o Signore, tu che hai pianto sulle rovine della tua patria!
Nondimeno tu aspetti da noi un tributo di lode : tu ce lo chiedi ; tu ne hai diritto. E, sia pur nel pianto, noi gridiamo grazie, o Signore : Te Deum laudamus!
Grazie! Tutte le calamità che ne circondano, furono permesse da Te : esse sono il frutto dell’abuso dei tuoi doni ; sono la punizione dei nostri peccati. – Tutto il bene che ci è venuto in quest’anno, ci è venuto da Te ; tutto il male ci è venuto dagli uomini. – Noi stessi, disobbedendo alla tua legge, abbiamo fabbricato la nostra rovina. – Dei tuoi doni, grazie! ; del nostro abuso, del nostro peccato, Signore, perdono!
Parce, Domine : salvum fac populum tuum! In te, Domine, speravi : non confundar in aeternum! ».
Le brevissime parole furono pronunciate fra le lagrime, vorremmo dire fra i singhiozzi. Quelle parole furono sillabate ad una ad una, e attraversarono i cuori aprendoli alle serene speranze di un radioso avvenire, come una scintilla elettrica e come una voce benefica e amica.
Piacque il discorso al popolo ; non dispiacque neppure al nemico che in quella sera aveva raddoppiato il servizio di spionaggio : l’oratore in poche parole aveva detto molto per gli uni e il suo pensiero era stato bene inteso ; si era contenuto dentro i giusti limiti anche per gli altri e nessuno rimase offeso.
Il primo gennaio in duomo con i profughi di San Donà
La cerimonia religiosa dell’ultimo giorno dell’anno 1917 fu completata, in una forma più intima e più simpatica, il primo gennaio del nuovo anno 1918, con la Messa celebrata dopo mezzogiorno, a porte chiuse, nel Duomo di Portogruaro. Alla presenza dei soli profughi di S. Donà : Mons. Saretta indossò i paramenti e usò i vasi sacri dell’arcipretale di S. Maria delle Grazie. – Fu un poema di commozione e di lagrime, specialmente quando, al Vangelo, l’arciprete Mons. Saretta portò l’augurio, presso a poco con queste parole: « Ho voluto questa riunione intima nella casa del Signore, perché oggi le nostre anime ne sentivano il bisogno. – Sebbene una barriera di ferro e di fuoco ci separi dai nostri cari, e sebbene lontani dalla nostra terra che è ormai un cumulo di rovine, noi abbiamo nel cuore la speranza. Sopra il Piave inviolato, spiriti che vanno e vengono portano e ricevono i voti, gli affetti, le lagrime di un popolo che oggi è unito più che mai nella sua fede e nella sua volontà di vivere…» – S.E. Mons. Francesco Isola, presente a questa cerimonia, comprese che aveva trovato un ottimo elemento che poteva riuscire di massimo vantaggio anche al suo popolo, e con bolla vescovile, in data 5 gennaio 1918, nominò Mons. Luigi Saretta parroco della Cattedrale di Portogruaro.
Era ciò che desiderava Mons. Saretta : la sua nuova posizione gli avrebbe assicurato un prestigio dinanzi alle stesse autorità tedesche ; lo avrebbe messo più strettamente a contatto con i profughi, dispersi nel vasto territorio di Portogruaro, e con i cittadini stessi, tanto bisognosi di assistenza spirituale. La consegna della chiesa si effettuò subito ; la consegna, invece, della canonica non si ebbe che il 22 gennaio 1918, non appena quella casa fu lasciata libera da un Comando austriaco che vi aveva preso dimora. Così furono salvati, almeno in parte, il mobilio e i libri dell’arciprete della Cattedrale.
L’occupazione raccontata da Monsignor Chimenton in “San Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella” nei post dedicati:
29 ottobre – 5 novembre 1917 prima parte; 6 – 9 novembre 1917 seconda parte; 9 – 11 novembre 1917 terza parte; 9 – 12 novembre 1917 (Passarella) quarta parte; 12 – 14 novembre (Passarella-Chiesanuova) quinta parte; 14 – 15 novembre 1917 (Chiesanuova) sesta parte; 13 novembre 1917 (Grisolera) settima parte; 14 – 18 novembre 1917 ottava parte; 16 – 21 novembre 1917 (Passarella e Chiesanuova) nona parte; 19 – 22 novembre 1917 (San Donà) decima parte; 23 – 30 novembre undicesima parte; 22 – 30 novembre 1917 (Torre di Mosto) dodicesima parte; 1 – 5 dicembre 1917 tredicesima parte; 6 – 8 dicembre 1917 quattordicesima parte; 8 – 15 dicembre 1917 quindicesima parte; 16 – 30 dicembre 1917 sedicesima parte; 31 dicembre 1917 – 5 gennaio 1918 diciassettesima parte